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Fulmine a ciel sereno
Fulmine a ciel sereno
Fulmine a ciel sereno
E-book146 pagine2 ore

Fulmine a ciel sereno

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Info su questo ebook

Per Alec questo e soprattutto altro!
Daisy Kincaid alla fine si è arresa. Il suo splendido capo proprio non sembra intenzionato a contraccambiare i suoi sentimenti e non le lascia altra scelta se non licenziarsi. Ora però Alec Mackenzie le ha chiesto di affiancarlo per un ultimo progetto. Come dirgli di no? Soprattutto con il suo corpo che le urla: "Sì, fallo!".
Ma cosa è successo a Daisy?
Alec ha il pallino per gli affari e la sua parola d'ordine è vincere; per questo ha bisogno di una spalla come Daisy, seria e professionale come nessun altro del suo staff. Ma da quando la sua fidata assistente è diventata una donna seducente e incredibilmente sexy? Alec sta giocando per vincere, ma si accorge all'improvviso che rischia anche di perdere il suo cuore.
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2020
ISBN9788830519480
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    Anteprima del libro

    Fulmine a ciel sereno - Julie Hogan

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Business or Pleasure?

    Silhouette Desire

    © 2004 Julie Hogan

    Traduzione di Maria Gaetana Ferrari

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-948-0

    1

    «Dannato Mackenzie, sei l’uomo più fortunato del mondo!» tuonò Todd Herly mentre si gettava in spalla la sacca da golf.

    Alec Mackenzie represse un sorriso. «Dirò a tua moglie che continui a imprecare.»

    «Diglielo pure» sbottò l’altro mentre si avviavano verso il parcheggio del Riviera Country Club. «Tanto, quando non ci sono i bambini, posso fare quello che mi pare.»

    «Certo, amico» replicò lui, spostando le mazze da una spalla all’altra.

    «Comunque, non è di questo che stavamo parlando. Stavamo parlando di come l’esserti aggiudicato il contratto di Santa Margarita faccia di te l’individuo più fortunato del pianeta!»

    «La fortuna non c’entra. Ho ottenuto questo lavoro onestamente, e lo sai bene. Mi sono dato da fare per trovare l’idea giusta» ribatté Alec, sventolando la spessa busta gialla che teneva in mano, «il che è più di quanto non si possa dire del tuo studio che, come al solito, ha messo insieme una proposta raffazzonata che non si adattava alle esigenze del cliente.»

    Todd, ovvero l’uomo che era al tempo stesso il suo miglior amico e il suo più acerrimo nemico in campo professionale, boccheggiò oltraggiato.

    Al che lui rincarò la dose. «E anche il mio fascino avrà avuto il suo peso...»

    «Ne dubito» fu l’acido commento. «Nonostante sia sicuro che tu sia ricorso anche a quello pur di convincere la bionda dell’altra sera a sganciarti il suo numero di telefono.»

    «Geloso?»

    «Per carità.» Si avvicinarono alle rispettive vetture. «Chelle mi mangerebbe vivo se sospettasse che ho anche solo sbirciato una donna tanto avvenente.»

    «Chelle è altrettanto avvenente» puntualizzò Alec, ed era sincero. Todd e sua moglie erano perfetti l’uno per l’altro, una vera coppia da romanzo rosa. Ma lui era nato libero e tale voleva restare. Non che il suo celibato fosse in pericolo. Al contrario. Anzi, la donna che aveva conosciuto l’altra sera sarebbe stata il semplice trastullo di qualche settimana. Era bella e quello gli bastava.

    Sistemò le mazze sull’elegante Ferrari decappottabile. «Meglio che vada» disse all’amico. E sollevò la busta con fare provocatorio. «Sai, devo portare questa in ufficio...»

    Todd aggrottò la fronte mentre chiudeva il bagagliaio della spaziosa Mercedes che aveva acquistato di recente perché - come aveva timidamente confessato ad Alec - rappresentava la berlina perfetta per la sua famiglia di quattro persone. «Ritiro tutto, Mackenzie» brontolò. «Non sei l’uomo più fortunato del mondo, bensì quello più competitivo. Lo sei sempre stato.»

    «Per forza» confermò lui. «Vincere è ciò che conta.» Montando sulla spider, infilò nel vano portaoggetti il contratto che decretava la vittoria del proprio studio nella lunga battaglia per il progetto di ristrutturazione più ambito della California del Sud. «Anzi» aggiunse, «l’unica cosa che conti.»

    Herly aprì la bocca per protestare, ma Alec si limitò a fare ciao con la mano mentre metteva in moto e si allontanava a tutta velocità.

    Dieci minuti dopo parcheggiava davanti ai propri uffici di Santa Monica. Meglio di così non si può, pensò. Spegnendo il motore, recuperò la busta dal vano portaoggetti. La colazione al club, con tanto di partitella corroborante, avrebbe costituito di per sé un ottimo avvio di giornata. Ma l’arrivo di un corriere con la notizia che il contratto di Santa Margarita era suo si era tradotto in un ulteriore godimento.

    Comunque, aveva ragione Todd. Alec aveva una fortuna sfacciata. Quel progetto, però, se lo meritava eccome.

    Sapeva di essere un abile architetto, quindi aveva scherzato soltanto a metà quando aveva detto di essersi imposto grazie al proprio talento. In fondo, rifletté mentre entrava in ascensore e premeva il pulsante dell’ultimo piano, ci sapeva fare. E lui e la sua squadra avevano messo insieme un’offerta davvero allettante.

    Ma nonostante si fosse aspettato di spuntarla, ancora non ci credeva. Appena al largo della costa della California meridionale, sull’isoletta di Santa Margarita, sette dimore storiche in rovina sarebbero state riportate al loro antico splendore e riaperte al pubblico come bed & breakfast di lusso. E Alec e il suo studio avrebbero eseguito il lavoro.

    «Mackenzie Architectural Revivals» sentì la sua centralinista annunciare al telefono. «Con chi desidera parlare?»

    Lui salutò e proseguì. Ah, quella sì che sarebbe stata una signora giornata!

    La sua assistente personale, Daisy Kincaid, non si trovava alla scrivania quando passò fischiettando, ma gli bastò entrare nel proprio ufficio per accorgersi che era già stata lì. Sull’antica scrivania di mogano facevano bella mostra di sé tutti i piccoli piaceri della vita: una tazza di caffè amaro, una barretta di cioccolata, il Los Angeles Times e una pila di riviste del settore.

    Sfregandosi le mani, si sedette e sorrise - sorrise veramente - per la prima volta dopo settimane.

    «L’hai avuto?»

    Alzando lo sguardo, Alec vide Daisy sulla soglia e per un attimo, solo per un attimo, la trovò quasi... graziosa.

    La giacca del tailleur grigio era sbottonata, la camicetta pure, e i grandi occhi scuri le danzavano dietro la montatura metallica delle lenti. I riccioli castani che erano sfuggiti al suo perenne chignon gli fecero venire voglia di sfilarle tutte quelle orribili forcine.

    Scosse il capo, quasi a scacciare l’immagine. Un riflesso, pensò, o magari solo l’ennesimo segno che quel giorno era magico perché, nei loro tre anni di collaborazione, Alec non era mai stato tentato di usare l’aggettivo grazioso per descrivere Daisy. Fidata, efficiente, sveglia, ingegnosa, responsabile: questo era. No, di grazioso non aveva proprio niente ma, per le mansioni che ricopriva, gli andava benissimo.

    Raddrizzandosi sulla sedia, la invitò a entrare. «Grazie per avermi mandato quel corriere sul campo da golf, Daisy. A proposito, come facevi a sapere che sarei stato lì?»

    «Via» sbuffò lei mentre occupava una delle poltroncine riservate alla clientela. «Ormai ti conosco come se ti avessi fatto io!»

    Gli scappò da ridere. «Già, dimenticavo.»

    Daisy accavallò le gambe e la gonna salì a scoprirle una buona porzione di cosce. «Dai, racconta. Quanto sei felice?»

    «Da uno a mille? Duemila!» scherzò lui. E intanto pensava: Smettila di guardarle le gambe. Smettila di guardare.

    «So bene che adori vincere» ricominciò lei. E si allungò a riordinargli automaticamente la scrivania. «Ma questo contratto è importante per altre ragioni, vero?»

    «Sì» riconobbe Alec con una punta di reticenza. E cambiò argomento, aggiungendo: «Ma non è tutto merito mio. Hai lavorato sodo anche tu».

    Daisy smise di rassettare e sorrise. Il suo volto irradiava pura dolcezza, il che era una delle tante ragioni per cui i clienti sembravano adorarla, al pari di ogni dipendente della Mackenzie. In effetti, la piccola Kincaid si era rivelata una manna per il suo studio in espansione sin dal giorno in cui si era presentata al cospetto di Alec stringendo l’inserzione di un centro di collocamento universitario.

    All’epoca, aveva avuto venticinque anni ed era stata una studentessa lavoratrice. Il colloquio si era rivelato positivo, tant’è che lui l’aveva assunta all’istante. Daisy era stata la sua prima impiegata e gli era rimasta al fianco per tutto il tempo che ci era voluto a trasformare la Mackenzie Architectural Revivals da ditta individuale ad azienda con oltre trenta dipendenti e un fatturato da capogiro.

    «Era il progetto ideale come spunto per la mia tesi» osservò lei, riordinandogli il portapenne.

    Mentre le stilografiche tintinnavano l’una contro l’altra, Alec sbirciò i post-it che costellavano la sua bacheca. Gli venne male quando ne inquadrò uno che diceva: Laurea di Daisy, 23 maggio. Due settimane prima. Dannazione!

    «Oh, non ti preoccupare» saltò su lei, come leggendogli nella mente, cosa che faceva con allarmante frequenza. «Alla fine, ho deciso che far bisboccia con un branco di pseudoventenni era sciocco. Così, sono uscita col babbo e i miei fratelli.»

    «Scusa, Daisy, ma non sei anche tu una pseudoventenne?»

    «Cronologicamente.»

    «Be’, va comunque festeggiato anche quello» tagliò corto Alec. «Di’ un po’, ti andrebbe di telefonare all’Ivy e di prenotare un tavolo per stasera? Diciamo, alle venti?»

    Daisy lasciò cadere una penna e si fece di brace. Con tutto che era facile ai rossori, lui non riusciva davvero a immaginare perché stesse avvampando proprio ora. Che diavolo, doveva avergli prenotato centinaia di tavoli negli ultimi tre anni... visto che Alec sapeva tutt’al più tostare il pane a colazione!

    La ragazza aveva ancora le guance chiazzate di rosso quando si alzò e chiese: «L’Ivy di Santa Monica o quello di Beverly Hills?».

    «Quello di Beverly Hills, se pensi sia possibile con un preavviso così breve.»

    «Ci provo.» Mentre se ne andava, Daisy gli vide sollevare la pila dei messaggi telefonici. «Oh, ce n’è uno di tua madre. Ha chiamato dall’Europa. Non ha lasciato recapito ma ti saluta tanto.»

    «Uhm. Grazie.» Alec prese il messaggio e lo cestinò con un gesto brusco. Poi, passò in rassegna gli altri foglietti, notando appena quando la porta si chiuse alle spalle di lei.

    Aveva appena finito la cioccolata e le sezioni interessanti del Times quando Daisy rientrò nell’ufficio con un post-it arancione nella mano destra e una tazza di caffè caldo nella sinistra. Mentre gli si avvicinava, Alec tornò a farsi distrarre dalle sue gambe, quella volta dalla loro incredibile lunghezza al di sotto della gonna a pieghe. La vista lo disorientò al punto che impiegò qualche secondo ad accorgersi di come il suo sguardo fosse puntato sulle sue ginocchia sexy.

    Ginocchia sexy?, pensò mentre sbatteva le palpebre. Che cosa diavolo gli prendeva? Era già la seconda volta nell’arco della mattinata. E si trattava di Daisy, santo cielo! Dovevano essere state le lunghe ore che avevano passato insieme a finalizzare l’offerta per Santa Margarita. La vita sociale di Alec si era atrofizzata negli ultimi mesi, e quei pensieri bizzarri sulla propria assistente provavano soltanto come avesse urgente bisogno di svago!

    Si allungò a prendere l’appunto. «Hai giocato a golf nel weekend?» domandò burbero.

    «Solo qualche buca con uno dei miei fratelli» confermò lei mentre posava il caffè fresco e toglieva l’altra tazza, ormai vuota. «Ma non ho certo brillato.»

    «Ah...» commentò Alec. Il suo tono, tuttavia, grondava scetticismo.

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