Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Cannabis medica: storia, curiosità e istruzioni per l’uso
Cannabis medica: storia, curiosità e istruzioni per l’uso
Cannabis medica: storia, curiosità e istruzioni per l’uso
E-book519 pagine6 ore

Cannabis medica: storia, curiosità e istruzioni per l’uso

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Utilizzata da migliaia di anni da numerose popolazioni, la cannabis si è rivelata utile per la possibilità di impiego industriale, cerimoniale, religioso, ricreativo e medico. L'intenzione dell'Autore è, innanzitutto, ricostruire la storia di questa prodigiosa pianta e del suo rapporto con le civiltà umane dal periodo preistorico ad oggi: una storia affascinante, appassionante e coinvolgente che arriva fino ai giorni nostri. Dopo quasi un secolo di proibizionismo, la cannabis è stata "riscoperta" a scopi industriali (bioedilizia, abbigliamento, alimentazione, carburanti, etc.) e medici: la ricerca scientifica, pur tra mille incertezze e necessità di ulteriori studi, afferma l'innegabile utilità di questo "fitocomplesso" nella cura di malattie e sintomi che spesso risultano refrattari alle terapie convenzionali. Scopo di questa opera è fornire le basi scientifiche e bibliografiche per un utilizzo consapevole e mirato della cannabis medica, in attesa di aggiornamenti scientifici che non mancheranno…
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2023
ISBN9791221486384
Cannabis medica: storia, curiosità e istruzioni per l’uso

Correlato a Cannabis medica

Ebook correlati

Medicina per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Cannabis medica

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Cannabis medica - Maurizio Massetti

    ANTROPOLOGIA DELLA CANNABIS

    Le piante officinali impiegate nella medicina antica sono quasi sempre spontanee, di campo o di bosco, mentre più raramente sono usate le piante coltivate, di giardino o di orto. L’uomo ha attribuito da sempre poteri curativi e benefici alle erbe, agli arbusti e agli alberi che si sviluppano nell’ambiente circostante, espressioni della forza vitale e quasi spirituale della natura. Fonti iconografiche testimoniano l’utilizzo di piante ed erbe, compresa la cannabis, fin dai tempi più antichi: l’uso delle piante per ricavarne sostanze curative, antico quanto l'uomo, è rimasto a lungo circondato da una sorta di alone magico, in relazione alla divinizzazione degli animali e delle piante, tipica delle prime fasi della civiltà.

    Uomini e piante: la preistoria

    L’uomo utilizzava erbe medicinali in epoca preistorica: è possibile ipotizzare che molte erbe o piante medicinali fossero quelle disponibili a livello locale, anche se non era necessariamente sempre così. Le tribù nomadi percorrevano lunghe distanze e potrebbero aver avuto accesso a una gamma più ampia di materiali. L’uomo preistorico non aveva la possibilità di confrontare i trattamenti nuovi o esistenti con un placebo e nessuno sa esattamente quali fossero le conoscenze mediche dei popoli preistorici, ma sappiamo che erano in grado di ricucire le ferite o trattare le ossa fratturate nel fango per favorirne il callo osseo.

    La ricerca di prove dell'uso di medicinali nella documentazione archeologica è impegnativa; i resti di piante sopravvivono solo raramente alle ere geologiche e, quando sopravvivono, può essere difficile dimostrare un'applicazione medicinale deliberata. In linea di massima, la ricerca archeologica sulle piante ad uso medico e/o psicoattivo si basa su: 1) resti macrofossili (legno, foglie, frutti o semi essiccati, bruciati o impregnati d'acqua) di piante psicoattive, 2) alcaloidi psicoattivi in manufatti archeologici e resti scheletrici di epoca preistorica, 3) residui suggestivi di bevande alcoliche o similari e 4) rappresentazioni artistiche di specie vegetali che alterano l'umore o rappresentazioni artistiche ispirate a stati di coscienza alterati. L’unico altro modo per ottenere prove empiriche dirette per l'uso delle piante medicinali è attraverso il recupero e l'analisi di composti biomolecolari che possono essere presenti in materiale residuo come il calcolo dentale umano o su manufatti, come borse, vasi o strumenti. Per raggiungere un'approssimazione della probabilità dell'automedicazione nel profondo passato umano, dobbiamo guardare al contesto evolutivo più ampio. Esistono prove di sopravvivenza di uomini di Neanderthal in seguito a un trauma: alcuni individui avevano subito una serie di lesioni da cui si erano guariti con evidenti postumi di infezione (1). È improbabile che ciò possa essersi verificato senza l'uso di piante antibatteriche. Vicino alle tombe di Shanidar, grappoli di polline di diverse piante, tra cui un membro del genere Ephedra, Ephedraceae, identificato come avente proprietà medicinali significative, hanno portato a suggerire che questi fossero stati deliberatamente collocati (2). Degli alcaloidi bioattivi trovati in questa pianta il più comune è l’efedrina, responsabile degli effetti stimolanti e termogenici della droga grezza, che includevano anche proprietà antiossidanti e antimicrobiche (3). Dopo il Paleolitico si hanno maggiori testimonianze sia di sopravvivenza con

    patologie sia, in alcuni casi eccezionali, di veri e propri resti di piante medicinali. Il corpo mummificato di Ötzi, un uomo vissuto 4500 anni fa e ritrovato sulle Alpi italiane nel 1991, aveva molteplici patologie, tra cui parodontite, fratture costali guarite, parassiti intestinali e calcoli biliari. Sul suo corpo sono stati trovati sessantuno tatuaggi in diciannove gruppi (4), tutti relativi a punti noti di agopuntura che suggeriscono misure medicinali preventive, mentre frammenti di piante, tra cui la felce (trattamento parassiti intestinali), diversi muschi (trattamento medicazione delle ferite) e funghi come il poliporo di betulla (proprietà anti-infiammatorie e antibiotiche) sono stati trovati sia come parte del suo equipaggiamento che nel suo stomaco e si ritiene che siano stati usati come medicinali (Zink et al. 2019). Lo studio molto dettagliato di questo individuo mummificato ha fornito una visione unica dell'estensione della medicina preventiva e curativa dell'età del bronzo. Molte piante già in uso nell’epoca preistorica come medicinali si comportavano da veleni e tossici in base al dosaggio: in effetti non è possibile determinare se fossero usate come veleni, medicinali o entrambi poiché la differenza si basa sul dosaggio (5): l'unico modo per identificare l’uso di una pianta come veleno o medicinale è il suo contesto. Tracce di pianta dell'olio di ricino sono state rilevate su un bastoncino di legno nel sito di Border Cave in Sud Africa, suggerendo fortemente che fosse utilizzato come veleno (6). e nello stesso sito sono state rinvenute anche tracce di piante velenose Euphorbia tirucalli L e Euphorbiaceae (Borgia 2019). Funghi allucinogeni, oppio e cannabis furono ampiamente usati per provocare l'induzione deliberata di stati alterati di coscienza; è ormai opinione di molti ricercatori che l’uso di erbe e piante psicotrope abbia svolto un ruolo chiave nei sistemi di credenze delle società tradizionali di tutto il mondo (7). È stato persino affermato che la ricerca di alterazioni della coscienza fosse coinvolta nel facilitare lo sviluppo sociale (8). Le sostanze psicoattive agiscono principalmente sul sistema nervoso centrale, dove influenzano le funzioni cerebrali, provocando cambiamenti temporanei nella percezione, nell'umore, nella coscienza, nella cognizione e nel comportamento. Essi includono molte sostanze con diversi effetti fisiologici, come allucinogeni, alcol o stimolanti, tra gli altri. L'uso di piante con proprietà psicotrope potrebbe essersi sviluppato dall'uso evolutivo delle piante medicinali poiché i percorsi fisiologici per elaborare questi composti sono gli stessi di quelli utilizzati per le piante medicinali. È probabile che questi percorsi siano molto antichi e combinino recettori del gusto, barriere tissutali e barriera emato-encefalica (9) (10). Tuttavia, le prove archeologiche per l'uso di droghe psicotrope nel Paleolitico sono limitate: attualmente la prima prova potenziale proviene da un sito di 13.000 anni a Timor dove sono stati trovati resti di vite di betel (Areca catechu L., Arecaceae) (11). Denti macchiati di rosso-marrone, a dimostrazione dell'uso della noce di betel, sono stati recuperati da siti nelle Filippine e in Vietnam datati al III millennio a.C. (età del bronzo) (12).

    Le prove dell'uso di piante psicoattive sono più abbondanti nel Neolitico e anche nel Nuovo Regno egiziano con prove sotto forma di resti carbonizzati delle piante reali e anche come tracce residue all'interno di vasi di ceramica e impronte nell'argilla o, in Egitto, visualizzato anche su manufatti (13). La presenza di Cannabis è stata identificata come impronte di canapa su ceramica di Taiwan (10.000 anni BP) ed è presente come materia prima (canapa) nei primi contesti agricoli in Cina (12) ma la pianta più comune è il Papaver somniferum L., trovato in molti siti preistorici in tutta Europa e in Egitto (XVIII dinastia, 1550–1350 a.C.) (13). Si ritiene che lo stato di coscienza alterato indotto da farmaci sia responsabile di parte dell'arte del Paleolitico superiore, in particolare dei motivi geometrici che si trovano nell'Europa meridionale (14), sebbene ciò sia stato contestato a causa della mancanza di piante autoctone in Europa che possono causare questi specifici effetti indotti dai farmaci e dall'assenza di qualsiasi prova archeologica per l'unico fungo europeo, Claviceps purpurea, in grado di produrre questo tipo di trance. La mela spinosa, lo stramonio (jimson weed) o la trappola del diavolo (Datura stramonium L.), ritenuta originaria dell'America, è stata utilizzata sia nella medicina tradizionale che a scopo ricreativo nel corso dei secoli; gli agenti attivi sono alcaloidi come l’atropina.

    Dimostrare l'automedicazione con erbe e piante nelle popolazioni passate può essere difficile, ma le prove archeologiche suggeriscono un alto livello di fiducia e conoscenza medica dei prodotti naturali fin dall’antichità; inoltre, la crescente evidenza di automedicazione tra animali, insetti e anche uccelli (15) suggerisce che l'automedicazione è un comportamento evolutivo condiviso che si estende ben oltre la recente evoluzione umana (16). È possibile che le nostre idee sui poteri curativi delle piante siano venute dall'osservazione degli animali che usano le piante: essi sono in grado di mantenere se stessi e la loro prole in buona salute selezionando le cose giuste da mangiare, comprese quelle scelte appositamente per affrontare un problema di salute e ci sono molti esempi aneddotici di animali che usano le piante per automedicazione (17). Il concetto di automedicazione animale, o zoofarmacognosia, è stato sviluppato per la prima volta nel 1993 (18) e da allora le prove dell'automedicazione si sono notevolmente ampliate, mentre recentemente è stato suggerito che tali pratiche degli animali possono aiutare a scoprire nuovi potenziali farmaci per l'uomo (19).

    Uomini e piante: la storia

    La terapia con le piante medicinali è antica quanto l'umanità stessa: il legame tra l'uomo e la sua ricerca di droghe in natura risale a un lontano passato, di cui esistono ampie testimonianze da varie fonti: documenti scritti, monumenti conservati e persino piante medicinali originali. L'uomo, sia nelle civiltà primitive che in quelle più organizzate, ha imparato a ricercare droghe nelle cortecce, nei semi, nei corpi fruttiferi e in altre parti delle piante; più recentemente la scienza contemporanea ne ha riconosciuto l'azione attiva, ed ha inserito nella moderna farmacoterapia una gamma di farmaci di origine vegetale, conosciuti dalle antiche civiltà ed utilizzati nel corso dei millenni.

    La più antica testimonianza scritta dell'uso delle piante medicinali per la preparazione di droghe è stata trovata su una lastra di argilla sumera di Nagpur, di circa 5000 anni fa: essa comprendeva 12 ricette per la preparazione di medicamenti con oltre 250 diverse piante, alcune delle quali alcaloidi come il papavero, il giusquiamo e la mandragora (20). Il libro cinese sulle radici e le erbe Pen T'Sao, scritto dall'imperatore Shen Nung intorno al 2500 a.C., tratta 365 droghe (parti essiccate di piante medicinali), molte delle quali sono utilizzate anche ai giorni nostri come le seguenti: Rhei rhisoma, canfora, Theae folium, Podophyllum, la grande genziana gialla, ginseng, stramonio, corteccia di cannella ed efedra (21). I libri sacri indiani Veda menzionano il trattamento con numerose piante che, utilizzate ancora oggi, provengono dall'India: noce moscata, pepe, chiodi di garofano, ecc. (22). Il Papiro Ebers, scritto intorno al 1550 a.C., rappresenta una raccolta di 800 prescrizioni riferite a 700 specie vegetali e farmaci usati per la terapia come melograno, ricino, aloe, senna, aglio, cipolla, fico, salice, coriandolo, ginepro, centauri, ecc. (23) (24). Secondo i dati della Bibbia e del libro sacro ebraico il Talmud, durante i vari rituali che accompagnavano un trattamento, venivano utilizzate piante aromatiche come il mirto e l’incenso (25).

    Nei poemi epici di Omero Iliade e Odissea si fa riferimento a oltre 60 specie vegetali della farmacoterapia assira minoica, micenea ed egiziana. Le piante del genere Artemisia, ritenute capaci di ridare forza e proteggere la salute, derivano il loro nome deriva dalla parola greca artemis, che significa sano (26). In seguito, Erodoto menzionava il ricino e l'aglio, Pitagora la cipolla di mare (Scilla maritima), la senape e il cavolo. Le opere di Ippocrate (459–370 a.C.) contengono 300 piante medicinali classificate per azione fisiologica, indicando il sintomo o la patologia per cui potevano essere utilizzate: l'assenzio e la centaurea comune (Centaurium umbellatum) venivano applicate contro la febbre, l'aglio contro i parassiti intestinali, oppio, giusquiamo, belladonna e mandragora erano usati come narcotici; elleboro fragrante come emetico, cipolla di mare, sedano, prezzemolo, asparagi e aglio come diuretici e, infine, quercia e melograno come astringenti (27).

    Tre secoli prima di Cristo Teofrasto fondò la scienza botanica con i suoi libri De Causis Plantarium e De Historia Plantarium: in queste opere ha prodotto una classificazione di più di 500 piante medicinali conosciute all’epoca, descrivendone anche l’eventuale azione tossica; l’Autore ha sottolineato l'importanza per l'uomo di abituarsi ad esse mediante un graduale aumento delle dosi.

    Per la sua considerazione di detti argomenti, si guadagnò l'epiteto di padre della botanica, dato che ha grandi meriti per la classificazione e la descrizione delle piante medicinali (28) (29). Tra le opere del filosofo e botanico greco discepolo di Aristotele, rivestono grande importanza due ampi trattati botanici. Nel primo, Storia delle piante, sono classificate oltre cinquecento piante, divise in alberi, frutici, suffrutici, erbe; nel libro IX sono classificate, per la prima volta nell’antichità, droghe e medicinali con il loro annesso valore terapeutico. I due testi costituiscono il più rilevante contributo allo studio della botanica fino a tutto il Medioevo; per questo motivo, alcuni studiosi hanno soprannominato Teofrasto ‘Padre della tassonomia’. Nella sua opera De re medica Celso (25 a.C. – 50 d.C.) cita circa 250 piante medicinali come aloe, giusquiam papavero, pepe, cannella, genziana stellata, cardamomo, falso elleboro, ecc. (30). Dioscoride ebbe la possibilità di studiare le piante medicinali ovunque viaggiasse con l'esercito romano di Nerone: intorno al 77 d.C. scrisse l'opera De Materia Medica che offre numerosi dati sulle piante medicinali che costituirono la materia medica di base fino al tardo Medioevo e al Rinascimento (31). Oltre 600 medicamenti descritti su un totale di 944 sono di origine vegetale, accompagnati da descrizione dell'aspetto esteriore, località e modalità di raccolta, preparazione del medicamento ed effetto terapeutico. Sono descritte soprattutto piante con effetto blando ma ci sono anche riferimenti a quelle contenenti alcaloidi o altre sostanze (elleboro profumato, falso elleboro, papavero, ranuncolo, stramonio, giusquiamo, belladonna), ritenendo comunque essenziali quelle domestiche: camomilla, papavero, salice, aglio, cipolla, ortica, salvia, etc. Contemporaneo di Dioscoride, Plinio il Vecchio (23 d.C.-79) viaggiò attraverso la Germania e la Spagna e descrisse circa 1000 piante medicinali nel suo libro Historia naturalis. Il più illustre medico e farmacista romano, Galeno (131 d.C.-200), in ossequio alla tradizione ippocratica sosteneva che nella natura c'è il rimedio di ogni male dimostrò la funzione terapeutica di erbe e piante officinali. A Galeno è ricondotta la pratica di comporre i rimedi, miscelando estemporaneamente varie sostanze naturali a concentrazioni opportune, adattandole al singolo malato. Il termine preparazioni galeniche viene ancora oggi utilizzato per indicare quelle forme medicamentose mediante cui possono essere somministrati i principi attivi. Il pensiero di Galeno dominò in Occidente fino al Rinascimento, ma ormai la diffusione del Cristianesimo aveva limitato la ricerca scientifica poiché si pensava che la malattia dovesse essere curata solo con la preghiera (in realtà, a partire dal VI° secolo si affermò, grazie al monachesimo, una farmacopea empirica che trae da orti dei semplici i composti curativi per diverse affezioni). In effetti, nel Medioevo le abilità di guarigione, coltivazione di piante medicinali e preparazione di farmaci si trasferirono nei monasteri, fino al punto che i vari ordini si specializzarono nella produzione di vere e proprie specialità: i carmelitani riguardo all'acqua di melissa (Melissa officinalis), i gesuiti si dedicarono al commercio della china (Cinchona succirubra) e i benedettini si erano specializzati in collutori e dentifrici a base di erbe.

    Gli arabi introdussero numerose nuove piante in farmacoterapia, per lo più provenienti dall'India, paese con cui avevano rapporti commerciali; usavano l'aloe, la belladonna, il giusquiamo, il caffè, lo zenzero, lo stricnos, lo zafferano, la curcuma, il pepe, la cannella, il rheum, la senna etc. e già dal VII° secolo avevano tradotto dal greco le principali opere della classicità, realizzando compendi di medicina, chirurgia e farmacologia, mentre in Occidente scienza, stregoneria e magia ancora si mescolano nella medicina popolare e nella farmacopea professionale. Per tutto il Medioevo i medici europei consultarono le opere arabe Canon Medicinae di Avicenna (980-1037), e Liber Magnae Collectionis Simplicum Alimentorum Et Medicamentorum di Ibn-al-Baitar (1197 -1248), in cui sono state descritte oltre 1000 piante medicinali (32).

    Il IX° secolo vede lo sviluppo della Scuola Salernitana, il maggior centro europeo di studi medici che, fondendo le culture greco-romana ed ebraico-araba e applicandole in una prassi di cura quotidiana, elabora una nuova cultura farmacologica e fitoterapica che domina tutto il Medioevo. Il fondatore della Scuola Salernitana fu Carlo Magno (742 d.C.–814), che nei suoi Capitolari ordinò quali piante medicinali dovessero essere coltivate sui terreni demaniali. Sono state citate circa 100 piante diverse, utilizzate fino ai giorni nostri come salvia, cipollotto, iris, menta, centaurea comune, papavero, altea, etc. Il grande imperatore apprezzava particolarmente la salvia (Salvia officinalis L.). Il nome latino della salvia deriva dagli antichi latini, che la chiamavano pianta della salvezza (salvare significa salvare, curare). Nei secoli successivi, un notevole contributo all’utilizzo di nuove piante officinali venne dai viaggiatori che partirono per esplorare nuove terre, primo tra tutti il veneziano Marco Polo, che riportò dai suoi viaggi notizie molto importanti sui vegetali: raccontò come avveniva la raccolta del pepe nero (Piper nigrum) e descrisse l'albero della canfora (Cinnamomum camphora) e fu il primo europeo a descrivere la pianta di rabarbaro (Rheum palmatum, Rheum tanguticum).

    Nel XVI secolo, Paracelso, alchimista, astrologo, medico e filosofo svizzero, sviluppa la teoria delle segnature, secondo la quale il potere curativo delle piante è associato alla corrispondenza tra la forma della pianta stessa e le parti del corpo umano. Paracelso aveva intuito che dai vegetali si possono estrarre e isolare principi attivi che hanno una maggior efficacia curativa e fonda una nuova disciplina, la iatrochimica, che prevede la cura delle malattie mediante l’uso di sostanze minerali e di prodotti chimici: è l’antenata della moderna chimica farmaceutica. Con l’istituzione delle prime cattedre universitarie di botanica sperimentale a Padova e a Bologna (1533-1539), sorge la necessità di avere a disposizione esemplari di piante essiccate per insegnare agli allievi come riconoscere le piante officinali e medicinali. Per allestire gli erbari didattici, vengono reintrodotti orti dei semplici a Pisa, Padova e Firenze. Mentre l’elenco delle piante si arricchisce, nuovi strumenti d’osservazione – quali il microscopio e il refrigeratore – e lo sviluppo della biochimica permettono di riconoscere e isolare i principi attivi delle piante medicinali in base ai componenti chimici che esse contengono. Con il successivo processo di industrializzazione nascono le grandi industrie chimiche europee e i farmaci di sintesi diventano un prodotto commerciale. In questi ultimi decenni la fitoterapia, che era stata messa in ombra dal diffondersi dei farmaci di sintesi, è riscoperta, sia come metodo integrativo da affiancare alla terapia tradizionale, sia come rimedio più blando, con meno controindicazioni ed effetti collaterali. Oggi dunque, ancor più di un tempo, il medico, il farmacista, l’erborista, devono avere specifiche conoscenze non solo farmacologiche e tossicologiche, ma anche di tipo erboristico per poter utilizzare efficacemente a fini curativi piante, arbusti e fiori.

    Cannabis: origine e dispersione

    Il sistema di cromosomi XY di Cannabis e Humulus (luppolo) presenta notevole somiglianza ed è tra i più antichi sistemi di cromosomi sessuali dimostrati finora nelle piante. In un antenato di entrambe le specie, una regione di cromosomi sessuali aveva già smesso di ricombinarsi: la soppressione della ricombinazione è iniziata almeno 21-25 milioni di anni fa e poi gradualmente si è diffusa in gran parte dei cromosomi sessuali (circa il 70%), portando a un cromosoma Y degenerato. In un antenato di entrambe le specie, una regione di cromosomi sessuali aveva già smesso di ricombinarsi: la soppressione della ricombinazione è iniziata almeno 21-25 milioni di anni fa e poi gradualmente si è diffusa in gran parte dei cromosomi sessuali (circa il 70%), portando a un cromosoma Y degenerato. Dunque, secondo le ricerche più recenti e sofisticate, la cannabis ed il luppolo condividono un antenato comune: per organismi come la cannabis che mancano di una buona documentazione fossile, un l’orologio molecolare può stimare quando si sono discostati da altri organismi. Esso usa il DNA per misurare il tempo, perché il DNA accumula mutazioni casuali a un ritmo abbastanza costante. L’analisi dell’orologio molecolare con cloroplasti (cpDNA) suggerisce che le due piante si siano differenziate 27,8 milioni di anni fa (McPartland, 2010). Le origini geografiche della canapa sono ancora oggi materia di discussione per i botanici: oltre alle difficoltà tecniche di datare e localizzare l’inizio di un processo evolutivo, vi è da oltre due secoli una notevole discordanza sulla tassonomia, avendo Lamarck, già nel 1785, contestato la classificazione di Linneo di pochi decenni prima. La moderna biogeografia assegna all’Asia centrale il punto di origine della Cannabis. I più antichi pollini fossili (gametofiti maschili) sono originari dell’Altopiano tibetano nord-occidentale, vicino al lago Qinghai (33). L’elevata altitudine della regione potrebbe aver stressato la pianta fino a indurla ad una produzione elevata di resina e THC. La dispersione della Cannabis verso l’Europa sarebbe avvenuta 6 milioni di anni fa, verso la Cina 1,2 milioni di anni fa (entro la fine del Pleistocene tutte le regioni della Cina ad eccezione delle aree meridionali mostravano tracce di Cannabis) e soltanto 30mila anni fa il polline sarebbe comparso in India (34). A proposito delle teorie sull’origine geografica della cannabis si segnalano:

    • De Candolle (35)

    • Vavilov (36)

    • Li (37)

    • Hilling (38)

    • Small (39)

    • McPartland (40)

    Il trasporto dei semi è stato facilitato, oltre dal vento, dall’acqua corrente e dagli animali prevalentemente erbivori: la fertilità dei suoli e l’assenza di piante concorrenti ha inoltre reso possibile una colonizzazione lenta ma efficace e duratura. Durante l’Olocene il polline della Cannabis si trovava in tutta l’Asia, dalle steppe della Siria e dell’Anatolia a ovest fino alle pianure del Liaoning a est e alle steppe dell’Altai a nord.

    Qui potrebbe essere utile aprire una parentesi sull'evoluzione biologica e la domesticazione della vite comune (Vitis vinifera), che presenta forti parallelismi con quello della Cannabis. Le due piante sono molti simili per alcuni aspetti: biologia, modalità di riproduzione, origini geografiche e utilizzo da parte dell’uomo che facilitò la dispersione dei semi a distanza. Forse originaria del Vicino Oriente (Myles et al. 2010) la vite comune e addomesticata è una delle colture frutticole più antiche; è ampiamente coltivata in tutto il mondo ed è di grande importanza economica e la sua domesticazione, circa 8.000 anni fa nel Vicino Oriente (This et al. 2006; McGovern 2003) ha provocato molti utili cambiamenti alle caratteristiche della pianta in termini di resa e contenuto zuccherino. La domesticazione ha implicato anche una efficace selezione, con cambiamenti biologici e macroscopici degli acini e dei grappoli, e soprattutto ha eliminato la necessità delle piante maschili impollinatrici e ha permesso l’autofecondazione. Nelle varie civiltà sono state create le nuove cultivar esistenti oggi. I processi di selezione e coltivazione in serra che attualmente si eseguono per la cannabis sono molto simili: incrocio di polline, crescita in nuovi ambienti di poche piante femmine selezionate, scelta dei tratti desiderati senza la possibilità di ulteriori processi evolutivi.

    Vari ricercatori hanno proposto la valle del fiume Huang He, le montagne dell’Hindu-Kush o l’Afghanistan come sedi di origine della pianta, Sharma e Vasilov hanno concluso che la cannabis ha avuto origine nel versante meridionale dell’Himalaya; Clarke e Merlin, invece, propongono uno scenario olocenico che prevede la iniziale dispersione dalla regione dalla Cina sud-occidentale, con popolazioni nomadi e/o dedite ai commerci che avrebbero trasportato la cannabis verso ovest. In pratica, sarebbero state le migrazioni umane a diffondere la cannabis attraverso le montagne dell'Himalaya e dell'Hindu-Kush all'inizio della preistoria. Le popolazioni ancestrali di cannabis probabilmente non sono sopravvissute in Asia centrale, alcune varietà selvatiche attualmente presenti potrebbero essere ibridi di popolazioni più antiche che non hanno subìto la manipolazione dell’uomo.

    La cannabis si è dunque certamente differenziata ed evoluta nelle steppe dell’Asia Centrale, tra Cina settentrionale, Mongolia e Siberia meridionale, sebbene vari ricercatori abbiano proposto la valle del fiume Huang He, le montagne dell’Hindu-Kush o l’Afghanistan come possibili aree di origine. L’evoluzione della pianta è stata in gran parte facilitata dal ritiro dei ghiacciai nel Pleistocene (Clarke e Merlin, 2013) e nel Paleolitico superiore la distribuzione spaziale della cannabis fu ampiamente rimodellata dall’uomo, che la addomesticò. Lo studio sistematico microscopico di semi, fitoliti, frammenti di stelo, fibre, cordami e tessuti hanno portato alla luce alcune fibre vegetali identificate come Cannabis sativa in un sito occupato da cacciatori-raccoglitori del Paleolitico che risale a 28.500 anni fa: il sito di Shanxi, nord della Cina, potrebbe essere il più antico mai trovato (41). Comunque, le ipotesi sulla domesticazione della Cannabis sono varie: Chang e Crawford la fanno risalire alla Cina (42) (43) (44) mentre Vavilov teorizza una domesticazione in Asia Centrale (45). Secondo Abel (1980) la domesticazione da parte dell’uomo potrebbe essere avvenuta 12.000 anni fa e sarebbe tra le colture più antiche dell'umanità. Le prove archeobotaniche della sua diffusione sono incentrate sull'analisi del polline e dei semi, sebbene molte culture abbiano documenti scritti della sua coltivazione e del suo utilizzo. A parte le fibre di canapa, i semi di cannabis dotati di proprietà psicoattive potrebbero essere stati importanti per gli sciamani o per uso ricreativo (Clarke e Merlin 2013). Semi di cannabis bruciati sono stati trovati nei tumuli funerari kurgan delle tribù Pazyryk in Siberia risalenti al 3000 a.C. (Godwin 1967), che includevano anche censori per bruciarli. Sebbene gli archeologi abbiano scoperto numerosi tumuli (kurgan) e resti umani sull’altopiano di Ukok, la cosiddetta Principessa dell’Altai o Mummia dell’Altai è probabilmente la più conosciuta: fu trovata nel 1993 durante una spedizione sull’Altopiano di Ukok. Dai rilievi effettuati si può dedurre che la donna aveva probabilmente 25 anni quando morì e il permafrost ha conservato le sue spoglie per oltre duemila anni. La Mummia era vestita di seta cinese e ciò indica un elevato rango all’interno della società; anche sei cavalli, un pasto di carne e vari ornamenti presenti nella tomba testimoniano un ruolo sociale importante. Sulla base del corredo funebre si suppone che la donna doveva essere un membro del popolo Pazyryk, popolazione con molte convergenze culturali con gli Sciti. Malata di una neoplasia della mammella con metastasi multiple, la sua morte forse fu dovuta ad una caduta da cavallo che potrebbe esserle stata fatale. Accanto alla Mummia è stato ritrovato un contenitore di erbe officinali colmo di Cannabis Sativa. Le ipotesi che sono state formulate per spiegare la presenza della Cannabis vicino alla Mummia sono due: 1) la pianta era stata utilizzata per lenire i dolori della Principessa, oppure 2) la Principessa era essa stessa una sciamana, dotata di particolari poteri, e le erbe erano parte integrante dei suoi rituali. Le tombe dei nobili caucasoidi sepolti nello Xinjiang e in Siberia intorno al 2500 a.C., come le tombe Yanghai nel bacino Turpan dello Xinjiang, occasionalmente includono grandi quantità di cannabis sativa psicoattiva mummificata ma non canapa (Rudenko 1970; Jiang e altri 2006; Mukherjee et al. altri 2008; Russo e altri 2008). Sia la canapa che la cannabis psicoattiva erano ampiamente utilizzate nell'antica Cina. I cinesi usavano ampiamente la canapa, comprese corde, vestiti, vele e corde per archi. Dipinti della pianta sono stati trovati su ceramiche dell'era Yangshao risalenti al 6.200 a.C. (Li 1974, 1975), ed era ampiamente coltivata nelle pianure del Hwang He. Il suo utilizzo principale era per le fibre, la prima prova documentata di cannabis sativa medicinale, basata su tecniche di datazione al carbonio-14, risale al 4000 a.C. (Russo 2004). È stato utilizzato come anestetico durante gli interventi chirurgici, anche per l'imperatore Shen Nung nel 2737 a.C. (Merlin 1972; Schlosser 2003).

    Mentre l’ipotesi della Cina si basa su scritti giunti fino a noi, l’ipotesi dell’Asia Centrale contempla la grande biodiversità della zona e quindi la possibilità che questa fosse all’origine delle prime coltivazioni. Una revisione sistematica dei documenti archeologici e paleo ambientali della cannabis (fibre, polline, acheni e impronte di acheni) rivela la sua complessa storia in Eurasia. Viene proposta un'origine multiregionale dell'uso umano della pianta, considerando la comparsa più o meno contemporanea di polline di Cannabis coltivata in due parti distanti (Europa e Asia orientale). È molto probabile che l’utilizzo di Cannabis da parte dell’uomo sia risalente al primo Olocene o anche a periodi precedenti. In tutto il continente asiatico la Cannabis potrebbe essere cresciuta non domesticata come componente della normale flora, disponibile come risorsa vegetale pronta per l’utilizzo umano. Il trasporto di Cannabis già domesticata potrebbe essere stato possibile grazie al cosiddetto Corridoio di Hexi, chiamato anche via della seta settentrionale. I pastori che vivevano nelle steppe eurasiatiche potrebbero aver giocato un ruolo fondamentale in questi processi di migrazione e di scambio: addomesticatori di cavalli selvatici già da 5-6.000 anni, erano in grado di

    2 Hexi corridor

    percorrere lunghe distanze in territori di steppa pianeggiante, e proprio questa mobilità avanzata rispetto ad altre società contemporanee gli avrebbe permesso di promuovere una rete di scambi e commerci con le zone più lontane del continente. Studi genetici recenti suggeriscono che la popolazione Yamnaya si diffuse verso ovest fino alle sponde del Mar Nero e verso l’Altai, e in seguito verso Mongolia e Cina settentrionale. Dagli studi più recenti sembrerebbe l’uso di cannabis in Europa è notevolmente aumentato durante la migrazione del popolo Yamnaya, e la connessione tra

    3 territori (in chiaro) occupati dal popolo Yamnaia

    il consumo di Cannabis e tale migrazione è troppo evidente per essere considerata una semplice coincidenza. Oggetto chiave di continui scambi commerciali sarebbe stato il bronzo, ma anche le piante possono aver avuto un ruolo importante in questa rete di scambi; è possibile che la coltivazione di Cannabis abbia avuto origine dalla necessità di avere merce di scambio o forma di pagamento. In effetti, gli utilizzi possibili della Cannabis erano molteplici: le fibre erano usate per fabbricare cordame, vestiti e cibo e tale utilizzo industriale è sicuramente precedente all’uso medico o ricreativo. Infatti, i campioni di Cannabis più antica contengono quantità di THC decisamente inferiori alle varietà più recenti. La pianta, di cui ben presto sarebbero state scoperte le proprietà psicotrope e mediche, cominciò ad essere utilizzata a scopo rituale e medicinale. Ricostruire il percorso di domesticazione e diffusione antropica della Cannabis è molto difficile: i fossili, la paleobotanica, la genetica di tutti reperti archeologici sono fondamentali ma anche gli eventuali documenti scritti e grafici possono essere di importanza enorme. La dispersione della cannabis in Eurasia da un punto di origine specifico si può evincere dal fatto che la pianta è chiamata con parole correlate nella maggior parte delle lingue di questa vasta area: l'inglese hemp e il tedesco Hanf sono etimologicamente affini al greco κάνναβις, al latino cannăbis, all'italiano canapa e al russo konoplja. Anche le lingue non indoeuropee usano parole correlate, ad esempio qunnab (بﱠﻧُ ﻗ) in arabo, una lingua semitica, kendir in turco e kanap'is (კანაფის) in georgiano, una lingua caucasica. Gli studiosi che più meticolosamente hanno cercato di ricostruire le varie fasi della dispersione sono Clarke e Merlin, che hanno proposto varie fasi del processo (46):

    1. dispersione primaria

    2. diffusione in Africa e sud-est asiatico

    3. diffusione nelle Americhe dall’Europa

    4. diffusione nelle Americhe dall’Asia

    5. espansione dopo la II° Guerra Mondiale

    6. proliferazione della canapa industriale

    Dispersione primaria

    (attraverso l’Eurasia 10.000-2.000 anni fa). La cosiddetta dispersione primaria avrebbe avuto inizio da alcune zone della Cina occidentale e probabilmente si sarebbe diretta quasi esclusivamente verso occidente; le

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1