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Heartless Player: Senza cuore
Heartless Player: Senza cuore
Heartless Player: Senza cuore
E-book289 pagine3 ore

Heartless Player: Senza cuore

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Info su questo ebook

Rebel
Noto rubacuori, bello come il peccato e capitano della squadra di hockey, Wolfe Judd è il ragazzo più amato del campus. Potrebbe avere tutte le ragazze che vuole… e ha scelto me.
Riesce a vedere al di là delle apparenze. Quando mi guarda con quei tempestosi occhi azzurri… mi fa sentire bella per la prima volta dall’incidente. Piano piano butta giù i miei muri portando alla luce una passione che mi lascia senza fiato e una vulnerabilità che potrebbe mandarmi in mille pezzi.
Ma le mie cicatrici non sono tutte sulla pelle, e quelle interiori mi sussurrano che uno come lui non potrà mai innamorarsi di una ragazza difettosa come me. In realtà Wolfe è danneggiato tanto quanto lo sono io. Potrà anche essere un giocatore senza cuore, ma non per questo rinuncerà alla sfida.

Wolfe
Rebel pensa di essere invisibile, ma io la vedo… anche quando lei non vorrebbe. Anche quando vorrei levarmela dalla testa, perché innamorarmi di lei è una complicazione che non posso permettermi.
La mia reputazione mi precede, ma lei rischia di scombinare le carte in tavola. E se mi avvicino troppo, temo che potrà vedere la realtà. Dietro la persona che la mia famiglia e i miei compagni di squadra pensano che io sia, si nasconde qualcuno pieno di segreti.
Con ogni tocco bruciante, con ogni bacio audace, le regole cambiano e la verità comincia a venire a galla. Se solo potessimo continuare a vivere questa bugia, non rischierei di perdere l’unica ragazza che io abbia mai amato.
LinguaItaliano
Data di uscita2 mar 2023
ISBN9791220705288
Heartless Player: Senza cuore

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    Anteprima del libro

    Heartless Player - R.C. Stephens

    1

    REBEL

    Otto settimane dopo

    Un’altra serata piena al Frog and Firken, un pub vicino al Westfall College. Le mani mi bruciano per averle tenute tutta la sera nell’acqua saponata, ma i piatti continuano ad accumularsi e lavarli è compito mio. Ho sempre odiato avere a che fare con le persone e questo lavoro un po’ defilato è perfetto per una che vuole passare inosservata. Devo fare un sacco di ore per pagare la parte della retta che non è coperta dalla borsa di studio e aiutare mia sorella Blossom con le spese della casa che prima apparteneva ai nostri genitori.

    «Devi chiedere a Fred di metterti al bancone,» dice Holland, la mia migliore e più vecchia amica, avvicinandosi al lavello. Metto sempre i guanti per lavare i piatti, ma con il passare del tempo le bolle aumentano e lo scarico si intasa, quindi si riempiono d’acqua e diventano praticamente inutili.

    «Sai cosa ne penso dello stare in mezzo alla gente,» rispondo.

    «Devi superare questa cosa, hai la pelle rossissima,» ribatte lei, esasperata, guardandomi le braccia.

    «Sto bene,» le assicuro.

    Non ha molto tempo per parlare perché sta servendo ai tavoli. Ogni sera guadagna il doppio di me. È davvero un bello schifo, ma proprio non mi va di imitarla.

    La pila di piatti puliti accanto al lavello è cresciuta, quindi chiudo l’acqua e li asciugo, poi li porto alla postazione di servizio.

    «Lascia che ti aiuti, piccolina,» dice ghignando Matt, il cuoco, sporgendosi per prendermeli dalle mani.

    «Non sono una bambina, Matt, e riesco a farlo benissimo da sola, molte grazie.» Lo schivo, facendo attenzione a non far cadere i piatti. L’ultima cosa che voglio è romperli e farmeli decurtare dalla paga dal signor Fred Stanfeld.

    Matt sporge il labbro inferiore. «Non ti fai mai aiutare. Voglio solo essere gentile.»

    Holland ci sfreccia davanti. «Vuoi solo convincerla a venire a letto con te. Quando capirai che non succederà mai?»

    Scoppio a ridere.

    Matt inarca le sopracciglia, la fissa e poi riporta lo sguardo su di me. «È vero?»

    «Me l’hai già chiesto e sono stata molto chiara nel dirti che in generale non mi interessa una relazione,» spiego, ammorbidendo il colpo.

    «È per via…» abbassa lo sguardo sulla mia protesi alla gamba.

    Le sue parole mi ferirebbero se non ci fossi abituata. È dall’incidente che tutti mi additano.

    «No, Matt.» Gli giro di nuovo intorno, perché i piatti iniziano a farsi pesanti, e li appoggio sul bancone.

    Torno al lavello e mi dedico ai bicchieri. È sabato sera, uno dei momenti più frenetici della settimana. Mi infilo le cuffie sottomarca nelle orecchie e metto un po’ di musica per soffocare i pensieri.

    Dopo aver finito l’ultimo piatto della serata, ho le mani in fiamme e le gambe che mi fanno male da morire. È difficile restare in piedi nella stessa posizione per otto ore filate.

    Mi sfilo i guanti e mi sciacquo via la schiuma.

    «Ehi, tu. Vuoi venire a sederti qui con me per una birra e un boccone?» chiede Holland.

    «Dovrei proprio andare a casa,» rispondo. «Blossom si preoccupa se arrivo tardi.»

    «Sarà già a letto con il suo ragazzo tutto muscoli,» ribatte lei, dandomi una pacca sulla spalla.

    «Probabilmente hai ragione. Ma Preston non è ancora il suo ragazzo,» puntualizzo.

    «Vieni.» Mi prende per mano e mi trascina al bancone del bar. «Ho una fame da lupo e voglio un po’ di compagnia.» Avvicina due sgabelli e si affloscia su uno di loro. Sembra esausta quanto me.

    «Vuoi metterti proprio lì?» domando, indicando il bancone. Inarco le sopracciglia e la guardo come se mi avesse invitato a saltare dall’Empire State Building.

    «Non ricominciare anche stasera, Rebel. Sono troppo stanca.» Appoggia le mani sul bancone e abbassa la testa. «Voglio solo mangiare, bere una birra e dormire. Anche se devo trovare la forza di studiare.»

    «Rebel, vuoi un passaggio?» chiede Matt.

    «No, grazie, Matt. Buona notte,» rispondo.

    Lui annuisce ed esce.

    Holland rialza la testa. «Hai intenzione di sederti entro la fine del secolo?»

    «D’accordo.» Mi sistemo accanto a lei.

    Darren, il barista, si avvicina. «Abbiamo già fatto l’ultimo giro, ma cosa posso portarvi, signore?» È super sexy, con braccia muscolose e occhi verdi. Di giorno lavora come personal trainer nella palestra della zona e la sera qui al bar. Deve avere almeno trent’anni.

    «Per me una Bud Light alla spina,» dice Holland, poi si volta verso di me.

    «Per me una coca,» aggiungo, dato che non sono una gran bevitrice. «E il cheeseburger della casa con le patatine, quelle arricciate.»

    «Ehi, qualcuno si tratta bene stasera,» scherza Holland. Poi si gira verso Darren. «Lo stesso anche per me.»

    «Non sono riuscita a mangiare. Stamattina ho studiato e ho perso cognizione del tempo, poi sono venuta al lavoro. Mi sembra che mi stia implodendo lo stomaco,» spiego, visto che di rado spendo soldi per mangiare fuori.

    «Anch’io sono distrutta. Quest’anno faccio davvero fatica a star dietro a tutto,» dice lei. Holland si sta preparando a entrare alla facoltà di medicina e deve tenere una media altissima per farcela.

    All’improvviso entra un gruppo di ragazzi. Sono esuberanti, rumorosi e davvero di ottimo umore. Uno sguardo e capisco che sono i membri dell’amata squadra di hockey di Westfall. Devono aver vinto una partita. Vengono spesso al pub per celebrare le vittorie e piangere le sconfitte, anche se le prime sono più numerose delle seconde.

    «Il bar è chiuso,» sbraita Darren.

    «Non c’è problema, amico. Siamo qui per mangiare, anche se una birra fredda non sarebbe male,» dice un tizio di nome Cole. È uno dei giocatori migliori. Non sono mai andata a una partita, ma tutti i membri della squadra vengono venerati da queste parti. Le ragazze cadono ai loro piedi e la NHL spesso li recluta.

    «D’accordo. Accomodatevi,» risponde Darren. Abbassa gli occhi verdi su me e Holland. «Questi tizi mangiano a quintali e non diciamo no agli affari.»

    Holland mette il muso. «Non mi sento più i piedi.»

    «Non preoccuparti, prendo io gli ordini e li servo,» la rassicura lui.

    «Grazie,» fa lei, poi si rivolge a me. «È magnifico. Ti giuro che lo voglio sposare,» sussurra.

    Io scoppio a ridere.

    Cole si avvicina al bancone e ci si appoggia, girandosi verso di me e guardandomi cose se fossi un enigma da risolvere o cose del genere. Mi mette a disagio. La puzza di birra e di alito pesante mi fa allontanare un po’. «Ehi, ci siamo già visti da qualche parte?»

    Mi irrigidisco, trasformandomi nella regina dei ghiacci che vengo spesso accusata di essere.

    «Ehi, ci sei?» Mi passa la mano davanti alla faccia, come per cercare di capire se lo vedessi. O forse pensa che non parli la sua lingua.

    «Ma che fai?» sbotta Holland.

    Non riesco a muovermi. Devo essere finita in un universo parallelo, perché altrimenti col cavolo che Cole Davis si metterebbe a parlare con me.

    Lui si raddrizza. «Ragazze, non siete molto amichevoli. Dai, volevo solo essere gentile.»

    «Non ci interessa la tua gentilezza,» ribatte Holland.

    Declan McAvoy si avvicina dall’altro lato. Un’altra delle celebrità della squadra. Tutti al campus conoscono lui, Cole e Wolfe, persino io. Anche se non lo ammetterei mai. È un pallone già abbastanza gonfiato.

    «Aggressiva. Mi piace,» ribatte Cole, muovendo le sopracciglia.

    «Non. Ci. Interessa.» Holland sottolinea ogni parola, passandogli la mano davanti al viso come lui ha fatto a me. È davvero bella, con capelli lunghi color cioccolato, pelle olivastra e grandi occhi castani. Se Jessica Alba avesse avuto una figlia della nostra età, avrebbe potuto essere Holland.

    Colgo il momento per alzarmi e portami via la coca, ma mentre lo faccio, Cole mi guarda da capo a piedi. Ho un aspetto schifoso, con i capelli biondi legati in un disordinato chignon, una maglietta semplice e pantaloni da ginnastica, ma non devo vestirmi bene per lavare piatti tutta la sera.

    «Tesoro, non devi andartene per colpa mia,» dice, «Non sono il lupo cattivo.»

    «Qualcuno ha detto lupo? Parlate di me?» chiede Wolfe, camminando disinvolto, per quanto sia possibile con un paio di stampelle, fino al bancone. Sento le guance in fiamme e mi si mozza il respiro. Un corpo e degli occhi così dovrebbero essere illegali. Ha lunghi capelli castano chiaro che fanno capolino da sotto il cappello. La frangia gli cade sul volto, nascondendo gli occhi dell’azzurro più acceso che abbia mai visto.

    «Stai importunando queste belle ragazze, Cole?» chiede.

    Ma che razza di nome è Wolfe? Proprio mentre lo penso, mi ricordo che il mio è Rebel. Il prodotto di due genitori hippie troppo fatti per sceglierne uno normale. Mia madre si aspettava che sarei diventata una ribelle come lei, quindi le è sembrato adatto. E invece non potrei essere più diversa dal mio nome.

    «Certo che no,» risponde Cole, dando una pacca sulla spalla all’amico.

    «Merda,» commenta poi, abbassando lo sguardo sulla mia gamba. «Quella dev’essere una bella seccatura. Non riesco a immaginare di non avere una gamba. Come ci si sente?»

    Questa domanda così diretta mi fa arrossire ancora. Sono abituata alle occhiate discrete e alle domande strane, ma non ne ho mai ricevute da tipi fichi come loro. Tutte le ragazze del campus vogliono portarseli a letto. In passato, probabilmente lo avrei voluto anch’io, ma l’incidente ha cambiato le cose. Ora preferisco passare inosservata.

    «Cavolo, Cole, dacci un taglio,» sbotta Wolfe, dandogli una pacca sul petto.

    «Dai, non dirmi che non sei curioso. Cioè, quando la gamba ti si è spezzata in quel modo, non hai pensato che avresti potuto perderla?» domanda lui con una sincerità dovuta probabilmente a tutto l’alcool che ha bevuto.

    «Maledetto idiota. Va’ fuori dai piedi. La prendo io la birra.» Wolfe lo spinge via con una mano e lui inciampa e si allontana. Probabilmente nemmeno ricorda la domanda che mi ha fatto, ma io non posso dimenticarla. La mia autostima è già abbastanza bassa, e quell’uscita infelice me l’ha fatta scendere ancora di più.

    «Perdonate il mio amico. La maggior parte del tempo è un coglione, ma non è cattivo,» dice Wolfe, passando lo sguardo tra me e Holland.

    «Tutto a posto,» rispondo, conciliante.

    «No, per niente. È stato maleducato, nessuno dovrebbe fare domande del genere,» sbotta Holland. Ha ragione, e io avrei dovuto difendermi da sola, ma non sono ancora in grado. Sono passati solo tre anni dall’amputazione e devo ancora lavorare su diverse cose.

    «Sono d’accordo,» risponde Wolfe. «È stato uno stronzo insensibile, e vi voglio fare delle scuse sincere.»

    Darren si avvicina al bancone e lui gli chiede cinque birre. L’altro risponde che gliele porterà subito.

    «Salute.» Wolfe mi fa un cenno con la testa e poi abbassa lo sguardo sulla mia gamba. Vorrei essere una candela per potermi sciogliere in questo preciso istante. Ma la sua reazione non è drammatica. Non cambia espressione, come se non avesse visto niente fuori dall’ordinario.

    Dopo che si è allontanato, mi affloscio sul bancone. «Penso che sia stato il momento più imbarazzante della mia vita.»

    «E invece no,» ribatte Holland. «È stato molto peggio quando ti sei fatta la pipì addosso l’ultimo anno di asilo.»

    «Holland,» sbuffo, lanciando un’occhiata a Darren.

    «Non preoccuparti, ti racconto anch’io la cosa più imbarazzante che mi sia mai successa,» risponde lui.

    «Non c’è bisogno. Non devi sprofondare nella vergogna insieme a me.» Sospiro.

    Lui scoppia a ridere. «Quando avevo dodici anni, invitai una ragazza al cinema. Lei accettò. Ero così nervoso. Cercai di prenderla sottobraccio, ma le rovesciai addosso un enorme bicchiere di Coca-Cola. Le si sporcarono tutti i vestiti e dovemmo andare via.» Mi fa un cenno con la testa, sicuro di avermi superato.

    «Non è così imbarazzante,» ribatto.

    «D’accordo. Allora, a tredici anni sono andato al camposcuola. Alcuni miei amici si svegliarono di notte e mi misero la mano in una tazza di acqua fredda, così mi feci la pipì addosso,» continua lui.

    «Okay, questa è abbastanza brutta,» commenta Holland.

    Darren mi guarda, aspettando il mio verdetto. Scuoto la testa.

    «Ancora non abbastanza. La mia gamba è il mio tallone d’Achille e quel tizio mi ha appena calpestato l’autostima.»

    «Che si fotta,» urla Holland.

    «Non hai bisogno di gente del genere,» dice Darren. «Ti serve qualcuno che apprezzi la tua personalità. Certo, l’aspetto esteriore è importante all’inizio, ma tu, Rebel, sei bellissima. Dentro e fuori. Non ti serve uno stronzo come loro.»

    «Come sei carino, Darren,» dice Holland, sbattendo le ciglia.

    «E lo dico come un fratello maggiore,» continua lui, allontanandosi lentamente.

    «Cheeseburger pronti,» urla Colin, l’aiuto cuoco, appoggiandoli sul ripiano tra il bar e la cucina.

    «Mangia, bella mia. Io devo andare a casa a studiare,» dice Holland.

    «Studiare? Davvero? Sono le due del mattino,» rispondo, stupita.

    «Mi conosci,» ribatte lei. «E poi devo usare tutta l’energia contenuta nel panino che sto per mangiare. Non ha senso sprecarla.»

    Sì, la conosco. Con lei è solo lavoro, lavoro, lavoro. Mordo l’hamburger e cerco di levarmi quei giocatori di hockey dalla testa. Ma come fare? Quando mi guardano, non vedono una persona intera. Una parte di me manca. Cavolo, a volte mi sveglio la notte pensando che la mia gamba sia ancora al suo posto. So non dovrebbe definire chi o cosa sono, ma è così. E lo detesto.

    2

    WOLFE

    «Wolfe, questa volta sei stato fortunato,» commenta il mio chirurgo ortopedico, il dottor Egerton. «Penso che con un po’ di impegno potrai tornare sul ghiaccio in un mese. La squadra ha terapisti di altissimo livello. Il mio consiglio è di andarci piano e non esagerare.»

    «È già da due mesi che sono fuori gioco. Devo farmi valere in questa stagione. Non posso permettermi di essere cacciato dalla squadra,» spiego al dottore, che conosco fin da quando ero piccolo. Lui e sua moglie Trudy sono buoni amici dei miei genitori.

    «Non voglio farmi i fatti tuoi,» inizia lui, perché di certo mio padre gli ha raccontato che ho rifiutato di farmi pagare anche solo un centesimo della retta per il college. Io e mia sorella Cait siamo cresciuti insieme ai suoi figli, Marcus ed Evelyn. Se mio padre avesse un segreto da confidare, di sicuro lo direbbe a lui. «Voglio solo farti capire che se torni in campo troppo presto, rischi un altro infortunio da cui potresti non riprenderti. La frattura non era particolarmente grave o né scomposta, ma hai bisogno di aumentare il tessuto muscolare intorno all’osso per sostenere il ginocchio,» continua.

    La prognosi non mi piace, ma devo essere felice che non sia peggiore. «Grazie,» dico, senza mostrare la mia esasperazione. Uso le mani per aiutarmi a scendere dal lettino. La gamba mi fa ancora male e zoppico. Devo davvero andarci piano.

    «Una benda elastica potrebbe aiutarti con il dolore,» commenta lui, alzando lo sguardo dall’iPad. «Posso chiedere a Linda, l’infermiera, di procurartene una.»

    «Sarebbe magnifico,» rispondo. Dovrei essere contento che la guarigione stia andando meglio di quanto il dottore avesse previsto all’inizio. La frattura è guarita bene. Adesso dovrò fare quattro settimane di fisioterapia intensa.

    «Prenditi cura di te, Wolfe. Salutami…» si interrompe. Avrebbe voluto dire di salutare mamma e papà, ma si è ricordato che non ci parliamo. «Prenditi cura di te e basta,» continua, facendomi l’occhiolino. Allarga le labbra in un sorriso sghembo.

    «Mi stia bene anche lei, dottor Egerton,» rispondo, ed esco dall’ambulatorio. L’infermiera mi saluta e mi accompagna in un’altra stanza per mettermi la benda. La ringrazio e me ne vado.

    La benda dà un po’ di supporto alla gamba e mi fa sentire meglio. Cammino lentamente lungo i corridoi dell’ospedale fino all’ascensore. Dato che non ho potuto guidare all’andata, chiamo un Uber per farmi riportare al campus, dove abito insieme ad un paio di amici della squadra di hockey. Mi gira la testa. Sono rimasto indietro con la maggior parte dei miei corsi e non posso giocare a hockey, la cosa che amo di più al mondo, quindi sono molto teso. L’autista mi lascia davanti casa.

    Porca vacca.

    Gli altri stanno dando una festa, che fa una gran casino e occupa anche buona parte del giardino davanti.

    Col cavolo che riuscirò a studiare. Controllo il cellulare per essere sicuro che siano davvero solo le quattro del pomeriggio. Devo parlare con i miei due coinquilini. Le cose stanno degenerando e questo influisce anche sulla loro performance in campo.

    «Ehi, Wolfe.» Una ragazza di nome Casey si avvicina. «Non ti ho visto al corso di Economia Politica,» dice, inciampando su chissà cosa. Il liquido nel bicchiere di plastica rossa che ha in mano schizza fuori. Siamo andati a letto insieme lo scorso fine settimana. Spero che non pensi che succederà di nuovo. Sono più un tizio da una botta e via.

    «Ero occupato,» rispondo. Non c’è bisogno di dirle troppo e di darle l’idea che sia importante per me.

    Lei si ferma e si acciglia per un attimo, poi cambia espressione e si raddrizza. «Vuoi una mano per tornare in pari?»

    Degli appunti mi farebbero comodo, a dire il vero, ma di sicuro non i suoi. Non credo che ascolti il professore per più di metà del tempo, mentre io frequento il college per imparare davvero qualcosa e prendere buoni voti. Sono bravo a hockey, ma non voglio essere solo quello.

    «Non preoccuparti, mi arrangio da solo,» rispondo. Le passo davanti e salgo i gradini dell’ingresso. Non c’è bisogno di aprire la porta perché è già spalancata. Dalle casse arriva musica a tutto volume, i miei amici sono ubriachi fradici e stanno ballando con almeno tre ragazze ciascuno. Ho già capito che genere di serata sarà.

    «Wolfe, amico mio.» Dec mi saluta con un pugno contro pugno. «Congratulazioni per aver tolto il gesso.»

    «Grazie,» rispondo, salutandolo a mia volta.

    «Ehi, fate tutti le congratulazioni a Wolfe. Può camminare di nuovo,» urla Cole.

    Tutti esultano. Cole mi passa una birra ghiacciata. Non amo tanto le feste e cerco per quanto possibile di restare lucido. Anche se l’idea di bere fino a dimenticare tutti i miei problemi è allettante. Di solito sento un peso sulle spalle di cui non riesco a liberarmi. Accetto la bottiglia che il mio amico mi porge e mi metto sul divano a bere. Il liquido freddo che scende lungo la gola è piacevole e ho bisogno di rilassarmi un po’. Vedere il dottor Egerton mi ha fatto pensare ai miei genitori, il che mi fa sentire inadeguato e ansioso. La maggior parte delle persone che mi conoscono pensano che sia sempre calmo e menefreghista, ma non è vero. Nascondo la verità perché nessuno vuole farsi carico dei problemi altrui. Tutti hanno un peso da portare, ma il mio è grande quanto il cazzo di Himalaya. Appoggio la testa allo schienale e guardo i miei amici che si divertono. Faccio qualche respiro profondo e mi chiedo quando il senso di colpa si affievolirà e ricomincerò a sentirmi normale.

    «Congratulazioni, Wolfe,» dice una ragazza di nome Sally, e si siede accanto a me. Non me la sono ancora portata a letto e sono davvero interessato. Ha un corpo sodo e tutto curve, e indossa una maglietta corta che le schiaccia insieme i seni in modo davvero attraente mettendo in mostra il ventre piatto. Anche meglio, basta l’idea di infilare il mio cazzo dentro di lei a farmi riscuotere dai miei pensieri e togliermi un po’ di oppressione dal petto.

    «Grazie, Sally. Tu come stai?» Continuo la conversazione solo perché la voglio. Non sono un gran chiacchierone e questo è il mio modo di essere gentile. Non ci metto molto a convincere una ragazza a prendermi l’uccello in bocca, ma un paio di chiacchiere di sicuro aiutano a raggiungere l’obiettivo.

    «Tutto bene. Devo preparare una coreografia per il ballo di metà semestre,» risponde lei allegramente. «Avrei dovuto lavorarci stasera, ma mi hanno convinta a venire qui e adesso sono troppo ubriaca,» ridacchia.

    Giusto, lei studia danza.

    «Devi essere molto flessibile,» dico, per testare le acque ed essere sicuro che anche lei sia interessata.

    I suoi occhi scuri si illuminano. Si avvicina, premendo quel seno fantastico sul mio braccio. Cavolo, mi sta venendo duro. «Oh, lo sono,» risponde in tono cospiratorio. «Vuoi andare in un posto più tranquillo così posso farti vedere quanto sono flessibile?»

    Bingo.

    «Seguimi,» dico, alzandomi dal divano. La prendo per mano e la porto in camera mia. Il sesso è una delle distrazioni che preferisco. Sono bravo e mi assicuro che la mia partner si diverta abbastanza da parlarne

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