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Ritrovare Elliot
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E-book261 pagine3 ore

Ritrovare Elliot

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Info su questo ebook

L’unica cosa che Elliot Lawrence desidera è darsela a gambe.
Ma dopo un’orribile tragedia, gli incubi e gli attacchi di panico non glielo consentono. Nel disperato tentativo di riconquistare un briciolo di indipendenza, inizia a farsi consegnare a casa dei piccoli ordini di generi alimentari.
Quello che non si aspetta è Colton Kelly, ex stella del cinema per adulti e al momento ragazzo delle consegne.
Anche se l’attrazione tra loro è immediata, Elliot è tutt’altro che pronto a buttarsi a capofitto in una relazione. Lentamente i due intraprendono un percorso per rimettere insieme i pezzi della vita di Elliot, ma quando comincia ad andare a rotoli quella di Colt, Elliot è terrorizzato di non essere l’uomo di cui il compagno ha bisogno.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2022
ISBN9791220704663
Ritrovare Elliot

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    Anteprima del libro

    Ritrovare Elliot - Cate Ashwood

    1

    I lunghi raggi del sole avevano illuminato gli ospiti di luce dorata quando, tempo prima, l’astro era tramontato sull’oceano. Della torta erano rimaste solo le briciole. Tuttavia, la festa era ancora in corso.

    Ryan si trovava vicino al bar con altri due ragazzi che avevano partecipato alle riprese effettuate a Newport. Era al decimo giro di shottini dal dessert. La musica era alta e la pista da ballo gremita. Nonostante l’ora tarda, sembrava che la gente non volesse rallentare. In mezzo alla folla, Evan e Bran, ancora l’uno tra le braccia dell’altro, sembravano ignari dei cento ospiti che si muovevano intorno a loro al ritmo della musica. Colt osservò Bran mentre sorrideva a Evan. Era felice per loro. Avevano impiegato una vita per mettersi insieme, ma contro ogni probabilità ce l’avevano fatta.

    Qualche mese prima Bran si era inginocchiato sulla spiaggia di Newport e aveva fatto la proposta di matrimonio a Evan. Da allora era passato un po’ di tempo, ma prima di sposarsi, Bran aveva voluto aspettare che il compagno finisse il programma del master. Alla fine, i ragazzi avevano deciso di convolare a nozze a Cannon Beach in Oregon e l’organizzazione del matrimonio era stata un turbine di attività. La cerimonia era stata bellissima e Colt era abbastanza uomo da ammettere di essersi commosso un paio di volte mentre gli sposi si scambiavano i voti nuziali.

    Li osservò ondeggiare insieme, persi l’uno nell’altro, e per un attimo provò una fitta di gelosia. Li aveva sempre un po’ invidiati, forse perché negli ultimi sei anni in cui i due avevano condiviso la piccola casa a un solo piano in stile ranch con lui e Snickers, il suo cane, aveva assistito alla sua buona parte di smancerie.

    «Amico, questa sera praticamente non ti ho visto,» esordì Ryan, mentre gli si avvicinava furtivo e gli porgeva un drink.

    Colt rise. «Lo so. Eri avvinghiato al biondo con i tatuaggi.»

    «Che dire? Ho un debole per i biondi.» Ryan gli gettò un braccio intorno al collo e gli premette un bacio rumoroso e sdolcinato sulla guancia. «Vieni a ballare con noi!»

    «Non posso, Ry. Devo tornare a casa stasera. Domani ho un colloquio di lavoro e si sta facendo tardi.»

    L’anno prima aveva smesso di recitare nei film porno e, da quando aveva ripreso a studiare, aveva fatto del suo meglio per limitare il numero dei video online in cui appariva. Sapeva che avere un passato nell’industria del sesso era rischioso se voleva diventare un insegnante. Già il fatto di essere gay gli attirava sguardi di disapprovazione da parte di alcune persone.

    «Va bene, sì. Pensaci. Sei sicuro di non voler ballare?»

    «Devo davvero andare.»

    Ryan scrollò le spalle. «Okay. Chiamami più tardi, va bene?»

    «Certo.»

    Poi Ryan attraversò la pista da ballo per raggiungere gli altri ragazzi. Colt tirò indietro la manica della giacca dello smoking per guardare l’ora. Quando vide che erano le due del mattino passate, gemette dentro di sé consapevole che il giorno successivo sarebbe stato difficile se avesse dormito poco. Per quanto desiderasse rimanere e festeggiare con la coppia di sposini, dubitava che la sua assenza sarebbe stata notata considerato quanto fossero concentrati l’uno sull’altro.

    Per un attimo pensò di sgattaiolare via inosservato, ma anche se viveva con loro, non poteva andarsene senza salutarli. Attraversò la pista da ballo e fece scivolare la mano sulla spalla di Evan.

    «Ehi, Ev, Bran, vado a dormire,» affermò, e indicò la porta nel caso i due non fossero riusciti a sentirlo al di sopra della musica alta.

    Per un istante lo sguardo di gioia scomparve dal volto di Evan, poi Colt si ritrovò stretto tra i suoi due uomini preferiti. Evan gli appoggiò la testa sulla spalla e abbracciò Bran premendolo contro la schiena di Colt.

    «Non puoi ancora andartene,» pronunciò, facendoli ondeggiare al ritmo della musica.

    «Devo farlo. Domani mattina ho un colloquio,» argomentò.

    «Lo so, ma resta ancora un po’. È un’occasione speciale. Inoltre, dopo la luna di miele ci trasferiremo e ci mancherai.»

    «Anche voi mi mancherete,» replicò Colt, e ne era convinto nel profondo. «Ma voi due dovete iniziare la vostra vita insieme. Domani a quest’ora sarete da qualche parte su una spiaggia tropicale a fare solo Dio sa cosa.»

    Evan rise. «Sì, ma senza di te non sarà la stessa cosa.»

    Alle sue spalle Bran ringhiò giocosamente. Evan lo liberò per dare a Bran una pacca sulla spalla. «Intendevo le nostre vite, non il sesso in luna di miele!»

    Colt si spostò di lato, prima baciò Bran sulla guancia, poi Evan. «Divertitevi, e chiamatemi quando tornate. Solo perché non vivremo più insieme non significa che non possiamo tenerci in contatto. Voglio sapere tutti i dettagli sporchi.» Strizzò loro l’occhio e gli amici lo strinsero in un ultimo abbraccio, poi lasciò il ricevimento.

    Il rumore del portellone del pick-up che sbatteva riecheggiò contro le pareti della sala del ricevimento. Si sedette al posto di guida, poi si strofinò gli occhi e sentì che aveva le palpebre secche. Era stanco, ma era valsa la pena rimanere alla festa. I suoi amici gli sarebbero mancati.

    Evan e Colt vivevano insieme in quella casetta appena fuori dal campus da quando, cinque anni prima, avevano iniziato a studiare all’università. Bran era arrivato poco dopo e non se ne era mai andato, così loro tre e Snickers avevano costruito una casa felice.

    Dopo aver inserito il cavo nell’iPod, accese il pick-up e si immise sulla strada dirigendosi verso l’interstatale in direzione sud verso casa. Una volta superata la città densamente popolata, guidò lungo la strada principale attraversando vari sobborghi verso l’autostrada senza pedaggio.

    Il suono ricco e profondo della voce di Josh Turner riempì l’abitacolo mentre osservava il paesaggio passare dall’area dominata dal cemento alle aree fittamente alberate e infine agli spazi aperti. Quando arrivò a Salem, il panorama si era quasi del tutto appiattito, per miglia e miglia vide solo erba secca e qualche fattoria isolata che si stagliava contro le basse colline in lontananza.

    Poco dopo Albany, Life is a Highway di Rascal Flatts risuonò nelle casse e Colt recuperò le energie. Si sistemò meglio sul sedile raddrizzandosi un po’ e cantò per tutto il tragitto fino a casa. Quando entrò nel suo vialetto, le energie si erano esaurite. Le palpebre stavano diventando pesanti e le braccia sembravano pesare cento chili.

    Dopo aver preso il bagaglio, entrò in casa. Si rese conto che in quell’ambiente tranquillo mancava qualcosa. Non era stato accolto da un cane sovraeccitato. Aveva lasciato Snickers in una pensione per il fine settimana, ma tornare a casa e non trovarlo era tutta un’altra cosa. Fece cadere il borsone sul pavimento e puntò dritto alla macchinetta del caffè in cucina. Se avesse potuto infilarsi l’ago di una flebo di caffeina in una vena, l’avrebbe fatto. Aveva bisogno di recuperare le energie, e in fretta. Lanciò un’occhiata all’orologio sui fornelli e vide che erano da poco passate le nove. Aveva meno di due ore prima di doversi presentare al colloquio. Non c’era tempo per dormire.

    Lasciò il caffè in infusione, si trascinò in bagno, si spogliò ed entrò nella doccia. Armeggiò con le manopole finché l’acqua non diventò il più calda che riuscisse a sopportare e lavò via in fretta lo sporco accumulato durante il viaggio. Prima di terminare la doccia abbassò la temperatura dell’acqua per un rapido passaggio sotto il getto freddo.

    Uscì dalla doccia e si passò un asciugamano sulla pelle per asciugare le gocce rimaste, poi se lo strofinò sui corti capelli biondi per rimuovere l’umidità in eccesso. Si divertì a passeggiare nudo per casa, poi si diresse verso la stanza da letto.

    Stranamente, lui, Evan e Bran non avevano mai abbracciato la nudità in casa. Il problema non era che non si erano mai visti nudi. La settimana che avevano trascorso a Newport per girare le scene per la Sonic Street erano stati tutt’altro che morigerati per gran parte del tempo. Però, in qualche modo, in casa loro era diverso, un fatto che Colt attribuiva alla vena eccessivamente possessiva di Bran. A chiunque altro quel tratto poteva sembrare odioso, ma trovava che su Bran fosse dolce.

    Adorava le dinamiche di coppia dei suoi amici e sperava che un giorno avrebbe avuto anche lui qualcosa di simile. Non necessariamente un ragazzo che grugniva e ringhiava ogni volta che qualcuno invadeva il suo spazio, ma una persona che gli sarebbe stata fedele come lo erano Bran ed Evan, l’uno verso l’altro.

    Si scrollò di dosso le sue riflessioni e si diresse verso l’armadio, scelse la camicia che aveva meno bisogno di essere stirata, un bel paio di pantaloni e una cravatta. Forse si era vestito in modo un po’ troppo formale per un colloquio, ma quella sarebbe stata la sua prima esperienza in una scuola privata. Non sapeva come gestivano le cose.

    Inoltre, apparire al meglio non avrebbe fatto male e dopo diversi colloqui falliti con il distretto scolastico della zona, non era disposto a correre rischi. Aveva bisogno di quel lavoro. Tra i pagamenti della Sonic Street non ancora pervenuti e i suoi due lavori part-time, riusciva a malapena a sbarcare il lunario e presto sarebbe rimasto da solo. Quando Bran ed Evan se ne sarebbero andati, avrebbe avuto bisogno di molte più entrate per rimanere in quella casa con Snickers, altrimenti avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea di trasferirsi.

    Si guardò allo specchio e mentre si vestiva si fece un discorso di incoraggiamento.

    Andrai alla grande. Sei qualificato e intelligente, saresti un insegnante fantastico. Ti manca solo l’esperienza, ma arriverà con il tempo. Senza ombra di dubbio, ce la puoi fare.

    Il caffè era pronto, così lo versò in un’enorme tazza da viaggio che avrebbe portato con sé. Poi si aggiustò il nodo della cravatta assicurandosi che fosse centrato, si infilò le scarpe, per ogni evenienza prese un’altra copia del curriculum e uscì dalla porta.

    2

    Elliot Lawrence si svegliò di soprassalto, l’immagine di un volto familiare continuava a balenargli dietro le palpebre chiuse. Non riusciva a togliersi quella faccia dalla testa. Quegli occhi innocenti, spalancati dalla paura, perseguitavano le sue ore di veglia così come quelle dedicate al riposo. Gli si ribaltò lo stomaco per la millesima volta, il sapore acre della bile gli risalì in gola. Non aveva nulla da vomitare. Erano passati giorni dall’ultima volta che aveva mangiato. Represse l’impulso di rimettere inspirando lentamente attraverso il naso ed espirando.

    Il ronzio del cellulare che vibrava sul tavolino davanti a lui lo fece gemere e sporgere dalla poltrona reclinabile su cui aveva dormito. Non era bastato per fermare gli incubi, ma stare seduto davanti alla TV aveva dilatato il tempo di veglia finché, alla fine, il sonno non l’aveva reclamato.

    Prese il telefono e lesse il nome sul display. Laura. Sua sorella. Premette il polpastrello sullo schermo e lo avvicinò all’orecchio.

    «Ehi, Elliot,» pronunciò lei, con la voce ridotta a poco più di un sussurro.

    «Ciao, Laura,» rispose, sorpreso dalla sua voce roca. Suppose che fosse quello che succedeva quando non si parlava ad alta voce per più di tre giorni.

    «Sono davanti alla tua porta di casa. Sto entrando, okay?»

    Il suo tono era simile a quello che un genitore avrebbe usato per cercare di convincere il figlioletto a sedersi sulla poltrona del dentista. Era così incasinato che la sua sorellina lo trattava come un bambino.

    «Va bene,» mormorò lui, e cercò di reprimere il desiderio di scappare dal soggiorno e chiudersi in bagno.

    Sentì il rumore della chiave che veniva infilata nella serratura e del chiavistello che scivolava all’indietro prima che sua sorella aprisse la porta. Il fascio di luce proveniente dall’esterno gli ferì gli occhi. Li strizzò e aspettò che entrasse. Lei attraversò il soggiorno e gli premette un bacio sulla guancia. Il tocco lo fece irrigidire, il modo in cui lo trattava lo faceva sentire frustrato, ma si preoccupava troppo dei suoi sentimenti per dirle qualcosa. Sapeva che aveva buone intenzioni. Avvertì a malapena lo sfioramento delle labbra sulla pelle, il mondo esterno era del tutto dissociato dal tumulto che infuriava dentro di lui. Era come se indossasse un’armatura impenetrabile, la paura e l’ansia trattenute dal metallo spesso.

    «Ti ho portato del cibo,» pronunciò, raccolse le borse che aveva depositato vicino alla porta d’ingresso e le portò in cucina.

    Elliot pensò di alzarsi, di seguirla quasi, ma si sentiva le gambe di piombo, troppo pesanti per muoversi. Invece, si accasciò sulla poltrona e fissò la TV.

    Lei tornò pochi minuti dopo con uno sguardo speranzoso sul bel viso. «Hai voglia di fare una passeggiata?»

    «In realtà, no.»

    «Dai, Elliot. Non puoi rimanere rinchiuso qui dentro per sempre. Usciamo, prendiamo un po’ d’aria fresca.»

    «Preferirei di no, davvero,» replicò nel modo più educato possibile. L’ansia al pensiero di uscire di casa stava aumentando facendogli ribollire le viscere e rendendolo nervoso.

    Laura aprì la bocca come se volesse discutere, ma poi la richiuse e annuì comprensiva. «Okay. Forse domani, allora.»

    «Forse,» ribatté Elliot, consapevole che era una bugia. E lo sapeva anche lei perché lo guardò con tristezza. Elliot non riusciva a capire se odiava di più essere diventato un prigioniero in casa sua o deludere sua sorella. Entrambe le opzioni erano pessime, ma non c’era niente che potesse fare al riguardo.

    «Vuoi guardare la TV?» suggerì Laura, sedendosi sul divano davanti a lui.

    «Certo,» rispose, prendendo il telecomando e porgendoglielo.

    Lei lo prese, lo puntò verso il ricevitore via cavo e iniziò a fare zapping. «Qualche preferenza?»

    «No. Scegli tu.»

    Mentre Laura si soffermava per qualche secondo su ogni emittente, i numeri dei canali aumentavano. Prima un programma dedicato alle ristrutturazioni seguito da una partita di football, poi un programma culinario e infine il telegiornale.

    Quando sullo schermo si vide per un attimo il bagliore della canna di una pistola, Elliot balzò dalla poltrona, si precipitò in un angolo, si raggomitolò facendosi il più piccolo possibile e si coprì la testa con le mani.

    «Elliot!» gridò Laura. Poi scattò in piedi, gli corse dietro e avvolse le braccia intorno alla sua forma rannicchiata. Gli massaggiò la schiena disegnando con le mani lenti cerchi rilassanti che lo fecero ammutolire e gli sussurrò sciocchezze.

    Elliot non riusciva a distinguere le sue parole al di sopra del rombo del sangue che gli pulsava nelle orecchie. La sua voce sembrava provenire da mille miglia di distanza, bisbigliata in un campo ventoso. Le parole gli sfuggivano dalle orecchie prima che potesse comprenderle. Cercò di farsi ancora più piccolo chinando la testa tra le ginocchia e di respirare a prescindere dall’esplosione di immagini che lo stavano bombardando. Riusciva a sentire il sapore del sangue in bocca, il suono assordante dello sparo, a percepire lo shock che invadeva con delicatezza la scena raccapricciante.

    Il tutto si dipanava dietro le sue palpebre come già accaduto altre cento volte prima. Non c’era niente che potesse fare per fermare l’assalto dei ricordi. Si arrese al panico e alla desolazione mentre ancora una volta riviveva quel pomeriggio. E per tutto il tempo Laura lo tenne stretto cullandolo tra le braccia come se fosse un bambino a pezzi. E in un certo senso lo era.

    Alla fine, l’adrenalina svanì, la nebbia nel suo mondo si diradò e i colori tornarono nitidi. Si asciugò con rabbia le tracce salate che le lacrime gli avevano lasciato sulle guance.

    Era già abbastanza brutto che i flashback gli causassero attacchi di panico, ma che sua sorella ne fosse testimone peggiorava le cose. Si sedettero insieme sul divano, la piccola mano di Laura che stringeva la sua per non interrompere la connessione. Elliot la guardò con occhi pieni di dolore e rimpianto. Lei fece un respiro profondo come se non gli piacesse quello che stava per dire.

    «So che ne abbiamo già parlato, ma penso davvero che tu abbia bisogno di più aiuto,» iniziò, con voce calma e conciliante.

    «Sto bene. Vedo il dottor Mazur e mi sta aiutando,» replicò Elliot, ma mentre le parole gli uscivano di bocca era consapevole che nessuno dei due ci credeva davvero.

    «Non credo che lo stia facendo, ti voglio bene e quello che è successo, beh, non è stata colpa tua. Hai bisogno di qualcuno più qualificato.»

    Elliot si limitò a fissarla.

    «Penso che parlare con qualcun altro potrebbe aiutarti.»

    Elliot scosse la testa. Non era la prima volta che avevano quella conversazione ed era sicuro che non sarebbe stata l’ultima. Non sapeva cosa fare. La sua vita era distrutta e anche con l’aiuto del dottor Mazur rimettere insieme i pezzi era più difficile di quanto sembrasse. Inoltre, era l’unico strizzacervelli che era riuscito a trovare, che faceva visite a domicilio. Poteva gestire la situazione. La stava gestendo.

    «Ho solo bisogno di un po’ di tempo, Laura.»

    «È passato quasi un anno,» precisò con voce gentile.

    «E il rettore ha detto che potevo avere tutto il tempo che mi serviva.»

    Laura lo guardò scettica ma non discusse. Elliot si rilassò un po’ sapendo che per il momento aveva vinto la discussione.

    «Tra poco devo andare a prendere Jana a casa della sua amica. Vuoi del tè prima che me ne vada?»

    «Se non ti dispiace.»

    «Farei qualsiasi cosa per te, Elliot.»

    Sapeva che era vero. Amava sua sorella. Erano sempre stati vicini, ma non poteva scaricarle addosso tutto ciò. L’orrore che aveva trovato dimora dentro di lui era troppo. Non riusciva a esorcizzare i suoi demoni, ma non aveva intenzione di chiedere aiuto a sua sorella.

    Lei gli lasciò la mano, si alzò e andò in cucina. Elliot si rilassò sul divano, prese la coperta sullo schienale e se l’avvolse intorno. Sentì Laura che armeggiava in cucina, il rumore dell’acqua corrente che riempiva il bollitore e il tintinnio delle tazze nella credenza mentre gli preparava il tè. Si concentrò sul suo stomaco sperando che la bevanda rimanesse giù.

    Laura tornò pochi minuti dopo con una tazza fumante. La appoggiò sul tavolino davanti a lui e gli premette un bacio sulla fronte.

    «Devo scappare, ma ti chiamo più tardi per sapere come stai, okay?»

    Elliot annuì. «Grazie, Laura.»

    «Quando vuoi,» replicò con un debole sorriso. Raccolse le sue cose e se ne andò lasciandolo da solo con il vero e proprio incubo che era diventata la sua vita.

    3

    Un altro colloquio fallito. Colt cominciava a temere che non avrebbe mai trovato un lavoro. L’incontro era iniziato abbastanza bene, ma si era rapidamente rivelato un fiasco quando aveva capito che stavano cercando qualcuno nel cui curriculum comparivano più esperienze lavorative. Una parte di lui si sentiva demoralizzata per l’ennesimo rifiuto, ma l’altra parte, quella più importante, era irritata dal fatto che si fossero persino presi la briga di contattarlo per un colloquio. Nella candidatura aveva elencato le

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