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La misteriosa scomparsa della collana di perle
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E-book314 pagine4 ore

La misteriosa scomparsa della collana di perle

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Info su questo ebook

«Scintillante come Il grande Gatsby, avvincente e profondo.»
Publishers Weekly

L'eredità della collana nasconde un segreto prezioso

Da sempre la pecora nera dei Quincy, Nell è molto diffidente quando è convocata nell’elegante residenza di famiglia, dopo la morte della sua prozia Loulou. L’accoglienza tiepida dei parenti si fa persino più fredda quando, all’apertura del testamento, si scopre che Loulou ha lasciato a Nell un gioiello di grande valore: una splendida collana indiana nascosta in fondo a un cassetto. Più i parenti si fanno sospettosi e più la ragazza decide di fidarsi dell’aiuto dell’attraente e ambizioso avvocato che segue la causa. Ma la collana è molto più di un semplice prezioso, il monile infatti è legato a un antico segreto di famiglia. Tutto ebbe inizio quando Ambrose Quincy tornò da un lungo e pericoloso viaggio in India, nel 1920, con un regalo per May, la donna che intendeva sposare. Dopo il suo ritorno, però, Ambrose venne informato delle nozze di May con suo fratello Ethan, il ragazzo d’oro dei Quincy. Se vuole scoprire il vero significato di quel gioiello antico, Nell deve tornare indietro di quasi un secolo, per riportare alla luce i segreti più nascosti della sua famiglia. 

Una misteriosa collana indiana
L'affascinante età del jazz
Un romantico segreto da svelare

«Scintillante come Il Grande Gatsby, avvincente e profondo. Amore, perdita e segreti di famiglia che culminano in un finale perfetto.» 
Publishers Weekly

«Pieno di personaggi vividamente descritti, il libro di Claire McMillan è un complesso equilibrio narrativo di leggerezza e profondità. Una storia scritta con sapienza, empatia e una meticolosa attenzione per i dettagli storici.»
Kirkus Reviews

«I lettori si divertiranno a sciogliere il mistero della collana.»
Historical Novels Review
Claire McMillan
Ha lavorato come avvocato fin quando non ha deciso di dedicarsi alla scrittura, specializzandosi in scrittura creativa al Bennington College. È cresciuta a Pasadena, in California, e adesso vive con la famiglia di suo marito in una fattoria a Cleveland, in Ohio, insieme ai suoi due figli. La misteriosa scomparsa della collana di perle è il suo primo romanzo pubblicato con la Newton Compton.
LinguaItaliano
Data di uscita24 gen 2018
ISBN9788822718587
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    Anteprima del libro

    La misteriosa scomparsa della collana di perle - Claire McMillan

    2009

    L’antilope cervicapra

    Prima che tutto abbia inizio, Nell alza lo sguardo verso i timpani della facciata, esita davanti al pesante portone d’ingresso. Tutto qui è un esame. Nessun Quincy, neanche uno dei meno importanti, busserebbe a meno che non voglia annunciarsi in maniera aggressiva. Un vero Quincy entrerebbe di gran carriera, sicuro di essere il benvenuto. Lei invece spinge piano il cigolante portone e varca di soppiatto la soglia, come un’intrusa.

    Rischiarata dalla luce liquida che passa dalle finestre di vetro piombato, la testa impagliata di un’antilope la guarda dall’alto con vacui occhi di vetro. È un’antilope cervicapra, le pare che gliel’abbiano detto quando era bambina. Sulle orecchie ci sono chiazze spelacchiate, come se qualche piccola creatura avesse preso a mordicchiarle. Sul pavimento c’è un sottile strato di peli e polvere. Nell si sente come trascinata indietro nel tempo. Starnutisce.

    Sua cugina Pansy si gira verso di lei dal soggiorno e muovendo solo le labbra, senza parlare, formula la parola Gesundheit, poi torna a guardare il piccolo gruppo di donne che Nell non riconosce, anche se dovrebbe; sa solo che staranno di sicuro confabulando sugli ultimi dettagli della veglia di Loulou prevista per l’indomani.

    Come si può definire un raggruppamento di membri della famiglia Quincy? Una covata? No, quello è per le uova. Uno stormo? No, non sono mica corvi. Una corte? Ecco, perfetto. Una corte di Quincy le fa venire in mente il suo antenato, Increase Quincy, e i suoi verdetti famigerati in tutta Salem, spingendola a chiedersi se la propensione per il giudizio non sia codificata nella doppia elica della famiglia.

    Sente un braccio che le cinge la vita, poi qualcuno le dà un bacio su una guancia. «Nella Bella». Suo cugino Emerson, fratello minore di Pansy e suo coetaneo, segue il codice di abbigliamento dei Quincy, con giacca nera e cravatta. Tuttavia, appare malconcio. La cravatta, decorata con disegni di piccoli orologi, è sfilacciata lungo i bordi. A giudicare dall’odore, ha già avuto tempo di bere tre o quattro bourbon.

    «Ehi». Nell ricambia l’abbraccio, e non fa niente se Emerson sa benissimo che lei quel soprannome lo detesta. Non si vedono da qualche anno. D’altronde, non è strano che lei e i Quincy non si incontrino spesso.

    I suoi genitori hanno preferito trasferirsi in Oregon, dove si erano conosciuti, e dove vive anche Nell adesso. Hanno messo un intero paese tra la loro famiglia e i Quincy, prendendo implicitamente le distanze. Malgrado questa decisione, però, sua madre insisteva perché venissero qui in pellegrinaggio quasi tutte le estati. Durante il viaggio in macchina fino all’aeroporto, la istruiva di continuo sulle buone maniere da osservare: per favore, grazie, passa il vassoio degli antipasti prima di prenderli per te. Mentre il marito guidava, lei si girava di centottanta gradi sul sedile anteriore, appoggiata al bracciolo, e controllava che Nell avesse le unghie pulite.

    Una volta arrivati sul posto, i due adulti si trasformavano. Sua madre diventava più nervosa, era brusca con tutti, persino col marito, che pure adorava. Lui, a sua volta, di solito arguto e loquace, si faceva taciturno. Bevevano entrambi bourbon a pranzo, una cosa che Nell non gli vedeva mai fare altrove. E zia Loulou, così la chiamava sua madre, li guidava tutti nella grande sala per le cene e i pranzi formali. Si sedeva a capo di una tavola che riluceva di argento e vecchi broccati, e monopolizzava le conversazioni con la sicurezza di una bambina viziata alla quale nessuno ha mai detto di tapparsi la bocca. Era in quei frangenti che dispensava quelle che il padre di Nell definiva con caustico sarcasmo le sue perle di saggezza.

    «La pelliccia si indossa solo da Halloween a San Valentino», aveva detto Loulou una volta, con Nell seduta accanto a lei. Un insolito onore. Le aveva parlato in tono intimo, quasi da cospiratrice. Nell aveva fatto una grande attenzione all’etichetta, limitandosi a piluccare educatamente il cibo. Eppure ora non ricorda cosa avesse mangiato. L’elegante sicurezza di quella frase l’aveva deliziata, anche se oggi si chiede che senso avesse impartire una lezione del genere a una bimba di dieci anni. E, seduta all’altra estremità del tavolo, sua madre aveva assunto un’espressione tirata: faceva volontariato presso un’associazione animalista. Nessuno dei loro conoscenti, in Oregon, portava mai la pelliccia. Eppure, per Nell, quel consiglio era stato importante, quasi avesse segnato il suo ingresso nel mondo dei Quincy adulti. Le pellicce andavano indossate, e ovviamente bisognava seguire delle regole nel farlo.

    «Le scarpe rosse in realtà dovrebbero portarle solo i bambini e le prostitute», disse una volta Loulou a sua madre, senza sapere che Nell stava origliando. «Non credi che sia cresciuta un po’ troppo?». Anche se all’epoca lei non sapeva cosa fosse una prostituta, di sicuro non era una bambina, e così da quella volta in poi si era rifiutata di indossare le sue Mary Jane in finta pelle, con grande esasperazione di sua madre. Fino ad allora, erano state le sue scarpe preferite.

    E l’episodio al quale non riusciva mai a ripensare senza arrossire, ancora oggi, risaliva allo stesso giorno delle istruzioni inerenti le pellicce. «I denti dovremmo pulirceli quando siamo da sole, cara», aveva sussurrato Loulou, con perizia e tempismo perfetti affinché sentissero tutti i convitati. «È uno di quei piaceri che devono restare privati». Poi si era rivolta a sua madre: «Davvero, almeno le basi dovrebbe conoscerle, non trovi?». Arrossita fino alla punta delle orecchie, Nell aveva poi ammirato con gioioso stupore sua madre che si ficcava un dito in bocca, mirando a uno dei molari. Suo padre si era strozzato col bourbon in una muta risata.

    Adesso, Emerson la prende per un braccio e la scorta verso la stanza dei fiori, che ha sempre svolto le funzioni di bar, e prova a convincerla a bere un whisky con lui, anche se è solo l’ora di pranzo. Nell accetta il bicchiere. Rifiutare apertamente sarebbe ben più difficile.

    «C’è anche Vlad?», chiede poi. Il compagno di Emerson, Vlad, lavora al dipartimento restauri del Met, il Metropolitan Museum of Art di New York, ed è assai ben visto da tutti i Quincy. I due erano stati a un passo dal lasciarsi quando Vlad aveva preteso che Emerson la smettesse di vergognarsi e rivelasse la verità alla famiglia. Nell ancora non si capacita di come suo cugino abbia trovato il coraggio di portare Vlad lì alla fattoria. «Questa è una fattoria?», aveva domandato lui. Emerson aveva spiegato al suo amato, cresciuto nella Cecoslovacchia comunista, il concetto di villa di campagna per ricchi signori.

    «No, non c’è», le risponde con voce triste. «Lavoro. Ma gli è dispiaciuto. Erano molto legati, lo sai».

    Sì, Nell lo sapeva. Vlad era riuscito a incantare Loulou con la sua eleganza europea e la grande conoscenza dell’arte.

    «Non sono mica una bifolca», aveva dichiarato la donna, rimproverando Emerson dopo la prima visita del suo compagno. «Perché me l’hai tenuto nascosto?».

    «Ecco perché oggi hai cominciato a bere così presto», osserva Nell. «Se ci fosse anche lui, non te lo lascerebbe fare».

    «Se ci fosse anche lui, non ne avrei bisogno».

    Anche Nell vorrebbe avere qualcuno con sé, un più uno, un compagno, uno scudo umano. Di recente ha cominciato ad accettare il suo destino di donna sola, lo apprezza, persino, e non le è mai dispiaciuto. Ma in giorni come questo le manca una reale fonte di distrazione al suo fianco, un marito affascinante e di successo, magari, o un angelico bimbo dall’intelligenza precoce.

    Lieta della piccola divagazione offerta da Emerson, ora può rimirare con calma l’ambiente. Il Canaletto sopra il camino, nel soggiorno, appeso accanto a un calendario dell’arboreto locale appiccicato alla parete con il nastro adesivo. Una ciotola istoriata con l’imperatore di giada campeggia accanto a un portacaramelle di plastica a forma di mucca, che muggisce non appena qualcuno prende un dolcetto. La raccolta dei numeri del «National Geographic», risalenti agli anni Sessanta, una pila alta più di mezzo metro, è ancora per terra davanti alla libreria che ospita una collezione completa di prime edizioni dei saggi e delle poesie di Ralph Waldo Emerson, parente alla lontana dei Quincy al quale il cugino di Nell deve il suo nome. È come una raffigurazione della sua infanzia rimasta intatta, dal bicchiere di vetro spesso nel quale Emerson le ha versato il whisky, con le gocce di condensa che lasciano aloni circolari sul tavolo intarsiato, ai cracker Ritz con il formaggio cheddar su un vassoio scheggiato di porcellana. Nell ha sottovalutato l’impatto che avrebbero avuto su di lei tutti questi ricordi. E l’odore, un misto di muffa e deodorante per ambienti, sta incendiando il suo sistema nervoso, precipitandola in un condotto spazio-temporale nel quale ritorna ragazzina, intimorita, sgomenta e pervasa da un dolente bisogno di appartenenza.

    È sempre stata molto attenta a non far capire alla madre quanto la intrigasse quel ramo della loro famiglia. Aveva imparato in fretta quali dovevano essere le sue predilezioni. Malgrado l’impegno con cui sua madre si sforzava di impartirle la propria ritrosia a mescolarsi con i Quincy, i sentimenti di Nell sono da sempre tinti da una sfumatura di inconfessabile desiderio e di orgoglio segreto.

    Quando entra nel soggiorno, trova lo zio Baldwin sprofondato a un’estremità dell’amorino ad ascoltare i discorsi sui preparativi per la funzione dell’indomani, con un bicchiere ancora pieno di un indefinito liquido ambrato al suo fianco.

    «Ti ho conservato un posto qui, accanto a me», le dice, indicando il divanetto con un cenno del capo, senza saltare un punto del quadro a ricamo sul quale sta lavorando e che raffigura un elaborato ippocastano. Il ricamo gli fornisce da sempre ogni sorta di pretesto nelle riunioni di famiglia. Può mettersi in un angolo fingendo di non origliare, può ignorare una domanda o astrarsi da una conversazione mostrandosi assorto nel lavoro. E guai a chiunque osi anche solo inarcare un sopracciglio, per quel suo hobby tradizionalmente femminile. È un esempio perfetto di eccentricità nata dai privilegi, e Baldwin adora ostentarla.

    «Diamine, gli uomini sono i migliori ricamatori», è solito dire, mentre le dita tozze volano sui disegni di bandiere al vento o cani da caccia. C’è sempre un messaggio sottinteso, l’attestazione che probabilmente certe cose puoi capirle solo se sei un Quincy.

    Una volta, per Natale, ha spedito alla madre di Nell un cuscino con sopra raffigurato quello che doveva essere lo stemma di famiglia.

    «Oh, Signore», aveva esclamato lei nell’aprire il regalo, per poi metterlo subito da parte e non guardarlo neanche più. Anche se, Nell ne era sicura, avrebbe poi mandato un entusiastico biglietto di ringraziamento. Nell aveva trafugato il cuscino per portarselo in camera, mescolato al serraglio di animali di peluche. Ma ora non ha più idea di dove sia finito.

    Si accomoda accanto a Baldwin, grata della sfilza di domande sulla propria vita, con le quali può celare il disagio che sta provando.

    «Lavori ancora tanto, o hai trovato il tempo per qualche escursione? Non è questo che fate, lassù in Oregon? Escursioni nella foresta? Mangi il salmone, o sei diventata vegana?». È troppo compassato per ficcare il naso nella sua vita sentimentale. Anche se non si sa bene se sia una questione di buone maniere o se è dovuto al fatto che la moglie, la zia Sharon, è scappata dieci anni fa con un istruttore di pesca con la mosca e ora vive in Wyoming. Pansy e le altre hanno smesso di parlare dei programmi per domani, e si sono sintonizzate sulla loro conversazione.

    Nell non può fare a meno di pensare che l’artificiosa affettuosità di Baldwin e il silenzioso riflettore puntato su di lei la indichino come l’estranea, l’ospite. «In realtà noi non facciamo parte di quella famiglia», sospirava sua madre sollevata, mentre prendevano posto a bordo dell’aereo che li avrebbe riportati a Portland.

    Quando suona il campanello, un mondano ronzio digitale che da qualche anno ha sostituito i vecchi rintocchi, Nell si concede un sospiro di sollievo. È arrivato un vero non-Quincy.

    A giudicare dal tono formale delle e-mail col quale quest’uomo l’ha invitata all’incontro di oggi, si aspettava che fosse più grande di età. Ma Louis Morrell, avvocato specializzato in diritto patrimoniale, è in pratica suo coetaneo. La giacca ordinaria e la banale cravatta sono in contrasto con la testa rasata e il collo muscoloso di un uomo che pare trascorrere regolarmente del tempo in palestra. Nel complesso, l’aspetto è quello del braccio destro di un boss mafioso, completamente diverso dal tipico legale che Nell immaginava potesse assumere Loulou. Deve essere un ragazzetto del posto, ipotizza, ma poi si rammenta che i libri non vanno giudicati dalla copertina.

    L’uomo si toglie il soprabito e lo getta sulla lunga panca vicino al camino, come se fosse appena rientrato dopo una lunga giornata di lavoro. «Louis», dice per presentarsi, pronunciandolo Louie. «Come nella canzone». Le va incontro porgendole la mano, quasi quella fosse casa sua. «Lieto di conoscerti, Nell. Sei l’unica che non avevo ancora incontrato». Dal polsino della camicia si intravede il luccichio di un pesante bracciale fatto di anelli d’oro intrecciati.

    Lei gli stringe la mano, poi lancia un’occhiata a Pansy, come in cerca di conferme. ("Davvero? Questo qui?".)

    La smorfia sarcastica di sua cugina le trasmette un rassicurante senso di protezione. Una corte di Quincy, proprio così.

    Pansy non ha riguardo per nessuno. Già quando erano ragazzine, spesso prendeva in giro i più ingenui e si lasciava dietro quelli più lenti, inclusa la piccola Nell. Lo zio Baldwin le aveva dato quel nome perché gli sembrava rimandare ai vecchi tempi, portato da una zia da tempo defunta, e anche perché indicava un fiore, la cosiddetta viola del pensiero. Quel nome, però, che in inglese si usa anche come dispregiativo per gli omosessuali, aveva praticamente costretto Pansy a diventare una tipa tosta. Alta quasi un metro e ottanta e con il controllo del corpo di una maratoneta, il maglione sportivo e il pratico completo da corsa indossati persino a un incontro del genere comunicano il suo agio assoluto in quell’ambiente, e la dichiarano pronta ad affrontare qualsiasi evenienza: una corsa, il sollevamento pesi, una lotta. Al confronto, Nell si sente quasi fuori luogo con il vestito di sartoria che ha comprato proprio per questo viaggio, nella speranza che le conferisse un aspetto di naturale eleganza.

    Emerson si alza. «Piacere di rivederti». Si scambiano quel tipico abbraccio da uomini, con un braccio solo.

    È dunque evidente che Louis bazzica la casa da qualche tempo. Baldwin riesce a interrompere il ricamo abbastanza a lungo da poter sollevare tre dita e stringere la mano dell’avvocato, ma resta seduto. E questo a Nell sembra strano, considerando la natura di suo zio, di solito più conviviale. Poi Louis fa il giro della stanza, salutando le compagne di Pansy in ordine di importanza, chiaramente aggiornato sulle gerarchie di famiglia.

    Quasi fosse un tacito accordo, dopo questo scambio di convenevoli le donne vanno via. Non sono invitate all’incontro. Nell infila una mano nella borsetta, in cerca di una gomma alla nicotina, ma poi si ferma. «Niente gomme da masticare», le avrebbe detto Loulou. «Sembri una mucca che rumina».

    Una volta chiuse le porte della sala, Pansy smette di sorridere. «Sono l’unica da queste parti che fa le cose secondo un minimo di pianificazione. Sono tipo la matriarca, ormai, o qualcosa del genere». Si accascia su un basso sofà e mette i piedi su un tavolino pieghevole, incurante dei cardini cigolanti.

    «Sei tu il capo, ormai», dice Emerson. «Abituati».

    «Davvero?», ribatte lei. «Ti conviene essere più gentile con me. Connie Rensselaer preparerà una di quelle sue robe con gli spinaci, per domani. Le ho detto che sono la tua specialità preferita».

    Emerson fa una smorfia. Gli involtini di pita e spinaci di Connie sono sempre stati un disastro molliccio, non che ci fosse da meravigliarsi, considerando che i Rensselaer non sono greci e che a nessuno di loro importa granché del cibo, malgrado abbiano servitori d’ogni tipo e livrea, com’era solita dire Loulou.

    «Non ci credo».

    «E fai bene», ammette Pansy. «Ma non mi tentare. Le ho detto che la ditta di catering si sarebbe occupata di ogni cosa, ma lei ha insistito fino alla fine».

    Louis non dà segno di prestare ascolto a questo scambio di battute tra i due fratelli, e Nell riconosce in lui un collega professionista. Lei stessa ha affinato un talento simile durante le deposizioni e nei tribunali, e sa bene quanto sia difficile far sembrare naturale questa diplomatica forma di distrazione. Colpita da una tale perizia, decide che se uno degli studi legali più costosi della città, oltre a Loulou, da sempre una grande snob, hanno deciso di fidarsi di quest’uomo, lei può quanto meno concedergli il beneficio del dubbio.

    «Mi spiace per la vostra perdita», dice Louis, riportando l’attenzione sul loro incontro. Saper affrontare con tatto la morte è un requisito del suo settore di lavoro. Si siede su un amorino di chintz fin troppo imbottito, con le molle vecchie e rovinate che lo costringono a stare con le ginocchia al petto mentre rovista nella ventiquattrore, per disporre poi piccole pile di fogli spillati sul pavimento, finché Pansy non toglie i piedi dal tavolino.

    Emerson si sistema sulla sua sedia, con la paglia da tempo sfilacciata lungo i lati. Armeggia con il cellulare, così grande che sembra una fetta di pane tostato. Lavora per una delle grandi banche di New York, notizia che Baldwin gode nell’infilare strategicamente in qualsiasi conversazione. La crisi ha colpito anche lui, ma è riuscito a conservare il posto lavorando ancor più duramente. Quel cellulare è ormai una sorta di protesi del suo corpo.

    La postura scomposta e le maniere distratte dicono: Non capisco perché dobbiamo fare una cosa del genere. L’attenzione concentrata sul cellulare aggiunge: Sappiamo già tutti cosa ci sarà scritto in quei documenti. E Nell avverte il familiare miscuglio di invidia e desiderio che prova spesso quando pensa al ruolo rivestito da Emerson nella famiglia.

    Nell’e-mail, Louis chiedeva di poter incontrare tutti e tre i cugini, Emerson, Pansy e Nell, per esaminare e attuare il testamento, dal momento che sarebbero comunque stati in città per la cerimonia e la veglia funebre. In seguito, si sarebbe visto in privato con ciascuno di loro.

    Distribuisce le copie del testamento. Nell ha chiesto di averne una quando ha risposto alla sua e-mail, e gli altri devono aver seguito il suo stesso esempio. Con ogni probabilità l’avvocato non l’ha presa benissimo, ma da vero professionista non lo lascia intuire mentre le consegna il fascicolo.

    A mo’ di riscaldamento, comincia dai piccoli doni per le infermiere, poi passa agli enti caritatevoli che Loulou aveva capitanato per tanto tempo, seguiti infine da lasciti simbolici per i ben noti figliocci. Ne aveva una mezza dozzina. Non sarebbe necessario parlarne, e Nell si rende conto che se la sta prendendo comoda. Dopo un diplomatico lasso di tempo, e gli ovvi mormorii sul senso di tali specifiche, Louis va avanti.

    «Lo studio ha avuto il privilegio di lavorare con la vostra famiglia. Questa sarà solo una discussione preliminare, per stabilire le tempistiche con cui procedere». Distribuisce altri documenti, che vengono sfogliati e letti rapidamente.

    «E, come sapete, lo studio si è più volte e con gran successo occupato di famiglie come la vostra…».

    «L’esecutore testamentario è Nell?». Pansy lo chiede con calma, la schiena dritta come un fuso, i piedi ora sul pavimento. «Papà, tu lo sapevi?». Come un carcerato che ha affrontato abbastanza processi da poter consigliare a mo’ di avvocato gli altri galeotti, in quanto membro di una vecchia famiglia di bianchi privilegiati Pansy conosce abbastanza il linguaggio legale da saper leggere un testamento. Continua a fissare il padre. «Che significa?».

    Si sono tutti concentrati per prima cosa sul nuovo status di Nell. E lei percepisce l’impegno col quale si erano sforzati di sembrare cordiali mentre tenevano a freno la curiosità. Armeggia con le pagine che ha in grembo, pur di avere qualcosa da guardare, scossa com’è dallo stupore e da una punta di emozione. Si sente addosso gli occhi di Baldwin.

    Questi, intanto, si appoggia allo schienale del divano. «Sì, tesoro, lo sapevo. Ne ho parlato con tua nonna».

    «Come vedrete», interviene Louis, cambiando bruscamente argomento, «ha lasciato delle eredità molto specifiche a ciascuno di voi».

    Il prezioso Canaletto va a Emerson, insieme alle prime edizioni dello scrittore al quale deve il nome, una scelta assolutamente sensata.

    A Pansy spettano tutti i gioielli conservati in una cassetta di sicurezza giù in centro. Louis le consegna una piccola chiave e un foglio con sopra stampati password e codici pin.

    A Nell invece è toccata una collana.

    «Non siamo ancora riusciti a trovarla», le spiega l’avvocato. «Ma sono sicuro che sia qui, da qualche parte. Mi dispiace», aggiunge, forse perché si è accorto che lei ha raddrizzato la schiena, ora che il suo cervello di avvocatessa è entrato in funzione. «Ma tua nonna…». Nell trasalisce a quelle parole; per lei è sempre stata zia Loulou. «Scusa, la tua bisnonna verso la fine perdeva facilmente le staffe, e abbiamo deciso che non fosse opportuno riempirle la casa di sconosciuti in cerca di quel monile». È a questo punto che Nell entra completamente in modalità lavorativa, perché se quello fosse un suo collega ora gli farebbe una lavata di capo. In quanto consulente legale della famiglia, dovrebbe saperlo dov’è la collana. Avrebbe dovuto fare in modo che qualcuno la trovasse, non importa quanto Loulou fosse diventata irritabile.

    «Era abbastanza fuori di testa, alla fine», le dice Baldwin e poi, rivolto ai figli, aggiunge a voce più alta: «Stava accumulando rottami di argento».

    «Siamo riusciti a ripulire il seminterrato. Abbiamo inviato una squadra di persone molto delicate», spiega Louis direttamente a Nell, quasi fosse lei a comandare.

    «Hanno trovato una stanza piena soltanto di barattoli di vetro contenenti acqua putrida, una versione tifoidea di un rifugio anti-aereo», racconta intanto Baldwin. «E poi, le cianfrusaglie di argento, appunto». Rivolge a Louis un cenno del capo. «Ne aveva barili interi. C’era anche una scatola di scarpe con dei Krugerrand d’oro. E anche un paio di casse di Chartreuse».

    Nell si immagina una specie di grotta di Ali Baba nello scantinato con i pavimenti di terra battuta, solo che questa è piena di oro un tempo sottoposto a sanzioni internazionali, vecchia argenteria, e un liquore che sa di sciroppo per la tosse.

    «L’oro l’abbiamo fatto stimare ed è incluso nelle dichiarazioni», annuncia Louis, nel tentativo di mostrarsi competente. «Con l’argento sarà un po’ più complicato».

    «Era preoccupata per il crollo della società occidentale, nel senso che temeva davvero l’arrivo di Armageddon», racconta Pansy, e Nell non capisce se sua cugina condivide quei pensieri o sta solo cercando di giustificare la nonna.

    «Una cosa tipo l’apocalisse degli zombie?», interviene Emerson, gli occhi ancora puntati sul cellulare. «Ma non potevate farle investire tutto in titoli azionari o roba del genere?», chiede a Louis, che alza le mani in segno di resa. Gli avvocati non possono occuparsi di investimenti, e Loulou aveva ogni diritto di gestire il proprio denaro come meglio credeva, per quanto malsane fossero le sue idee. Lo sanno tutti.

    «Quindi, chissà se quella collana esiste davvero», prosegue Baldwin, rivolto a Nell. «Io non l’ho mai vista addosso a mia madre. Neppure una volta». Smette di ricamare quando alza lo sguardo e aggiunge: «Se non sbaglio disse che era maledetta, ma anche questa potrebbe essere una delle sue follie. A quanto pare, a te è toccata l’eredità immaginaria».

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