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Gli omicidi della città dei sogni
Gli omicidi della città dei sogni
Gli omicidi della città dei sogni
E-book253 pagine3 ore

Gli omicidi della città dei sogni

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Info su questo ebook

Omicidio: dal vivo e in Technicolor!

Un incarico sotto copertura dona a Jason West, agente FBI della squadra Crimini artistici, l’illusione di essere al sicuro dal suo stalker, il dottor Jeremy Kyser. Sebbene la storia del cinema e la conservazione delle pellicole non siano la sua area di competenza, si ritrova intrigato dal caso di un’insegnante della UCLA con legami importanti la cui famiglia pensa sia stata uccisa dopo aver scoperto un leggendario film poliziesco degli anni Cinquanta perduto.
Nel frattempo, dall’altra parte del Paese, il capo della Unità analisi comportamentale Sam Kennedy riceve notizie inquietanti: il Roadside Ripper, il serial killer che lui crede abbia ucciso il suo ragazzo del college, potrebbe non aver agito da solo.
LinguaItaliano
Data di uscita1 dic 2022
ISBN9791220704434
Gli omicidi della città dei sogni
Autore

Josh Lanyon

Author of nearly ninety titles of classic Male/Male fiction featuring twisty mystery, kickass adventure, and unapologetic man-on-man romance, JOSH LANYON’S work has been translated into eleven languages. Her FBI thriller Fair Game was the first Male/Male title to be published by Harlequin Mondadori, then the largest romance publisher in Italy. Stranger on the Shore (Harper Collins Italia) was the first M/M title to be published in print. In 2016 Fatal Shadows placed #5 in Japan’s annual Boy Love novel list (the first and only title by a foreign author to place on the list). The Adrien English series was awarded the All-Time Favorite Couple by the Goodreads M/M Romance Group. In 2019, Fatal Shadows became the first LGBTQ mobile game created by Moments: Choose Your Story.She is an EPIC Award winner, a four-time Lambda Literary Award finalist (twice for Gay Mystery), an Edgar nominee, and the first ever recipient of the Goodreads All-Time Favorite M/M Author award.Find other Josh Lanyon titles at www.joshlanyon.comFollow Josh on Twitter, Facebook, and Goodreads.

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    Anteprima del libro

    Gli omicidi della città dei sogni - Josh Lanyon

    1

    Era nel bel mezzo dell’incontro con Kapszukiewicz quando gli venne l’illuminazione: non stava per essere licenziato.

    L’agente speciale dell’FBI Jason West, della squadra Crimini artistici, rimase così basito da perdersi le parole successive pronunciate dal capo dell’unità Grandi furti della divisione investigativa che sovrintendeva ai Crimini artistici.

    «La cogli l’ironia della situazione?» chiese Kapszukiewicz.

    «Sissignora,» rispose lui laconico.

    Sì. Coglieva eccome l’amara ironia. E Sam l’avrebbe colta?

    «Per la cronaca, non ho mai condiviso l’idea che a tutti sia concesso un errore.»

    «Nossignora,» quasi deglutì Jason con voce roca.

    «Ti viene data una seconda chance, West, perché, con una sola eccezione, la tua performance negli ultimi sei anni è stata esemplare. Ti sei guadagnato il diritto a un errore. Uno. Un errore. E basta. Qualsiasi altro agente al mio comando uscirebbe da questa stanza senza distintivo e arma.»

    «Capito.» Jason inspirò profondamente. «E ripeto, mi dispiace mo…»

    «Non voglio sentirtelo dire.» Lo sguardo blu di Kapszukiewicz, solitamente pieno di calore, era glaciale. «L’opinione generale è che in questo caso ci siano sufficienti circostanze attenuanti. Io concordo. Ma non mi smentire. Non mandare tutto a puttane.»

    Sette minuti dopo, Jason uscì dall’ascensore privato, superò le telecamere di sicurezza, la reception, il banco delle guardie, l’enorme logo dell’FBI blu e oro posizionato tra due bandiere (una dei cari vecchi Stati Uniti d’America e l’altra del Bureau) e i metal detector del varco di sicurezza. Spinse le porte di vetro a prova di proiettile e abbandonò la tranquilla ufficialità del posto, fresco di condizionatore, per approdare al caldo e rumoroso marciapiede di Pennsylvania Avenue di un pomeriggio di luglio.

    Era quasi disorientante ritrovarsi di nuovo nel mondo reale, e ancora con un impiego. L’aria estiva odorava di gas di scarico, cemento caldo e rischi sfiorati.

    Si mise in tasca il laccio con il tesserino e si incamminò lungo l’esterno di cemento color camoscio con le sue finestre tutte uguali, squadrate e oscurate, incassate nelle profonde cornici nere. Come il suo eponimo, il J. Edgar non era un bell’edificio. Di fatto, quel particolare stile architettonico era noto come Brutalismo. Quando si dice essere letterali.

    Jason chiamò il primo taxi disponibile e balzò a bordo.

    «DoubleTree, Crystal City.»

    Il mezzo, che a malapena si era fermato, riprese velocità, scivolando agilmente nel flusso di traffico anonimo, l’ennesimo pesce che nuotava controcorrente.

    Jason si abbandonò sul sedile, si asciugò con la manica la fronte bagnata, allentò la cravatta e tirò fuori il cellulare. Fece il numero di Sam.

    Lui rispose al secondo squillo. «Dove sei?»

    «Diretto all’aeroporto. Be’, al DoubleTree. Ma va tutto bene. Sono a posto. Ancora a libro paga. Non sono neanche nel limbo.» Un’ora prima era convinto che la migliore conclusione possibile sarebbe stata la sospensione senza stipendio, o magari una pausa forzata per motivi di stress. Si sarebbe ritenuto fortunato in entrambi i casi. Quello era quasi più di quanto potesse sopportare.

    Sam rispose con voce tersa: «Ci vediamo allo Skydome Lounge.»

    «Sarai… sei ancora a Washington?»

    «Corretto.»

    Sebbene avessero volato insieme da L.A. a Washington D.C., l’idea era che Sam andasse in auto a Quantico e infine a casa, a Stafford.

    Jason allontanò il telefono e lo osservò dubbioso. Dopo averlo riportato all’orecchio, disse mestamente: «Avrai sicuramente pensato che fossi spacciato.»

    «No. Ho immaginato che Kapszukiewicz fosse troppo intelligente per gettare via il bambino insieme all’acqua sporca, ma non sempre si può prevedere.»

    «Io invece pensavo che sarei stato silurato.» Non era una bugia. Jason era andato a quell’incontro con la gioiosa sicurezza di un uomo che affronta il plotone d’esecuzione.

    Persino a basso volume gli arrivò forte e chiaro il sardonico: «Sei l’agente che ha ritrovato un Vermeer perduto da tempo, West» di Sam. «Licenziarti avrebbe fatto una cattiva impressione in TV.»

    Ahia.

    D’altronde era quello, in parte, a cui si riferiva Kapszukiewicz parlando di opinione generale. Lungi dal volere la testa di Jason su un piatto d’argento, l’agente speciale in comando Robert Wheat della sede di Los Angeles aveva scatenato un putiferio con la squadra Crimini Artistici di Salt Lake City per aver cercato di rubare il merito all’operazione – per dirla diplomaticamente – segreta di Jason. Wheat non si era spinto al punto di fingere di approvare le sue azioni, ma quasi. Era un tipo ambizioso, determinato a far avere alla sede di L.A. – e a se stesso – il merito di uno dei ritrovamenti artistici più importanti dell’ultimo decennio.

    «Sì. Già.»

    «Ne parliamo quando arrivi.» Sam terminò la chiamata.

    Jason affondò nel sedile e si asciugò di nuovo la fronte.

    Lo Skydome Lounge era un ristorante girevole con bar all’ultimo piano della torre nord del DoubleTree Hilton di Crystal City. L’arredo dai colori tenui, un incrocio tra George Jetson dei Pronipoti e George Washington, non era granché ispirato, ma nessuno ci andava per l’ambiente beige e neppure per la costata con l’osso. Ci volevano meno di quarantacinque minuti perché la cupola di vetro completasse il giro di 360°, e quando il tempo era limpido, come quel giorno, la vista sul Pentagono, sulla città e sul Potomac era fenomenale.

    Inoltre, i baristi dello Skydome erano maestri nell’arte del free pouring.

    Jason scandagliò la stanza, perlopiù deserta, e notò Sam seduto a un tavolo accanto alla parete di vetrate. Aveva appeso la giacca scura allo schienale della sedia e lavorava al portatile. Per un momento si concesse di godere della visione di Sam nei panni di Sam: il suo profilo duro, non esattamente bello, assorbito da ciò che stava leggendo, le maniche della camicia bianca arrotolate a rivelare avambracci muscolosi e abbronzati, un piede dalla calzatura elegante che si muoveva a un ritmo distratto ma incessante.

    A un tavolo vicino, due donne attraenti e ben vestite sussurravano tra loro e ridacchiavano squadrandolo.

    Per il resto, il ristorante era deserto. Una postazione da DJ giaceva vuota in mezzo alla stanza, circondata da una piccola pista da ballo in parquet che a malapena avrebbe contenuto tre coppie. Quattro grossi televisori sintonizzati sulla MSNBC pendevano dal soffitto, e raccontavano della costante mancanza di cooperazione praticamente da parte di tutti riguardo a tutto.

    Quando Jason si avvicinò, Sam alzò lo sguardo. La sua espressione seria si addolcì, anche se per notarlo si doveva sapere cosa cercare. Si tolse gli occhiali dalla montatura dorata e chiuse il computer.

    «Ehi,» disse Jason. Era ancora sconcertato – anche se felice, senza dubbio – di trovarlo in attesa al suo hotel.

    «Ciao.» Sam lo osservò. «Tutto okay?»

    Lui annuì, prese la sedia di fronte e si accomodò. «Sì. Sono solo… sorpreso.»

    Per tutto. La verità era che sentiva le ultime scosse di adrenalina. Come succedeva sempre dopo un rischio scampato. Si era preparato al peggio. Stava ancora cercando di elaborare il fatto che il peggio non si fosse realizzato.

    Sam fece un cenno con la testa alla barista, che attraversò la pista da ballo per raggiungerli. «Cosa bevi?» chiese a Jason.

    «Quello che c’è alla spina,» disse lui alla barista.

    Lei annuì. Rivolse un’occhiata al bicchiere vuoto di Sam. «Un altro?»

    Kennedy fece sì con la testa. Mentre la donna si allontanava domandò: «Cos’è successo?»

    Jason rispose cauto: «Kapszukiewicz mi ha detto che le hai telefonato.»

    «Ci siamo sentiti venerdì. Non era ancora giunta a una decisione.»

    Lui gli rivolse un sorriso sghembo. «Allora apprezzerai l’ironia. Secondo lei, dato che sia mio nonno che Roy Thompson sono deceduti non hanno… non hanno avuto alcun interesse attivo nel caso.»

    Sam aggrottò la fronte, riflettendo.

    «Se Thompson fosse stato ancora in vita e avesse subìto un’incriminazione, la possibilità che mio nonno gli avesse presumibilmente ordinato di rubare dei manufatti avrebbe potuto creare un conflitto di interessi, dato che mio nonno potrebbe essere stato, di nuovo presumibilmente, coinvolto in modo concreto nella condotta oggetto della mia indagine.»

    Jason colse il momento in cui si accese la lampadina. Gli occhi di Sam, dello stesso intransigente blu del logo dell’FBI, ebbero un guizzo. La bocca si incurvò ironica. «La tua indagine riguardava la proprietà delle opere, non se Thompson fosse colpevole di furto.»

    «Sì. Giusto.» Jason buttò fuori un lungo respiro. «Che mio nonno abbia ordinato a Thompson di prendere le opere e altri oggetti, cosa che non avrebbe mai fatto, o che Thompson abbia affrancato le opere per conto suo, il punto è che quel tesoro è stato comunque rubato.»

    Sam sembrava pensieroso. «Il modo in cui le opere sono state acquisite non influenzerebbe il risultato dell’indagine.»

    Lui rise e si asciugò gli occhi; la faccenda lo faceva ancora patire. «Giusto. In sintesi. E in sintesi, dovevo essere uscito di testa. Kapszukiewicz non era preoccupata per un conflitto etico. Ma per il fatto che io credessi ci fosse un conflitto etico, e agissi di conseguenza.»

    «È sempre l’insabbiamento, mai il crimine.» Sam aggiunse: «Non che tu abbia commesso né commetteresti un crimine.»

    Jason apprezzò che adesso la pensasse così. Tre giorni prima non sembrava di quell’avviso.

    «Giusto. È che… sono andato in tilt. Non so perché.»

    «Io sì,» ribatté secco Sam. «E anche tu. E pure Kapszukiewicz lo sa.» Non si era fatto scrupoli a far sapere che secondo lui Jason era in preda a un esaurimento. Probabilmente aveva condiviso quell’idea con Kapszukiewicz. Cosa che Jason non apprezzava ma che, visti i recenti eventi, non poteva contestare.

    Sam doveva aver ripensato alle proprie azioni e reazioni, poiché aggiunse: «Ecco perché parlare preventivamente con un consulente etico sarebbe stato utile.»

    «Sì. Concordo.»

    Sam aveva condiviso l’opinione negativa dello stesso Jason sulle sue azioni. Non sarebbero mai arrivati a riderci su, però sì, era stata davvero una lezione per entrambi. Su tutta una serie di cose.

    Jason gli rivolse un’occhiata mesta. «Allora, quando hai chiamato Kapszukiewicz venerdì? Prima di lasciare il Montana?»

    Le pallide sopracciglia di Sam si alzarono, educatamente interrogative.

    «Prima che tu arrivassi a Los Angeles. Prima che parlassimo.» Le ore durante le quali Jason aveva creduto che la loro relazione fosse davvero finita. E, ci avrebbe scommesso, le ore in cui anche Sam aveva creduto che il loro rapporto fosse agli sgoccioli. Perché vi aveva messo lui la parola fine.

    O almeno quella era stata la conclusione di Jason perché allora, come adesso, Kennedy non aveva detto niente.

    E continuava a non dire niente.

    «Grazie.» Jason controllò la propria voce. «Sul serio. Non eri obbligato a farlo. Specialmente visti i tuoi sentimenti su… tutto.»

    «Ho condiviso il mio parere con lei. Ma non posso dire al capo di un’altra unità come gestire il suo team. E se potessi non lo farei.»

    «No, lo so.» Eppure, a sentire Kapszukiewicz, Sam aveva, a modo suo, interceduto a suo favore. Ciò era bastato a sconvolgere Jason. Era come scoprire che il sole, di tanto in tanto, può sorgere a ovest e tramontare a est.

    Ne avevano fatta di strada, da quel confronto finale nell’ufficio temporaneo di Sam presso l’agenzia di Bozwin. Una distanza che non aveva nulla a che fare con i millecinquecento chilometri e rotti tra il Montana e la California. Anzi, la maggior parte del viaggio era avvenuto durante il weekend nel piccolo bungalow di Jason su Carroll Canal.

    «Tralasciando i sentimenti personali, sei un bravo agente, West. Sei la superstar della squadra Crimini Artistici. Penso che licenziarti sarebbe un errore di valutazione enorme. Per una serie di motivi.» Jason aprì bocca, ma Sam aggiunse: «E se parliamo dei miei sentimenti personali…» Fece un sorriso strano. «Credo tu sappia non c’è molto che non farei per te.»

    Jason voleva davvero evitare di essere beccato a piangere nella sua birra. Specialmente quando la birra doveva ancora arrivare. Rispose subito: «Ha chiamato anche George, chiedendo pure lui clemenza.» Lo aveva detto a mo’ di battuta, ma i tentativi del pacato agente speciale George Potts di salvarlo avevano significato per lui quasi quanto quelli di Sam.

    La barista arrivò in quel momento con le loro bevande. Kennedy sembrava avere un conto aperto. Quindi dopotutto non era diretto a Quantico?

    Jason sollevò il boccale smerigliato. Sam lo toccò gentilmente con il fondo del proprio bicchiere. «Bentornato, West.»

    Lui abbassò la testa in segno di assenso; ultimamente gli veniva il magone per le cose più bizzarre. «Geronimo.» Bevve un lungo sorso di birra.

    «Comunque, come dicevo, sei una risorsa preziosa.» Sam sorseggiò la sua bevanda. Eppure, quando i loro sguardi si incrociarono, la sua espressione colpì Jason in un modo difficile da spiegare. Non era esattamente empatia, ma una sorta di totale e profonda comprensione che gli procurò una sensazione strana nel ventre, facendolo sentire caldo e debole.

    Magari… be’, no, niente magari, non era un punto di vista giusto o persino accurato, ma lui aveva sempre creduto che esistessero delle condizioni legate all’… affetto di Sam nei suoi confronti. Adesso invece sembravano avere sconfinato in una terra di nessuno di consapevolezza e accettazione. Non aveva idea di cosa riservasse loro il futuro, ma si sentiva sicuro dei sentimenti di Sam in un modo mai sperimentato davvero e pienamente prima.

    Sorseggiò la sua birra, osservando un aereo atterrare al Reagan International. Entro poche ore sarebbe decollato anche lui. Ma non aveva intenzione di pensare oltre il momento presente, in quel tempo rubato con Sam. Dio solo sapeva quando si sarebbero ritrovati nella stessa città allo stesso momento.

    All’improvviso ricordò una cosa dell’incontro nell’ufficio di Kapszukiewicz ed emise un suono divertito.

    «Che c’è?» chiese Sam.

    «Mi ero quasi dimenticato. Kapszukiewicz ha detto che J.J. ha chiamato per dirle che si rifiuta di cambiare tre partner durante il periodo di addestramento sul campo e che preferirebbe io rimanessi alla sede di L.A.»

    Sam si strozzò con il suo whiskey sour. «Gesù Cristo.» Si affrettò ad asciugarsi il mento.

    Jason scoppiò a ridere.

    Presero un altro paio di drink e parlarono di tutto e niente. Il pensiero di Jason continuava a tornare alla conversazione con Kapszukiewicz, rivivendo ogni minuto di tormento. Era combattuto tra lo spudorato sollievo di avere ancora una carriera e la mortificazione all’idea di essere stato così prossimo a perderla.

    Una volta arrivate le cinque, il bar si stava riempiendo, e il livello di rumore aumentava di conseguenza.

    Sam alzò le sopracciglia. «Volevi ordinare la cena oppure…?»

    Jason si sentì gonfiare il cuore. Ecco la risposta a una delle sue domande. Sam sarebbe rimasto per la notte. Sorrise. «Oppure. Oppure, senza dubbi.»

    Lui arricciò le labbra. Spinse indietro la sedia.

    2

    L’ascensore era affollato.

    Essendo Washington D.C., l’hotel era pieno di impiegati governativi. Sam e Jason rimasero fermi in silenzio, spalla contro spalla, le mani che di tanto in tanto si sfioravano furtive, mentre con lentezza tornavano verso terra. Piano dopo piano, attendevano ogni volta con pazienza che l’ascensore si fermasse sobbalzando, che le porte si aprissero scivolando, la gente sciamasse dentro e le porte si richiudessero.

    Ogni volta che l’ascensore emetteva un ding, Jason pregava che non incrociassero qualcuno che conoscevano o, cosa più probabile, che Sam conosceva.

    Non perché stessero violando delle regole; il Bureau non aveva una norma secondo cui i dipendenti non dovessero fraternizzare. Ma perché imbattersi in un conoscente avrebbe voluto dire tardare.

    Sette fermate al rallentatore prima di raggiungere il piano di Jason.

    Alla fine misero piede nel corridoio, con le sue applique di ferro e la moquette pseudo-artistica nei colori cremisi-verde oliva-oro. L’aria odorava di prodotti per la pulizia e di un piacevole profumatore agrumato diffuso in modo strategico. La luce ovattata creava un effetto verdastro su ogni cosa, inclusi Sam e Jason. Si scambiarono dei rapidi sorrisi vagamente imbarazzati.

    Le porte dell’ascensore si chiusero alle loro spalle, e meno di un minuto dopo furono finalmente soli.

    Anche la camera di Jason offriva una visione panoramica dello skyline di Washington, che ora luccicava: il monumento a Washington, il Jefferson Memorial, il Lincoln Memorial, e ovviamente la Casa Bianca, silhouette iconiche con il tramonto sullo sfondo. All’interno c’erano la solita scrivania funzionale, il televisore a schermo piatto e, essenziale, un comodo letto king size.

    E il vero elemento di interesse era il letto.

    Jason gettò la chiave elettronica sulla scrivania, sganciò la fondina e mise da parte anche quella. Sam infilò la catena alla porta e buttò valigetta e giacca su una sedia in angolo. Mentre si spostava verso il letto si sciolse la cravatta e la lasciò cadere sopra il mucchio di roba. Posò l’arma sul comodino.

    A quel punto Jason si era tolto camicia e pantaloni. Sorrise, allungando una mano a slacciare i bottoni della camicia dell’altro con la velocità data dalla pratica. Sam gli sfregò il naso contro il collo, spostando le mani verso l’allacciatura dei propri calzoni. Jason gli fece scivolare dalle spalle l’inamidata camicia bianca e baciò la fiera sporgenza della sua mandibola.

    «Non che mi lamenti, ma perché sei rimasto, in definitiva?»

    Sam sfilò i piedi dai pantaloni e con le braccia gli cinse la vita, tirandolo a sé. «CFW.» Fece un sorriso beffardo, ma di una beffa rivolta a se stesso.

    «Coastal Flood Warning

    «Cosa Farebbe West.»

    «Cosa fa…» Jason scoppiò a ridere. C’era del vero. Se lui avesse pensato che Sam

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