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La banda delle figurine: Un'indagine piemontese del postino-detective Leo Santeri
La banda delle figurine: Un'indagine piemontese del postino-detective Leo Santeri
La banda delle figurine: Un'indagine piemontese del postino-detective Leo Santeri
E-book198 pagine2 ore

La banda delle figurine: Un'indagine piemontese del postino-detective Leo Santeri

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Info su questo ebook

In una mattina di luglio, mentre il sole asciuga il territorio del lago d’Orta flagellato da due giorni di tempesta, dalle acque del porticciolo di Tortirogno affiora il corpo di un giovane sconosciuto. Leo Santeri, postino che “da grande” avrebbe voluto fare il detective, di ritorno da un giro di consegne vede la scena e si mischia alla folla di curiosi sul molo. Qualche giorno più tardi il giovane viene identificato come Marcello Toppi, figlio ventenne di un piccolo impresario edile locale. La presenza sul corpo di numerose contusioni e una ferita di arma da taglio scatenano la curiosità di Leo Santeri, che in nome dell’amicizia che lo lega al padre del giovane incomincia a indagare. Mentre esplora un’ansa del lago ritrova alcune vecchie figurine di calciatori che il capitano Razza, comandante della stazione locale dei carabinieri, gli sequestra apparentemente senza motivo. Leo Santeri scava nel mondo del collezionismo e nella cronaca del passato, in un caleidoscopio di personaggi e avvenimenti, mentre qualcuno nell’ombra invia messaggi minacciosi e uccide. Leo Santeri scoprirà tra le pieghe di una vecchia fotografia sgranata una storia caduta nell’oblio, quella dell’estate lontana di un gruppo di ragazzi appassionati di figurine divenuta tragedia, e un angolo di lago dove tutto tace.

Mario Barale nasce a Moncalieri nel 1966. Manifesta fin dalla tenera età l’avversione per la carta bianca, che riempie con immagini e parole, utilizzando qualsiasi cosa gli capiti a tiro, dai pastelli colorati alle frasi in dialetto piemontese dei suoi temi alle elementari. Terminati gli studi artistici, tiene una personale nel 1986 e inizia a lavorare come freelance nel settore grafico e pubblicitario, fino a cambiare pelle, entrando prima nella grande distribuzione e poi nel settore tecnico automobilistico, senza mai smettere di imprimere da qualche parte il proprio pensiero e raccogliere idee. Il sogno nel cassetto di scrivere e illustrare un libro tutto suo dorme un sonno inquieto fino al 2010, quando la nascita di Miriam scombussola gli equilibri, portando a galla la voglia di lasciare una traccia, magari invertendo le cose e raccontando con le parole quelle sensazioni materializzate fin lì solo in punta di matita. Con la complicità di un tablet da due soldi, gli intervalli mensa del suo lavoro da impiegato e molte ore rubate a sonno e vita coniugale il sogno diventa realtà, con la pubblicazione di una serie di tre thriller, seguiti da due racconti in antologie di concorsi letterari e un romanzo, sempre in bilico tra realtà e ombre di altri mondi. Immagini e parole si prendono finalmente per mano. Il sogno continua.
LinguaItaliano
Data di uscita1 mar 2023
ISBN9788869436772
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    La banda delle figurine - Mario Barale

    1 – IL DONO DELLA TEMPESTA

    Nuvole nere e gonfie di rabbia, spinte da correnti fredde scese dal nord, oscurarono il cielo nero sopra Orta nel corso del primo fine settimana di luglio, scaricando a intermittenza una furiosa tempesta di vento e acqua su tutto il territorio del lago e lasciando agli abitanti brevi finestre di quiete per mettere in salvo il salvabile.

    All’alba del lunedì un sole feroce restituì al paesaggio i suoi contorni, distorti dalla furia degli elementi.

    La Panda gialla del servizio postale, di ritorno dal giro di recapiti in collina, svoltò a bassa velocità verso il porticciolo di Tortirogno, mentre il campanile di San Pietro in lontananza batteva le dieci.

    Nascosto tra il volante e l’aletta parasole, Leo Santeri, postino locale con esperienza (anziano non era termine di suo gradimento) notò un gruppo di una ventina di persone ferme sul molo intente a discutere animatamente, indicando qualcosa nell’acqua. Dopo avere controllato l’orologio per verificare di essere nei tempi della tabella di marcia scalò in seconda e abbassò il finestrino, per tentare di percepire qualcosa mentre accostava per fermarsi a guardare.

    Brutta bestia, la curiosità.

    L’aria era immobile, il silenzio rotto solo dal brusio caotico delle voci.

    Il postino scese dalla Panda e si avvicinò alla banchina, sporgendo la testa dal fondo della fila allineata sul molo, per cercare di capire che cosa potesse avere attirato tanta gente in riva al lago a quell’ora insolita.

    Il corpo galleggiava a testa in giù, incastonato in una tela fluttuante multicolore, fatta di immondizia, residui di legno e fogliame.

    A metà pomeriggio, concluso il turno di lavoro, Leo Santeri passò all’ufficio postale per posare la Panda, sbrigare le ultime faccende e prendere la Vespa, tornando ad essere un uomo libero.

    Rientrato a casa, sulla collina di Legro, aprì il cancello e salutò con una carezza un Pedro particolarmente festoso, facendolo salire sulla pedana della Vespa per portarlo a bassa velocità in garage insieme a lui.

    Quanto piaceva quella piccola attenzione a quel bastardino di mille colori, il cane più ruffiano, furbacchione ma anche affettuoso che avesse mai avuto.

    Dopo aver dato due accelerate a fondo spense il motore ed issò la Vespa sul cavalletto accanto all’altro pezzo da museo di casa, la vecchia Fiat 127 Rustica beige appartenuta a suo padre, che teneva lustra come non era stata mai, nemmeno quando era uscita dal concessionario, quasi quarant’anni prima. Gli sembrava ancora di sentire la sua voce soddisfatta, roca e profonda, quando l’aveva portata a casa: è una Fiat brasiliana, ma la montano alla Lamborghini, quindi è un fuoristrada da corsa, va dappertutto…

    Anche il vecchio adesivo dell’Associazione Nazionale Alpini col disegno del cappello verde, incollato da suo padre sul lunotto, era ancora al suo posto. Quanto ne andava fiero.

    Era bello conservare la memoria negli oggetti che l’avevano attraversata negli anni.

    Mentre sistemava il casco sulla sella della Vespa, adocchiò la ragazza del vecchio calendario da gommista che ammiccava seminuda dalla parete sopra al banco da lavoro, ormai da molti aprile. Chissà come sarebbe stato vederla oggi, magari dopo tre figli e molti cambi di olio. Il tempo dei pomeriggi passati con gli amici a smontare pistoni e pasticciare coi carburatori in quel garage profumato di olio e miscela era volato via troppo in fretta, e quella che era la casa dei suoi genitori era diventata in un giorno infinitamente triste la sua. Solo quel vecchio calendario non era mai cambiato.

    Nostalgie di un uomo di mezza età.

    Lo specchietto della sua amata Vespa non faceva sconti. Nonostante il fisico avesse retto bene alla cucina di sua moglie Lucia, sul naso aquilino (a coprire gli occhi verdi da rubacuori) erano spuntati col tempo un paio di occhiali, il vecchio testone riccio stile afro era diventato una distesa lucida punteggiata di capelli grigi e della barba ribelle di gioventù un po’ alla volta (complice il caldo dell’estate) era rimasta solo la mosca sul mento. Leonardo Santeri, piemontese d’importazione terrona classe 1960, si avviava lentamente (ma solo col pensiero) all’età della pensione, anche se lo spirito era rimasto lo stesso. In un angolo del garage era ancora appeso alla parete il gagliardetto del San Giulio AC, anni passati a correre dietro ad un pallone nelle divisioni minori inseguendo un sogno, fino a quell’incidente col motorino che lo aveva costretto a dire addio all’agonismo. Una vita chiusa in un garage.

    Con una punta di malinconia lucidò il fanale della Vespa e si voltò, dirigendosi verso casa.

    Lucia lo aspettava in cucina, intenta a preparare la salsa di pomodori.

    Gli sorrise con dolcezza da dietro gli occhiali, assediata da una distesa di barattoli.

    I suoi occhi scuri erano diventati ancora più belli e impenetrabili, e anche nascosti dietro alle lenti erano ancora capaci di stregare.

    Leo Santeri accennò un saluto con la mano, sbirciando con affetto la sua chioma di ricci neri e ribelli e i primi fili bianchi che la attraversavano. Il tempo non faceva sconti a nessuno.

    Quando trentasei anni prima l’aveva conosciuta aveva amato da subito il suo carattere forte e determinato, per accorgersi solo in un secondo tempo di quanto non fosse altro che una maschera per nascondere al mondo la sua fragilità interiore. Giorno dopo giorno aveva imparato quali fossero i suoi limiti, evitando così di provocarle dispiaceri, che comunque nella coppia non erano mancati, come quando avevano scoperto di non potere avere figli. Molte stagioni erano trascorse da quei giorni bui, e il tempo aveva lentamente fatto riassorbire il livido, conservandone memoria.

    Ora erano una coppia tranquilla che viveva una vita piuttosto ritirata, con un cane multicolore, pochi amici e qualche parente più o meno lontano, che tra mille vane promesse e inviti a salve ritrovavano poi solo in occasione di matrimoni e funerali.

    Un postino e una maestra elementare anonimi, come tanti.

    La notizia del ritrovamento del corpo del giovane fece rapidamente il giro del lago, senza tuttavia che qualcuno ne avesse fin lì denunciato la scomparsa o che anche solo uno tra i presenti fosse riuscito a vederne il volto per poterlo riconoscere. La possibilità che si trattasse di una disgrazia venne depennata non appena il medico legale ebbe refertato, oltre ai numerosi traumi conseguenti ad una probabile caduta, una profonda ferita da taglio all’altezza della clavicola sinistra.

    Il ragazzo, dell’età apparente di circa vent’anni, vestiva abbigliamento tecnico sportivo, non aveva tatuaggi o piercing che potessero facilitarne l’identificazione ed era privo di documenti o telefono cellulare. I media si limitarono a dare notizia del ritrovamento di un corpo nelle acque del lago, senza aggiungere particolari, anche in virtù del flagello che si era abbattuto in quei giorni nella zona, che lasciava aperte le ipotesi più disparate sulla causa e sul luogo del decesso.

    Il riconoscimento della salma avvenne due giorni più tardi, ad opera del padre di un giovane del luogo.

    La firma sulla ricevuta scivolò via con indifferenza.

    Leo Santeri notò lo smarrimento negli occhi dell’uomo. Conosceva Luigi Toppi da molti anni, e quello non era il suo volto consueto.

    – Gigi, che succede? Ti vedo turbato. Va tutto bene?

    – Non proprio, ma…

    – Ma?

    – Ma.

    – È successo qualcosa?

    – Ti devo salutare, Leo.

    – Va bene. Si tratta di tuo figlio?

    L’uomo strinse le spalle, sul punto di piangere. Poi chiuse il cancelletto e si allontanò verso la casa senza aggiungere altro.

    Leo Santeri salì sulla Panda e mentre controllava l’indirizzo di consegna degli ultimi due pacchi, in quel giovedì così strano, rivolse un ultimo sguardo alla recinzione dell’elegante villetta di Luigi Toppi e alla moto del figlio, parcheggiata sotto la tettoia. Marcello era un tipo schivo, amante dello sport e aveva circa vent’anni, l’età apparente del ragazzo ripescato nel lago. Un brivido corse lungo la sua schiena. Ricordava bene la morte di Lorena, la moglie di Luigi, quindici anni prima, e lo aveva sempre ammirato per come fosse riuscito a tirare su da solo quel bambino timido e gracile, facendone un uomo.

    "Ma, aveva risposto Luigi. Ma" voleva dir niente, o forse avrebbe potuto voler dire tutto.

    Leo Santeri accese il motore e prima di fare manovra puntò lo sguardo nello specchietto retrovisore.

    Nella sua mente rimbalzava nervosamente una brutta notizia, mentre nei suoi occhi riflessi nel rettangolo di specchio brillava la luce di un presentimento oscuro.

    Avrebbe voluto sapere, ma avrebbe voluto tanto sbagliarsi, per una volta.

    Mentre scendeva verso la provinciale per un attimo fu tentato di allungare leggermente il giro di consegne per andare a scambiare quattro chiacchiere col suo amicone, il Capitano Razza alla caserma dei carabinieri di Orta, con la scusa di una vecchia multa mai pagata. Il pensiero durò il tempo di un giallo al semaforo, poi finì nel cestino, per evitare scontri inutili.

    Avrebbe fatto di testa sua, come sempre, e le occasioni per fare scintille coi rappresentanti dell’Arma non sarebbero di certo mancate.

    I timori di Leo Santeri si rivelarono fondati durante il TG regionale di quella sera stessa.

    Il corpo restituito nei pressi di Tortirogno dalla furia delle acque torrenziali riversatesi nel lago era quello di Marcello Toppi, che avrebbe compiuto vent’anni nei primi giorni di settembre. La notizia, fredda e asettica, parlava di indagini in corso e di morte per cause in via di accertamento. La parola delitto non trapelò mai dalla voce del giornalista.

    Leo Santeri passò la serata a fissare il telefono sul tavolino, combattuto tra il desiderio di chiamare Luigi per confortarlo e la paura di ferirlo più profondamente, magari solo per aver detto una parola di troppo. Il telefono rimase in silenzio.

    Il sole del mattino filtrava pigramente attraverso i vetri della grande finestra affacciata sulla piazza dell’ufficio al primo piano, facendo danzare nell’aria i pulviscoli di polvere.

    Il campanile ruppe il silenzio nella grande sala rintoccando le dieci e sovrastando il brusio della radiolina che trasmetteva le previsioni del tempo. Il telefono fece sobbalzare l’uomo seduto alla scrivania, intento a leggere una email. Andrea Emanuele Villardi, ma per tutti semplicemente Andrea, direttore del giornale locale e amico di Leo Santeri dai tempi dei dinosauri, chiuse la posta sbuffando e rispose al terzo squillo.

    La voce del lago, buongiorno, sono Andrea, cosa desidera?

    – Ciao boss, sono Leo.

    L’uomo scoppiò a ridere.

    – Leo Santeri, ti stavo aspettando come la merda ancora fumante spalmata sul marciapiede che fa l’occhiolino alla suola di un paio di scarpe firmate. Buongiorno postino detective, come stai? Non posso certamente dire qual buon vento ti spinge a chiamarmi, giusto?

    – Giusto.

    – Fammi indovinare: vuoi sapere qualcosa in più del delitto del giovane Toppi, qualcosa che al telegiornale non hanno detto, o perché non avevano tempo sufficiente in scaletta o perché non avrebbe fatto abbastanza notizia. Dettagli di serie B, apparentemente poco importanti, ma ottimi da mettere sotto la lente e analizzare al microscopio, per uno come te.

    Leo Santeri sorrise.

    – Prendi un bicchiere d’acqua, ti sarà venuta sete dopo questo fiume di parole…

    Andrea sorrise divertito.

    – È praticamente impossibile che accada, sono abituato a parlare e scrivere molto, dopotutto con la mia loquacità ci pago le bollette e il mio imminente divorzio.

    – Vero. Posso passare da te in mattinata?

    – Francamente sono un po’ preso, e considera che il tuo amico fraterno con la divisa milanista è passato spesso da me ultimamente. Eviterei di farmi vedere qui, per qualche giorno. Poi fai come credi.

    – Se le cose stanno così, meglio evitare. Hai niente da raccontarmi, comunque?

    L’uomo prese un respiro profondo.

    – Sei un martello a propulsione eterna…

    – Esatto.

    – Io ho raccolto qualche parola dai ragazzi del battello turistico, quelli che hanno trovato il corpo. Nessuno di loro l’aveva riconosciuto perché era a testa sotto, comunque sono arrivati i carabinieri e la scientifica e anche se ci hanno fatto sloggiare ho visto quando hanno rivoltato il cadavere.

    – Visto come?

    – Mai uscire senza teleobiettivo, se ti porti la macchina fotografica. Regola numero uno quando sei sempre il primo ad essere allontanato in malo modo dalle forze dell’ordine.

    – Cos’hai fotografato?

    – Le foto non le posso pubblicare, Razza mi ha pinzato a girare col cannone in mano ed è stato piuttosto chiaro in merito. Prima che mi vedesse però qualcosa sono riuscito a scattare, abbastanza per farmi un’idea. Non ti offendere, ma le foto non posso fartele vedere.

    – Non mi offendo, capisco. Comunque il ragazzo era ridotto molto male?

    – Io non l’ho riconosciuto, però viso e testa erano gonfi e tumefatti, qualcosa di brutto, probabilmente una caduta, magari sugli scogli di qualche caletta.

    – Non un pestaggio?

    – Direi di no, c’era un grosso graffio tra collo e guancia, il segno di una strisciata piuttosto violenta, magari sul terreno o un ramo d’albero, ma non era roba piccola, da rissa.

    – Solo questo?

    – Se hanno taciuto non può esserci solo questo, ti pare?

    – No.

    – Ti sei fatto un’idea?

    – Difficile. Il tempo ha dato di matto per due giorni e con la sua furia avrà sicuramente cancellato ogni possibile traccia.

    – Vero, e allo stesso tempo il decesso, anzi, chiamiamolo pure il delitto può essere avvenuto quasi ovunque, le correnti sono state stravolte, e trasportare un corpo a galla era come trasportare un qualsiasi ramo d’albero.

    – L’ho pensato anch’io. Il lago non è enorme, ma nonostante le telecamere piazzate ormai ovunque i posti dove gettare un corpo in acqua indisturbati non mancano di certo.

    – No. In ogni caso non era lì da molto tempo, e infatti secondo suo padre è uscito di casa venerdì nel primo pomeriggio, dicendo che

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