Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Un caso complicato per Emma Holden
Un caso complicato per Emma Holden
Un caso complicato per Emma Holden
E-book383 pagine4 ore

Un caso complicato per Emma Holden

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

«Vi catturerà e vi terrà svegli la notte.»
Jeffery Deaver

Un grande giallo d’esordio

A qualche giorno dalle nozze, durante l’addio al celibato, il futuro sposo di Emma Holden scompare. Non solo Dan è sparito senza lasciare tracce, ma suo fratello è stato picchiato a morte e ora è in coma. Non essendoci altri indizi, i sospetti ricadono tutti su Dan. Emma però si rifiuta di pensare che il suo fidanzato possa aver commesso un atto così vile, violento e inspiegabile. Quando le foto di Emma vengono pubblicate da tutti i giornali scandalistici però, la donna capisce che c’è qualcosa di familiare e terrificante in quelle immagini, l’antica eco di un terribile segreto rimasto sepolto per anni, che sembra in qualche modo collegare il suo problematico passato con il suo pericoloso presente. E man mano che passano i giorni, Emma dovrà capire di chi si può fidare davvero: della sua famiglia, dei suoi amici o di Dan?

Il suo esordio è un thriller eccezionale

Una famiglia con un passato misterioso
Un segreto inconfessabile

«È raro trovare un autore di thriller che spinga i lettori a seguire una trama serrata e piena di colpi di scena e, al tempo stesso, a coinvolgerli in un complesso puzzle che si sviluppa lungo tutto il libro. Pilkington lo sa fare, e Un caso complicato per Emma Holden vi catturerà e vi terrà svegli la notte.»
Jeffery Deaver
Paul Pilkington
È stato autore radiotelevisivo per oltre vent’anni – ha lavorato per BBC radio e ITV Television – e ha scritto il suo romanzo d’esordio, Un caso complicato per Emma Holden, ispirato dagli autori di thriller che ha sempre amato, come Harlan Coben e Nicci French.
LinguaItaliano
Data di uscita29 gen 2016
ISBN9788854192232
Un caso complicato per Emma Holden

Correlato a Un caso complicato per Emma Holden

Titoli di questa serie (100)

Visualizza altri

Ebook correlati

Thriller per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Un caso complicato per Emma Holden

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Un caso complicato per Emma Holden - Paul Pilkington

    1187

    Titolo originale: The One You Love

    Copyright © 2012, 2014 by Paul Pilkington

    All rights reserved

    Traduzione dall’inglese di Marta Lanfranco e Clara Serretta

    Prima edizione ebook: aprile 2016

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-9223-2

    www.newtoncompton.com

    Paul Pilkington

    Un caso complicato per Emma Holden

    ????

    Newton Compton editori

    Per la mia famiglia

    Prologo

    Osservò, mentre la barca veleggiava lungo il fiume, le attrazioni di Londra: le punte d’acciaio di Canary Wharf che fendevano il cielo, la cupola della O2 Arena, il Tower Bridge e, infine, il London Eye e Westminster. Il cielo era di un blu intenso e il calore del sole soffocante, perciò la brezza rinfrescante del fiume era la benvenuta.

    Dopo essere approdato, si diresse verso la metropolitana. Aveva trascorso una piacevole giornata nella capitale. Ma adesso la vacanza era finita e lui si doveva occupare degli affari, quelli veri.

    Era ora.

    Presto lei avrebbe sofferto.

    PARTE PRIMA

    1

    «Emma, sono Will. Dove cavolo è finito il tuo fidanzato? Non si è fatto vivo all’appuntamento e non risponde al telefono».

    Emma Holden portò il cellulare a un orecchio e si tappò l’altro con la mano. Per colpa dei rumori dell’affollato pub londinese in cui si trovava, riusciva a stento a sentire ciò che le stava dicendo suo fratello. Nel locale, a tema irlandese, c’erano almeno venti, o forse trenta, uomini d’affari della City che stavano celebrando la fine della settimana lavorativa e l’inizio di quello che sarebbe stato il lungo, soleggiato fine settimana della Summer Bank Holiday, che cade ogni primo e ultimo lunedì di agosto. Emma, però, era lì per festeggiare un evento più importante, ovvero il suo matrimonio, che si sarebbe celebrato di lì a una settimana. Quel genere di pub non era il tipico posto che avrebbe scelto per passare una serata fuori con gli amici, era talmente affollato che ci si muoveva a stento, ma era perfetto per un addio al nubilato.

    «Aspetta un attimo», gridò al telefono, mentre si dirigeva verso un gruppo di persone e passava un drink alla sua amica Lizzy. Emma le fece segno che doveva uscire e lei, in risposta, annuì e sorrise. «Cerco un posto più tranquillo», urlò di nuovo al telefono Emma, mentre, nel frattempo, si faceva strada tra la folla. «Non riesco a capire una sola parola».

    Dopo aver lasciato le sue dieci compagne di bevute, riuscì a raggiungere l’ingresso, seppur a fatica. Fuori dal locale fu colpita dall’afosa aria notturna. Sentì quel tipico odore del centro di Londra in estate: un misto di fast food, birra e gas di scarico. Per la prima volta, in quella sera, sentì l’alcol salirle alla testa, in qualche modo esaltato dalla luce del sole al tramonto.

    «Scusami», disse, mentre camminava sul marciapiede affollato. L’ondata di calore che aveva colpito tutto il Paese aveva spinto i festaioli a uscire in strada. «Colpa mia. Ho chiesto a Lizzy di convincere il barista ad alzare il volume della musica. È così alta che stanno per scoppiarmi i timpani. Ho visto la tua chiamata soltanto perché avevo il telefono in mano. Stavo mostrando a Lizzy e alle ragazze le foto della scorsa settimana».

    «Emma…», la interruppe Will. Il suo tono serio la spinse a darsi una controllata, come se lui le avesse appena impartito un ordine. «Dov’è Dan? Non si è fatto vedere a Covent Garden e non risponde né al cellulare né al telefono di casa».

    «Cosa?». Emma cercò di digerire la notizia, osservando il passaggio di una lunga limousine troppo bianca. Delle ragazze, in piedi, con la testa fuori dal tettuccio, fingevano di brindare con i passanti, in modo piuttosto chiassoso, mostrando loro i bicchieri colmi di champagne.

    «Yeah, cowgirl!», le gridò una di loro. Per una frazione di secondo, Emma si stupì del gesto, ma poi si ricordò cosa stava indossando. Lizzy aveva avuto l’idea di vestirla in stile Vecchio West e lei, in quanto festeggiata, non aveva potuto rifiutare. Si tolse il cappello da cowboy e se lo mise sottobraccio.

    Will era uscito insieme agli amici di Dan, compagni d’università e colleghi della web agency dove lavorava. «Siamo andati a casa tua», continuò Will. «Abbiamo pensato che, magari, fosse semplicemente in ritardo, ma non risponde al citofono. Siamo ancora qui fuori. Ho provato anche a chiamare Richard, ma non risponde nemmeno lui. Non sono lì con te, vero?».

    «No». Emma si passò le dita tra i lunghi capelli castani, ricoperti di brillantini. Richard, il fratello di Dan, doveva incontrarsi con il resto del gruppo più tardi, in centro. Perché erano entrambi irraggiungibili? «Ho visto Dan prima di uscire da casa, due ore fa. Magari non vi siete semplicemente incrociati a Covent Garden».

    «Impossibile. Li abbiamo aspettati per circa un’ora. Se avessimo avuto un tamburello e un cappello avremmo racimolato una fortuna».

    «Non capisco», disse lei, cominciando a camminare su e giù davanti al pub, completamente dimentica dei festeggiamenti che si stavano consumando dentro al locale. «Era pronto quando l’ho lasciato. Doveva uscire di lì a pochi minuti, subito dopo di me».

    «Allora è un mistero». Will rimase un attimo in silenzio. «Pensi ci abbia ripensato e sia volato a Los Angeles con Cameron Diaz?»

    «Che bastardo che sei, William!».

    «Scherzo», disse ridendo per smorzare la tensione. «Sarebbe un pazzo a non sposare la mia sorellina».

    «Così va meglio».

    «Dico sul serio, Em. E se avesse avuto un incidente o qualcosa del genere?»

    «Un incidente?»

    «Sì, potrebbe essergli capitato qualcosa per strada».

    «Non stai esagerando?»

    «Può darsi, ma sono cose che succedono».

    «Perché devi essere così pessimista?», gli domandò Emma. Dall’altra parte della strada, due poliziotti stavano cercando di persuadere un senzatetto a spostarsi dall’ingresso di un negozio: un episodio piuttosto ricorrente, e triste, a Londra. «Magari è rimasto bloccato in metropolitana. Ecco perché non è raggiungibile. Sai com’è la metropolitana in questi giorni. Io stessa, mercoledì, sono rimasta bloccata sulla Northern Line per un’ora e mezza, per un guasto o qualcosa del genere».

    «Può darsi», rifletté lui. «Comunque, potrei buttare giù la porta di casa tua. Non si sa mai».

    «Non ci provare! Ti faresti male. La cintura nera sono io, non tu».

    «Va bene, Bruce Lee». Will si finse deluso. «Sono solo preoccupato per la mia sorellina».

    «Lo so. Ti sei sempre preso cura di me».

    «Be’, è per questo che hanno inventato i fratelli maggiori. Sai che ti dico? Lo aspetto qui. Magari si fa vivo».

    «No», disse Emma, allontanandosi dalla porta del pub per lasciare passare delle ragazze che stavano per festeggiare un altro addio al nubilato: erano tutte vestite da cheerleader, con tanto di top striminziti e minigonne. Per fortuna a Lizzy non era venuto in mente. «Torna a Covent Garden a vedere se, per caso, si sia fatto vivo lì. Io provo a chiamarlo».

    «Mando gli altri. Io rimango nei paraggi», insistette Will. «È tutto molto strano, Emma. Non credi che…».

    «Non pensarlo neanche», lo interruppe Emma. «No».

    «Hai ragione. È diverso dall’ultima volta».

    Dopo che Will ebbe riattaccato, Emma provò varie volte a chiamare Dan e Richard. Non c’era verso. Non rispondeva nessuno dei due. Decise di rientrare, anche se non aveva più voglia di festeggiare.

    «Eccoti, finalmente!», esclamò Lizzy, abbracciandola già quasi ubriaca, non appena la vide venire incontro al gruppo. «Ci stavamo domandando dove fossi finita. Pensavamo che avessi trovato un agente di cambio, un pezzo grosso con cui concederti un’ultima sveltina prima che fosse troppo tardi. Dopotutto, hai ventotto anni, sei libera e single, ancora per poco».

    Emma non ricambiò il sorriso di Lizzy. Invece, fissò il telefono, che teneva stretto in mano, senza badare a ciò che la sua migliore amica aveva appena detto. Desiderava solo andare via il prima possibile per scoprire cosa fosse successo.

    «Bevilo tutto», le ordinò Lizzy, mettendole un cocktail nella mano libera. «Sei troppo sobria per i miei gusti. Sono io che comando stasera. Ciò che dico è un ordine. E io dico: bevi! Cin!».

    «Cin», replicò Emma senza troppa convinzione, facendo risuonare i bicchieri.

    Guardò Lizzy, così radiosa, sorseggiare il suo drink. Aveva conosciuto Lizzy, una ragazza carina e sempre allegra con i capelli biondo fragola e un cuore grande quanto la sua voce era potente, a un provino tre anni addietro. Fin da quel primo incontro, erano diventate subito buone amiche e avevano anche abitato insieme per un certo periodo, fino a un anno e mezzo prima, quando Emma aveva deciso di andare a vivere con Dan. Lizzy, che aveva studiato canto classico, stava ora recitando in un teatro del West End, era riuscita ad ottenere una parte in Like We Did Last Summer, un nuovo musical romantico, basato su canzoni swing famose negli anni Sessanta.

    «Stai bene?». Lizzy si era finalmente accorta che Emma aveva la testa altrove.

    «Non ne sono sicura». Emma si mise a giocare con la cannuccia e i cubetti di ghiaccio del suo drink. «Il problema è Dan. Nessuno sa dove sia».

    «Cosa?»

    «Era Will al telefono. A quanto pare Dan non si è presentato all’addio al celibato. E nessuno riesce a rintracciarlo. Anch’io ho provato a chiamarlo poco fa. Sembra che il suo cellulare sia spento e non risponde nemmeno al telefono di casa».

    «Ma non stava per uscire, quando sono venuta a prenderti?», le chiese Lizzy.

    «Già. Per questo sono preoccupata».

    «Forse è bloccato in metropolitana», disse Lizzy con aria dubbiosa.

    «L’ho pensato anch’io, ma sono trascorse due ore, Lizzy».

    «Sono sicura che sta bene», la rassicurò l’amica, offrendole una leggera pacca di conforto.

    «Credi che ci abbia ripensato?», Emma diede voce alle insicurezze che fino ad allora aveva cercato di nascondere. «Ricordi che ti ho detto che nelle ultime settimane si stava comportando in modo strano? Magari ha capito che non sono io quella che vuole».

    «Non fare la stupida. Dan è un bravo ragazzo ed è pazzo di te, Em. Lo sanno tutti». Adesso Lizzy le stava stringendo il braccio. «Gli uomini si comportano in modo strano ogni tanto. È nel loro dna. Probabilmente è seduto su una panchina, in un parco, a dar da mangiare alle anatre, mentre riflette sui suoi ultimi giorni da scapolo. Credimi, mio fratello era fuori di testa prima del matrimonio. Aveva le crisi. Aveva persino pensato di partire per l’Australia per un anno. E sai benissimo che non sopporta né il caldo né gli insetti».

    «Ti sembro isterica?», le chiese con un sorriso Emma, bevendo nervosamente dal bicchiere. Non era da lei essere così agitata; di solito era calma e posata. Ma quella sera era diverso. Quei pensieri le avevano appesantito la mente per mesi: il matrimonio era l’inizio di un qualcosa di migliore o avrebbe portato i nodi al pettine fino a far crollare tutto?

    Proprio come l’ultima volta.

    «Sei sotto stress», le disse Lizzy. «Ti sposerai domenica prossima, per l’amor di Dio! Come se non bastasse, la prossima settimana hai anche il provino più importante della tua vita. Si stanno muovendo grandi cose, amica!».

    Lizzy aveva ragione. Un matrimonio alle porte avrebbe mandato fuori di testa chiunque. Se a questo si aggiungeva il provino per un ruolo in un film, che avrebbe potuto dare una svolta alla sua carriera, era normale che fosse tanto tesa. Emma voleva con tutta se stessa una parte in quella che si preannunciava la commedia romantica inglese dell’anno. Sarebbe stato un bel cambiamento rispetto alla soap opera, nella quale aveva recitato negli ultimi due anni, e alle brevi comparsate in diversi spettacoli teatrali londinesi. Era ciò per cui aveva lottato duramente e che non aveva mai sul serio sperato di poter, un giorno, raggiungere.

    «So che non è niente», disse. «Ma perché scomparire nel nulla proprio stasera, tra tutte le sere?».

    «Vuoi tornare a casa a vedere se è tutto a posto?»

    «Ti dispiace?»

    «Affatto». Lizzy tolse di mano il bicchiere a Emma e lo passò a Sarah, una delle ragazze dell’addio al nubilato, che non solo era vestita come una cowgirl, ma aveva anche una fondina con tanto di pistola ad acqua, che utilizzava per aggiungere vodka ai bicchieri delle altre ragazze. «Lasciamole qui. Torneremo da loro quando avremo trovato il tuo fidanzato. Che testa di cavolo, eh?». Mise il braccio intorno alle spalle di Emma per cingerla in un abbraccio materno. «Vuole sempre essere al centro dell’attenzione».

    «Già», disse Emma, provando ad accennare un sorriso. «Che testa di cavolo».

    Durante il tragitto in taxi fino a Marylebone, Emma aveva provato a contattare Dan altre tre volte. Ogni volta era scattata la segreteria telefonica. Aveva chiamato pure Will, che le aveva confermato che Dan non era ricomparso e che al citofono di casa sua non rispondeva nessuno.

    Mentre il taxi sfrecciava lungo le vivaci strade della capitale, s’insinuò in lei, con intenzione di perdurare, una nauseante sensazione di solitudine. «Per favore, Dio», sussurrò tra sé con la fronte appoggiata al finestrino del taxi, mentre cercava di calmarsi. «Ti prego, fa’ sì che non sia accaduto di nuovo».

    2

    «Ancora niente?», chiese Emma a Will, mentre si catapultava giù dal taxi.

    Lui era seduto con le braccia incrociate sui gradini dell’ingresso. Indossava pantaloni neri di Calvin Klein e una camicia di un bianco abbagliante, che contrastava fin troppo con i suoi fini capelli neri. Scosse la testa. Sebbene stesse per compiere trent’anni, aveva l’aria di un ragazzino in attesa del rientro a casa della madre.

    «Sono sicura che c’è una spiegazione a tutto questo, Em», disse Lizzy raggiungendoli, mentre il taxi ripartiva.

    Emma guardò in alto, verso la finestra del loro appartamento in affitto, che si affacciava su Marylebone High Street. Per un attimo le parve di scorgere una figura che la stava osservando, ma capì subito che doveva trattarsi di un gioco di riflessi. Si era decisamente calmata durante la corsa in taxi.

    La respirazione circolare che le aveva insegnato il suo maestro di karate da ragazzina l’aveva aiutata a concentrarsi su se stessa e a scacciare i pensieri negativi. D’accordo, era strano che Dan non si fosse fatto vivo. Ma, come aveva detto Lizzy, era probabile che ci fosse una spiegazione più che ragionevole.

    «Ha ragione Lizzy». Will si alzò in piedi e si diede una ripulita. «Ho riflettuto un po’, mentre vi stavo aspettando. Credo di aver esagerato. Se non fosse per quel dannato citofono, sarei già salito a vedere».

    «Non sei riuscito a infilarti, mentre qualcuno usciva?», domandò Lizzy.

    «Era la mia intenzione», replicò. «Ma da quando sono qui dal palazzo non è uscito nessuno. Che rabbia. Ho anche suonato a tutti i campanelli», indicò i tasti del citofono. «Ma non ho ricevuto risposta».

    «Sono tutti fuori», spiegò Emma, cercando le chiavi nella borsa. «Molti sono andati in vacanza, credo. Non ho incrociato nessuno per le scale negli ultimi giorni e si è accumulata la posta».

    «Be’, qualcuno ci deve essere», la contraddisse Will. «Se apri la buca delle lettere, si sente della musica».

    «Davvero?», Emma aveva trovato le chiavi. «Entriamo a dare un’occhiata». Tirò fuori il mazzo, ma le scivolò di mano cadendo nella grondaia, a poca distanza da un tombino.

    Will lo raccolse. «Siamo stati fortunati. Emma, ti tremano le mani. Tutto bene?».

    «Sto bene», mentì lei, prendendo le chiavi. Nonostante fosse riuscita a recuperare una certa calma, il suo corpo era ancora scosso dai fremiti. «Sono solo un po’ nervosa. Tutto qui».

    «Forza», le disse Lizzy con tono allegro. «Saliamo su e risolviamo questo mistero. Magari si è addormentato sul letto e ha spento il cellulare».

    Non appena varcarono l’ingresso del palazzo, sentirono della musica provenire da qualche parte. Sembrava giungesse da uno degli appartamenti al piano superiore e che, poi, si propagasse per la scala di legno. A giudicare dalla vibrazione del basso, doveva essere a tutto volume.

    «Gli U2, se non sbaglio», disse Will. «È come se stessero facendo le prove dal vivo».

    «Dan aveva messo su quell’album quando sono uscita», disse Emma, affrettando il passo su per le scale, con Lizzy e Will che la seguivano a ruota.

    Stava salendo due gradini alla volta e, a ogni passo, la musica si faceva sempre più forte. C’era decisamente qualcosa che non andava. La sua fantasia aveva di nuovo preso il sopravvento, solo che adesso non credeva più che Dan ci avesse ripensato, ma che fosse successo qualcosa di più sinistro, tragico. Forse Dan era caduto, aveva sbattuto la testa ed era a terra svenuto, mentre lei si stava divertendo con le amiche.

    Non appena raggiunse il pianerottolo, il signor Henderson, l’anziano vicino del piano di sotto, le bloccò il passaggio. A giudicare dalla sua espressione, la stava aspettando. «A che gioco credi di giocare?», le domandò, puntandole addosso un dito raggrinzito e coperto da macchie di vecchiaia.

    «Prego?». Emma era stata colta alla sprovvista dall’inconsueto tono aggressivo; normalmente era un uomo pacato. Lui e la moglie vivevano al piano di sotto da vent’anni ormai e, quando Dan ed Emma si erano trasferiti, li avevano accolti calorosamente. Era da un po’ che Emma non incrociava la signora Henderson. Qualche mese prima, mentre stava guardando fuori dalla finestra, l’aveva vista salire su un’ambulanza, ma, non sapendo cosa avesse, aveva ritenuto inappropriato chiederlo direttamente.

    «Quella musica», disse il signor Henderson arrabbiato, indicando di sopra. Il suo viso era di un colore rosso acceso e gli occhi ardevano in un modo che Emma non aveva mai visto prima. «Il tuo fidanzato ha alzato il volume al massimo, da quando sono tornato. Edna vorrebbe dormire. Non sta bene, sai. Si angoscia facilmente. Quando sono tornato a casa, l’ho trovata che stava piangendo in un angolo della stanza con le orecchie tappate. La gente pensa che chi soffre di demenza senile non conti niente. Ma lei è importante per me. Io l’amo».

    Gli vennero le lacrime agli occhi, la rabbia svanì dal suo viso. «Il medico dice che sta morendo», aggiunse. «Per favore, falla riposare in pace. Ti prego, di’ al tuo fidanzato di spegnere la musica. Non mi ha neppure risposto quando ho bussato alla porta. Sono salito tre volte, ma non è servito a nulla».

    Emma guardò Will e Lizzy, che le lanciarono di rimando un’occhiata preoccupata.

    «Le chiedo scusa», gli disse, sentendosi terribilmente in colpa nei confronti dell’anziano vicino, ma con la voglia di raggiungere, senza indugio, l’ultimo piano. «Le chiedo scusa», ripeté, aggirandolo e dirigendosi verso la rampa di scale successiva, quasi di corsa.

    «Se non spegni quella musica, chiamo la polizia», le urlò di rimando il signor Henderson, poi fece qualche roco colpo di tosse. Ma Emma aveva già girato l’angolo in cima alla scala.

    Si diresse verso la porta di casa e si mise subito ad armeggiare con le chiavi. Dan non aveva mai messo la musica a tutto volume, e quel dettaglio non faceva altro che aumentare il brutto presentimento che le cresceva dentro.

    «Dan!», gridò. «Sei a casa?». La chiave non entrò nella toppa, così iniziò a battere forte i pugni sulla robusta porta di legno. «Dan!».

    «Dai a me, Emma», le disse Will, togliendole gentilmente il mazzo di chiavi dalle mani. «Lascia fare a me».

    Emma fece un passo indietro, sorpresa nel sentire le lacrime rigarle le guance.

    Lizzy l’abbracciò. «Andrà tutto bene», la confortò. Ma non ne era più convinta.

    Will aprì la porta e furono inondati da un crescendo di chitarre e batteria. «Danny, ci sei?», urlò, muovendosi nell’appartamento. Si diresse subito in salotto, da dove proveniva la musica, mentre Emma e Lizzy andarono dritte in cucina.

    «Dan?», lo chiamò Emma entrando in cucina. «Dove sei… oddio!».

    «Cosa c’è?», chiese Will. La sua voce risultava eccessivamente alta, ora che lo stereo era stato spento ed era piombato il silenzio.

    «Qualcosa non va», gli rispose Lizzy.

    Emma era ferma e osservava la scena in silenzio, vicino all’amica. Appoggiò una mano sul frigo per sorreggersi. La cucina era sottosopra: c’erano piatti rotti buttati per terra, il cestino dell’immondizia era stato capovolto e svuotato, le tende erano strappate e l’acqua scorreva nel lavandino.

    «Santo Cielo!», esclamò Will, non appena le raggiunse, quasi senza fiato, per verificare i danni.

    «Che cos’è successo?», domandò Lizzy senza aspettarsi una risposta.

    «Le altre stanze», disse Emma, riprendendosi dallo shock. Girò i tacchi e si diresse verso la camera da letto, sbattendo la porta, convinta di trovare qualcosa di tremendo. Ma non c’era niente. Il letto era perfettamente fatto, proprio come l’aveva lasciato e ogni cosa era al suo posto. Nell’aria si sentiva ancora vagamente il profumo del dopobarba di Dan. Mancava il bagno, l’ultima stanza da ispezionare.

    «Oh, merda!», esclamò Will. «Merda! Chiama un’ambulanza! Chiamate un’ambulanza!».

    «Cosa c’è che non va?», chiese Emma, tornando in corridoio.

    Will uscì dal bagno con le mani coperte di sangue.

    «Oh, no!», disse lei, coprendosi la bocca con le mani e scuotendo la testa incredula.

    Avanzò appoggiandosi al muro. «Ti prego, dimmi che sta bene».

    «Non è Dan». Il viso di Will era contratto in una smorfia di dolore. Continuava a fissarsi le mani sporche di sangue. «È Richard. Credo sia morto».

    3

    «Pensi sia stato Dan a uccidere Richard?», domandò Emma, mentre i tre erano seduti nella sala d’attesa dell’ospedale.

    Da quando avevano trovato Richard, il fratello di Dan, privo di sensi sul pavimento del bagno, con il viso e il corpo insanguinati, quella domanda le martellava in testa. Ma aveva avuto paura a pronunciarla ad alta voce, perché temeva il giudizio degli altri.

    Lizzy non aveva detto una sola parola, né in casa, mentre stavano aspettando l’arrivo dei paramedici, né in taxi, durante il tragitto verso l’ospedale. Anche Will si era astenuto dal fare commenti, però Emma lo conosceva a sufficienza da sapere che qualcosa lo tormentava.

    «No, no, certo che no», rispose Lizzy, ritornando in sé. «Dan non potrebbe mai fare una cosa del genere».

    Will stava seduto con la testa appoggiata alle mani e lo sguardo fisso nel vuoto.

    «Will», lo chiamò Emma, notando il suo silenzio. «Credi che sia stato lui?».

    «Non so cosa pensare», ammise Will.

    «Dan non farebbe mai del male a Richard!», urlò Emma, guardandolo negli occhi. «Mi ripete sempre che non hanno mai litigato in vita loro. Non potrebbero essere più amici di così».

    «Potreste, per favore, abbassare il tono?», li sgridò un’infermiera di passaggio. «Ci sono dei pazienti che stanno cercando di riposare».

    Emma si scusò, sentendosi giustamente ripresa.

    «Scusa, Emma», disse Will, «ma la situazione non è chiara. Tutto qui».

    Anche se Emma non lo voleva ammettere, Will aveva ragione: la situazione non era affatto chiara. I paramedici avevano dichiarato alla polizia, sopraggiunta in ospedale, che erano convinti che Richard fosse stato aggredito, e non semplicemente scivolato sul pavimento. Le lesioni che aveva riportato suggerivano che qualcuno lo aveva colpito più di una volta con un oggetto smussato. Non era stato un incidente. E Dan era scomparso nel nulla. Niente di strano che la polizia, dopo aver visto la scena del crimine, si fosse concentrata sulla vita di Dan e su che tipo di relazione avesse con il fratello.

    «Non può averlo fatto». Emma si rifiutava di credere che l’uomo di cui si era innamorata potesse essere capace di tanta violenza. «Non puoi pensare che sia colpevole».

    «Spero tu abbia ragione», disse Will. «Sul serio».

    «Certo che ho ragione. Mi fido di lui».

    Per alcuni istanti regnò un silenzio pregno di tensione.

    «Pensate che la polizia voglia di nuovo interrogarci?», chiese Lizzy.

    «Di sicuro ci faranno altre domande», disse Will. «Ci hanno interrogato solo superficialmente. Stiamo parlando di un tentato omicidio o, addirittura, di un omicidio vero e proprio».

    «Credevo davvero che fosse morto», commentò Lizzy con aria pensierosa. «Non sentivamo il polso e c’era tutto quel sangue… ho pensato fosse morto».

    «Non riesco a togliermi dalla testa quell’immagine: Richard sdraiato contro il gabinetto», continuò Will. «Il modo in cui la sua testa era ruotata…

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1