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Vendetta fra le dune: Harmony Collezione
Vendetta fra le dune: Harmony Collezione
Vendetta fra le dune: Harmony Collezione
E-book168 pagine4 ore

Vendetta fra le dune: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Il suo paese ha bisogno di lui. E quando la terra chiama, il sangue risponde.



Sono passati molti anni da quando Rafiq Al'Ramiz si è lasciato tutto alle spalle, andandosene dal Qu-say. Ora è tornato e il suo unico scopo è la vendetta. Nonostante il suo cuore sia ormai duro come la pietra, rivedere Serah, la donna che ha amato con tutto se stesso, gli lascia addosso una strana sensazione, e non è facile per lui far coincidere l'idea della fredda tentatrice che si era fatto di lei con la donna dolce e fragile che si trova davanti.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2017
ISBN9788858970829
Vendetta fra le dune: Harmony Collezione
Autore

Trish Morey

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Vendetta fra le dune - Trish Morey

    interessante.

    1

    Il sole era basso sulla pista dell’aeroporto Internazionale del Qusay, e l’afa quasi soffocante mentre Rafiq scendeva dal proprio jet. I suoi occhi impiegarono qualche istante per abituarsi alla luce abbagliante. Respirò a fondo l’inconfondibile profumo della sua terra, profumo di mare combinato a quello di mille spezie diverse che saturava l’aria, resa opaca dalla sabbia portata dal vento dal deserto che occupava gran parte dell’isola.

    «Rafiq!»

    Sorrise guardando suo fratello scendere dalla prima delle due limousine che attendevano a bordo pista.

    Su ogni vettura e sulle quattro motociclette di scorta sventolavano le bandiere bianche con lo stemma reale, un dettaglio che conferì finalmente una qualità di realtà alla notizia che aveva ricevuto per telefono pochi giorni prima. Il futuro re Xavian aveva rinunciato al trono dopo aver scoperto di essere il principe Zafir di Calista, scomparso quando era solo un bambino. Di conseguenza Kareef, suo fratello, presto sarebbe stato incoronato re del Qusay. Il che rendeva lui, Rafiq, un principe.

    Una nota di amarezza tinse i suoi pensieri – magari fossi stato un principe allora... – ma svelto la ignorò. Quella era storia. Storia vecchia.

    Adesso c’erano cose molto più importanti cui pensare, decise scendendo gli ultimi gradini della scaletta quasi di corsa, incurante dell’aria bollente che sembrava bruciargli i polmoni.

    «È bello rivederti, fratellone» esordì quando raggiunse Kareef. Lo abbracciò con slancio, poi gli batté una mano sulla spalla. «Oppure dovrei chiamarti sire

    Kareef minimizzò con un cenno della mano e lo spinse verso la limousine. L’autista attese che i due prendessero posto, poi richiuse la portiera. Il corteo si mise in moto, lasciandosi alle spalle la pista di atterraggio.

    «Sono felice che tu sia venuto» commentò Kareef.

    «Pensavi per caso che mi sarei perso la tua incoronazione?»

    «Ma hai quasi perso il matrimonio di Xavian» ragionò Kareef. «Per quanto tempo ti sei trattenuto al ricevimento? Due ore? Forse tre?»

    «Esatto» ammise Rafiq, perché proprio non avrebbe potuto negarlo. Il lavoro era stato molto pressante qualche settimana prima – due nuovi centri commerciali inaugurati contemporaneamente a Perth e ad Auckland – ma era riuscito comunque a intervenire alle nozze, solo però per essere costretto a ripartire molto prima del previsto a causa di un incendio che era divampato in uno dei magazzini di sua proprietà e che aveva messo in serio pericolo la vita di alcuni suoi dipendenti. «Anche se poi si è scoperto che Xavian non è nostro cugino» aggiunse. «Ma nulla mi avrebbe impedito di assistere alla tua incoronazione, e se c’è una cosa di cui sono assolutamente certo, è che tu sei davvero mio fratello» sottolineò.

    E nessuno avrebbe potuto dubitarne. I due condividevano la stessa imponente altezza, le stesse spalle ampie e muscolose, ed erano entrambi bellissimi. Anche se questi particolari sarebbero stati sufficienti per dichiarare la loro consanguineità, erano gli occhi blu, occhi che potevano essere caldi come la più bollente delle giornate estive, o glaciali come i ghiacciai eterni, a sancire in modo evidente l’appartenenza alla stessa famiglia.

    «A proposito di fratelli» continuò Rafiq, «dov’è Tahir? Il nostro vagabondo germano ci onorerà con la sua presenza questa volta?»

    Una ruga solcò la fronte di Kareef. «Ho parlato con lui...» esitò, come se avesse bisogno di qualche istante per riordinare le idee. «... ieri sera» concluse sorridendo.

    «Incredibile.»

    «Ma vero. Anche se non è stato facile rintracciarlo a Montecarlo. Verrà per l’incoronazione.»

    «Tutti e tre qui, nello stesso momento?» domandò Rafiq con tono sorpreso, appoggiandosi allo schienale di morbida pelle del sedile.

    Kareef annuì. «È passato molto tempo dall’ultima volta.»

    Il tragitto dall’aeroporto attraverso la vivace città di Shafar, così affascinante per il contrasto fra i vecchi edifici di mattoni rossi e i moderni grattacieli con le pareti di vetro, trascorse velocemente mentre i due fratelli si aggiornavano reciprocamente sulle ultime novità, e presto la limousine varcò i pesanti cancelli di ferro battuto che davano accesso al giardino che circondava il Palazzo Reale. La Reggia offriva uno spettacolo davvero mozzafiato, con le sue mura incastonate di pietre preziose, costruita sulla cima di un promontorio che si allungava verso il mare, perfettamente visibile da ogni angolazione e a ogni ora del giorno e della notte.

    E quando la vettura si fermò davanti al grande portico e un valletto in uniforme si affrettò ad aprire lo sportello per poi scattare sull’attenti, di nuovo Rafiq ebbe la precisa sensazione di ciò che stava accadendo. Ora non stava per entrare al Palazzo in qualità di componente minore della Famiglia Reale. Adesso era lui stesso un Reale. Un principe, per la precisione.

    Ironico, considerando che aveva costruito per se stesso un impero, un impero del quale lui era re. Invece adesso era solo a un passo dall’essere re del paese che gli aveva dato i natali, un paese al quale aveva volontariamente voltato le spalle tanti anni prima.

    La vita, a volte, cambiava così all’improvviso...

    E, di nuovo, un’improvvisa quanto indesiderata traccia di amarezza portò nella sua mente pensieri avvelenati.

    Se fosse già stato il fratello del re a quel tempo, lei lo avrebbe aspettato? Se fosse stato un principe, le cose avrebbero preso una piega diversa?

    Scosse la testa come per cancellare quegli interrogativi. Decisamente il caldo asfissiante stava avendo la meglio su di lui se continuava a riflettere su eventi che ormai non potevano più essere cambiati, si disse. A quel tempo non era stato un principe e lei aveva fatto la sua scelta. Fine della storia.

    Suo fratello gli appoggiò una mano sulla spalla. «Ora devo lasciarti» gli comunicò. «Ho molte faccende di cui occuparmi. Akmal ti accompagnerà al tuo appartamento.»

    L’appartamento si rivelò essere un insieme di stanze immense riccamente arredate, le pareti decorate da quadri di enorme valore, i mobili antichi e finemente intagliati, il pavimento coperto da morbidi tappeti orientali.

    «Spero che si troverà a suo agio qui, Altezza» commentò Akmal prima di inchinarsi e di arretrare verso la porta.

    «Sono sicuro di sì» confermò Rafiq, perché non era possibile il contrario nonostante la drammatica differenza che esisteva fra l’ambiente opulento e lussuoso del Palazzo e lo stile minimalista con il quale aveva arredato la sua casa di Sydney. La villa a cinque piani costruita sul lungomare del più esclusivo quartiere della città era un monumento alla moderna architettura e all’uso dell’acciaio e del cristallo, gli interni semplici e lineari.

    Strano, ragionò, si era arricchito grazie alle persone che desideravano emulare lo stile del Medio Oriente di cui lui era rappresentante, eppure aveva scelto una tipologia completamente opposta per la sua casa.

    «Akmal» chiamò, interrompendo quella linea di pensiero prima di dare a se stesso la possibilità di spingersi oltre, «prima che tu vada...»

    «Sì, Altezza?» replicò il visir chinando il capo.

    «Possiamo lasciar perdere le formalità? Il mio nome è Rafiq.»

    Sul viso dell’anziano uomo apparve un’espressione incerta. «Ma Altezza, qui in Qusay lei è... appunto... Altezza...» ragionò.

    Rafiq annuì. Come nipoti del re, lui e i suoi fratelli erano stati molto bassi nella linea di successione al trono e, anche se in realtà era sempre esistita la possibilità che qualcosa impedisse all’erede diretto che loro avevano conosciuto come Xavian, il figlio del re, di essere incoronato, nessuno aveva davvero mai dato troppo peso a quella eventualità. La loro infanzia di conseguenza era stata totalmente diversa da quella del cugino, nonostante l’incombenza di un padre troppo autoritario e dispotico. Avevano avuto degli obblighi, vero, ma anche una grande libertà, quella stessa libertà che aveva permesso a lui di lasciare il Qusay all’età di diciannove anni.

    Ne aveva fatto di strada da allora, combattendo con le unghie e con i denti per diventare qualcuno in una città dall’altra parte del mondo. Non aveva avuto bisogno di un titolo nobiliare per avere successo, e non ne aveva adesso anche se, grazie all’abdicazione di Xavian, all’improvviso era diventato principe.

    In ogni caso, sarebbe ripartito per Sydney, per la sua vita, subito dopo l’incoronazione. Poteva sopportare di essere trattato come un Reale per un periodo così breve, decise. «Naturalmente, Akmal» replicò. «Capisco. E, Akmal?»

    «Sì, Altezza?»

    «Per favore, fai sapere a mia madre che andrò a farle visita questo pomeriggio.»

    Il visir chinò di nuovo la testa. «Come desidera» confermò.

    Rafiq trascorse la seguente ora nella piscina olimpionica costruita accanto alla palestra. Un tetto la proteggeva dagli implacabili raggi del sole del deserto, ma non bloccava il passaggio di una piacevole brezza che si levava dal mare.

    Si tuffò, e l’acqua si richiuse su di lui, piacevolmente refrigerante. Con poderose bracciate percorse la vasca diverse volte, mettendo sotto sforzo i muscoli rimasti inattivi durante il lungo viaggio. Non aveva mai tempo per concedere al suo corpo di adattarsi ai cambiamenti di fuso orario, e l’esercizio fisico era un modo per restare vigile. Quando poi quella sera avrebbe appoggiato la testa sul guanciale, sarebbe caduto immediatamente in un sonno profondo e ristoratore.

    Solo quando lo spostamento del sole nel cielo gli comunicò che ormai sua madre doveva essersi svegliata dal suo riposino pomeridiano, uscì dall’acqua. Tornato nel suo appartamento, fece una doccia e aprì il guardaroba.

    Qualcuno aveva provveduto a stirare e ad appendere le sue giacche e le sue camicie. C’erano anche altri tipi di indumenti, tuniche bianche piegate su una mensola, i sirwal, larghi pantaloni che erano indossati insieme alle vesti larghe e lunghe tipiche del deserto, su un’altra. Sollevò un bisht, il copricapo preferito dagli uomini del Qusay, e osservò la corda nera che lo rifiniva.

    Senza dubbio opera di sua madre, pensò, che aveva voluto assicurarsi che lui avesse abiti adatti ora che si trovava nel Qusay.

    Erano trascorsi due anni da quando aveva indossato l’ultima volta la tradizionale tunica bianca, e lo aveva fatto solo per partecipare al funerale di suo padre. Ma prima di allora già da tempo aveva smesso di usare quei vestiti, esattamente da quando i suoi sogni adolescenziali erano stati infranti e lui aveva lasciato la sua terra per costruirsi una vita nella parte opposta del Continente.

    E un suo proprio stile. Le creazioni di Armani erano quelle che preferiva, abiti dal taglio perfetto che simboleggiavano il successo che aveva raggiunto lontano da quel paese che invece lo aveva soltanto deluso.

    Con un sospiro, rimise il copricapo al suo posto e prese una camicia e una giacca. Forse adesso era in Qusay, ragionò, ma non era ancora pronto per ritornare alle vecchie abitudini.

    Il Palazzo ferveva di attività quando uscì dalla suite e si incamminò lungo il corridoio, diretto alle stanze di sua madre. Servitori lucidavano i lampadari di cristallo e gli oggetti di argento, giardinieri si prendevano cura dei begli alberi di agrumi che crescevano al centro del chiostro. L’atmosfera era una di anticipazione mentre tutti i residenti della reggia si preparavano all’imminente cerimonia dell’incoronazione.

    Stava percorrendo uno dei balconi coperti quando vide una donna uscire dall’appartamento della regina, richiudere la porta alle sue spalle e avviarsi verso di lui, i sandali che calzava che non producevano alcun rumore sul pavimento di marmo. Una lunga veste nera le celava tutto il corpo. La sciarpa dello stesso colore che le fasciava la testa lasciava scoperti solo gli occhi. Una delle dame di compagnia di sua madre, dedusse.

    Ma poi, avvicinandosi, notò qualcosa in lei, un’aria familiare che gli fece correre un brivido lungo la schiena.

    Non era possibile...

    Lei era sposata e viveva una vita scintillante a Parigi o a Roma, o in un’altra capitale europea. Quella donna invece aveva le spalle chine in un atteggiamento di sconfitta. Un atteggiamento triste, dimesso.

    Probabilmente stava risentendo più del previsto degli effetti del cambiamento di fuso orario, decise, ma in quel momento la donna, come se avesse percepito il suo sguardo, sollevò la testa, mostrandogli gli occhi pieni di dolore.

    Fu questione di un istante. L’aria smise di arrivargli ai polmoni. L’adrenalina si diffuse nelle sue vene, insieme al flusso di un odio mai sopito.

    Serah!

    2

    Nei grandi occhi scuri e sgranati, scorse la sorpresa e l’incredulità, e un’onda crescente di panico. Poi la donna chinò subito la testa, concentrandosi di nuovo sulle mattonelle di marmo che lastricavano il balcone, i passi più svelti adesso, come se la sua intenzione fosse quella di allontanarsi il più in fretta possibile. La veste che indossava le fluttuava intorno smossa dal lieve vento, e il suo profumo resisteva al suo passaggio, un profumo di incenso e gelsomino che lo riportò di colpo al passato, a un tempo diverso e a un mondo

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