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Undici giorni
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E-book248 pagine3 ore

Undici giorni

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Info su questo ebook

Durante un viaggio a Parigi Rayan Kline, illustre scienziato e consulente del Dipartimento di Polizia di New York, incontra Miriam, una giovane donna dagli incredibili occhi acquamarina. I due, nonostante abbiano trent’anni di differenza, si innamorano perdutamente. La loro relazione prosegue felicemente per cinque anni durante i quali il loro sentimento cresce sempre più, fino a quando viene interrotta tragicamente dal ritrovamento del corpo senza vita di Miriam: la ragazza è stata brutalmente stuprata e uccisa. Undici giorni dopo il drammatico evento Rayan, solo e disperato, trova uno strano biglietto e, in un vortice di dolorosi ricordi che riaffiorano, l’uomo si suicida. L’improvvisa morte della sua anima gemella lo porta a compiere il folle gesto, ma come è arrivato a prendere quella decisione? Quali parole erano scritte su quel foglio e quali segreti si celano dietro la morte dei due innamorati?
LinguaItaliano
Data di uscita14 ago 2020
ISBN9788863936964
Undici giorni

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    Anteprima del libro

    Undici giorni - Giampiero Momi

    1

    New York, undici giorni prima

    L’ispettore Banks del dipartimento di polizia Lower East Side era sul posto già da un quarto d’ora e aveva il suo bel daffare per bloccare il giornalista del Washington Post che per primo aveva raggiunto il parco insieme al suo collega fotografo. Per di più la scientifica stava già procedendo a effettuare i primi rilevamenti sul corpo della giovane donna, e Banks non poteva consentire alcuna intrusione che intralciasse l’azione della polizia.

    La pioggia insistente che già da molte ore cadeva sulla città non contribuiva certo a facilitare le operazioni del personale addetto. Il buio, che aveva già steso la sua coltre su Manhattan alle 18.30 di quel pomeriggio di dicembre, indubbiamente aveva favorito l’aggressione da parte dell’assassino.

    Le auto dell’Nypd con le luci blu e rosse accese avevano bloccato gli accessi dalla MacDougal e dalla Waverly alla parte nord del Washington Park e dalla Quinta verso l’Arco.

    La segnalazione era giunta da un barbone fortemente alticcio che era addirittura inciampato nel corpo della donna, cadendole addosso. Il barbone si era preso un grande spavento e aveva cominciato a correre prima in una direzione e poi in quella opposta, scivolando e cadendo sui vialetti resi viscidi dalle ultime foglie autunnali cadute dagli alberi. Attraversando di corsa la strada era stato quasi investito da un taxi che aveva tentato di fermare in qualche modo, urlando che lì, tra i cespugli, c’era un morto.

    La polizia non aveva impiegato molto a intervenire. Banks era terribilmente scocciato. Era già pronto per andare a casa quando era arrivata la chiamata. Il turno era finalmente finito e, dopo una notte insonne in cui era stato cooptato in servizio a causa di una sparatoria tra balordi avvenuta la sera prima ai docks che aveva addirittura messo in subbuglio il personale di due distretti, non vedeva l’ora di sdraiarsi davanti alla tv con una lattina di birra gelata in mano. Magari due. Poi avrebbe chiamato al telefono Lou e l’avrebbe invitata per quella sera. Si sarebbe fatto massaggiare la schiena dalle esperte mani della ragazza e poi lui l’avrebbe baciata e avrebbero fatto l’amore. Pensava proprio che prima o poi l’avrebbe sposata perché Louise era la classica donna con cui farsi una famiglia. Invece i suoi progetti per la serata erano andati all’aria.

    Quel cadavere rinvenuto nel parco significava per lui ancora duro lavoro. Meno male che un collega lo avrebbe presto sostituito per la notte. E se intorno avesse visto un reporter, giurava a se stesso, lo avrebbe preso a calci nel culo. E poi, accidenti, continuava a piovere e lui non sopportava proprio quel clima umido. La donna, di età intorno ai trent’anni, probabilmente era stata aggredita mentre attraversava il parco. Era stata poi trascinata nel posto più oscuro, brutalmente violentata e poi uccisa con un coltello.

    Il corpo presentava una profonda ferita al collo e più coltellate all’addome. Era altresì probabile che dopo l’aggressione la donna fosse stata tramortita con un corpo contundente alla testa, che presentava un’ampia ferita nella zona occipitale, quindi abusata e poi barbaramente uccisa. Il corpo era stato denudato nella parte inferiore. I jeans erano stati rimossi da una gamba, gli slip strappati, le gambe oscenamente aperte. Da un primo esame sembrava che la borsetta che portava non fosse stata neppure aperta. Dai documenti risultava che Miriam Allbright aveva ventinove anni e abitava in Bleecker Street, una tranquilla strada del Greenwich Village.

    2

    Parigi, cinque anni prima

    Rayan si chiedeva perché si fosse lasciato convincere a partecipare a quel cocktail, ma Tony era stato irremovibile. La Gwathmey Siegel Kaufman Architects figurava nell’elenco degli sponsor del loro libro di futura pubblicazione, e anche di qualche congresso a cui i due illuminati scienziati avrebbero partecipato nei mesi successivi in giro per il mondo.

    La location era piacevole e il panorama di Parigi che si poteva ammirare da quella terrazza era molto affascinante. Quel tardo pomeriggio di settembre spirava una leggera brezza e lo sguardo di Rayan vagava tra la Senna, su cui si affacciava il Centro congressi Cap 15, la Tour Eiffel che si ergeva poco distante e il Trocadero.

    Ogni volta che capitava a Parigi, Rayan si chiedeva se avrebbe potuto mai lasciare New York per trasferirsi in quella città così affascinante, piena di storia, di cultura, di arte. Ora che viaggiava spesso in Europa per lavoro, per lui sarebbe stato anche più facile. Non avrebbe sicuramente avuto difficoltà a trovare un’università che lo accogliesse e che finanziasse le sue ricerche. Il suo lavoro era apprezzato ovunque e certamente, qualora avesse preso quella decisione, si sarebbe scatenata una bagarre per accaparrarselo. Subiva fortemente il fascino di quella città che senza dubbio riteneva, tra quelle europee, più viva e internazionale.

    Sulla terrazza vi erano non più di una cinquantina di persone, la maggioranza delle quali completamente sconosciute a Rayan. Tony era accompagnato da Sybil, sua moglie, che sfoggiava per l’occasione un corto abito blu elettrico che ne fasciava la figura e la faceva indubbiamente risultare molto attraente. Sybil era bionda, con una fluente capigliatura, alta oltre un metro e settanta e sapeva bene cosa volesse dire attrarre gli sguardi maschili. Tony, al contrario, era piuttosto basso, superando a malapena il metro e sessantacinque, misura che sembrava diminuire per effetto delle spalle un po’ ricurve e della testa già improntata a un’incipiente calvizie. Aveva l’aspetto del classico scienziato pazzo, abbigliato in modo un po’ retrò se non addirittura stravagante, ma lo sguardo, intenso e attento, denunciava una mente pronta e brillante. Costituivano una coppia stranamente assortita che però aveva dimostrato negli anni un’indissolubile resistenza agli eventi della vita.

    Rayan, cinquantacinque anni appena compiuti, era completamente diverso da Tony. Alto e magro, con una ricca capigliatura che solo negli ultimi tempi aveva iniziato a ingrigire, teneva molto al suo abbigliamento, decisamente di stile anglosassone, a esclusione delle camicie che si faceva fare su misura da una sartoria italiana di Manhattan.

    Tony e Rayan si conoscevano da decenni, dai lontani tempi dell’università. Avevano percorso strade diverse e dopo molti anni si erano ritrovati durante un simposio internazionale in cui, in qualità di relatori, avevano esposto tesi simili che li aveva condotti a risultati congrui tra loro. Avevano quindi deciso di scrivere un libro insieme pubblicando i risultati delle loro avanzate ricerche sul Dna umano. Ora erano a Parigi per il congresso indetto dal Centre d’Etude du Polymorphisme Humain che aveva come oggetto la mappatura genetica con marcatori polimorfici. Ancora due giorni di lavoro, giovedì e venerdì, poi Rayan, finalmente libero da impegni, avrebbe trascorso il weekend a zonzo per la città, per rientrare infine a New York con un volo nella tarda serata di domenica.

    Dall’ultima volta che era stato a Parigi erano oramai trascorsi sei anni e c’erano molte cose nuove da vedere, e molte altre da rinfrescare. Sarebbero stati senza dubbio due giorni piacevoli, specialmente se il clima fosse rimasto mite come quel pomeriggio.

    «Questa città è meravigliosa». Era la voce di Sybil che era sopraggiunta alle sue spalle. «E questi tramonti mi fanno letteralmente impazzire.»

    «Su questa terrazza, credimi, non è il tramonto che fa impazzire…» disse Rayan volgendosi verso di lei «soprattutto tutti noi uomini». E abbassò lo sguardo quasi a inglobare a grandangolo l’intera figura della donna.

    «Tu sei sempre terribilmente galante, Rayan, ma la carta d’identità non fornisce mai dati inesatti» rispose con voce che tradiva un inconfondibile rammarico. «E, come a ogni tramonto, la luce piano piano scompare finché il buio…» e non terminò la frase. Sybil navigava verso i cinquanta, ma la natura era stata particolarmente generosa nei suoi confronti, riservandole una giovinezza che non sembrava voler finire e che lei, però, aveva aiutato per oltre due decenni con una ferrea disciplina alimentare e motoria. Una costante applicazione a giornalieri esercizi ginnici uniti al tennis, al nuoto e a una buona dose di camminate le avevano permesso di mantenere un corpo sinuoso, un seno sodo e arrogante, un posteriore che suscitava spesso maleducati fischi, oltre che una pelle liscia come l’alabastro. Due lunghissime gambe, che rivelavano nei polpacci un’evidente, ma non per questo meno attraente, muscolatura, le davano un aspetto di gazzella sempre pronta allo scatto repentino.

    «Ho proposto a Tony di trasferirci in Europa. Parigi sarebbe il mio luogo preferito ma lui non ne vuole proprio sapere. Non riesce a concepire una vita lontano da Davis e da quell’università.»

    Rayan sembrava ascoltarla ma la sua mente vagava altrove. Pensava a quanto quell’unione tra Sybil e Tony fosse diversa da quella che c’era stata tra lui e sua moglie, a come le convenzioni di una società chiusa e bigotta avessero fortemente influenzato prima, e condizionato in maniera determinante poi, la loro convivenza; di come lui avesse oltremodo idealizzato un rapporto che non si era rivelato essere il germoglio di un amore profondo; di come Susan, al contrario, si fosse sempre illusa che la famiglia perfetta americana dovesse passare attraverso il successo professionale, il conto in banca e le importanti relazioni sociali.

    Si guardò intorno mentre sorseggiava un calice di ottimo champagne prelevato dal vassoio di uno dei camerieri che volteggiavano tra gli ospiti assicurando continuità di beveraggi. Poco distante, un nutrito numero di persone stava intorno a un uomo, alto e piuttosto corpulento, vestito con un completo che doveva essere senz’altro costato una fortuna, di gran marca, lo si capiva da lontano, ma che doveva essere stato acquistato quando colui che ora lo indossava doveva aver pesato per lo meno una decina di chili in meno. La cravatta a vivaci colori sul tono di base carminio contrastava in maniera evidente con una capigliatura bianca lunga e abbondante. L’uomo reggeva con ambedue le mani un bicchiere di whisky riempito quasi fino all’orlo. Parlava con voce baritonale e doveva dire cose piuttosto spiritose perché il gruppo degli astanti, a più riprese, scoppiava in rumorose risate. Una donna di una certa età con un aspetto insolitamente vistoso, agghindata con costosi quanto pesanti gioielli, gli stava sulla destra e a sua volta sembrava trovare molto esilaranti le battute del tizio, ricompensandolo periodicamente con squittii e queruli urletti.

    Rayan vide Tony che stava discutendo a qualche metro di distanza con un gruppo di persone, tra cui notò uno degli organizzatori del congresso, quando improvvisamente si sentì afferrare per un braccio. Girandosi vide il volto sorridente di Sybil e la nuvola bionda dei suoi capelli che gli si avvicinava all’orecchio. «Vieni, mio caro» sussurrò. «Ti devo far conoscere qualcuno dei nostri!».

    Quando Sybil diceva così intendeva sempre qualcuno che era americano come lei e che, come lei, era terribilmente legato alle proprie origini. In fondo in fondo, pensò Rayan, Sybil era una donna di una semplicità assoluta: divideva l’umanità in due gruppi, gli americani e tutti gli altri. Un fulgido esempio di patriottismo ante litteram.

    «Questo angelo si chiama Miriam!» e, scostandosi, lasciò spazio a una giovane donna che le stava dietro. Due occhi del colore dell’acquamarina fissarono Rayan, due labbra lucide di un pallido rossetto sussurravano frasi di circostanza mettendo in mostra denti bianchissimi e due leggere fossette sotto le guance. Indossava un abito di voile nero, stretto in vita, con una gonna leggermente svasata e un bustino a maniche corte con scollo a barchetta che lasciava solo intravvedere seni piccoli e rotondi. Aveva labbra sottili che, se anche non molto marcate, sprigionavano un’evidente sensualità da cui Rayan rimase immediatamente colpito. Il viso era ben proporzionato con un mento piccolo e stretto e un naso dritto con narici leggermente all’insù. I capelli, di un bruno intenso, erano raccolti dietro alla nuca con un nastro di raso nero e una perla. Aveva un aspetto fragile, e al tempo stesso sembrava composta e perfettamente controllata.

    «Sono Miriam Allbright di New York ma vivo a Parigi» disse tendendo la mano verso Rayan che aveva lo sguardo fisso negli occhi di lei. La voce era decisa e ben modulata ed era accompagnata da uno smagliante sorriso. Prima che l’uomo potesse rispondere, Sybil, conscia del colpo allo stomaco che stava subendo Rayan in quel momento, intervenne: «E lui è Rayan, il dottor Kline Rayan, illustre scienziato statunitense, nonché prezioso amico, nonché insuperabile giocatore di squash, nonché grande conoscitore di pittura contemporanea, nonché collezionista e assiduo frequentatore di gallerie, nonché… nonché… eccetera eccetera…». Rayan non udiva le parole di Sybil mentre stringeva la mano di Miriam, piccola, dalle dita affusolate che scorrevano tra le sue quasi vibrando, nascondendosi nell’ampio palmo.

    «Non troverà tutti questi dati sul mio conto né sull’enciclopedia americana né sull’elenco telefonico, glielo posso assicurare» riuscì a dire mentre i loro sguardi si incrociarono. Vi fu un breve momento di silenzio. Sybil fu chiamata da Tony che doveva presentare la moglie a un’importante personalità del mondo scientifico francese che aveva voluto sia lui che Rayan come relatori al congresso. Allontanandosi dalla coppia sussurrò: «Voi due non scappate eh, torno subito». Miriam sorrise. Rayan la guardò sorridere ed ebbe la netta sensazione che il cuore avesse improvvisamente cominciato a correre, tuttavia, riuscì a contenere quell’eccesso di adrenalina sbattendo più volte le palpebre e pensando a quanto giovane potesse essere quella splendida donna.

    La conversazione si instradò su binari più normali, mentre i camerieri con i loro vassoi rifornivano gli ospiti di fresco champagne. Miriam aveva ventiquattro anni, era nata a New York e da pochi mesi aveva conseguito la laurea in architettura alla Columbia University presso la Graduate School of Architecture, Planning and Preservation. Due settimane dopo la laurea aveva purtroppo perso il padre, imprenditore nel campo delle forniture aerospaziali alla Nasa, deceduto per infarto all’età di sessantaquattro anni. A lui Miriam era legata da profondo affetto fin dalla tenera età, cioè da quando a soli tre anni aveva perso la madre, appena ventitreenne, per un incidente stradale. L’uomo, che non si era mai più sposato, aveva riempito la vita della figlia seguendola in ogni momento della sua crescita, e tra i due si era venuto a creare uno strettissimo legame affettivo che aveva permesso alla fanciulla di crescere in un ambiente pieno di amore e di serenità.

    Gli ottimi risultati conseguiti alla Columbia University avevano consentito a Miriam di trovare subito un interessantissimo impiego in una delle società di architettura più quotate degli States: la Gwathmey Siegel Kaufman Architects, con sede a Broadway, organizzatrice appunto di quel cocktail a Parigi, e i tre soci titolari avevano affidato a quella giovane speranza l’incarico dello sviluppo del progetto della Disney Golf Clubhouse di Euro Disney, che avrebbe dovuto sorgere a Marne-la-Vallée, venticinque chilometri circa a est di Parigi. A Miriam sembrava di toccare il cielo con un dito. Aveva fatto subito le valigie per l’Europa e aveva gettato tutta se stessa in questa avventura. La vita sembrava sorriderle oltre ogni sua aspettativa. Suo padre sarebbe stato orgoglioso di lei.

    «Sento che sto vivendo un particolare momento della mia vita» disse. «Sono perfettamente conscia di ciò. È come se avessi il presentimento che è giunto il tempo in cui devo lasciare espandere il mio essere, la mia personalità, la mia anima, senza timore di esagerare, senza temere di superare i limiti imposti dal buon senso e dalle convenzioni.»

    Erano trascorsi molti anni da quando Rayan aveva provato le stesse sensazioni. Dai tempi dell’università. Dai tempi della leggerezza con cui, quasi nella più totale incoscienza, aveva affrontato scelte dure e rigorose, l’abbandono della madre, rimasta vedova, e della sorellina di pochi anni, il netto distacco dalle proprie origini per dare sfogo alla sua sfrenata ambizione di giovane ricercatore al continuo inseguimento di un’affermazione personale che lo aveva portato sì molto in alto, ma che lo aveva anche privato di valori essenziali come la compassione e l’amore. C’era un qualcosa in quella giovane, magnifica donna che li accomunava, una sorta di desiderio irrisolto di vivere sensazioni al di sopra di ciò che è lecito aspettarsi.

    «Ho deciso che voglio vivere attimo per attimo e gustarmi tutte le sfumature di ogni esperienza che farò» proseguì Miriam, e Rayan sentì il cuore che di nuovo accelerava i battiti. Sembrava ascoltare con interesse mentre il suo sguardo correva dagli occhi alle labbra, dalle strette spalle al busto di lei. Tutto ciò era imbarazzante, se ne rendeva conto, ma non riusciva a mascherare questo suo atteggiamento, pur provando a battere ripetutamente le palpebre, quasi a indicare che stava distraendo quell’attenzione forzata verso la sua interlocutrice.

    Si avvicinarono al banco del buffet e Rayan, seguendola, ebbe la possibilità di guardare la figura da dietro. Un’altezza di quasi 170 centimetri con lunghe e snelle gambe, un busto stretto quasi da adolescente che sormontava un sedere rotondo e sicuramente sodo messo ancor più in evidenza dal vestito leggermente svolazzante. Scarpe décolleté in raso nero con tacco di media altezza facevano sfilare due caviglie strette e polpacci ben sviluppati. Miriam si fece servire dei bocconcini croccanti al parmigiano che ben si sposavano alla coppa di Perrier-Jouët che il cameriere le porgeva; Ryan si limitò a sorseggiare quanto gli era rimasto nel bicchiere. Sybil sgusciò tra loro e, mentre afferrava una verrine di tartare di manzo al pistacchio, chiese al cameriere un bicchiere di Crozes-Hermitage, uno splendido rosso del Rodano che sembrava riscuotere molti consensi tra i commensali. Poi, rivolgendosi a entrambi, esclamò: «Eccovi finalmente!» e girando lo sguardo verso Rayan disse maliziosamente: «Non è un angelo questa fanciulla? Ah, fossi stata io come lei vent’anni fa, sai quante vittime avrei lasciato sul terreno…» e tutti e tre risero di gran cuore.

    Rivolgendosi a Rayan continuò: «Avevo conosciuto Lucas, suo padre, quando aveva ancora una piccola fabbrica in uno scantinato nel Wisconsin. Un grande uomo, un padre affettuoso e sempre presente. Aveva perso la moglie qualche anno prima e si era completamente tuffato nel lavoro. Solo Miriam contava per lui, e penso che così sia stato fino a quando se n’è andato. Erano trascorsi molti anni da quando avevo tenuto Miriam sulle ginocchia. Tony fu trasferito a Seattle e lasciammo definitivamente Milwaukee. L’ho rivista solamente al funerale di Lucas qualche mese fa» soggiunse avvicinando le labbra a una guancia di Miriam. La conversazione rischiava di scivolare nel patetico e Rayan ebbe la netta sensazione che gli occhi di Sybil si stessero imperlando. Afferrò quindi la mano di ciascuna delle due donne e le pilotò fuori sul grande terrazzo fino al parapetto prospicente la Tour Eiffel.

    In lontananza il cielo mostrava ancora la tenue striatura rosa del tramonto, e a quell’ora tarda del pomeriggio i tetti di Parigi, nelle loro molteplici forme, bombati o spioventi con migliaia di comignoli, assumevano le infinite sfumature dell’azzurro e del grigio, rappresentando un paesaggio veramente unico al mondo.

    Rayan pensava a quei tetti che, con la loro bellezza, parte integrante della città, avevano ispirato artisti come Van Gogh e Cezanne, poeti, musicisti, che li avevano resi immortali nelle loro opere.

    Vicino alla balaustra del terrazzo si accorse che Miriam aveva improvvisamente chiuso gli occhi e inspirava profondamente l’aria. Il petto le si gonfiava e sgonfiava ritmicamente, i seni le salivano e scendevano quasi a volersi liberare della costrizione degli indumenti. Le guance erano leggermente arrossate.

    Il tempo sembrò fermarsi e Rayan sentì la mano della giovane che stringeva la sua.

    «Ho due giorni a disposizione prima di tornare a casa, e vorrei che voi due mi accompagnaste in giro per questa meravigliosa città» disse rivolgendosi alle due donne.

    «Per me è impossibile» affermò Sybil. «Tony e io partiamo sabato in mattinata per Sacramento, subito dopo la chiusura del congresso. Tony deve essere a Davis in università lunedì in giornata. Abbiamo già il volo prenotato delle 10.30 per Los Angeles con Air France, e nel pomeriggio di domenica per Sacramento con la Delta.»

    Mentre la delusione sembrava affacciarsi sul volto di Rayan,

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