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Senza un perché (eLit): eLit
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E-book332 pagine4 ore

Senza un perché (eLit): eLit

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Info su questo ebook

Nella California del Sud, alcuni rapimenti di bambini scatenano un'ondata di panico. Dan Sprague dell'FBI di Los Angeles coordina le indagini avvalendosi tra l'altro della collaborazione di Laurel Madden, molto bella e molto riservata, esperta in profili psicologici, con alle spalle alcune vicende professionali e private sconvolgenti e oscure. Claire Gillespie, dinamica giornalista, arriva da New York non solo per seguire le indagini, ma anche per cercare elementi che chiariscono la morte misteriosa di una persona a cui teneva particolarmente. Difficile per tutti muoversi nella ragnatela del dubbio e dell'incertezza, soprattutto di fronte a fatti che sembrano verificarsi senza un perché.

ROMANZO INEDITO
LinguaItaliano
Data di uscita5 nov 2018
ISBN9788858994047
Senza un perché (eLit): eLit
Autore

Taylor Smith

"Amo l'ambiguità che c'è in ognuno di noi: luce ed ombra dice Taylor Smith e la racconto nei miei libri". Un'autrice che interpreta il genere thriller in modo personale e coinvolgente, con grande attenzione ai caratteri dei personaggi.

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    Anteprima del libro

    Senza un perché (eLit) - Taylor Smith

    successivo.

    Prologo

    Era un nodo di violenza trattenuta, pronta a esplodere, e tanto più pericolosa in quanto non trapelava il benché minimo indizio esterno.

    Centinaia di persone gli passavano accanto quella sera in quel centro commerciale. Un paio gli rivolsero anche la parola. Ma chi lo avrebbe mai collegato al mostro che aveva scatenato tanto allarme?

    Se ne stava appoggiato a un pilastro, osservando con aria sprezzante quella marea umana tutta presa dalle compere natalizie, con lunghi elenchi di regali da acquistare e il tempo contato, individui anonimi con ripetitive esistenze anonime. Erano tutti troppo stanchi e assorti per far caso all'uomo che se ne stava in piedi, ai margini dell'atrio centrale, intento a valutare la situazione, a scegliere l'obiettivo.

    L'atteggiamento delle ragazzine era diverso. Camminavano in coppie o in piccoli gruppetti, smaniose di guardare e farsi guardare mentre davano fondo alle paghette e ai modesti introiti di babysitter. Le vedeva sbirciare di sottecchi, con molti risolini, i goffi adolescenti dell'altro sesso: una danza rituale, primitiva come la paura e ancor più disgustosa.

    A un tratto due di loro, ciglia cariche di mascara e magliette aderenti, emersero dalla folla e gli passarono accanto osservandolo sfrontatamente, scherzando con un pericolo molto più grande di quanto avrebbero mai immaginato. Lui dilatò le narici cogliendo la zaffata di profumo scadente che fluiva dai loro giovani corpi. Contemplò brevemente l'idea di rimorchiarne una e impartirle una lezione di quelle che non si dimenticano tanto facilmente... No, non erano quel che voleva, ciò di cui aveva bisogno.

    Le fissò a sua volta e quelle stupidelle non seppero sostenere il suo sguardo distaccato, gelido. Distolsero gli occhi ripiegando istintivamente le braccia sui seni acerbi, e allungarono il passo. Continuò a osservarle finché non sparirono nel passaggio laterale. Se avessero fatto il giro per ricomparire nei pressi o fossero tornate indietro per spiarlo, le cose si sarebbero complicate. Sarebbe stato costretto a rinunciare.

    No.

    Non si sarebbe lasciato distogliere. Non poteva. Doveva agire. Affermarsi. Aveva bisogno di quella carica di potere nelle vene, come fosse una dose di eroina.

    Questa volta sarebbe andata anche meglio. Il panico sarebbe stato ancor più dilagante. Questa volta avrebbero saputo con chi avevano a che fare, avrebbero capito che non avevano modo di difendersi da lui.

    Quando le piccole ficcanaso furono scomparse, lui riprese a osservare la ricostruzione del Polo Nord eretta in quell'ampio spazio nel cuore del centro commerciale dove gli addetti, in costumi verdi da elfi, cercavano di mantenere una parvenza d'ordine nel caos più totale. Decine di bambini si accalcavano in attesa di potersi sedere sulle ginocchia di Babbo Natale e confidargli i loro commoventi desideri segreti. Con occhi accesi e sorrisi luminosi si agitavano cicalando, affascinati dalle luci multicolori e dalle musichette natalizie che risuonavano istericamente nell'aria. Ne esaminò i volti: così estatici, così innocenti.

    Lì, a disposizione.

    Il suo sguardo passò dalla fila smaniosa di giungere a Babbo Natale alla slitta con le renne che si muoveva in cerchio attorno al suo trono. Uno di quelli, forse. Gli piaceva l'idea di una vittima che si godesse l'ultima infausta corsa verso l'inevitabile. Le renne dipinte a colori vivaci parevano tentare di sottrarsi quando gli passavano davanti, gli occhi di stucco sbarrati, come percependo ciecamente la minaccia che lui rappresentava, e si lanciavano in avanti, ma inevitabilmente ricomparivano sul loro percorso circolare, richiamate dalla forza della sua volontà.

    Correte!, pensò lui, sorridendo tra sé. Correte pure come il vento, per quel che potrà servirvi.

    I suoi occhi scrutatori si soffermarono sui marmocchi più piccoli che saltellavano strillando e ridendo mentre aspettavano di raggiungere Babbo Natale. Manine grassocce che si aggrappavano alle maniche di adulti. Tenere bocche rosee da cui uscivano limpide voci acute. Gambette tozze che cercavano di inerpicarsi sulle transenne metalliche.

    Quale?, si chiedeva, soppesandoli mentalmente, tastando, fiutando, palpando quelle carni tenere come fossero frutti maturi esposti in un banco di vendita.

    Scegli con cura, si disse. L'obiettivo doveva essere perfetto. Piccolo, il più possibile. Molto grazioso. Tranquillo. Avrebbe voluto una femminuccia, questa volta, anche se un maschietto sarebbe andato ugualmente bene. Non era di gusti difficili. Quel che contava era che la vittima fosse all'altezza dello scopo.

    Quel giorno gli piaceva l'idea di fiocchetti e ricci. Grandi occhi rugiadosi. Pelle rosea, perfetta. Una bimba che rappresentasse il sogno di ogni papà.

    D'un tratto incontrò gli occhi azzurri di una bimba, sì e no di un anno, a suo parere. Stava in braccio alla madre, poggiava la testina bionda sulla spalla di lei guardandolo con aria sonnacchiosa mentre si succhiava il pollice.

    Lui le sorrise, affascinato. Grato.

    Era lei. Gli si stava offrendo. Lo capiva.

    PARTE PRIMA

    BLUES DELLE DUE COSTE

    1

    Il sonno di Claire Gillespie non si lasciava neppure incrinare dalle stridule sirene della polizia, dai gatti in amore, dalle liti dei vicini, dal baccano pazzesco dei camion della nettezza urbana alle tre del mattino o dalle occasionali sparatorie nei vicoli nei paraggi del suo appartamento, a New York. Dopo cinque o sei anni passati a correre appresso a servizi giornalistici per conto della rivista che le passava lo stipendio, approfittando di ogni occasione possibile per concedersi un pisolino, in aeroporti echeggianti, su voli notturni, in anonime stanze d'albergo, il suo sonno era praticamente inviolabile da parte di qualsiasi agente nemico. Con una sola eccezione. Lo squillo di un telefono era letale per le sue sovrumane capacità di concedersi riposo. Un coltello conficcato nel cuore di quel meraviglioso abbandono dimentico di tutto.

    Così, com'era inevitabile, il primo squillo dell'apparecchio la riscosse, quel sabato mattina. Al secondo, lei estrasse un braccio da sotto le coltri e annaspò alla cieca verso il comodino, rovesciando il bicchier d'acqua che a quanto sembrava aveva avuto la lucidità di mettere lì la sera prima ma che si era dimenticata di bere, nel patetico tentativo di smaltire i postumi di una bella sbornia.

    «Maledizione...» borbottò, mentre la mano trovava il portatile e il tasto che la metteva in linea, poi ritrasse l'apparecchio sotto le lenzuola. Solo in quel momento capì perché bere per dimenticare fosse un'idea tanto balorda. Si sarebbe occupata poi dell'acqua finita da tutte le parti... se fosse sopravvissuta.

    «Be'?»

    «Ma sicuro, felice giornata anche a te!»

    Altro borbottio da parte di Claire. «Oh... Serge.» Serge Scolari, direttore del Newsworld. «Che ore sono?» Aveva la voce roca e in bocca sentiva un orrendo gusto di tabacco. «Mi hai rifilato uno dei tuoi fetenti sigari, ieri sera?»

    «Sono le nove e mezzo. Non sono per niente fetenti i miei sigari, sono dei signori Davidoff. Inoltre, te lo sei fregato tu... neanche mi sognavo di rifilartelo, visto che costano un dollaro e mezzo l'uno.»

    A Claire non sfuggì la sfumatura seccata. Tipico di Serge Scolari. Mondano e brillante, con solidi quattrini alle spalle e al tempo stesso incredibilmente taccagno, Scolari badava al centesimo, che dovesse essere lui a tirarlo fuori oppure la rivista, una tirchieria che probabilmente lo faceva adorare dall'editore ancor più del suo fiuto per gli scoop che procuravano grosse vendite al settimanale.

    Indossava abiti che annunciavano al mondo la firma di Armani. Viaggiava in primissima classe. Eppure, nelle rare occasioni in cui invitava a cena lei, la collega irrimediabilmente piccolo borghese, in uno dei suoi locali chic, Claire notava che regolarmente si portava via quanto avanzava, elegantemente confezionato dal personale di cucina in un foglio di alluminio, certo, ma pur sempre avanzi da destinare in teoria al cagnolino. Come se lui non fosse stato ben sicuro di quando avrebbe potuto godersi un altro pasto.

    Scolari non si sarebbe mai separato a cuor leggero da uno dei suoi Davidoff, ma l'orgoglio imponeva che lei affermasse la sua innocenza. «Balle. Io non fumo. Ho smesso.»

    «Raccontalo alla camicetta di seta in cui hai fatto un buco grosso un dito.»

    Claire aprì un occhio e sollevò un poco la testa dal guanciale. Momento di panico.

    Non ci vedo più!

    Poi intervenne il raziocinio. Con la mano libera scostò il lenzuolo che le copriva la testa. Diede una nebulosa occhiata attorno. Vari capi di vestiario tracciavano un percorso zigzagante sul pavimento velato di polvere, guanti, giacca, sciarpa, scarpe, gonna nera, collant, tutti disseminati dalla porta d'ingresso al divano che lei ricordava vagamente di aver tirato in fuori per dargli le funzioni di letto, ore prima.

    Infine lanciò un'occhiata nervosa alla porta: chiavistelli e catenelle erano a posto. Tirò un respiro di sollievo. Per quanto non fosse stata in condizioni ottimali, l'istinto le aveva fatto prendere le necessarie precauzioni contro la minacciosa presenza che da settimane sentiva alle proprie spalle.

    La camicetta rossa che aveva indossato per la festa natalizia offerta da Scolari nel suo attico era finita a mezza strada tra la porta d'ingresso e il divano-letto, atterrando sulla scrivania. Anche da quella prospettiva sghemba, Claire poteva scorgere in una manica i bordi scuri della bruciatura grande quanto una monetina. Quell'indumento era andato a posarsi sul PC portatile, aperto, come un addobbo funebre. Molto adatto, commentò Claire tra sé, considerando che le parole registrate sul disco fisso erano l'unica commemorazione che poteva offrire a Michael Kazarian, un omaggio terribilmente inadeguato all'eroe caduto la cui immagine la perseguitava, notte e giorno. A quel pensiero, Claire si sentì riassalire dallo strazio, un dolore sordo e pulsante che l'alcol aveva momentaneamente allontanato, ma che, evidentemente, non poteva cancellare.

    Lasciò ricadere il capo sul cuscino. «E così mi chiami a quest'ora indecente per punirmi per averti fregato uno dei tuoi schifosissimi sigari? Non ti sembra che una camicetta da ottanta dollari rovinata in modo irreparabile sia un castigo sufficiente?»

    «Sei stata tu a infliggertelo, mi pare.»

    «Che razza di modi. Avevo solo voglia di festeggiare. Siamo in pieno periodo natalizio. La prima volta che fumavo da parecchi mesi in qua» mentì.

    «Non mi sto riferendo al fumo, e non sembravi affatto d'umore allegro: eri da buttare via.»

    «Grazie mille. Te lo sogni che mi metto di nuovo collant e tacchi alti per te, amico bello.»

    Claire si rigirò sul fianco e scese dal letto reggendo il ricevitore mentre si dirigeva in bagno. Sotto i piedi scalzi avvertì la sabbiosità del pavimento. Da quanto tempo non dava una bella spazzata? Onestamente, proprio non se lo ricordava.

    «Volevo accertarmi che fossi rientrata a casa sana e salva» disse Scolari.

    «Tutto a meraviglia. Ma non ci credo neanche un po' che mi hai chiamata per questo.»

    Nel bagno, suo malgrado, Claire si diede un'occhiata nello specchio. Grave errore.

    Bontà divina, Gillespie, che sfacelo!

    Gli occhi blu di Prussia, come li aveva definiti Michael, erano iniettati di sangue e cerchiati di scuro. La faccia era tirata e bianca come un cencio, mentre i ricci scarmigliati, che da settimane avevano bisogno di un colpo di forbici, andavano in tutte le direzioni. Medusa alle prese coi postumi di una sbornia.

    Scolari assunse un tono offeso. «Dunque metti in dubbio la mia sincerità?»

    Claire ebbe un sospiro. «Passo sul vivavoce, Serge.» Premette un pulsante sulla base del ricevitore, lo posò sulla mensola della finestra e da un cestino prese una fascia elastica per raccogliersi i capelli. Il cielo era plumbeo e una pioggia mista a nevischio picchiettava sui vetri. «Conosco bene i tuoi meccanismi mentali» riprese. «Speri di riuscire a beccarmi in un momento di debolezza e convincermi ad andare a Los Angeles per occuparmi della storia del rapitore di bambini.»

    Nelle ultime settimane c'erano stati, in California, tre casi di bambini scomparsi, audacemente portati via in pieno giorno in luoghi affollati. Il più recente si era verificato il giorno prima. Non c'erano state richieste di riscatto né si erano trovati i corpi delle vittime, così polizia e FBI sospettavano un giro di adozioni illegali. Tutto lo stato era in allarme.

    «Anche, in parte. Ma ero davvero in pensiero.»

    «Sì, certo.» Claire strizzò del dentifricio sullo spazzolino.

    «Ti ho prenotato il biglietto» aggiunse lui. «Volo Delta 176, dall'aeroporto La Guardia. Decolla a mezzogiorno, ma c'è un tempo schifoso, quindi farai bene a sbrigarti.»

    «Te l'ho già detto ieri sera, Serge, sono dentro fino agli occhi nella faccenda Kazarian. Quest'oggi, finalmente, ho appuntamento con Ivankov, mi ci sono volute settimane per ottenerlo. A proposito, dovessi sparire dalla circolazione, puoi per favore fare in modo che qualcuno vada a ripescare le mie spoglie mortali al largo di Brighton Beach?»

    «Io farei meno la spiritosa, Claire. Guarda quel che è capitato a Kazarian.»

    «Lo so, ma poliziotti e agenti federali finora mi sono serviti a ben poco. Voglio sentire cos'ha da dire Ivankov. Non preoccuparti, sarò prudente.»

    «Preferirei che andassi a Los Angeles.»

    «Laggiù posso fare ben poco di più dei corrispondenti.» Claire si piegò sul lavandino mettendosi all'opera per rimediare ai danni fatti dal sigaro che, a sentir Scolari, lei gli aveva sgraffignato.

    «Si trovano davanti a un muro. L'FBI ha messo il veto a qualsiasi dichiarazione alla stampa.»

    «Appunto...» borbottò lei, con la schiuma alla bocca come un cane idrofobo. «E allora a che serve...»

    «È appena arrivato un flash d'agenzia. Il cadavere di un bambino è stato ritrovato ieri sera in un acquedotto a est di Los Angeles.»

    Lei rialzò la testa di scatto. «Uno di quelli scomparsi? Maledizione!» Ampi schizzi di dentifricio irrorarono lo specchio.

    «Ritengono che si tratti del secondo, il piccolo Morales. Dieci mesi.»

    «Annegato?»

    «Lo si saprà dopo l'autopsia.»

    Claire scrollò il capo, poi si sciacquò la bocca e la faccia. «È orribile, ma ugualmente non c'è ragione per cui io debba partire...»

    «A condurre le indagini dell'FBI c'è il tuo grande amico.»

    Claire sospirò di nuovo. Ecco che cosa succedeva a cercare di far colpo sui grandi capi con i propri agganci. «Non mio, di mio padre. E Sprague può anche avermi aperto qualche porta all'FBI, in passato, ma non mi darà certo nessuna spintarella su un caso in corso. È un elemento ligio al massimo. Perfino i suoi colleghi lo chiamano Dan l'abbottonato

    «Hai comunque delle buone frecce al tuo arco, non puoi negarlo.»

    Lei si passò sul volto un asciugamano che poi buttò nel cestino della biancheria da lavare, già stracolmo. «Serge, avevi promesso di lasciarmi un po' di spazio da dedicare all'affare Kazarian.»

    «Ma non mi sembra che ne possa venir fuori qualcosa nell'immediato. E davvero sei in condizioni disastrose. Che ti succede? Non ti ho mai vista così... tesa, eviti la gente...»

    «Ieri sera c'ero, no?»

    «Sì, fisicamente, ma lo spirito era lontanissimo. Non cercare di darmela a bere, ragazza. Ho passato troppo tempo a nascondermi per non riconoscere i sintomi nel mio prossimo.»

    Claire inarcò un sopracciglio e si accorse che anche quel piccolo movimento era doloroso. Anche le sopracciglia potevano dolere? «E, secondo te, starei celando al mondo la mia vera identità sessuale?»

    «Non parlo di questo. Sei dimagrita, hai rughe di tensione...»

    «Oh, be', le rughe. Semplicemente la mezz'età che incombe. Capita anche ai migliori. Dopo i trentacinque si va giù per la china... non è quel che hai detto tu al mio ultimo compleanno?»

    Claire allungò la mano verso la vestaglia, ma interruppe il gesto intravedendo nello specchio a figura intera applicato alla porta il proprio volto pallido, gli occhi segnati e il corpo tremante. Si girò completamente per osservarsi: una figuretta minuta, nata troppo tardi per aderire ai dettami di un'epoca di corpi atletici. E che tendeva ad arrotondarsi, se non stava attenta. Ma non al momento. Scolari aveva ragione: poteva contarsi le costole, si disse con una smorfia. Ma la curva dei fianchi era ben definita al di sopra delle gambe che la portavano a toccare sì e no il metro e cinquantacinque. Fianchi che minacciavano di dilatarsi come quelli di sua madre, anche se al momento erano tenuti sotto controllo. Ritrovarsi con i nervi a pezzi aveva i suoi lati positivi.

    «Hai avuto notizie dell'imbecille?» chiese Scolari.

    La sua solidarietà fece sorridere Claire. «No, da quando ho firmato le carte del divorzio. Comunque è roba vecchia.»

    Era sincera. Alan aveva perso ogni interesse per il loro matrimonio molto prima della frattura definitiva, avvenuta la primavera precedente. L'unica sorpresa era stata lo scoprire che l'aveva lasciata per sua sorella, ma questo, rifletté Claire, la diceva lunga anche sul conto di Nicky, non solo di Alan. Non erano certo le due persone che lei apprezzava di più al mondo, ma non aveva intenzione di rimuginare su di loro.

    «Si tratta di Kazarian, allora?»

    Lei stava infilando la vestaglia e la mano si arrestò sulla cintura. «Che vuoi dire?»

    Scolari esitò, come combattuto tra discrezione e curiosità, ma alla fine quest'ultima ebbe la meglio. «C'era un qualche legame tra voi?»

    Lei chiuse gli occhi, presa dalla nausea.

    Respingila!

    «Era una fonte di informazioni. Davvero molto preziosa, Serge, ma niente di più. E inoltre era sposato.»

    Non che me l'abbia comunicato, però. Mi è toccato scoprirlo al suo funerale. Accidenti a te, Michael!

    «Non sei più stata la stessa da quando l'hanno fatto fuori.»

    Claire annodò la cintura e si passò il dorso di una mano sugli occhi, cancellando lacrime che non avevano diritto di sgorgare e maledicendo al contempo il fine intuito di Scolari. Non doveva impicciarsi dei fatti suoi, cospargere sale sulle ferite. Ma era un amico, si ricordò, e stava solo cercando di aiutarla. «È stato un colpo, direi.»

    Ma perché così duro? Per il fatto che Michael fosse giunto a fidarsi di me, contro ogni suo istinto? Perché viveva pericolosamente ed è morto da solo? Perché io sono venuta meno a tutte le mie regole impegolandomi con lui? Perché sono stata la causa della sua morte?

    «Sono gli elementi non chiariti a farmi diventare pazza. Una canaglia ha sparato a quell'uomo straordinario...» Stava dicendo troppo, si rese conto, ma andò avanti senza badare al nodo che le serrava la gola e che non aveva nulla a che vedere con i sigari. «Poi l'ha caricato sulla sua auto, ferito, e l'ha fatta esplodere.»

    «Le indagini non hanno dato alcun esito?»

    «E quali indagini? Ti pare possibile? Un agente federale in missione segreta viene ammazzato e a distanza di tre mesi si è ancora al punto di partenza, vale a dire non si è scoperto nulla.» Claire scosse il capo, disgustata. «Quelli dell'FBI avrebbero dovuto calare come falchi sul giro in cui Kazarian si era infiltrato, e invece dopo essersi dati un po' da fare, all'inizio, hanno lasciato che la cosa si arenasse, per quanto mi risulta. Nessuna accusa, nessun arresto. Come mai? Qualcuno ha intascato una mazzetta? E, tra l'altro, perché Kazarian è stato ucciso?»

    «Forse... quella gente aveva scoperto la sua vera identità?»

    Di nuovo, Claire fu sommersa da una violenta ondata di rimorso.

    Ha abbassato la guardia, per colpa mia.

    Lei e Kazarian si erano riconosciuti all'istante in un ristorante frequentato dal giro di immigrati russi su cui entrambi stavano svolgendo delle ricerche, lei per il Newsworld, lui per l'FBI. Al momento non si erano detti niente. In seguito, però, lui l'aveva cercata, dapprima un po' riluttante, e solo per essere certo che lei non gli avrebbe mandato a pallino la copertura. In seguito con maggior entusiasmo, come se avesse un gran bisogno di abbandonare per qualche ora quella finzione stressante. Si erano incontrati in luoghi scelti con cura, al riparo da occhi curiosi. Ma forse non erano stati abbastanza prudenti.

    «La gang di Ivankov non aveva neppure bisogno di scoprire che lui era un federale» mormorò Claire. «Sapevano che una giornalista stava ficcanasando dalle loro parti. Se hanno pensato che uno di loro stava spifferando qualcosa alla stampa...»

    Si interruppe, poi si lasciò scivolare a terra e, addossata alla vasca, serrò le braccia attorno alle ginocchia.

    «Oh, maledizione, Serge...» sussurrò. «Credo di avere causato io la sua morte.»

    2

    Quel sabato mattina l'intera nazione era stretta nella morsa del gelo. Sul versante orientale diversi cavi elettrici incrostati di ghiaccio avevano ceduto, lasciando molte case, dal Maine a Rhode Island, prive di riscaldamento e di luce.

    Tempeste di neve accecanti battevano il Midwest e già sei persone avevano perso la vita in tamponamenti a catena o per attacchi cardiaci causati dal lavoro di spalatura. In Florida, gli aranceti avevano subito un colpo mortale; a Orlando, i turisti inermi invidiavano i guanti di Topolino e il berretto di lana di Pippo.

    Incredibile, rifletteva Dan Sprague mentre risaliva il Wilshire Boulevard, con il vivido sole che inondava il parabrezza dell'auto. Lì a Los Angeles l'aria era tersa e mite, pervasa da una brezza gentile proveniente dal Pacifico. Le palme erano ammantate di festoni lucenti, le vetrine dei negozi erano spruzzate di finta neve, ma, secondo le previsioni, entro mezzogiorno la temperatura avrebbe toccato i ventisette gradi. Anche dopo sei anni trascorsi in quella città, quegli inverni tiepidi gli apparivano surreali e vagamente inquietanti. Gli abitanti davano per scontato quel loro mondo piacevole e benevolo, ma lui diffidava. Era proprio quando non si avevano dubbi e si viaggiava lisci che la vita ti serviva i suoi tiri mancini.

    Una delle radio poste vicino al sedile emise dei crepitii e Dan allungò una mano per regolarne il volume. Era sintonizzato sulla frequenza della polizia di Los Angeles e dell'ufficio dello sceriffo di contea oltre che su quella dell'FBI. Fino ad allora la situazione era stata tranquilla, un paio di turbative domestiche, un ubriaco addormentato sulla soglia di una tavola calda e un cane senza padrone che si era messo a correre lungo il Sunset Boulevard, ma erano passate da poco le sette di mattina: ladri e stupratori tendevano ad alzarsi tardi. Con l'avanzare del giorno, il ritmo si sarebbe fatto più serrato. Di una cosa si poteva essere certi, a Los Angeles, se si portava un distintivo: della dose quotidiana di adrenalina che faceva parte del lavoro così come le ciambelle e le tazze di orrendo caffè attorno alla mezzanotte. Perfino un passacarte come lui ne ricavava una buona quantità di stimoli anche se, rifletté Dan, quel giorno avrebbe volentieri fatto a meno di quelle comunicazioni in cambio di un po' di sonno e di tempo da trascorrere con le figlie.

    Appoggiò il gomito sul finestrino aperto, portandosi la mano alla bocca per celare uno sbadiglio. Aveva fatto quel percorso, in direzione inversa, solo qualche ora prima, quando era passato da casa a controllare che le ragazze fossero rientrate e i muri ancora in piedi. Dopo essersi concesso un breve sonno inquieto, si era cacciato sotto la doccia, si era fatto la barba, e si era nuovamente buttato nella mischia.

    Il giorno prima, a cinque settimane di distanza dal primo rapimento, alcuni addetti alla manutenzione avevano ritrovato presso Lancaster, impigliato nelle alghe dell'acquedotto, un sacco di plastica verde destinato ai rifiuti che conteneva il corpicino parzialmente decomposto di Victor Morales, la seconda vittima. L'autopsia sarebbe stata condotta quella mattina, alle otto, ed entro mezzogiorno il referto del medico legale sarebbe arrivato via fax all'ufficio operativo dell'FBI lì a Los Angeles.

    Per le otto e mezzo, Dan aveva fissato una riunione con gli uomini della sua squadra d'intervento per esaminare i risultati delle indagini. Diversi altri agenti stavano recandosi nella contea di Orange per indagare sulla scomparsa da un centro commerciale di una terza vittima, una bambina, questa volta. Difficilmente sarebbe riuscito a ritrovarsi con le figlie, quel giorno.

    E stasera?, si domandò. Tutt'e due avevano annunciato che sarebbero uscite, no? Dan aggrottò la fronte, cercando di rammentare le loro parole esatte. Erin aveva i biglietti per una partita dei Kings: ci sarebbe andata con Matt e altri amici. Va bene. Matt era un ragazzo a posto, girava con una macchina intestata a sua madre e non si era mai beccato neppure una multa per sosta vietata. Dan lo sapeva perché aveva fatto i debiti controlli.

    E Julie? Aveva detto che sarebbe andata... al cinema? Ma con chi? Chrissie e Sharon? Un ragazzo? Aveva detto qualcosa in proposito? Accidenti, avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione. Erin, a diciannove anni, aveva quasi superato l'età pericolosa, ma Julie ne aveva solo sedici e bisognava ancora tenerla

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