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La Rosa Bianca e il Serpente - Vol.1: L'Inizio della Maledizione
La Rosa Bianca e il Serpente - Vol.1: L'Inizio della Maledizione
La Rosa Bianca e il Serpente - Vol.1: L'Inizio della Maledizione
E-book463 pagine5 ore

La Rosa Bianca e il Serpente - Vol.1: L'Inizio della Maledizione

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TRAMA:


Due occhi dorati tormentati da costanti incubi: appartengono a Lais e gli impediscono di trovare pace nella sua vita solitaria.
Stufo della monotonia che lo avvolge nel villaggio dove vive e privo di qualsiasi legame in quanto orfano, il giovane decide di mettersi in viaggio per cambiare il suo futuro e fuggire dalla povertà.
Ma proprio prima di partire, la sua tutrice gli regala una strana e curiosa collana, dalla quale Lais viene totalmente rapito. Le stranezze, però, sono appena iniziate: il ragazzo incontrerà Etka lungo la via e scoprirà di essere legato a lei in qualche modo. 
Confusi e pieni di domande, i due adolescenti si metteranno alla ricerca di risposte e della verità che si cela dietro le loro esistenze.
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2023
ISBN9791222421469
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    Anteprima del libro

    La Rosa Bianca e il Serpente - Vol.1 - Greta Guerrieri

    Il Risveglio Del Male

    CAPITOLO 1

    Lais

    L’ennesima notte insonne era passata e il ragazzo non ne poteva più. Ultimamente, i suoi sogni erano pieni di oscurità e confusione. Sentiva persone chiedere aiuto e urlare di dolore. Parlavano di un pericolo imminente, senza fornire nessuna ulteriore informazione o motivazione. La lunga convivenza con quegli incubi ricorrenti gli aveva insegnato a distinguere un elemento: un’ombra senza un corpo definito, che si avvicinava sempre di più, facendosi largo tra le tenebre e chiamandolo per nome. Ma tutto finiva sempre prima che riuscisse a individuare chi o cosa fosse quella figura oscura.

    Un rumore di passi e voci che si sovrapponevano lo catapultarono così velocemente nella realtà, che pensò di essere appena atterrato di botto su una strada lastricata.

    Cominciare la giornata ancora trasognato al momento del risveglio era qualcosa che odiava; soprattutto, non sopportava che allestissero un mercato proprio fuori da casa sua.

    «Albicocche fresche! Appena raccolte!»

    «Le mie lo sono ancora di più! Sono state in ammollo fino a cinque minuti fa! Ho anche molta altra frutta!»

    Erano le parole odiose di due mercanti che si contendevano i clienti.

    Era più che sufficiente, non poteva restare a sentire quelle baggianate fermo e immobile nel letto.

    Sono stanco di questo posto, pensò il ragazzo aprendo lentamente gli occhi. Sospirò, sedendosi sullo spoglio materasso bucato che sosteneva il suo corpo magro. Cercò con le mani le scarpe nascoste sotto al giaciglio e se le infilò velocemente, poi si alzò. Mentre andava verso il malridotto specchio, che stava in un angolo vicino a un catino con dell’acqua, si voltò a fissare la debole luce che filtrava dalla finestra adiacente al letto, coperta da una mezza tenda nera.

    Dentro al lavabo, raccolse una scheggia che si era staccata dallo specchio; soffiò per levare la polvere e lo sporco e mise a fuoco la propria immagine. I capelli castano chiaro e scompigliati potevano andare; non li aveva messi mai a posto in tutta la sua vita, quindi non avrebbe iniziato di certo ora! A che scopo, poi?

    Due occhi dorati saettavano in ogni direzione circospetti, conferendogli un’aria strafottente e menefreghista; brillarono ancora di più quando tutta la faccia fu avvolta dal getto d’acqua che si versò addosso. Si preoccupò, poi, di nasconderli sotto il cappuccio della felpa e uscì sbattendo la porta, che per poco non si staccò dal muro con il rischio di cadere a terra. Alcune goccioline gli cadevano ancora dal volto e finivano nelle pozzanghere lasciate dalla pioggia del giorno precedente, tra la ghiaia che riempiva le crepe della strada. Calciò un sasso che colpì un sostegno di legno di una bancarella e un anziano lo guardò torvo, per poi distogliere velocemente lo sguardo non appena incrociò i suoi occhi. S’infilò le mani nei pantaloni neri e luridi, strappati in vari punti, continuando a camminare velocemente con il viso abbassato il più possibile per evitare di attirare l’attenzione. Si fermò davanti a un banchetto che vendeva mele.

    «Due, per favore» disse all’uomo di mezza età, che aveva chiaramente una barba finta e fissava sorridente il suo unico cliente.

    «Sei sempre il mio migliore acquirente, ragazzo! Sono trenta zyse.»

    Posò il denaro sul tavolo e prese il sacchetto che gli porse il mercante, con dentro la sua colazione.

    «Ecco a lei» affermò con noncuranza, e si allontanò senza ricambiare il saluto del gentile venditore.

    «Dicono che le mele sono il frutto del male. Infatti, nessuno le compra… a parte te!»

    Una donna si fece largo tra la massa, che si era accalcata nel poco spazio disponibile. I suoi capelli biondi, lunghi sul davanti fino alle ginocchia e dietro corti appena oltre il collo, non passavano inosservati, così come gli occhi glaciali e grigi come le nuvole in piena tempesta. Il giovane la guardò, tirò fuori dalla busta uno dei due frutti e iniziò a mangiarlo tranquillamente, incurante del fatto che molte persone lo stavano osservando.

    «Non m’importa cosa pensano i cittadini se mangio una mela. Affari loro se sono condizionati da una stupida leggenda!»

    La donna lo raggiunse, guardò il sacchetto e appoggiò una mano sul fianco, dove spuntava una spada con impugnatura nera e fodero grigio.

    «È il loro Credo, Lais; dovresti, invece, badare molto di più a quello che riguarda la cultura, a ciò che ti circonda e a quello che pensano di te.»

    «Me ne frego!» ribatté l’altro, dando un morso più profondo al frutto.

    «Hai ragione. Neppure a me tocca più di tanto» concluse la donna, intercettando gli sguardi curiosi di molti uomini. Gettò all’indietro il capo per far fluire le ciocche di capelli al vento, anche se non c’era.

    Ovviamente, non le interessa. Sa già di essere bella e desiderata, cos’altro potrebbe volere? rifletté il ragazzo, riprendendo a camminare e sgusciando tra la folla che ammirava quella donna fin troppo vanitosa, la quale pestava volutamente sul terreno gli scarponi rinforzati che indossava – a differenza delle misere scarpe del ragazzo – per segnalare a chiunque il suo passaggio, anche se la sua arma già svolgeva perfettamente questo compito, picchiando contro i pantaloni lunghi di pelle, aderenti e neri.

    «Oggi i miei allievi hanno disertato per venire al mercato, credo. Se li trovo, li apro in due!»

    «Credevo che il giorno del mercato coincidesse con il tuo di riposo. Vuoi lavorare lo stesso?» chiese il ragazzo, che si era fermato ad aspettarla in un angolo vuoto della piazza, finendo la mela con un ultimo morso.

    La donna agitò una mano in aria e si sistemò la maglia verde scollata, sperando di ottenere lo stesso effetto delle sue braghe, nonostante non avesse un seno abbastanza prosperoso da esibire.

    «Non avere niente da fare mi snerva, lo sai. Preferisco impartire insegnamenti ai figli di papà o a grassoni che sperano di diventare le guardie del Re, piuttosto che ammuffire in casa!» rispose, afferrando il sacchetto marrone che il ragazzo teneva saldo sotto al braccio.

    «Quelli che hai appena descritto sono esattamente i tizi che ti ritrovi ad allenare quattro giorni a settimana, in quella che un tempo era una scuderia.» Lais la inchiodò con i suoi occhi magnetici, guardandola mangiare il resto delle sue mele come se nulla fosse. «Anche tu desideri diventare la pecora nera del villaggio? Quel frutto potrebbe costarti tutto!»

    La donna sorrise e si appoggiò a una trave in legno instabile di una casa in via di restauro.

    «Diciamo che mi sono giocata completamente la reputazione quando ti ho preso sotto la mia ala protettiva, ma ovviamente mi è stato perdonato perché sono femmina. Per giunta, bellissima!»

    Il ragazzo sospirò e poi puntualizzò: «Nessuno ti ha obbligata a nominarti mia tutrice, anche se sono orfano. Come vedi, mi arrangio benissimo da solo!»

    «Non lo metto in dubbio, anche se avresti potuto essere un mio allievo. Ti ci vedrei bene a impugnare una spada…»

    Seguì il suono di denti che mordevano e trituravano qualcosa.

    «Non ne impugnerò mai una come quegli effeminati dei tuoi studenti! Alla fine, questo sono, o comunque la maggior parte di loro lo è!»

    La risata dell’istruttrice fu limpida e infantile. Forse era quello uno dei tanti motivi che le rimediava appuntamenti a non finire e nessun uomo fisso nella sua dimora, dettaglio che Lais considerava fastidioso e seccante; un’ulteriore conferma di aver preso la decisione giusta nel non condividere la casa con lei quando gli era stato domandato.

    «Se ti sentisse il Re!»

    «Che si fotta pure il Re!» replicò lui, sospirando e guardandosi intorno.

    «Vedo che ancora non ti sono andate giù le sue decisioni» commentò la donna, mentre masticava la mela a bocca aperta, probabilmente per farsi notare.

    La tutrice continuava a parlare, osservando un punto della piazza, dove due uomini si stavano strattonando e litigavano per la precedenza nell’essere serviti.

    «E come potrebbero?» contestò il ragazzo. «Ci ha ridotto ancora di più in miseria, la sua idea del mercato settimanale di scambio ci sta stressando e basta, e continua a preferire il villaggio di Pevobu a noi. Finiremo come la…»

    S’interruppe, notando il carretto pieno di letame di un agricoltore passare a stento tra le bancarelle e le persone che discutevano animatamente un po’ ovunque.

    «Ehi, vecchio! Passa altrove con quello schifo che trascini!» brontolò un commesso, preoccupato che i suoi clienti si allontanassero infastiditi dall’odore.

    «Se tu sei di gusti così sopraffini, perché non cerchi fortuna nelle terre della dimora di Yeli?» gli rispose a tono l’anziano, guadagnandosi istantaneamente tutta la stima di Lais.

    Il commesso, però, non la prese molto bene.

    «Ma come ti permetti? Credi che ti debba portare rispetto solo per la tua età?» lo redarguì, avvicinandosi.

    «Piantatela! Non intralciate la via!» s’intromise una terza persona.

    «Tu stanne fuori!» sbraitò il commesso.

    «Ho finito. Andiamo?» chiese la donna, pulendosi le mani con un fazzolettino per poi avviarsi.

    «Con piacere!» concordò il ragazzo.

    Non se lo fece ripetere due volte. Quando furono abbastanza lontani da non essere uditi, la tutrice riprese a parlare.

    «Dunque, preferiresti essere un mago anziché un cavaliere? Anche se ultimamente va di moda pure tra le donne: infatti, ho una ragazza al mio corso. Pazzesco! Una donna che maneggia una spada!»

    «La cosa non mi stupisce» affermò Lais, guardando la vita snella di lei da dove pendeva l’arma. «E poi, i maghi non esistono più da anni!»

    «Questo lo dici tu! C’è chi afferma che vivano ancora, da qualche parte.»

    «Maestra Kirse!»

    Una ragazzina, vestita in divisa da combattente, correva verso di loro.

    I suoi stivali rimbombavano sul selciato, aumentando il rumore assordante circostante. I capelli, rossi e ricci, le cadevano oltre le spalle. Gli occhi castani cercavano tra la gente la persona che stava chiamando.

    «Visto? Ti dicevo che avevo una femmina nel mio gruppo… Jul! sono qui!»

    Kirse fece un cenno con la mano alla ragazza, che arrivò sorridendo.

    «L’ho cercata dappertutto! Ho visto la scuderia chiusa; so che non è prevista alcuna attività per oggi, ma non potrebbe fare un’eccezione? Avrei voglia di esercitarmi, se non le dispiace.»

    «Mi prendi in un brutto momento, perché sono piena di impegni… Ma dato che me lo chiedi così gentilmente, farò un’eccezione!»

    «Non so come ringraziarla!»

    La ragazza s’inchinò ripetutamente, poi intravide il giovane accanto alla maestra: fissava il terreno, dondolandosi sulle gambe. Era in forma e bello da morire, come sempre.

    «C-ciao… Lais…» esordì Jul, timidamente, nel caso non l’avesse ancora notata.

    Il ragazzo si limitò a guardarla per un secondo e ad allontanarsi dalle due.

    «Io me ne vado, ci vediamo.»

    «D’accordo. Ah, passa più tardi a casa mia: ho una cosa da darti» gli disse la bionda, senza ricevere alcuna risposta.

    Si rese conto che la sua allieva lo stava squadrando dalla testa ai piedi, immobile come una statua, mentre, con una mano, si stringeva fortemente il corpetto.

    «Diventa sempre più carino, vero? Ha il classico fascino da cattivo ragazzo» provocò la ragazzina la maestra Kirse.

    «Non… non so cosa intende…» balbettò Jul.

    La maestra sorrise, in modo compiaciuto e freddo.

    «Soprattutto in questa giornata!»

    La studentessa la guardò sconcertata, non avendo capito il senso di quella frase. Questo le costò caro perché perse di vista il ragazzo. Si era dileguato come un fantasma in una nebbia invisibile. Come riusciva a far perdere le proprie tracce in quel modo?

    Lais non si sarebbe mai ripetuto abbastanza che detestava quel luogo e i suoi abitanti: più cercava di ignorarli, più se li ritrovava addosso, che lo urtavano involontariamente nelle strade strette, o lo osservavano come fosse colpevole di chissà quale reato. Si sentiva macchiato, come lo sarebbe stato un assassino davanti alla sua vittima priva di vita. Ma, in realtà, non aveva ucciso nessuno… perlomeno non ancora. Giurò a se stesso che ci avrebbe provato, se non avessero smesso di guardarlo in quel modo.

    In fondo alla piazza, lontano dal caos delle bancarelle, si intravedeva l’officina di un fabbro. Aumentò il passo per raggiungerla il prima possibile e uscire dalla ressa di quell’atmosfera movimentata, troppo caotica per i suoi gusti.

    Bussò tre volte di fila, prima di udire il suono di una voce roca e, apparentemente, rozza: «Vieni pure, Lais!»

    Una volta entrato, il ragazzo ci mise un po’ ad abituarsi alla luce del camino, l’unica presente all’interno della stanza. Il calore del fuoco gli fece sfavillare gli occhi dorati, abbagliando l’uomo che martellava, chino su un tavolo, un pezzo di ferro.

    «Ragazzo, così mi fai diventare cieco!» protestò il fabbro, sbattendo lo strumento sul tavolo, usurato dai segni del lavoro.

    «Sono venuto per dirti una cosa…»

    Potendo scegliere tra il disordine di robaccia inutilizzata ammucchiata un po’ ovunque e il settore destinato al prodotto finito pronto per la consegna, Lais optò per spostarsi nel primo: l’ordine e la pulizia non facevano per lui.

    La bottega non rendeva giustizia al lavoro accurato di Alx e, a guardarlo bene, nemmeno il suo stesso aspetto. Il fabbro aveva corti capelli neri sfumati di bianco tutti arruffati, appiccicosi per via del sudore che gli colava dalla fronte. Secondo il ragazzo, i ciuffi canuti erano comparsi fin troppo in anticipo rispetto alla sua età. Gli sembrava assurdo avesse solo quarantacinque anni, anche se il fabbro gli ripeteva sempre che la fatica e lo sforzo erano i migliori alleati dello scorrere del tempo.

    Alx non era molto loquace, ma a Lais stava bene così. Potendo scegliere tra un chiacchierone e un muto, avrebbe scelto il secondo. Ecco perché si trovava così bene con quell’uomo, nonostante la differenza di età; era uno dei pochi – se non forse l’unico – che poteva considerare un amico.

    «Che cosa devi dirmi?»

    Lais si abbassò lentamente il cappuccio, mentre due occhi neri come il carbone lo fissavano seriamente e con un pizzico di curiosità.

    «Ho intenzione di andarmene da Nefic. Stanotte stessa, probabilmente.»

    La sua voce era stanca e dura, completamente diversa da quella che ci si sarebbe aspettati da un giovane.

    Alx tornò a concentrarsi sul proprio lavoro, riafferrando gli strumenti abbandonati malamente sul tavolo, senza dire nulla.

    Ora che ci faceva caso, quella baracca era davvero piccola per tutti gli oggetti che conteneva: non c’era abbastanza spazio per muoversi, a parte nel riquadro del camino, dove il fabbro dava vita alle sue creazioni. Tuttavia, mancavano sia le finestre, sia lo spazio per sedersi: un luogo perfetto per provocare un attacco di claustrofobia.

    «Sono venuto a salutarti, non so quando ci rivedremo…»

    Ammise a se stesso che gli dispiaceva un po’, dato che aveva collaborato più volte con l’uomo in quell’officina. I momenti che avevano trascorso insieme erano stati insegnamenti importanti e non poteva dimenticarli. Oltre a essersi occupato di quelle cianfrusaglie che esaminava con attenzione, Lais aiutava anche alla scuderia di Kirse. Si ricordò che doveva incontrarla e si diresse verso l’uscita.

    «Buona fortuna!»

    Furono le ultime parole che udì da Alx, prima di sistemarsi il cappuccio sul capo e memorizzare ogni singolo dettaglio dell’abitazione, per evitare di dimenticarsene in futuro.

    «Anche a te!»

    Il sole, ancora alto nel cielo, segnava l’inizio del primo pomeriggio, come confermava la piazza del mercato, assai meno frequentata rispetto a poche ore prima. Alcuni mercanti iniziavano già a sbaraccare le loro postazioni.

    Infilandosi le mani in tasca, il giovane incappucciato procedette lungo una via sulla destra, per arrivare velocemente alla casa della sua tutrice. Il suo villaggio gli faceva pena. Le case non si potevano guardare: erano tutte identiche, sia di grandezza, sia di colore; la maggior parte era in fase di ricostruzione, ma questa procedeva a rilento. Mancavano i fondi. Come se la miseria non bastasse, il loro sovrano aveva avviato un progetto – inutile secondo Lais – che riguardava una buffonata settimanale per migliorare l’economia e coltivare l’amicizia con i villaggi adiacenti.

    Qualcosa era effettivamente cresciuto, ma si trattava solamente della povertà e della tensione tra le persone. Nefic stava decadendo come le assi marcite dei tetti e delle impalcature, che spesso ferivano i passanti con i loro frammenti. Chi non poteva sopportare o gestire questa situazione spariva o veniva dimenticato sotto i ruderi delle macerie di alcuni alloggi, senza che nessuno avesse provveduto a sgomberare la zona. Solo i bambini s’impressionavano ancora nel vedere arti spuntare da sotto i blocchi di cemento: Lais e tutti gli altri ormai ci avevano fatto l’abitudine. I più temerari cercavano fortuna migrando verso la dimora del Re, a Yeli, ma il ragazzo non avrebbe saputo dire se quella fosse una scelta saggia.

    Al contrario, Pevobu, il paesello vicino, se la passava nettamente meglio, perché godeva dell’appoggio del sovrano, che lo preferiva di gran lunga, ed era sempre pronto a sostenerlo nei momenti difficili.

    Le uniche persone che sembravano non aver risentito della crisi erano Alx e Kirse con le loro attività. Il fabbro divideva con la moglie la casa-officina, un fortino sicuro e inespugnabile per i disperati che cercavano la soluzione ai propri problemi derubando i compaesani. La dimora della tutrice, invece, era un accesso più agevole per molti uomini che, pur di avere un luogo caldo per la notte, sarebbero stati disposti a fare qualsiasi cosa.

    Tutto ciò era avvolto da un alone di mistero, di cui Lais non voleva sapere niente, grato di non farne parte.

    «Ma guarda chi abbiamo qui… il cocco bello, zucca vuota della maestra!»

    Nel riconoscere il suono di quella voce, Lais alzò lo sguardo, distogliendolo dai detriti sparsi per la via e vide tre ragazzi che gli bloccavano il passaggio.

    «Sei felice di vederci, vero?» continuò il primo dei tre, fisicamente più in forma rispetto agli altri.

    «Toglietevi!» protestò Lais, non avendo nessuna intenzione di perdere tempo con degli attaccabrighe del genere.

    «Oh, ragazzi, il poppante se la fa addosso!»

    Il capobranco scoppiò in una risata, contagiando gli altri.

    Si chiamava Wolk ed era un ragazzo alto e snello, con addominali perfettamente scolpiti sotto il corpetto da combattimento, che sembrava troppo stretto per contenerli. Aveva lucidi capelli neri domati all’indietro e occhi azzurri tendenti al blu, penetranti come la spada che portava in vita.

    «Sei il migliore!»

    Una risata, simile al verso di un maiale tirato per il collo, uscì dal ragazzo grassottello al centro del trio. Si chiamava Segi ed era il classico figlio di qualche contadino o mercante della zona, che sperava di far carriera nell’ambito militare. La sua bellissima chioma bionda gli copriva metà volto, nascondendo gli occhi castani. I suoi movimenti impacciati, però, rovinavano tutto.

    «Ragazzi, andiamo, coraggio! Forse riusciamo a vedere ancora un po’ di mercato» li esortò Irkl, il gemello di Jul.

    A Lais non dava fastidio, si comportava sempre come se fosse costretto a sopportare le scorribande dei suoi amici per rimanere all’interno della compagnia; si differenziava dalla sorella solamente per il colore degli occhi, che erano verdi, anziché castani. Minuto com’era di corporatura, passava per un fragile ragazzo e richiamava le attenzioni femminili. I capelli rossi erano poi la ciliegina finale.

    Questi giovani formavano il gruppo degli allievi di Kirse, un trio con cui Lais si ritrovava ad avere a che fare fin troppo spesso e perlopiù in situazioni sgradevoli.

    «Hai perso l’uso della parola? O te la stai facendo sotto?» lo derise il capo, che gli si posizionò di fronte.

    Lo sguardo dorato di Lais sembrava non toccarlo minimamente. Wolk lo superava in altezza di qualche centimetro, mentre i suoi compari erano più bassi rispetto a entrambi.

    Segi afferrò Lais per un braccio.

    «Non mi toccare» sibilò, prima di essere afferrato per l’altro braccio dal gemello.

    Vide a rallentatore il pugno di Wolk arrivargli sul naso. Essere malmenato da quei tre era ormai una routine quasi quotidiana.

    In tante occasioni avrebbe voluto reagire, ma il rispetto che nutriva per la propria tutrice glielo impediva. Kirse sapeva che Lais veniva tiranneggiato in uno scontro impari, che lo lasciava ricoperto di ferite o lividi. Osservando i movimenti confusi e sfocati, soprattutto di due degli aggressori, Lais iniziò a sperare che tutto finisse alla svelta, ma non ebbe questa fortuna. Non stavolta almeno.

    Chiuse gli occhi concentrandosi sul buio, che lo abbracciò all’istante, e ci trovò conforto.

    «Non vali nulla, sporco orfano dei miei stivali! Non hai nemmeno il coraggio di provare a tirare un pugno!»

    La voce del ragazzo perfetto e bellissimo, che pareva uscito da una fabbrica di soldatini del Re, lo infastidiva come non mai. Probabilmente il meno atletico del trio si stava compiacendo un mondo in quella rissa, dato che erano le uniche occasioni in cui riusciva ad assestare un manrovescio a qualcuno senza finire al tappeto. Lo si intuiva dal suo respiro corto e affannoso.

    «Vali meno del concime!»

    Segi insultò Lais incitato dal suo capo, che picchiava pure per Irkl, dato che questi si limitava solo a tenere salda la preda e guardare altrove, sperando non apparisse nessuno.

    Ovviamente, in quella strada stretta e malridotta, chi poteva accorgersene? I cittadini troppo presi dai loro pensieri? No di certo.

    «Ehi, possiamo andare ora?»

    Le parole di Irkl non servirono a calmare gli animi dei suoi amici.

    «Oggi sono troppo arrabbiato per fermarmi!» espresse Wolk.

    All’ennesima fitta che raggiunse il suo stomaco, Lais riaprì di scatto gli occhi, pervaso dall’odio.

    L’unica cosa che desidero in questo momento è farti molto male. Se non di ucciderti… pensò, mentre spingeva via i suoi aggressori con un gesto secco e improvviso delle mani, chinandosi a raccogliere un pezzo di cemento di una casa.

    Segi sbiancò e indietreggiò di qualche passo.

    «Credi di farmi paura solo perché stavolta impugni un mattone? Non sei comunque in grado di usarlo!» sbraitò il futuro guerriero, avanzando verso Lais e urtando appositamente i suoi compagni, mentre si scagliava contro il suo bersaglio.

    Lais evitò il gancio destro di Wolk, spostandosi di lato, poi afferrò il braccio del suo assalitore per bloccarlo e un rumore sordo di ossa che si spezzavano risuonò nell’aria, mentre ritraeva l’arma improvvisata dalla pancia dell’insolente, lasciandolo accasciarsi al suolo, gemente.

    «Wolk…» sussurrarono i suoi amici, pieni di terrore e impotenti, mentre Lais si avvicinava di nuovo.

    «Fottuto bastardo!» imprecò il capo del trio, rialzandosi da terra lentamente e barcollando. «Non credere che basti questo per fermarmi. Sono più forte e migliore di te!» aggiunse, provocandolo.

    Con una grinta inaudita, corse verso Lais, ma lo mancò di nuovo; se lo ritrovò alle spalle e fu colpito ancora dal mattone, questa volta alla schiena. Cadde in avanti a peso morto, privo momentaneamente del respiro.

    «Hai scelto la giornata adatta, sai? Ero già incazzato per i miei motivi e vederti mi ha aiutato a sfogarmi» spiegò Lais, stringendo il pezzo di cemento; poi si tolse il cappuccio e fissò intensamente gli altri due.

    Segi ebbe la brillante idea di scappare urlando, incespicando più volte tra le crepe del selciato. Irkl guardava Lais, immobile e senza espressione. Rimasero a fissarsi a lungo, finché non furono interrotti da Wolk che, sputando sangue, si rimise in piedi e guardò in cagnesco l’avversario.

    «Ti faccio pentire di essere nato!» lo minacciò, sfoderando la spada.

    «Aspetta… dai, andiamocene. Può bastare» provò a calmarlo Irkl. Ma sapeva che non sarebbe mai stato considerato. Il furore sul volto di Wolk era chiaramente visibile.

    «Stai zitto! Nessuno qui si prende gioco di me. Specie questo topo di fogna con in mano una spugna, in confronto alla mia spada!»

    Si sistemò in posizione di combattimento, fissando il suo nemico. L’amico dai capelli rossi si gettò quasi in mezzo, provando a evitare una catastrofe.

    «La maestra non vuole che abbiamo scontri al di fuori dell’addestramento. Se lo viene a sapere, cosa succederà?»

    «Me ne frego di lei! Togliti, se non vuoi essere squartato pure tu!» Gettando a terra il proprio compagno, Wolk si diresse con furia di nuovo verso Lais. Evitare una lama non era semplice, ma il ragazzo si muoveva svelto, prevedendo le mosse dell’avversario, che era troppo arrabbiato per concentrarsi a dovere. Kirse non mentiva quando diceva che era portato per il combattimento, ma Lais non aveva mai avuto intenzione di sottoporsi a un addestramento. Tutto quello che sapeva sulla difesa lo aveva imparato emulando i movimenti di Alx durante il lavoro: mai mettere in dubbio le capacità di un fabbro e le idee che possono scaturire nella mente di un ragazzo.

    Un affondo a vuoto fece perdere l’equilibrio a Wolk, sbilanciandolo in avanti: Lais ne approfittò per colpirlo sulle nocche della mano, facendogliele sanguinare. Una parte del mattone si sgretolò e cadde, insieme alla spada. Wolk gridò di dolore.

    «Cosa state facendo?!»

    Jul si trovava all’inizio della via e guardava la scena con un misto di incredulità e sgomento.

    «Nulla, stavamo andando via» rispose.

    Il suo gemello raccolse velocemente l’arma e coprì con un fazzoletto la ferita dell’amico.

    «Andiamo» disse, tirandolo a sé ed evitando lo sguardo sia della sorella sia dell’altro.

    «Non finisce qui, lurido verme!» lo ammonì.

    Furono le ultime parole del capobanda, prima di voltare l’angolo, sparendo dalla visuale.

    Jul raggiunse Lais, che stava sistemando il restante pezzo di cemento dove l’aveva trovato.

    «Perché vi stavate picchiando?»

    «Non è affar tuo» mormorò bruscamente il ragazzo, cercando di liquidarla e ricoprendosi il viso con il suo amato cappuccio.

    «Tutto questo è sbagliato. Ti stai comportando come se fossi cattivo…»

    Le parole le si strozzarono in gola: bastò un solo sguardo di lui, infatti, per ammutolirla.

    «Non sei la prima che mi definisce cattivo. E sicuramente non sarai neppure l’ultima!»

    Lais si allontanò a passo svelto e sentì Jul singhiozzare; candide lacrime le scorrevano sul viso. La guardò per un attimo, poi sparì furtivamente come di consueto, lasciandola alla sua tristezza.

    La ragazza s’inginocchiò e osservò la macchia di sangue purpurea, che si stava mischiando alle lacrime cadute dai suoi occhi.

    Per quanto ancora verseremo sangue inutilmente? Perché il Male continua a dominare? rifletteva, rendendosi conto di aver gettato via totalmente quel briciolo di innocenza che le era rimasta. Stava intuendo come funzionava il mondo.

    Kirse leggeva un libro, comodamente seduta sul suo divano, con i piedi sul tavolino, finché quella meravigliosa quiete venne interrotta dall’incessante bussare.

    «Sto arrivando» disse con estrema calma, dirigendosi verso l’ingresso. Spalancò la porta e osservò il ragazzo dinanzi a lei abbassare il pugno ed entrare.

    «Accomodati pure, caro» lo accolse con leggera ironia. Poi diede una rapida occhiata all’esterno prima di chiudere l’uscio.

    Lais si abbandonò sul sofà, sbuffando e rivelando ancora una volta il volto sul quale erano comparsi lividi violacei, sia intorno agli occhi, sia al naso. Aveva del sangue rappreso intorno alla bocca.

    «Bella giornata, eh? Da ricordare, suppongo…»

    Le battute di pessimo gusto della donna non gli risollevarono il morale, anzi. La vide disfarsi del libro che stava leggendo e lanciarlo sul divano opposto, per poi sedersi accanto a lui.

    «A volte, mi fai davvero preoccupare…»

    Quella bontà che si manifestava raramente la trasformava, rendendola ancora più incantevole.

    Kirse massaggiò gentilmente la guancia del ragazzo. Il timore che balenava sul suo viso portò Lais a distaccarsi momentaneamente dalla realtà, ma quell’incantesimo fu spezzato non appena la donna si rialzò dal sofà, andando verso la libreria vicina all’altro divano.

    «Ti ho preso un regalo!»

    Frugò all’interno del mobile, tirò fuori una scatola e gliela lanciò. Lais la prese al volo.

    «Ma non dovevi!» si affrettò a dire per evitare di ringraziarla.

    Ma la maestra scosse le spalle, indifferente.

    «Se non ti dispiace, ora aspetto visite. Faremo due chiacchiere la prossima volta, va bene?»

    Attraversò il soggiorno con impazienza e aprì la porta d’ingresso, aspettando che il ragazzo uscisse. Lais accolse quell’invito fin troppo esplicito e proseguì in direzione della sua tana.

    Kirse sorrise, seguendolo con lo sguardo finché poté. La luce del tramonto lo avrebbe colpito in pieno, se i suoi occhi non fossero stati protetti dalla felpa. Finalmente, anche quell’interminabile giornata era finita: non c’era più traccia del mercato, la piazza era di nuovo vuota, silenziosa, e questo lo fece sentire appagato. Per le strade, non c’era già più anima viva; tutto appariva triste e desolato, ma era quello di cui aveva bisogno.

    Aprì l’ingresso di casa solamente appoggiando la mano sulla traballante e instabile porta. Non stava chiusa perfettamente, ma nessuno avrebbe perso tempo a entrare per derubarlo, dato che all’interno c’erano solo il letto e il lavabo. Definirla dimora, infatti, lo faceva quasi ridere, ma per uno come lui era perfetta. Senza richiudere la porta, si mise a scuotere la scatola che teneva tra le mani e ne sollevò il coperchio. Conteneva una collana con un ciondolo a forma di pugnale, dorato e nero, con inciso il suo nome e avvolto da un serpente rosso. La sorpresa fu strabiliante quanto il regalo. Se la mise subito al collo, catturato dalla bellezza dell’oggetto.

    Era la prima volta che riceveva qualcosa del genere: nessuno si era mai preso la briga di donargli nulla in vita sua. Questo, tuttavia, non lo distolse dai suoi piani. Lais guardò quello che si trovava all’interno della stanza, poiché era l’ultima volta che l’avrebbe vista: se ne sarebbe andato per sempre, senza fare ritorno. Non ebbe bisogno di alcun bagaglio, avrebbe viaggiato solo con i suoi vestiti e qualche soldo, se ne aveva ancora.

    Uscì dal buco in cui viveva, si chiuse la porta alle spalle e si allontanò a volto coperto con le mani in tasca e il ciondolo nascosto sotto la felpa. Era il giorno del suo diciassettesimo compleanno.

    CAPITOLO 2

    Etka

    Quella mattina, Etka si svegliò di buonumore: aspettava sempre con ansia quel giorno, perché in ogni villaggio si allestiva il mercato settimanale. Poteva andare a spasso liberamente, incontrando gente e parlando con più persone possibili; la maggior parte era straniera, perché Pevobu era il fulcro del regno di Wexol, oltre a essere il villaggio preferito del loro sovrano.

    «Svegliati, pigrone! È ora di

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