La Genova di Fabrizio De André
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Info su questo ebook
Una guida alla città di Genova e al suo territorio e, allo stesso tempo, alla vita e alla musica del grande Fabrizio De André, il cui nome è indissolubilmente legato a quello del capoluogo ligure. Attraverso il racconto dei luoghi più cari all’artista, il lettore verrà a conoscenza delle sue vicende personali e di particolari aspetti della sua personalità e della sua arte, generalmente sconosciuti al grande pubblico. Ulteriori approfondimenti sulla figura di Faber sono forniti dalle numerose interviste e testimonianze raccolte dall’autore, che concorrono a creare un affascinante ritratto di questo grande cantautore. Dalla casa natale di Pegli al ghetto ebraico, dal Liceo Colombo al “Baretto” della Foce, un viaggio nel tempo e nello spazio sulle tracce della vita genovese di De André. Un libro imperdibile per tutti i cultori della musica italiana.
Un libro imprescindibile per gli amanti del grande Faber
La poesia di De André rivissuta attraverso i luoghi chiave della città
Tra gli argomenti trattati:
In spiaggia, al nuovo Lido
I primi palcoscenici
La chiesa delle nozze
La “gabbia dorata” di villa Paradiso
Sampierdarena, la casa dei primi dischi
I caruggi degli emarginati
Corso Italia 22, il mare alla finestra
Sant’Ilario, il paesino di “Bocca di rosa”
Il Geordie di piazza San Matteo
In TV dal Luna Park della Foce
30 giugno 1960: la città in rivolta
Dal vivo in fabbrica a Sestri Ponente
L’essenza genovese: Creuza de mâ
Fabrizio Càlzia
Nato a Genova nel 1960, è uno dei principali esperti e studiosi di Fabrizio De André. Nel 2001 ha ideato e curato la realizzazione di Mediterraneo, un'inedita compilation di canzoni a tema di Fabrizio De André, uscita il 18 febbraio 2001, nel giorno in cui è stata costituita la Fondazione Fabrizio De André. Ha scritto Parchi di Parole (2007, poi ripubblicato nel 2017 con il titolo De André e Dintorni): la prima e più completa guida a tutti i luoghi cantati e vissuti dai più importanti cantautori e poeti del Novecento genovese. Nel 2010 ha curato soggetto e sceneggiatura di Uomo Faber, graphic novel su Fabrizio De André, per i disegni di Ivo Milazzo, uscito il 18 febbraio 2010, in occasione del 70° anniversario della nascita del cantautore. Con la Newton Compton ha pubblicato, tra gli altri, 101 storie su Genova che non ti hanno mai raccontato, Storie segrete della storia di Genova e 101 perché sulla storia di Genova che non puoi non sapere.
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Anteprima del libro
La Genova di Fabrizio De André - Fabrizio Càlzia
18 febbraio 1940:
un valzer per Faber
Pegli è un abbraccio di destini: c’era una volta la Pegli marinara, commercialmente protesa verso il Mediterraneo, a intraprendere scambi, creare colonie – la più conosciuta è quella di Carloforte – in cui ancora oggi si parla genovese antico, ottima materia prima per uno come Fabrizio De André, che attraverso Creuza de mâ ha esplorato gli anfratti linguistici più reconditi del genovese storico, alla ricerca di espressioni e locuzioni rare e rarefatte.
Non è forse un caso, o meglio è bello pensare che non sia così, che Fabrizio nasca a Pegli. Dove esattamente? Basta salire per un breve tratto, dal lungomare, la via De Nicolay. Scavalcato il ponte sulla ferrovia, proprio lì sulla sinistra, contrassegnata con il numero 12, c’è la casa in cui il 18 febbraio 1940 il futuro Faber vide la luce: una bella luce, limpida e solare, cullata dalle note di quel Valzer campestre di Gino Marinuzzi che il professor Giuseppe De André adagiò sul grammofono per alleviare (così si narra) i dolori del parto alla moglie Luisa. La Circoscrizione di Pegli ha voluto affiggere sulla facciata del palazzo una targa in maiolica, rendendolo facilmente rintracciabile e riconoscibile. Anche perché non c’è più altra traccia, neppure nell’appartamento al primo piano, del passaggio dei De André, che sfollarono presto (nel 1942) a Revignano d’Asti. Al parto, e quindi a questo indirizzo, è tuttavia legata una canzone di Fabrizio: Valzer per un amore rappresenta in sostanza la versione parolata
della composizione di Marinuzzi. «Possedevo tutti i dischi di Fabrizio anche prima di scoprire che abitavo il suo appartamento», mi ha raccontato nel 2006 Sergio Parodi, l’inquilino di quell’interno 1. «Sono nato nel 1953», continuava «e le canzoni di Faber sono state la colonna sonora della mia adolescenza. Le suonavamo fra amici, ci piacevano perché erano nuove, profonde, coinvolgenti e anche sconvolgenti
… Ora nessuno ci fa più caso, ma un brano semplicemente ironico e scanzonato quale Carlo Martello, ad esempio, risultava sconcio se non addirittura pornografico alle orecchie dei numerosissimi perbenisti di allora».
Non era da tanto tempo che i De André abitavano a Pegli: quando ancora viveva a Torino, il padre ebbe modo di valutare l’opportunità di rilevare l’Istituto Tecnico per Geometri Palazzi, che si trovava in quegli anni al numero 6 di via Pastrengo (oggi via Cesare Dattilo), poi dal 1967 nella nuova sede di via Nino Ronco 29, con succursale sempre al numero 6 di via Agostino Castelli, a Sampierdarena. Personaggio dotato di grande intraprendenza e di altrettanta intelligenza, il professor Giuseppe guardò lontano: lo stipendio da insegnante non gli bastava a garantire alla moglie Luisa e al piccolo Mauro (nato per l’appunto a Torino nel 1936) una condizione di vita sufficientemente agiata: così riuscì a portare a casa l’operazione Palazzi grazie a un prestito, prontamente restituito visto che le cose a Genova si erano messe da subito per il verso giusto.
immagineVia De Nicolay 12. La finestra della stanza in cui nacque Fabrizio De André il 18 febbraio 1940. Fotografia dell’autore.
Il trasferimento di una famiglia torinese nel capoluogo ligure per motivi professionali appare oggi eccezionale se non addirittura inverosimile, considerato che Genova ha perso, da decenni ormai, non soltanto la sua posizione di cuspide
del cosiddetto triangolo industriale del dopoguerra, ma anche quasi ogni appeal imprenditoriale e commerciale, se non addirittura occupazionale.
All’epoca però le cose stavano ben diversamente; senza contare che Genova rappresentava, per torinesi e piemontesi, una sorta di terra promessa, quasi un mito: basti pensare al personaggio principale di Cesare Pavese ne La luna e i falò, o ancora, in maniera diversa, alla più recente Genova per noi dell’astigiano Paolo Conte.
Giuseppe De André aveva fatto, come da par suo, le cose per bene: la bella casa di Pegli si trovava a poche decine di metri di distanza dalla stazione del treno (e pazienza se le rotaie correvano proprio lì sotto…) con il quale poteva raggiungere comodamente Sampierdarena o ancora Piazza Principe ovvero Savona, per spostarsi anche in Piemonte senza troppi trambusti.
Per non dire che poi il mare era lì, in fondo alla campagna
, a un centinaio di metri in discesa dalla casa di via De Nicolay, così comodo per la signora Luisa che voleva portarci i suoi due bambini: c’è una foto del piccolo Fabrizio sulla spiaggia di Pegli e in braccio alla mamma che attesta le consuetudini balneari di casa De André…
La targa affissa sulla facciata di via De Nicolay 12 a Pegli, casa natale di Faber.
Peraltro nel 1940 Pegli, ancorché assediata dagli insediamenti produttivo-industriali di quel Ponente (anche se il peggio sarebbe venuto nel dopoguerra, in special modo con l’insediamento dell’Italsider a Cornigliano) che Mussolini aveva inglobato, nel 1926, nella cosiddetta Grande Genova, manteneva intatta la sua storica tradizione balneare, quindi residenziale. A testimoniare la storica destinazione sono anche le ville nobili dell’attuale delegazione, a cominciare dalla sontuosa villa Pallavicini – il cui parco fu progettato a metà Ottocento come una sequenza di scenografie botanico-teatrali – fino all’elegante villa Doria, cui Giorgio Caproni dedicò una delle sue prime poesie…
Con tutto ciò, la famiglia De André non ebbe modo di godersi più di tanto la casa di via De Nicolay: basti guardare la data di nascita di Fabrizio per comprendere che l’amenità del luogo sarebbe stata minata, di lì a pochi mesi, dalle decisioni irrevocabili
che avrebbero portato negli anni a seguire morti e distruzione: già nel febbraio 1941 Genova subisce pesanti bombardamenti, che non rimarranno casi isolati. Pegli non è un’area strategica, ma il Ponente, con le sue industrie belliche, il porto, i cantieri navali, non è certo una zona in cui stare tranquilli. Ecco dunque che Giuseppe De André, al solito previdente, corre – anche letteralmente – ai ripari e acquista in campagna, a Revignano d’Asti, la Cascina dell’Orto, in cui il piccolo Fabrizio trascorrerà i suoi primi anni, in compagnia del fratello Mauro, della madre, delle nonne, e della sua amica gemella
(nata il 13 marzo 1940) Nina Manfieri, proprio colei che il cantautore ricorderà nella canzone Ho visto Nina volare.
E il padre? Cerca di sbarcare il lunario continuando a dirigere la sua scuola, ma allorché i fascisti vi fanno irruzione e gli chiedono la lista degli alunni ebrei, lui se la svigna da una porta secondaria e si dà alla macchia: torna vicino alla famiglia ma non si sistema alla Cascina dell’Orto: troppo rischioso! Bensì in un casolare lì vicino, appartenuto a tali Momigliano, famiglia ebrea, per ironia della sorte.
Pegli creativa e musicale
Via De Nicolay non sarà mai il posto delle fragole di Fabrizio, che ne serberà, nella migliore delle ipotesi, qualche ricordo confuso e offuscato. E in un certo senso è un peccato, perché Pegli era, e rimarrà nei decenni successivi, un crogiolo di talenti di ogni genere. A cominciare, per restare in tema di cantautori, da Gino Paoli, classe 1934, nato a Monfalcone, è vero, ma anch’egli trasferitosi con la famiglia a Genova, e guarda caso proprio a Pegli: ci si arriva da villa Doria, risalendo via Vespucci, seguendo le indicazioni per il campeggio. La strada si arrampica tortuosa sbirciando verso il mare abbagliato, contornata da fiere palazzine belle da abitare. Poco prima di uno slargo, sulla destra, c’è un palazzo giallo contrassegnato con il numero 31. Il giardinetto dell’appartamento sulla destra prelude all’orto di Rina, la mamma di Gino Paoli, che metteva il suo giardino sotto chiave per evitare furti. In tempo di guerra quell’orto assunse importanza vitale per quel poco cibo che garantiva, perciò chissà come reagì Rina allorché venne a sapere diversi anni dopo, ascoltando la canzone di Gino intitolata Signora Giorno, che suo figlio era solito scambiare, con i soldati americani che presidiavano la zona dopo la liberazione, i pomodori con ciungai, cioccolata e V-disc
. Questi ultimi – la V
stava semplicemente per Victory
… – avrebbero tra l’altro rappresentato il primo approccio di Gino con quel genere di musica, il jazz, che lo avrebbe avvicinato, un giorno, a tale Luigi Tenco, e ad altri amici della per lui Foce, fra cui Gianfranco Reverberi… «In un certo senso risarcii però all’istante mia madre per quei furti», sogghigna Paoli. «Gli americani appendevano ai loro carri armati parcheggiati
sotto casa nostra gli elmetti dei tedeschi catturati. Io mi divertivo a fregarglieli. Un giorno mia madre prese quegli elmetti e ne fece dei vasi per i suoi gerani…».
Varcare la soglia della vecchia casa Paoli è un privilegio unico, che ho avuto qualche anno or sono. L’ambiente è vivo, caldo, le stanze sono dense di oggetti e di ricordi. Nella camera di Gino c’è ancora il murale che lui dipinse da ragazzo, di notte, un poco per volta. Fantasie faraoniche: geroglifici, raffigurazioni di antichi egizi. Non manca la musica, con una suonatrice d’arpa. «Mia madre lo copriva con una tenda», ricorda divertito Gino. «Secondo lei c’erano troppe donne nude…».
immagineCorso Torino 58/20, anni Cinquanta. Sul terrazzo di casa Reverberi è festa. In primo piano, seduto, Gian Franco Reverberi. Dietro di lui, da sinistra, Bruno Lauzi, Gian Piero Reverberi e Luigi Tenco.
Altri personaggi di quella Pegli scriveranno la storia culturale dell’Italia post-bellica, da Arnaldo Bagnasco a Renzo Piano: «Non sapeva ballare, se ne faceva un cruccio», ricordava di lui il restauratore di opere d’arte Martino Oberto, un amico di Gino Paoli. «Tutta gente che non era amica nel senso normale del termine», spiegava ancora Oberto. «Ché un amico lo si sceglie, mentre Pegli era una sorta di imbuto geografico che ti spingeva ripidamente sul lungomare e praticamente ti obbligava a convivere, a parlarti. Non si potrebbe spiegare altrimenti la coabitazione del colore nero-esistenzialista dello stesso Gino Paoli di allora con la luce accecante del lungomare, o ancora con la penombra ammiccante degli amori consumati la notte, al riparo di occhi indiscreti, sulla spiaggia dei Bagni Doria…».
La Cascina dell’Orto
a Revignano D’Asti
Novembre 2006: incontro con Nina Manfieri
Il modo migliore per arrivarci, da Genova, è l’autostrada, con uscita al casello di Asti ovest. Da lì si prende dapprima la statale in direzione Torino, seguendo quindi presso una rotonda le indicazioni per Revignano. Lungo la strada, all’altezza di un bar (sulla sinistra), occorre imboccare verso destra la strada Ca’ Lunga. Percorsi 150 metri c’è una biforcazione: si continuerà a tenere la sinistra facendo attenzione sempre al lato sinistro, dove a fianco di una stradina si individuerà infine il cartello Cascina dell’Orto
. In fondo alla strada c’è un cancello con una targa che non lascia dubbi: A Bicio
recita la dedica. Bicio
è Fabrizio De André, come veniva soprannominato da bambino, nei primi anni della seconda guerra mondiale, quando trascorse qui i suoi anni forse più belli e spensierati. I mezzadri, Emilio e Felicina Fassio, non ci sono più da tanti anni. Ma basta aggirare la cascina stessa per poter suonare alla casa di Nina. È proprio lei, la Nina dell’altalena della canzone Ho visto Nina volare. «Un giorno mi dissero che De André mi aveva dedicato una canzone. Pensavo fosse uno scherzo. Poi ascoltai il testo. Non ebbi dubbi. L’altalena? C’era davvero allora». Meno probabile il riferimento sessuale contenuto nel testo. Anche se «Il professor De André vendette la cascina nel ’50, ma Fabrizio venne qui ancora nel 1954… Aveva 14 anni e forse gli scattò qualcosa, chissà. Ma sinceramente non ebbi nessuna avvisaglia». Revignano sembra ricorrere in altre canzoni di De André. Sally rievoca le raccomandazioni materne a non giocare con gli zingari nel bosco. «Il bosco è quello lì», conferma Nina indicando una zona indistinta, avvolta nella nebbia. «Quanto agli zingari, giravano eccome, in quegli anni di guerra. Certo non avevano le roulotte, viaggiavano su dei carri. Ma vagavano anche da queste parti, nonostante fossero piuttosto isolate. Bussavano alle nostre porte, chiedevano qualcosa da mangiare, in realtà erano innocui. Ma non ci fidavamo, temevamo i furti».
La cascina dell’Orto a Revignano d’Asti, dove il piccolo Bicio De André passò gli anni della seconda guerra mondiale. Fotografia dell’autore.
Rosetta, la mamma di Nina, ricorda la vivacità di Bicio. «Era anche aggressivo», aggiunge Nina. «Un giorno mi morsicò una coscia. Porto ancora le cicatrici…».
Varcando il cancello della cascina¹ si entra in un mondo che il tempo non ha modificato o quasi. «Quella casetta sulla destra la fece costruire il padre di Fabrizio per i mezzadri. E là c’era la stalla. Che non era solo il ricovero degli animali, ma il luogo in cui trascorrevamo le serate. Allora si diceva vegliare
. Non c’era il riscaldamento, e la stalla era l’ambiente più caldo di tutta la cascina». Il pensiero corre alla canzone Coda di Lupo, con il nonno che vegliava su cavalli e buoi. «Non era il nonno di Fabrizio, come dice la canzone, ma mio nonno Pasquale», precisa Nina. «E comunque i buoi c’erano davvero. In più, durante queste veglie, le donne filavano la lana mentre a turno si raccontavano delle storie. Come non pensare a Fila la lana?». In realtà il testo era stato preso da quella che si riteneva un’antica canzone francese (poi si scoprì essere un brano di Robert Marcy del 1948), ma si può in ogni caso immaginare come il pensiero di Faber sia corso più volte, nel cantarla, a quelle veglie.
Quando la guerra finì, il grande cortile della cascina ospitò una grande festa. «Francesco, lo zio di Bicio, era tornato vivo dalla guerra, miracolosamente scampato al lager. Era l’unico a non festeggiare. Quell’esperienza gli aveva tranciato l’anima, era diventato apatico a tutto. La sua figura avrebbe ispirato a Bicio La guerra di Piero». Nella cascina abitano i cognati di Nina. Le porte si schiudono su un ambiente caldo e schietto. Non è cambiato molto, da allora: è rimasta identica la disposizione dei locali e la destinazione delle stanze: «Abbiamo voluto mantenere tutto, per quanto possibile, così com’era», spiega Carmen. «I pavimenti sono gli stessi, li abbiamo giusto lucidati. Anche la vasca da bagno al primo piano è ancora quella con le zampe
».
La camera di Mauro e Fabrizio De André a Revignano d’Asti, che i successivi proprietari conservarono intatta per decenni. Fotografia dell’autore.
Proprio lì a fianco, la stanza in cui Bicio dormiva con Mauro, quindi la camera dei genitori. «Fabrizio volle rivedere ogni angolo quando venne a farci visita nel settembre del 1997. Erano 43 anni che non lo vedevo», commenta Nina. «Si presentò al cancello, mio suocero non gli aprì. Per fortuna mio marito lo riconobbe: Vai un po’ al cancello che c’è Fabrizio De André
mi fece. Pensavo a uno scherzo. Invece era proprio lui»².
____________________________________________
¹ Oggi non si può più, l’hanno venduta qualche anno fa.
² Fabrizio Càlzia, Parchi di Parole, Galata Edizioni, Genova 2007, nel 2017 editato con il titolo De André e dintorni, pp. 93-94.
1945: il ritorno a Genova
A guerra finita, la famiglia De André fa ritorno a Genova. Il piccolo Bicio, lì per lì, è quanto meno riluttante: la campagna, la cascina dell’Orto, l’amica Nina, il mezzadro Emilio erano il suo mondo, il suo primo mondo di bambino che porterà per sempre nel suo cuore.
Anche se poi, un po’ come capita a tutti i bambini, Fabrizio fa presto ad ambientarsi a Genova, al punto che confesserà di essersene innamorato all’istante.
Di che Genova parliamo? La casa, il quartiere innanzitutto: la famiglia De André lascia quella di Pegli per acquistare un signor appartamento al numero 8, interno 13 di via Trieste. Quartiere di Albaro, zone alte, quegli altri paraggi
che Fabrizio anni dopo, nella canzone La città vecchia, contrapporrà al mondo dei vicoli. Con tutto che quella parte di Albaro è attigua alla zona della Foce, all’epoca ben più popolare e in alcuni isolati addirittura malfamata, approdo clandestino alla città, punto di sbarco ideale per i contrabbandieri di sigarette e affini, zona pullulante di night club e relative donnine. Una zona in cui Fabrizio, lo vedremo, sconfinerà
presto e volentieri. Intanto però rimaniamo in via Trieste, nella bella casa all’ultimo piano, un attico alla genovese, con tanto di terrazzone tutto intorno, esteso appunto a tutti i quattro lati dell’edificio. Nulla a che vedere con le praterie della Cascina dell’Orto, intendiamoci, ma pur sempre uno spazio aperto, con una magnifica vista sul mare, tanto che il piccolo Bicio lo trasformerà, almeno in parte, in rifugio per piccoli animali.
In visita a Casa De André
Ci penso solo un attimo dopo averlo fatto: al citofono del numero 13 mi sono annunciato con il mio nome di battesimo. Quante volte quello stesso nome lo avrà pronunciato Fabrizio? Oddio, forse nemmeno una, ché chissà se c’erano già i citofoni negli anni Cinquanta. Per contro si sa che qui c’era la portinaia, con il figlio, Giorgio Scorpiade, che di Fabrizio diventerà amico.
Certo è che l’ascensore dev’essere rimasto per forza quello, con le sue pareti in legno smaltato e vissuto che sembra metterci una vita per salire traballante fino all’ultimo piano, ovvero all’attico che fu casa De André negli anni compresi fra il 1945 e il 1959.
Sembra quasi che la musica sia rimasta impregnata, nel bell’appartamento abitato oggi da Claudia e Lilia Gamberini: violoncellista presso l’Orchestra Sinfonica Siciliana di Palermo la prima, cantante soprano e insegnante di canto lirico al conservatorio di Alessandria la seconda. La loro storia parte da più lontano, ovvero da quel 1970 in cui Leopoldo Gamberini, il loro padre, stimato musicologo e docente all’Università di Genova, fondatore nel 1958 e direttore del gruppo vocale e strumentale I Madrigalisti di Genova
specializzato in musica medievale e rinascimentale, pioniere della musicoterapia, decise di prendere casa proprio qui. Non risulta si siano mai incrociati, Fabrizio e il professor Gamberini; è per contro più che immaginabile non solo che I Madrigalisti di Genova
avrebbero di sicuro intrigato il cantautore, ma anche che come minimo una pubblicazione in particolare del professor Gamberini si trovasse nella libreria di casa De André, e che il lettore onnivoro Fabrizio l’avesse divorata: La parola e la musica nell’antichità. Confronto fra i documenti musicali dell’antichità e dei primi secoli del Medio Evo era stata stampata nel 1962, proprio negli anni in cui Fabrizio pubblicava i suoi primi dischi, ispirati alle musiche antiche. È anche vero che nel 1962 i De André vivevano, ormai da tre anni, a villa Paradiso. Ma perché rinunciare a giocare con la fantasia?
Altri destini incrociati
sembrano in qualche modo legare i Gamberini e di De André: la moglie di Leopoldo Gamberini, nata nel 1935, era stata in quella casa di via Trieste da ragazza, invitata a una di quelle allora classiche feste fra rampolli della buona società. La futura signora Gamberini studiava al Doria
e a quanto pare faceva parte dello stesso giro di amici che comprendeva il pressoché coetaneo (1936) Mauro De André, nonché i fratelli Pietro e Paolo Villaggio.
Via Trieste 8/13. La terrazza che circonda l’attico alla genovese che fu casa De André fra il 1945 e il 1959. Fotografia dell’autore.
L’attico, oggi, è diviso al suo interno in due grandi appartamenti: «I nostri genitori vollero riservare una metà della casa a mia sorella Claudia e a me. Così hanno anche aperto una porta indipendente: l’interno 14», spiega Lilia. Una cesura che tuttavia neppure sembra avvertirsi; i due appartamenti mantengono quello stesso carattere, quella stessa atmosfera che doveva aleggiare ai tempi dei De André: scaffali pieni di libri, quadri alle pareti e il violoncello di Claudia sprofondato disinvolto in poltrona a richiamare, per associazione, la prima chitarra di Fabrizio: «Qui sotto c’era una drogheria», commenta al riguardo Lilia. «Una donna di servizio di De André si consultava sempre con il droghiere: Quel ragazzo passa i pomeriggi seduto sul davanzale a strimpellare anziché studiare: cosa faccio? Lo dico o no ai genitori?
».
Segnali di una ribellione familiare che, ancora a proposito di destini incrociati, sembrano rispecchiarsi in Claudia Gamberini. La quale, passione per la musica a parte, scelse il conservatorio perché altrimenti le sarebbe toccata, alle medie, sua mamma come insegnante. E non ci teneva proprio…
Ma il vero spettacolo di casa De André/Gamberini è il grande terrazzo a 360 gradi rimasto condiviso, senza inopportuni separé, cui si accede dai gradini delle porte-finestre delle stanze. Il suo lato mare è letteralmente spaziale, nel senso che la vista spazia dal monte di Portofino alle Alpi Liguri, mentre nelle giornate più terse compare all’orizzonte il profilo della Corsica. Guardando in giù si colgono altri riferimenti, a cominciare dalla Fiera del Mare oggi in disarmo ma all’epoca prima fortemente voluta e poi presieduta da Giuseppe De André; poco oltre c’è quel tratto della diga foranea in cui si compì, il 9 aprile 1970, la tragedia della nave inglese London Valour, cantata da Fabrizio in un suo brano dell’album Rimini (1978): «Qui il vento soffia forte», commentano le sorelle Gamberini: «Nel 1977 ci fu una tromba d’aria e ci ritrovammo con un gozzo sulla terrazza».
immagineUn’altra panoramica dal terrazzo di via Trieste. Fotografia dell’autore.
E ancora, lì sotto, il piazzale Kennedy, prospiciente la Fiera, dove c’erano (e ci sono ancora) i baracconi del luna park, frequentatissimi da Paolo Villaggio e da Fabrizio nonché dal calciatore Gigi Meroni (uno dei primi idoli del genoanissimo De André), che proprio qui conobbe la sua Cristiana. E anche se non si riesce a vedere si sa che