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Un ereditiera al mio servizio: Harmony Jolly
Un ereditiera al mio servizio: Harmony Jolly
Un ereditiera al mio servizio: Harmony Jolly
E-book165 pagine2 ore

Un ereditiera al mio servizio: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

Amore e lavoro possono andare d'accordo? Certo. Provare per credere!

Ora sono veramente nei guai. Faith Fowlmere ha appena perso il lavoro e il suo conto in banca è spaventosamente in rosso; inoltre, non può nemmeno rientrare in Inghilterra perché potrebbero riconoscerla. Lei, infatti, è Lady Fowlmere, la famosa ereditiera scomparsa da Londra per un clamoroso scandalo. Ma forse ha trovato la soluzione ai suoi problemi. Faith non vorrebbe origliare, ma pare che l'uomo al suo fianco stia cercando una guida turistica per dei suoi ospiti. Ma aspetta, come ha detto che si chiama, Lord Dominic Beresford? Non potevo scegliere di peggio. Se mi riconoscesse? No, impossibile. Sono brava a fingere di essere quella che non sono. Non mi scoprirà e il mio conto in banca mi ringrazierà vivamente. Almeno lo spero.
LinguaItaliano
Data di uscita10 giu 2019
ISBN9788858998755
Un ereditiera al mio servizio: Harmony Jolly

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    Anteprima del libro

    Un ereditiera al mio servizio - Sophie Pembroke

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Heiress on the Run

    Harlequin Mills & Boon Romance

    © 2014 Sophie Pembroke

    Traduzione di Caterina Pietrobon

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-875-5

    1

    «Non capisco» disse Faith, stringendo con troppa forza il tessuto della propria uniforme. La gonna grigia a tubino non poteva cedere di molto, stretta com’era, ma lei aveva bisogno di sentire qualcosa di solido e reale tra le mani. Qualcosa che esistesse davvero. A differenza dell’aereo che avrebbe dovuto riportare a Londra lei e il suo ultimo gruppo di turisti. «Come può non esserci un aereo?»

    Il funzionario dell’aeroporto aveva l’aria di chi quel giorno aveva già sostenuto quella conversazione molte più volte di quanto gli sarebbe piaciuto e in più lingue di quelle in cui si esprimeva con scioltezza. «Non c’è un aereo, signorina, perché non c’è più la compagnia. È fallita. Tutti i clienti della Roman Holiday Tour Company, sono pregati di contattare la propria assicurazione e di...»

    «Ma io non sono una cliente!» lo interruppe Faith, spazientita. Da tre ore stava in aeroporto e aveva ormai bisogno di una tazza di caffè. O almeno di sapere con esattezza che cosa diavolo avesse mandato in fumo il suo futuro da una notte all’altra. «Io sono una dipendente. Sono la guida turistica.»

    Lo sguardo dell’addetto si riempì di compassione. Faith ne dedusse che probabilmente non l’avrebbero pagata quel mese. Né mai. Fantastico. Proprio quando un aiutino sarebbe stato un vero toccasana per il suo conto in banca. «Allora le consiglio di contattare il suo datore di lavoro. Sempre che riesca a trovarlo.»

    Eh, no, non suonava affatto bene.

    Girandosi, Faith rivolse quello che si augurò fosse un sorriso rassicurante al gruppo di turisti che attendevano notizie sul volo per rientrare a casa. Sollevò un indice chiedendo loro solo un minuto e frugò nella borsa capiente alla ricerca del cellulare. Era il momento di sapere che cosa diavolo stesse accadendo.

    «Marco?» disse nell’attimo stesso in cui il telefono smise di suonare. «Ma che accidenti...?»

    Un clic.

    Grazie per aver chiamato la Roman Holiday Tour Company. In questo momento non possiamo rispondere alla vostra chiamata...

    La sua stessa voce sul messaggio della segreteria telefonica.

    Riattaccò.

    Intorno a lei, l’aeroporto Leonardo Da Vinci brulicava di vita: il rumore dei trolley sul pavimento liscio, le chiacchiere eccitate dei vacanzieri, il profumo del fastfood e del caffè forte, gli annunci gracchianti. E i dodici turisti britannici accanto alle proprie valigie che la guardavano con occhi carichi di speranza.

    Faith prese un bel respiro e si avvicinò. «Okay, gente, le cose stanno così. Sarò sincera, non è una bella situazione, ma io sono ancora qui e vi aiuterò a sistemare tutto, okay?» Chissà, forse non l’avrebbero mai più pagata e forse il suo capo era davvero sparito dalla faccia della terra... Comunque fosse, lei aveva trascorso le ultime due settimane mostrando le meraviglie dell’Italia a quelle persone e loro si fidavano di lei. Glielo doveva. Doveva almeno assicurarsi che arrivassero a casa sani e salvi. Forse così non avrebbero ricordato quella vacanza come un completo disastro.

    In realtà a quelle parole nessuno di loro si rilassò, ma almeno parvero un po’ meno terrorizzati, il che era decisamente quanto di meglio potesse sperare, considerate le circostanze. E adesso il colpo basso.

    «Bene, allora, per prima cosa, avete tutti un’assicurazione viaggi?»

    Ci vollero due ore e mezza, quattro tazze di caffè, venti telefonate e infinite sviolinate, ma alla fine Faith aveva sistemato tutti, trovando loro o un posto su un altro volo o una camera d’albergo dove attendere che l’assicurazione organizzasse il rientro a casa.

    Per tutti, sì, tranne che per se stessa.

    Si sedette di peso su una delle panchine, ignorando il tipo che dormiva con la testa appoggiata sullo zaino vicino a lei. Estrasse il cellulare e ricompose il numero di Marco.

    Grazie per aver chiamato la Roman Holiday Tour Company. In questo momento non possiamo rispondere alla vostra chiamata...

    Schiacciò di scatto il tasto termina, abbandonò il telefonino sul grembo e chiuse gli occhi. Okay, allora. Era il momento di riassumere la situazione. Dov’era?

    A Roma! Il centro della storia, città affascinante e con splendide pizzerie. La conosceva bene e aveva... ehm, sì... solo venti euro nel portamonete. E per giunta era disoccupata, senza un tetto sulla testa e bloccata.

    Sospirò e riaprì gli occhi. La gente che girava per il terminal sembrava sapere perfettamente dove andare e come arrivarci. Lei invece non aveva nemmeno la più pallida idea di dove avrebbe dormito quella notte.

    Poteva sempre chiamare Antonio. Sì, se si tralasciava il motivo per cui non avrebbe davvero potuto farlo. Gli ex di solito non erano particolarmente inclini a esserti d’aiuto quando la tua vita andava in pezzi e l’uomo che aveva lasciato in preda a un attacco d’ira con tutta probabilità l’avrebbe cacciata a pedate. O peggio.

    E dato che tutte le sue conoscenze a Roma erano o membri della famiglia esageratamente allargata di Antonio oppure conoscenti del suo datore di lavoro svanito nel nulla, o addirittura entrambi, la probabilità di ottenere aiuto in loco era praticamente uguale a zero.

    Quindi non le restava che tornare a... casa. Sarebbe dovuta già essere a Londra, pronta per prendersi un nuovo gruppo di turisti e imbarcarsi per un giro sui laghi italiani. Ma anche quello doveva essere saltato.

    Da quando – un anno e mezzo prima – aveva lasciato la Gran Bretagna, del suo Paese aveva visto sempre solo l’alberghetto a buon mercato vicino a Heathrow e, anche se non aveva tagliato i ponti con gli amici, non poteva di certo chiamarli dal nulla per chiedere se per piacere le compravano un biglietto aereo.

    No. Una richiesta del genere la si poteva rivolgere solo alla propria famiglia. E lei non voleva davvero essere costretta a farlo.

    Senza dubbio, mamma e papà, Lady e Lord Fowlmere, non avrebbero esitato un solo istante ad accoglierla in seno alla famiglia. In fondo la notizia dell’ereditiera ribelle che tornava alla tenuta dei Fowlmere avrebbe venduto un bel po’ di copie e suo padre adorava compiere gesti che lo facevano poi apparire come un uomo meraviglioso sulle pagine dei rotocalchi.

    Faith se ne era andata tre anni prima, decisa a essere solo se stessa e non più un cimelio aristocratico da esibire ai galà di beneficenza. Tornare a casa avrebbe mandato in fumo un bel po’ di duro lavoro. E fatto riemergere i motivi principali per cui aveva lasciato la famiglia.

    Ma, a quanto pareva, non le restava granché di scelta.

    Passandosi una mano sulla fronte, Faith si sistemò la camicetta bianca, quindi si strappò dal collo l’orribile papillon rosso e arancione che Marco faceva indossare alle proprie guide e lo cacciò nella borsa. Lo scollo della camicetta si ampliò un po’ oltre il limite dell’appropriatezza, ma non se ne preoccupò. Se doveva telefonare alla famiglia, le ci voleva prima un drink e magari, lasciando un po’ scoperto il decolleté, sarebbe riuscita a non sprecare i suoi preziosissimi venti euro pagandoselo da sola.

    «Rispiegami com’è successo.» Seduto al bar, Lord Dominic Beresford guardò con una gran voglia la bottiglia di birra ghiacciata di fronte a lui. Aveva trascorso la giornata in riunioni, lavorando poi in taxi mentre andava all’aeroporto e stava già per rilassarsi prima di prendere il volo per Londra quando aveva chiamato Kevin, quel dannato incompetente del suo impiegato a tempo determinato. La birra avrebbe dovuto aspettare. Doveva prima sistemare l’ultimo disastro che quel tizio gli aveva combinato.

    Lo sentì girare freneticamente le pagine di uno dei molti fascicoli che doveva avere sulla scrivania. Stupida Shelley con quella sua stupida maternità! Preservare la sua sanità mentale non era forse un compito più elevato che occuparsi di un neonato?

    Dominic fece scivolare un dito sulle goccioline della condensa formatasi sul collo della bottiglia. Eh, no, probabilmente no.

    «Ehm, sir, posso solo dirle che alcuni mesi fa la sua segretaria aveva prenotato una guida turistica con la solita agenzia, ma poi...» La voce di Kevin si affievolì.

    Ma poi la proprietaria della solita agenzia, Lady Katarina Forrester, altrimenti nota come mia fidanzata, è stata sorpresa dal fotografo in una posizione piuttosto compromettente che ha scatenato una dannata tempesta mediatica e minacciato la reputazione della mia famiglia.

    Così, lui aveva rotto il fidanzamento e lei per ripicca aveva mandato a rotoli il loro rapporto professionale. Ma quella sera aveva sei uomini e donne d’affari americani in arrivo a Londra che si aspettavano, oltre alle riunioni, giri turistici e divertimento allo stato puro. E, a pensarci bene, anche delle camere in un hotel di lusso. Oh, accidenti! Ma perché aveva lasciato che fosse sempre Kat a organizzare il soggiorno dei suoi clienti?

    La consapevolezza di essersela un po’ cercata perché si era lasciato coinvolgere in un rapporto professionale non attenuò la voglia di bersi la birra. Avrebbe dovuto andarci piano.

    «Me lo ricordo, credo, quello che è accaduto in seguito» tagliò corto con Kevin. «Mi interessa di più quello che sta succedendo adesso. Senta, ecco quello che deve fare. Per prima cosa...»

    «Ehm...» lo interruppe Kevin, come faceva sempre quando stava per rovinargli la giornata. Di sicuro Shelley non aveva bisogno di starsene lontana un anno intero per il bambino, vero? Ma se invece non fosse rientrata affatto?

    «Che c’è?» lo incalzò secco.

    «Il fatto è che sono quasi le otto, sir. E io dovevo staccare alle cinque e mezzo» piagnucolò Kevin. Ma come aveva fatto Shelley a proporglielo come suo sostituto? Forse l’istinto materno l’aveva sopraffatta prima del parto. Kevin era il tipo d’uomo che poteva risvegliare simili sentimenti in una donna.

    «Aggiunga le ore agli straordinari, mi assicurerò che le vengano corrisposti» propose ragionevole.

    «La ringrazio, sir, ma non si tratta solo di questo. È che stasera ho un... impegno che non posso rimandare.»

    «Un appuntamento?» Non riusciva a immaginarsi quel tipo smilzo e brufoloso con una vera donna.

    «No!» Il tono stridulo di Kevin gli fece intuire che a quell’idea anche l’impiegato doveva avere dei problemi. «Si tratta di una riunione importante.»

    Il problema con i dipendenti a contratto determinato era che per loro il licenziamento non costituiva una minaccia: avevano sempre qualcosa di nuovo per le mani e non erano incentivati a restare.

    Ma non doveva dimenticare che quella settimana Kevin aveva ingarbugliato qualsiasi incarico – anche i più semplici – che lui gli aveva affidato. A volte se si voleva un lavoro fatto bene...

    «Non si preoccupi. Vada. Me ne occupo io.»

    Lo sentì scattare verso la porta. «Sì, sir. Grazie.» Riattaccò.

    Dominic lanciò un altro sguardo assetato alla birra. Quindi chiamò Shelley.

    I vagiti di un neonato in sottofondo. Non era un buon segno.

    «Sono in maternità, Dominic. Adesso non lavoro per te e questa è la quinta volta che mi chiami questa settimana.»

    «Lo so. È che gli americani... Kat ha cancellato tutte le nostre prenotazioni e...»

    «Ti avevo detto di non andarci a letto.»

    «Gli devo trovare una sistemazione e una hostess che si occupi del loro soggiorno a Londra.»

    «Sì. Devi. Tu.»

    «Mi puoi aiutare?» Detestava implorare la gente. Detestava ammettere di avere bisogno di aiuto. Ma Shelley aveva lavorato per lui per cinque anni e sapeva cosa gli serviva. Lei faceva parte della sua società.

    O almeno ne aveva fatto parte finché non l’aveva lasciato.

    Però era comunque più dedita al

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