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Aspettando la pioggia
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E-book412 pagine5 ore

Aspettando la pioggia

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Info su questo ebook

Essere cieca non ha mai fermato Ava Bennet, con il suo ottimo lavoro e una buona cerchia di amici, si sente a casa a New York. Ma ora non è in città, dove può essere libera e indipendente, ma nel paese di provincia che le ha dato i natali, per aiutare suo padre. La preoccupazione dei suoi genitori sul suo prossimo allontanamento rischia di farla impazzire.

Luke Walker è tornato a casa, ha finito di scappare dai demoni del suo passato. Si è congedato dall’esercito ed è pronto a fare ammenda con la sua famiglia, essere finalmente d’aiuto e lenire i sensi di colpa che da anni non lo lasciano in pace. Ma adattarsi alla vita da civile è molto più difficile di quanto si sarebbe aspettato. Sta iniziando però a pensare che forse gli sarà impossibile. Che forse ha davvero sbagliato a tornare indietro.

Il loro è un incontro di anime, perse e ritrovate. Un incontro che sembra avere i giorni contati, ma forse il destino non vuole che le cose vadano proprio così.  
LinguaItaliano
Data di uscita17 feb 2022
ISBN9791220702454
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    Anteprima del libro

    Aspettando la pioggia - Claudia Connor

    1

    Luke Walker se ne stava in piedi nel bagno del Marco’s Supper Club a fissarsi nello specchio mentre l’acqua fredda gli scorreva sulle mani.

    Aveva strisciato attraverso le giungle del Sudamerica quando aveva a malapena l’età per potersi definire un uomo, si era gettato dagli aeroplani e aveva fatto saltare porte con blocchi di C-4. Aveva mangiato sabbia in Afghanistan, Iraq, Turchia e in una manciata di altri posti in cui il governo USA non avrebbe ammesso di averlo mandato.

    A volte era stato divertente, l’allenamento, l’adrenalina, tutte quelle stronzate che aveva fatto con i ragazzi. Altre era stato spaventoso.

    Ma c’era sempre stato un altro giorno. Il mattino arrivava e c’era un’altra missione. Per questo i ragazzi odiavano andare in licenza. Non perché non volessero vedere le loro famiglie, ma perché se non si tenevano occupati, se non continuavano a muoversi, programmare, ricaricare, l’oscurità poteva scivolargli dentro. Per quanto fossero coraggiosi, avevano paura di essere soffocati da quell’oscurità. Ed era lì che si trovava adesso, dove era stato negli ultimi mesi.

    In pensionamento. In congedo permanente. A cercare di non lasciarsi soffocare, a fare del suo meglio per non darlo a vedere.

    In quel momento stava facendo di tutto per nasconderlo, mentre lavava via il vomito dalla sua camicia. C’erano troppi bambini piccoli e neonati al ricevimento di matrimonio del suo fratellino perché qualcuno non gli fosse piazzato in braccio. Perciò, mentre le donne si mettevano in posa per le foto, lui si era beccato il pargolo vomitante.

    Era difficile credere che un umano che pesava meno di dieci chili potesse contenere così tante… cose. Per l’amor di Dio, era un ranger dell’esercito e ne aveva sentiti di odori sgradevoli, ma quello stava avendo la meglio su di lui.

    La porta del bagno si aprì, lasciando entrare i suoni del salone di nozze che andava a pieno ritmo di swing.

    «Ehi, amico.»

    Luke fece un cenno con la testa all’uomo che si dirigeva verso gli orinatoi. Strizzò la camicia e poi la tese sotto i soffioni per le mani. Probabilmente anche la sua canottiera avrebbe avuto bisogno di una bella lavata, ma non era dell’umore giusto per nessuno degli sguardi, se non delle domande, che le cicatrici di guerra attiravano.

    Dieci minuti dopo, era di nuovo al bar improvvisato a guardare il suo fratellino che batteva il fianco contro quello della sua neo-sposa. L’allegro e fortunato giullare che non aveva mai incontrato una donna che non gli piacesse ora si era sistemato, e con un bambino. Quello di Nora, e ora ufficialmente anche di Zach. Un ragazzino simpatico che doveva avere un paio d’anni e aveva rubato loro la scena percorrendo la navata per portare gli anelli.

    Sembravano innamorati, Zach e la sua nuova moglie. Moglie. Buon Dio. Al pensiero, Luke scosse la testa. Anche suo fratello maggiore Nick aveva una moglie, adesso. La sua sorellina Hannah era una moglie. E questa era la vita, pensò, prendendo un sorso dalla fredda bottiglia ambrata. Era la normalità. Persone che si incontrano e si connettono tra loro. E la normalità di oggi era stata un piccolo matrimonio in una chiesa cattolica, seguito da un ricevimento in un club che serviva una cena a base di lasagne e poi offriva un piccolo servizio bar e una pista da ballo con il parquet.

    «Il prossimo ballo è solo per le signore,» annunciò la band. «Se avete un sistema idraulico maschile, levatevi dalla pista.»

    La band intonò un nuovo motivo. Le donne al bar strillarono e risero, spingendo i bicchieri nelle mani dell’uomo più vicino per potersi gettare nella mischia ondeggiante di quelle che cantavano «Respect!» scandendo bene la parola.

    Le donne riempirono la pista con la stessa rapidità con cui gli uomini si erano allontanati. Una quantità di camicie in varie gradazioni di bianco e di cravatte allentate intorno ai colli se non del tutto perse. Lui stesso aveva lasciato il suo cravattino da pinguino al tavolo cui era stato assegnato. E quasi ognuno di loro aveva fatto la fila al bar.

    Alcuni li aveva riconosciuti come i compagni della caserma dei pompieri di Zach, altri facevano parte del clan McKinney con cui si era imparentata sua sorella sposandosi. Il rumore intorno a lui aumentò quando gli uomini chiesero i loro drink. I baristi si mossero velocemente sistemando bicchierini di plastica e bottiglie sul bancone, servendo tutti con la stessa rapidità con cui l’ordine era stato fatto. Niente dice festa come un open bar a un matrimonio. Ma per quanto lo desiderasse, non lo diceva a lui.

    Erano mesi ormai che si addentrava nella vita da civile. O ci provava. Forse non si sforzava abbastanza visto che la sua pelle da civile non gli si adattava bene come quella da ranger. Ma, ancora, non era stato un militare inattivo per più di vent’anni. Era un ragazzino quando aveva firmato. Un ragazzino selvaggio, immaturo ed eccessivamente emotivo, talmente appesantito dal rancore che si era stupito di essere in grado di imbracciare un fucile. Ma l’aveva fatto.

    Era stato in grado di reggere un fucile e di tenerlo fermo. Aveva imparato a muoversi – di giorno e di notte – saltare ostacoli e macinare chilometri fino a quando gran parte della rabbia era stata assorbita dal sudore e sepolta dalla stanchezza. Forse era per quello che la vita da civile adesso era dura.

    Controllò l’orologio. Quasi le nove. Pensò che ci sarebbero volute almeno altre due ore prima che lo sposo e la sposa partissero. La giornata era iniziata con un brunch di matrimonio alle undici del mattino, e i suoi doveri di testimone continuavano da allora. Lui però aveva superato i suoi limiti di socialità ore prima.

    Esaminò l’altro capo della stanza, costellato di grandi tavoli rotondi, laddove era sopravvissuto alla cena. Tovaglie bianche, esili fiori verdi e rosa che sporgevano da tubicini di vetro al centro di ciascun tavolo. Fico, aveva pensato, anche se quelli non gli avevano fatto da scudo con nessuna delle nove persone che gli erano sedute accanto. Magari avesse potuto barricarsi dietro un recinto, tipo quelli che faceva a scuola con i fogli durante i test.

    Ma aveva annuito, si era persino sforzato di sorridere appropriatamente e aveva fatto del suo meglio per assomigliare a tutti gli altri, mentre dentro si sentiva ancora sporco di sudore come quando operava nella sabbia del Medio Oriente.

    Era stato fermo nella sua decisione di non portare nessuno e aveva dato del filo da torcere a sua sorella, la wedding planner. Lei non aveva insistito. Invece, lo aveva messo in coppia con una delle colleghe della sposa abbastanza vecchia per essere sua nonna. Un altro punto per Hannah.

    Un tempo aveva avuto gli ormoni impazziti e l’idea delle damigelle gli avrebbe fatto pensare al divertimento. Ora non c’era niente che lo entusiasmasse. Il suo sangue non era né caldo né freddo. C’erano volte in cui Luke si domandava se gli stesse ancora scorrendo nelle vene.

    Non per la prima volta, si guardò attorno e si chiese che diavolo ci facesse lì. Non in quell’edificio, o nello stato della Virginia, ma nel suo Paese.

    Era troppo tardi? Poteva chiamare il suo comandante e dirgli che era stato un pesce d’aprile? Perché aveva pensato di poter essere qualcosa di diverso da un soldato? Ma lo aveva pensato. O aveva pensato di volerlo, di aver bisogno di provarci.

    Il suo sguardo percorse la sala. La gran parte delle donne era sulla pista da ballo, mentre una manciata di persone sedeva a uno dei grandi tavoli rotondi ricoperti di stoffa bianca. C’erano coppie più anziane, tra cui riconobbe il capo dei pompieri di Zach e sua moglie. Una bionda che sedeva da sola intenta a sorseggiare un drink non di fronte alla pista, il che era strano visto tutto il trambusto che stavano facendo. Quel posto era una chicca per chi amava fare da spettatore, sempre che ti piacesse quel genere di cose. Forse lei non era tra quelli. Forse, come lui, sentiva il sovraccarico sensoriale. Non riusciva a vederla molto bene. Solo la sua schiena, con i capelli lunghi e chiari che scendevano oltre la parte superiore della sedia.

    Con la coda dell’occhio, Luke vide Nick dirigersi verso il bar. Si ordinò una birra e fece un cenno con il mento a Luke, a mo’ di saluto. Rimasero così, fianco a fianco, rivolti in direzioni opposte. Dire che si erano scontrati, tempo addietro, sarebbe usare un eufemismo. A diciassette anni, Luke non aveva avuto nessuna voglia di ascoltare Nick, il suo neo tutore di appena diciannove anni.

    Nick prese la sua birra e si voltò verso la stanza bevendone un lungo sorso. Luke notò che suo fratello esaminava la sala, individuando ciascuno dei suoi tre bambini prima di parlare. «Vuoi tenere su il bancone o stai prosciugando il bar?»

    Il tono di Nick era leggero, non d’accusa, quindi Luke represse l’atteggiamento che in automatico gli provocò la domanda del fratello. Si disse di non leggerci troppo dentro. Prima che potesse dargli una risposta, Zach fu lì.

    «Il mio testimone!» urlò suo fratello minore, mettendogli un braccio intorno al collo. «Ho bisogno che tu ci metta un po’ più di pepe. Togliti quel muso lungo.»

    Zach piroettò, riportando entrambi sulla pista da ballo. Quando i suoi occhi si concentrarono sulla sposa un sorriso sciocco gli si allargò sul viso e osservò Nora muoversi. «Quella è mia moglie,» disse. «Mi piace dirlo: mia moglie.»

    Era un miracolo che il sorriso non gli spaccasse la faccia. Luke non riusciva davvero a immaginarsi di essere così felice. Era un po’ inquietante.

    Uno degli amici della caserma dei pompieri di Zach, anche lui alla festa, si unì a loro e Luke alzò gli occhi al cielo. «Quante volte puoi dire mia moglie

    «Più di te,» gli rispose Zach, ricordandogli che era single. «E, con Dallas assente, tu sei l’unico fratello non accasato. Ehi, Nick.» Zach si chinò verso di lui. «Luke è l’unico fratello celibe in loco.»

    Nick sollevò un sopracciglio verso Luke e poi diede un’occhiataccia a Zach.

    Luke alzò la mano verso il più vicino barista. «Possiamo avere dell’acqua, qui?» Non era la prima volta che pensava all’assenza di Dallas quel giorno, e sperava che Zach non fosse troppo deluso che il suo gemello non ci fosse. Dallas, il quieto pensatore, lo studioso introverso, che li aveva lasciati tutti di stucco andando all’accademia di polizia e poi accettando un’offerta di lavoro al nord. Era sotto copertura e praticamente irraggiungibile.

    Il barista riempì due bicchieri di plastica trasparente e li mise sul bancone.

    «Bevi un po’ d’acqua, Romeo,» gli disse Nick. «Non vogliamo che tu deluda la tua sposa stasera.»

    «Cosa?» Zach prese uno dei due bicchieri d’acqua. «Ci sono molte donne qui. Non riesci a trovarne neanche una che balli con te?»

    «Non ci sto provando,» disse Luke.

    «Non credo riusciresti a convincere una ragazza a ballare con te nemmeno se volessi. Non con quell’espressione truce sulla faccia.» Depose il primo bicchiere e iniziò il secondo.

    «Magari no.» Non si sentiva truce, quella era solo la sua faccia, ma riuscì a fare un sorriso a suo fratello.

    «Ti voglio bene, fratello.» Prima che Luke riuscisse a schivarlo, Zach lo aveva afferrato per la testa e gli aveva piantato un bacio sul volto.

    «Okay. Magari dell’altra acqua.»

    «No. Non ne ho bisogno. Sono ubriaco d’amore.»

    Luke poté solo scuotere la testa. La band aveva terminato il ballo per le sole donne e richiamato gli uomini in pista. Quelli si sentirono in dovere di ubbidire, forse perché le donne erano tutte vestite eleganti, leggermente alticce e sui tacchi.

    «Vado a ballare con mia moglie.» Zach terminò il secondo bicchiere d’acqua e raggiunse la sua sposa, ma non prima di aver messo mano al portafogli e aver sbattuto una banconota di fronte a Luke. «Un centone che non riesci a convincere una donna a ballare con te.»

    Luke si limitò a fissarlo.

    «Se ne pentirà,» disse Nick scuotendo la testa.

    «Già. Sempre che se ne ricordi.» Luke fece scivolare la banconota in tasca con l’intenzione di tenervela per suo fratello. O magari l’avrebbe fatta scivolare nella cassa sul tavolo dei regali.

    La moglie di Nick, Mia, fece cenno col dito a Nick di avvicinarsi mentre puntava verso il bar. Gli prese la birra dalle mani, ne trangugiò un sorso e gliela restituì. «Chi tiene i bambini?»

    «Una delle colleghe di Nora,» disse Nick, indicandogliela con la bottiglia. «Gli altri sono con la signora McKinney e… chiunque sia seduto accanto a lei.»

    «Non capita tutti i giorni di avere così tante persone disposte a occuparsi dei bambini.» Mia prese di nuovo la birra e la finì, poi posò la bottiglia vuota sul bancone e afferrò la mano di suo marito. «Sfruttiamo l’occasione al meglio.»

    Luke li guardò tornare sulla pista da ballo. Gli era sempre piaciuta Mia, fin da quando lei e Nick avevano iniziato a frequentarsi al college. Era entrata in scena subito dopo che i loro genitori erano rimasti uccisi in un incidente d’auto e aveva portato in casa loro una ventata di tenerezza, ma al contempo di fuoco, tutta femminile. E sembrava anche riuscire a prendere Luke come nessun altro aveva fatto.

    Era contento di rivederli insieme ed era divertente osservare una cosina così piccola tenere in riga suo fratello. Uno dopo l’altro, gli uomini che assiepavano il bar come mosche sciamarono via, lasciando solo Luke. Strinse tra le mani la sua birra, pensando che gli sarebbe piaciuto passare al whisky puro, cosa che lo portò a riflettere sul fatto che gli sarebbe piaciuto bere quel whisky puro da solo. Ma non lo avrebbe fatto. Aveva paura di prendere quella china pericolosa. Aveva conosciuto più di un brav’uomo che aveva lasciato l’esercito solo per trovare nuovi demoni.

    Non ci doveva pensare. Non adesso. Non al matrimonio del suo fratellino. Se ci avesse rimuginato troppo, se avesse lasciato che i sentimenti o la consapevolezza della propria insensibilità prendessero piede, avrebbe potuto optare per quel whisky.

    Aveva tenuto duro tutto il giorno. Famiglia, cibo, sorrisi verso l’obiettivo in abiti inamidati. Bambini che correvano, che si dimenavano, adulti di tutti i tipi che parlavano sopra la musica, che ridevano. Cose che non avrebbero dovuto apparirgli estranee ma che lo erano. Il che lo faceva sentire ancora di più un pesce fuor d’acqua.

    Quasi sorrise immaginando un pesce che svolazzava nell’aria deglutendo e annaspando in cerca d’ossigeno. La cosa lo descriveva piuttosto bene. E ancora una volta lo portava a chiedersi: che diavolo ci faccio qui?

    Luke osservò Matt McKinney ballare con una delle sue bambine. Impossibile non confondersi: quell’uomo aveva qualcosa come sette bambini, pazzesco. Questa sembrava avere circa sei anni e aveva una testa di selvaggi riccioli castani. Al matrimonio, aveva fatto da damigella d’onore. Luke non poté fare a meno di sorridere quando vide che aveva perso non solo la sua coroncina di fiori ma anche le scarpe. Matt teneva la mano della bambina, facendola girare intorno al suo dito.

    Sembrava perfettamente a suo agio nel farlo. Sembrava divertirsi, essere al suo posto. E anche Matt era stato nell’esercito, perciò era un segno che la normalità era alla portata di tutti quelli come loro, oppure la prova lampante che Luke non era fatto della stessa pasta?

    Era stato spesso dai McKinney. L’uomo portava la sua bambina a cavalcare da Hannah, alla fattoria, piuttosto regolarmente e sua sorella aveva menzionato Matt non meno di una decina di volte da quando Luke era tornato.

    Sai, il fratello di Stephen, Matt, era un militare.

    Sai, Matt McKinney ha lasciato la Marina dopo tanti anni quanto te.

    E la chicca…

    Il fratello di Stephen, Matt, sembra davvero felice. Seguito dalle silenziose e supplichevoli domande che immaginava: Sei felice? Posso aiutarti a essere felice? Cosa posso fare?

    Più di ogni altra cosa, odiava sapere che Hannah si preoccupava per lui.

    Matt non lo fissava come la sua famiglia tendeva a fare, ma c’era comunque in lui un’amichevole preoccupazione. Luke non voleva che gli altri si preoccupassero. Non voleva che la gente cercasse di entrargli nella testa. Che si chiedesse se quello che aveva visto in guerra lo aveva reso diverso. Anche adesso, Hannah lo osservava dalla pista da ballo e gli faceva segno di unirsi a loro.

    Sollevò la sua birra a mo’ di scusa e si sforzò di sorridere. Era ciò che aveva visto e fatto. Ma non era la sola ragione. Sua sorella alzò gli occhi al soffitto e con grande sollievo di Luke tornò a rivolgere l’attenzione al marito. I due ballavano in gruppo con Nick e Mia, poi allargarono il cerchio per includere Zach e Nora. Nel complesso, i loro movimenti erano patetici, ma li facevano insieme, dimenandosi e ridendo.

    Per tutti quegli anni era stato parte di un gruppo, ma da quando se ne era andato la sua famiglia aveva creato le proprie connessioni. La propria unità.

    Sembrava che tutti in quella sala appartenessero a qualcuno. Era lui quello strano, l’escluso. Bevve, guardandosi attorno per provare la sua teoria. I suoi occhi si posarono di nuovo sulla bionda. Una risata roca esplodeva al suo tavolo, le due coppie che le sedevano di fronte sembravano divertirsi, ma lei in qualche modo pareva separata.

    Come lui, fuori. E perché diavolo sedeva da sola? Il suo accompagnatore l’aveva mollata?

    I capelli che le ricadevano a metà della schiena erano così chiari da essere quasi bianchi, e dritti come una cascata. Era voltata con il corpo, tanto che ne poteva vedere un braccio appoggiato al tavolo, perfettamente immobile. Le altre donne si muovevano continuamente, alzando il bicchiere, prendendo cucchiaiate di dolce, parlando animatamente agitando le mani. Pensò che non aveva mai visto una donna seduta con altre signore rimanere così immobile. Le acque tranquille scorrono profonde, pensò, senza ricordarsi com’era il resto della poesia.

    Cercò di guardare verso la pista da ballo, ma i suoi occhi continuavano a tornare al tavolo della donna in… non sapeva quale fosse il nome del colore dell’abito. Champagne rosé era la cosa più vicina cui riuscisse a pensare. Del tipo che aveva visto alle damigelle quando avevano brindato con delicati bicchieri. Qualunque fosse, era quieto come lei. Rilassante in tutto quel rumore e movimento. Aveva anche notato il retro del detto vestito, come le cadeva e la scollatura che le lasciava in vista buona parte della schiena.

    «Luke!» Suo fratello Zach lo chiamò dalla pista da ballo, sbracciandosi entusiasta verso di lui. «Vieni, amico!»

    Luke gli lesse le labbra, più che sentirlo, mentre i coretti della folla intonavano Sweet Caroline. Luke rispose con un cenno del mento per dirgli che l’aveva sentito, ma di nuovo sollevò la bottiglia in una specie di saluto e di scusa.

    Stava bene dov’era, o abbastanza bene, a tenere su il bancone del bar, a guardare gli altri fare baldoria, e avrebbe preferito restare lì tutta la notte. Finché non vide Hannah e Zach avvicinare le loro teste e poi l’espressione preoccupata di Hannah diretta verso di lui. La stessa che gli rivolgeva da quando era tornato.

    Sguardi preoccupati, voci sommesse e controllo. Stavano sempre a controllarlo come se fosse una bomba a orologeria che avevano paura esplodesse da un momento all’altro. Gli facevano accapponare la pelle. Non aveva bisogno della loro preoccupazione, non aveva bisogno di essere coccolato o di essere trattato con i guanti. Nessuno lo aveva guardato così nei Rangers. Nessuno si era preoccupato per il Capitano Walker, Prima Classe. Qui sembrava che tutti avessero il tempo di starsene seduti e osservare e chiedere.

    I tavoli erano perlopiù vuoti ora, erano rimasti soltanto gli uomini che si rifiutavano categoricamente di ballare, le persone con in braccio i bambini e alcuni gruppetti presi dalla conversazione. Mentre il suo sguardo vagava per la sala, vide di nuovo la bionda, giusto in tempo per coglierla che inciampava all’estremità del tavolo dei biscotti. Quello era l’effetto che faceva un po’ troppo champagne e non era l’unica ad aver esagerato quella sera. Non che la stesse giudicando.

    Continuò a guardarla, notando ancora una volta quanto fosse ferma ora che aveva ritrovato l’equilibrio. Pregava Dio che non stesse per svenire di faccia in un piatto di savoiardi.

    Animato da una motivazione, posò la bottiglia quasi vuota sul bancone e si avviò, con l’intento di evitare un potenziale disastro.

    Quando le si avvicinò, Luke vide che aveva un piattino in mano. Un piattino vuoto. Doveva ammettere che c’era una tale quantità di scelta da potersi sentire stravolti, ma non aveva mai visto una persona tentennare tanto… deliberatamente.

    «Non riesci a decidere?» chiese avvicinandosi.

    Lei sollevò il mento leggermente, e lui fu colpito da due occhi blu. Profondamente blu. Ma quegli occhi blu non incontravano i suoi.

    Oh, sì, è davvero brilla.

    2

    Luke la guardò attentamente, notando che anche sui tacchi era una spanna meno di lui. Notò anche altro, oltre gli occhi. La donna aveva un volto notevole e ancora non gli aveva risposto. Alla fine, lei sollevò il piatto vuoto che teneva in una mano e il bastone bianco che aveva nell’altra.

    «Difficile fare una scelta quando non puoi vederli,» disse con un sorriso dolce e un’alzata di spalle.

    Non riusciva a vederli? Non gli sembrava tanto ubriaca ora che le era vicino. Ma c’era qualcosa… I suoi occhi guardavano nella direzione del suo viso ma non incontravano esattamente quelli di Luke.

    «Sono cieca,» aggiunse lei, con noncuranza. Come se provasse semplicemente a lanciare il sasso e vedere come e dove sarebbe atterrato.

    «Oh,» ribatté lui, rimanendo assolutamente immobile. Per un attimo fissò gli occhi azzurro cielo che sembravano perfettamente normali, prima di riprendere: «Quindi se lì ci metto dei biscotti per me tu non te ne accorgi?»

    «No.»

    Lei sorrise, e fu così devastante che quasi lo fece indietreggiare di un passo.

    «Mi ci aveva accompagnata qualcuno, ma poi c’è stata un’emergenza con un bambino e…» Fece di nuovo spallucce. «Non sono ben sicura di quello che devo fare ora.»

    «In questo ti posso aiutare. Conosci il fenomeno del tavolo dei biscotti?»

    «No. Be’, ne ho sentito parlare stasera, ma non riesco davvero a immaginarmelo. Sto iniziando a pensare che potrei semplicemente saltarlo. Se potessi aiutarmi a tornare al mio tavolo…»

    «No.» Per niente al mondo l’avrebbe riaccompagnata per lasciarla seduta da sola. «Voglio dire, davvero, non dovresti saltarlo. E, per esperienza personale, che risale al matrimonio di mia sorella l’anno scorso, il modo migliore per affrontarlo è considerare prima le scelte e fare un piano d’azione. Non ti vorrai riempire il piatto per poi scoprire che c’era qualcosa di meglio alla fine?»

    «Giusta osservazione.»

    «Vuoi… o posso…»

    «Funziona meglio se ti prendo il braccio.» Fece scivolare il laccio in cima al bastone sul polso e tese la mano. «Se a te sta bene.»

    «Sì. Certo.» Lei sollevò la mano destra, gli toccò la manica della camicia sul polso poi trovò il suo bicipite. La sua piccola mano non lo afferrò con forza, ma con abbastanza fermezza da non perdere la presa.

    «Va bene?»

    «Sì. Grazie.»

    «Perciò, evidentemente,» disse lui iniziando a scorrere lungo il tavolo. «Questa cosa dei biscotti è un affare di stato in Ohio e Pennsylvania. E per qualche ragione è un affare di stato nel clan dei McKinney. E visto che mia sorella ha sposato un McKinney, ne godiamo ancora una volta i benefici.»

    «Oh. Hannah è tua sorella?»

    «Sì.»

    «Cosa che ti rende il fratello dello sposo, giusto?»

    «Giusto di nuovo. E anche se né mio fratello Zach né la sua neo moglie Nora sono dei McKinney, quando i McKinney sentono la parola matrimonio, fanno i biscotti. E le donne, essendo molto competitive, quando inizia a infornare una, infornano tutte.»

    «Sembra tu ne sappia molto al riguardo,» gli disse lei sorridendo.

    Lui sorrise di rimando, poi si ricordò che lei non poteva vederlo. «Mia sorella parla molto. Okay. Ci sono circa cinque, forse sei tavoli congiunti da un capo all’altro.»

    «Che aspetto hanno?»

    «Uhm… fammi vedere… be’…»

    Con il corpo, lei urtò un piatto troppo vicino al bordo e scattò indietro. «Merda!»

    «Nessun problema.» Luke si allungò verso di lei prendendolo prima che cadesse. «Come puoi vedere, o sentire, i tavoli sono pieni da straripare. Questa è una cosa. Ci sono piatti e vassoi che ricoprono i tavoli, e altri ancora sistemati su degli oggetti per tenerli in alto.»

    «Una descrizione molto maschile,» gli disse lei, prendendolo in giro.

    «Okay, alcuni sono su delle alzate piuttosto alte.» Le prese le mani, sollevandogliele per darle l’idea della misura. «E ci sono sparse delle candeline in mezzo.

    «Accidenti. Sono contenta di non aver rischiato la vita per un biscotto.»

    «No, merda. Sarebbe stato tremendo se per prendere un biscotto avessi messo la mano nel fuoco. Sai,» le disse facendo una pausa e guardandola, «quando mi sono avvicinato, ho pensato che fossi un po’ alticcia.»

    «Tu cosa? Hai pensato che fossi ubriaca?» Rise. «Perciò sei venuto per salvare me o per salvare i biscotti?»

    «Entrambi.»

    «Mmm.» Fece scivolare gli occhi nella sua direzione. «Immagino sia giusto così.»

    «Va bene. Siamo alla fine. Ora che ci siamo fatti un’idea delle scelte, torniamo all’inizio e carichiamo.»

    «Va bene, ma io non mi sono fatta un’idea di cosa scegliere.»

    «Giusto. Farò un lavoro migliore al secondo passaggio. Tu reggi il piatto e io lo riempio.»

    «Sembra un buon piano.»

    «Okay. I primi sono dei rotolini lunghi e sottili. Duri. Forse ripieni di una specie di crema di nocciole.»

    «Sembrano buoni.»

    «Va bene. Ne prenderemo due. Possiamo sempre tornare. Poi ci sono delle palline bianche. Sembrano ricoperte di zucchero a velo.»

    «Gnam.»

    «Sono d’accordo. Quattro di queste.»

    «Mi piace come descrivi le cose.»

    «Davvero? Tipo come?»

    «Be’, non come un critico gastronomico, ma come…»

    «Un uomo che mangia?» suggerì, e lei fece un altro sorriso.

    «Esattamente.»

    «Qui abbiamo delle cose bianche. Rotonde, croccanti, forse con un po’ di gelatina al centro? Penso che abbiamo bisogno di più informazioni.» Ne prese un morso. «Sì, gelatina. Fragola. Vuoi provarlo?»

    Lei strinse le labbra per trattenere una risata. «Aspetterò.»

    «Ottimo. Prendiamone tre.»

    Continuarono così, con lui che descriveva, a volte assaggiava, mentre lei lo teneva stretto con una mano e con l’altra reggeva il piatto che le riempiva. Disse di no a pochi e sì alla maggior parte.

    «No, merda,» borbottò Luke.

    «Cosa?»

    «Niente.» Ava fissava il tavolo con sguardo assente e lui si pentì immediatamente del suo niente. Tutto, niente di quello che vedeva era qualcosa. Qualcosa che lei non poteva vedere.

    Prese una borsa. «Ecco,» le disse, e le mise le mani intorno a quella. Lei la prese, la girò, percepì lo strato di carta sottilissima. Fece scorrere il dito sul fondo e poi sul bordo delicato e smerlato in alto.

    «Sono bianchi,» spiegò Luke. «E proprio al centro ci sono una Z e una N dorati. Zach e Nora.»

    Lei sorrise e gliela porse. «Carina.»

    «Sì. Carina,» disse lui, ma non stava guardando la borsa. «Va bene, scommetto che vorrai questi. Cioccolato, e a giudicare dalla forma sembrano Oreo ricoperti di cioccolato.»

    «Hai ragione. Dico di sì.»

    Luke stava per prendere i biscotti ricoperti di cioccolato, quando lei inciampò, emise un sussulto e gli afferrò il braccio, quasi rovesciando il piatto.

    «Wow.» La raddrizzò con delicatezza, afferrando il loro piatto e infilandolo con un po’ di sforzo tra gli altri sul bordo del tavolo. Abbassò lo sguardo e fece appena in tempo a vedere cosa l’aveva fatta inciampare: due piedini con scarpe e calzini bianchi corti e volant, che si ritraevano rapidamente sotto la tovaglia lunga fino al pavimento.

    «Ah. Sembra che abbiamo un ladro di biscotti.» Le lasciò andare il braccio e si inginocchiò, poi sollevò la tovaglia di qualche centimetro. Tre bambini poco più alti di una pinta sedevano con i grembi carichi di biscotti, ricoperti di zucchero, le bocche sporche di cioccolato. Rise pensando che era esattamente il genere di cosa che lui e i suoi fratelli avrebbero fatto. Luke non ricordava i nomi dei bambini e riconobbe due di loro come i gemelli McKinney, insieme a un ragazzino biondo che doveva avere all’incirca cinque anni.

    Ava si inginocchiò accanto a lui, allungò una mano e toccò una scarpina bianca con la fibbia. «Che cos’è? Ci sono dei topini sotto il tavolo? Con le scarpe addosso?» I bambini ridacchiarono. «Sanno di…» Inspirò con il naso. «Sembra che i topini siano entrati nello zucchero a velo?»

    «Non lo dire,» disse uno dei bambini.

    «Mmm. Forse avete bisogno di esercitarvi un po’ nella fuga e nelle tattiche di evasione,» disse Luke.

    «So come fare. Ci giochiamo sempre con nostro padre e ho detto a Caroline di non sporgere i piedi. Chi è lei?»

    Il bambino indicò la donna inginocchiata accanto a lui e Luke voltò la testa. Anche se avesse saputo il suo nome era sicuro che non sarebbe stato in grado di rispondere.

    «Ava. Io sono Ava.»

    «Luke. Walker.»

    «Ciao.»

    «Ciao.»

    «Comunque ce l’abbiamo fatta,» disse il ragazzino interrompendo la loro presentazione un po’ imbarazzata e tardiva.

    «La mamma ha detto che dopo potevamo averli, i biscotti.»

    «E ha detto di mangiarli sotto il tavolo?»

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