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E l'eco si è smorzato appena: Ascoltare Francesco Guccini
E l'eco si è smorzato appena: Ascoltare Francesco Guccini
E l'eco si è smorzato appena: Ascoltare Francesco Guccini
E-book218 pagine3 ore

E l'eco si è smorzato appena: Ascoltare Francesco Guccini

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Info su questo ebook

Francesco Guccini è uno degli artisti più influenti del secondo dopoguerra. Fu tra i primi in Italia a esplorare le nuove tendenze del folksong americano, e a trasporle in un orizzonte culturale estremamente personale ma profondamente riconoscibile per la sua generazione. Sulla scia di Bob Dylan, Guccini inizia cantando gli ideali e lo sconforto dei suoi coetanei. Quasi subito però il lato "sociale" delle sue canzoni viene sovrastato da quello intimista, in cui Guccini dà prova di grandi abilità letterarie e di un istinto musicale profondo, in grado di coniugarsi perfettamente con il testo formando un tutt'uno dal raro impatto emotivo. Il saggio di Rocco Rosignoli analizza temi, stilemi, stratagemmi di questo grande cantautore, ponendo al centro del discorso non solo i suoi testi, ma soprattutto l'interazione tra musica e parole, che nel caso di Francesco Guccini amplifica la forza di entrambe raggiungendo risultati straordinari.
LinguaItaliano
Data di uscita11 lug 2023
ISBN9788876069468
E l'eco si è smorzato appena: Ascoltare Francesco Guccini

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    Anteprima del libro

    E l'eco si è smorzato appena - Rocco Rosignoli

    copertina

    Rocco Rosignoli

    E L’ECO SI È SMORZATO APPENA

    ASCOLTARE FRANCESCO GUCCINI

    Edizioni Il Foglio

    CROMATISMI

    Direttore: Rocco Rosignoli

    www.ilfoglioletterario.it

    www.edizioniilfoglio.com

    Via Boccioni, 28 – 57025 Piombino (LI)

    © Edizioni Il Foglio – 2023

    1a Edizione – Giugno 2023

    ISBN CARTACEO 9788876069574

    ISBN EBOOK 9788876069468

    Immagine di copertina | Antonio Guacci

    www.artstation.com/antonio-guacci

    www.instagram.com/antonio_guacci

    Elaborazione grafica e impaginazione | shangrya@libero.it

    Elaborazione ebook | lucawriter@libero.it

    ISBN: 9788876069468

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    https://writeapp.io

    Indice dei contenuti

    Prefazione

    1

    2

    3

    4

    5

    ADDIO

    Postfazione

    BIBLIOGRAFIA

    Note

    Ringraziamenti

    Il principale problema nello scrivere sulla musica consiste nella grande quantità necessaria di aggettivi e avverbi. Invidio la capacità della musica di passare da uno stato d'animo all'altro senza dover giustificare, ad esempio, un improvviso movimento di ottimismo. Le sue prove sono matematiche: certe combinazioni danno un determinato risultato, e questo è tutto; invece le parole si impigliano in doppi sensi e soffocano in ragnatele da loro stesse tessute. Ma la letteratura non è la musica...

    Nathan Shaham, Il quartetto Rosendorf

    A mia figlia Nora,

    Vola tu, dove io vorrei volare.

    Prefazione

    IL MIO GUCCINI, LE TUE TEOLOGIE di Alessio Lega

    De André in casa c’era già, Guccini me lo sono andato a cercare io.

    Mi rendo conto che questo è il succo di quanto ho da dire, del rapporto personalissimo che vivo rispetto all’opera di Francesco Guccini, e che - posso immaginare - molti che appartengono più o meno alla mia generazione e che amano Guccini, vivano in modo simile. Aggiungo che, negli anni di cui parlo, io stavo a Lecce, città in cui sono nato e sono vissuto fino ai 18 anni, estrema periferia di tutto (altro che Modena di Guccini e Parma di Rocco Rosignoli!) e a Lecce non si trovavano i dischi, non arrivavano i concerti e non succedeva mai un cazzo di niente. Per noi ogni cosa era lontana e meravigliosa, a Lecce c’erano solo i rustici e i pasticciotti, che sono buonissimi, ma se sei un adolescente inquieto non ti bastano mica. A Lecce - volendo - c’era invece un sacco di eroina… ma quella in effetti c’era dappertutto (contrariamente ai dischi di Guccini ed ai concerti).

    De André e Guccini sono i due cardini della canzone d’autore, coloro che hanno motivato quelli come me e Rocco a scrivere anche noi canzoni. Altri cantautori sono per me altrettanto, forse anche più grandi: Jannacci, per esempio, ma non solo… penso che anche tutta una serie di cantautori, emarginati perché hanno avuto una concezione più radicale del loro mestiere - Ivan Della Mea, Paolo Pietrangeli, Giovanna Marini, che in questo saggio sono anche citati, a proposito dell’esperienza del film I giorni cantati - avrebbero pieno diritto di essere messi affianco a De André e Guccini. Anche Pietrangeli e Della Mea in casa mia c’erano già: i miei genitori sono stati militanti di Lotta Continua, e dunque quelle altre canzoni facevano parte del loro bagaglio politico.

    Allora, ricapitoliamo, quando io ho cominciato a curiosare fra i dischi che c’erano in casa - sarà stato nella seconda metà degli anni Ottanta - c’ho trovato: i dischi di Gianni Morandi di cui mia madre era innamorata a 13 anni, poi quelli di De André che per la generazione dei miei genitori rappresentavano il passaggio alla maggiore età (con parolacce e maledettismo annesso), inoltre c’erano i Dischi del Sole coi canti popolari e di lotta. Invece Guccini non c’era, perché nel 1972 - quando Guccini ha cominciato ad affermarsi, l’anno del suo disco-capolavoro Radici - ero nato io, ed i miei genitori, che erano ancora molto giovani, avevano cominciato a lavorare e non si erano più tanto interessati di canzoni. Io quando avevo 15 anni ho cominciato ad interessarmi moltissimo di canzoni ed anche di politica, e da qualche parte avevo letto che l’epitome del cantautore impegnato politicamente era proprio Guccini: andiamoci a cercare questo Francesco Guccini, allora. Non so se è più merito di Guccini se non mi sono dato all’eroina o se è più sua colpa il fatto che poi ho fatto il cantautore.

    Né Guccini né De André apparivano mai in televisione, i concerti come ho detto non arrivavano fino a Lecce… quindi quelle rare volte che, su un quotidiano o su un rotocalco, appariva la faccia di Guccini, io trasalivo, me la ritagliavo e me la conservavo. Una volta dei miei compagni di classe, venuti a casa mia (non succedeva spesso: ero un tipo solitario) trovarono le foto ritagliate di Guccini, e allora mi sfottevano: quistu ete lu zitu te lu Lega (traduzione: questo è il fidanzato di Alessio Lega). In effetti non sbagliavano di molto: tanto per cominciare all’epoca le ragazze non mi si filavano proprio (poi, non ho mai capito perché, verso i trent’anni è cambiato tutto…) e quello per Guccini era stato un vero e proprio innamoramento, nonostante sulle prime fossi stato un po’ deluso dal fatto che le sue canzoni non fossero poi tanto politiche. Rocco, nel suo libro, spiega bene che in fondo l’identificazione Guccini-compagno è un po’ arbitraria: i temi politici non sono mai stati al centro della sua poesia. Però - c’è un grande però - Guccini scrive, canta, comunica da compagno.

    I primi cantautori, quelli impropriamente detti della scuola genovese - Tenco, Lauzi, Bindi ed Endrigo - sono lirici, innovativi sul piano linguistico, sovente accompagnati da grandi orchestre ritmico-sinfoniche, fanno pochi concerti, si esprimono attraverso la radio o la televisione e ovviamente i dischi. De André è già molto diverso: un menestrello, un trovatore… però il suo tono è distaccato, compassato, aristocratico. Non fa concerti per tutta la prima parte della sua carriera, i suoi dischi vendutissimi, diventeranno popolarissimi, ma lui (da vivo) no. Guccini (benché più vecchio di qualche mese di De André) è qualcosa di totalmente diverso: è un poeta colto, ma di origini popolari e che ama esprimersi in osteria. Quando le sue canzoni si diffondono, esiste già un circuito alternativo di concerti, legato alle feste politiche. Di Guccini tutti sanno che è un compagno - basta la Locomotiva a testimoniarlo - ed anche se le sue canzoni sono per lo più esistenziali o intimiste, lui te le racconta come si parla ad un amico al bancone di un bar. Non c’è distanza fra il Guccini che incontri per strada e quello che sale sul palco: la sincerità è la stessa. Per dirla con uno slogan: il suo personale è politico.

    La caratteristica più invidiabile del Guccini performer - e mi spiace per chi non l’ha visto, perché Guccini su disco è solo la metà di quello che era dal vivo - sta nel rivolgersi ad un intero palazzetto, a 5.000, a 10.000 persone, con la stessa libertà espressiva, con la stessa familiarità con la quale si sta in osteria. In questo il suo carisma è davvero stato unico. La sua forza poetica sta nel raccontare vicende minime, quotidiane: l’incontro con una vecchia fiamma, il pensionato della casa affianco, le riflessioni che facciamo guardando fuori dal finestrino del treno, con un piglio epico e narrativo. Guccini è Ulisse che naviga il tempo presente, le sirene sono quelle vere che vengono da una lontana fabbrica, da un’ambulanza, o le luci intermittenti di un motel, di un autogrill. Questa era l’essenza di Guccini e forse dell’idea stessa del cantautore - che Guccini incarna alla perfezione - qualcuno di fraterno, che la pensa più o meno come te, che ti racconta le sue paturnie o le sue cazzate e che può piacerti o non piacerti, ma puoi star sicuro, non sta mai fingendo.

    Ho compiuto 50 anni lo scorso settembre, dev’essere per colpa di questa, che mi rifiuto di chiamare mezza età, ma che è di certo un’età di mezzo, che ormai mi chiedono di continuo delle prefazioni: ho paura delle prefazioni e non so mai bene che scrivere. Mi verrebbe da fare una recensione del libro, tanto per far capire che l’ho letto e dare così il buon esempio. Ma una prefazione non è una recensione… ma allora esattamente che cos’è una prefazione, a cosa serve? Personalmente non ho risolto questo dilemma, Rocco mi è testimone: quando mi ha chiesto la prefazione per il suo libro su Guccini, io da una parte ne ero lusingato, dall’altra ho tentato di svicolare. Credo che fra me e Rocco corrano una decina di anni, chissà quante volte lui come me si è sentito dire: sei nato nell’epoca sbagliata, se fossi nato quaranta anni prima saresti già famoso, oggi i nuovi cantautori non li vuole più nessuno. Ecco, indubitabilmente oggi i cantautori non sono il brand più accreditato dell’industria discografica - come fu negli anni Settanta - e chi si mette sulla scia di Guccini e De André (o peggio, di Della Mea e Pietrangeli) deve oggi fornirsi di un grande coraggio e andare avanti a testa bassa, come Don Chisciotte contro i mulini a vento. Però penso anche che non esista un altro modo di fare musica e poesia così profondo ed al contempo orizzontale. Il rock è sempre un rito, con una band celebrante e dei fedeli che fanno gesti dalla forte valenza simbolica. La musica classica ha tutto un suo apparato di stucchi e merletti, un suo modo di sospendere il tempo e portarti fuori dalla storia. Un tizio vestito come potrebbe vestirsi ogni giorno, che canta senza contraffazioni, per un pubblico di età varia e indefinibile, e canta per tutti ma come rivolgendosi ad ognuno… ecco, questa è canzone d’autore, e questa roba qui non potrà mai tramontare. Per questo siamo ancora qui a parlare di Guccini, ad ispirarci a lui e - avevano ragione quei compagni che dissero che era il mio fidanzato - ad amarlo.

    5 febbraio 1994

    Tra casa mia e il palasport di Parma ci sono pochi minuti di cammino. Ho undici anni e sono pigro, vorrei andare in macchina, ma i grandi lo sanno che, quando c'è un concerto, là non si trova parcheggio. Sto andando a sentire Guccini, che ho undici anni ma è già il mio cantante preferito. Lo è da molto tempo in realtà, da quando ero piccolo e mia mamma mi cantava Il vecchio e il bambino per farmi addormentare. L'ho già sentito altre volte in concerto, ma quella sera ho un obiettivo: ho con me il mio diario di scuola, il diario '93-'94 di Lupo Alberto, e gli voglio chiedere un autografo.

    Finito il concerto, mio zio Pietro mi accompagna vicino al palco, perché si sa già che Guccini a un certo punto salta fuori. Lo fa sempre. Anche se ultimamente appare più svogliato del solito, e cerca di sottrarsi alla firma di libri dischi e tutto il resto. Quando viene fuori, infatti, davanti ai fan che iniziano immediatamente ad allungare pezzi di carta e penne, mette le mani avanti e inizia a dire No, no, no! e sembra sul punto di andarsene. Mia zia Lilly mi prende e mi spinge avanti, in prima fila. Guccini vede quel ragazzetto timido col diario di Lupo Alberto. Lui, dando fondo a chissà quale coraggio, dice Francesco, mi fai un autografo per piacere?. Francesco sbuffa, mi prende il diario dalle mani, e sulla prima pagina scrive Francesco Guccini .

    Senza dediche, senza nulla. Nome, cognome e tanti saluti. Evidentemente non ne aveva voglia, ma non aveva saputo dir di no... mi tengo stretto il diario e la sua prima pagina finirà a breve in un picoglas insieme a tante altre reliquie di quel preadolescente.

    20 giugno 1997

    Faccio il liceo linguistico e sono in prima. Passo alla seconda con un debito formativo in matematica. Dovrei comprare un libro di compiti delle vacanze ed esercitarmi per recuperare il programma. Ma l'anno prima ho riscoperto la chitarra, che non toccavo dal 1995, dopo due anni di chitarra classica che mi avevano smorzato l'entusiasmo. Oggi, a quarant'anni, faccio pubblica ammenda: quei due anni di chitarra classica sono stati una formazione imprescindibile che mi ha dato una grande capacità di apprendimento, e mi han fatto campare di rendita per anni. Ma allora non lo sapevo. Sapevo solo che ero stufo di fare plin-plon, e che volevo suonare le canzoni con gli accordoni. E allora invece del libro di matematica mi compro un libro di spartiti, perché la musica è la mia priorità. E non scelgo un canzoniere, un millenote o chissaché – quelli arriveranno, poco più avanti. Mi compro un libro rosso della Carisch, un'antologia di spartiti di Francesco Guccini. Non so se ho fatto bene o male. Di certo c'è che oggi faccio il musicista - e in matematica zoppico ancora.

    5 giugno 2014

    Parma è calda, di quel calore che solo la pianura emiliana sa stringerti attorno al collo in questi mesi afosi. Ho una vecchia fiat multipla a metano, che spesso però decide di passare a benzina senza preavviso e senza ragione, e a quel punto son dolori, perché è un millesei e beve come un alpino. Mi sto leccando un po' di ferite, rimaste addosso dai mesi precedenti. Cominciano ad arrivarmi dei messaggi sul cellulare. Ma io non li posso leggere, sto guidando. Ne arrivano tanti, a ripetizione – solo dopo scoprirò di essere su tutti i giornali emiliani perché ho vinto un premio come cantautore, e tanti amici mi scrivono per complimentarsi. Ma in quel momento sto già marciando verso una giornata indimenticabile: sto guidando la mia multipla verso casa Guccini.

    Da qualche mese io, il collega cantautore Ugo Cattabiani e il regista Luca Vitali ci siamo messi in testa di realizzare un documentario che vada alla ricerca della canzone. Si chiama Trobàr , e anche se parte dall'idea di un gruppo di semisconosciuti ha già sollevato interesse, e raccolto in poco tempo interviste da Massimo Zamboni, Max Manfredi, Enrico De Angelis, Davide Van De Sfroos, Enrico Deregibus, Ezio Poli. E ora, anche da Francesco Guccini.

    La casa è oscura e silenziosa, anche se non è il mulino, anche se arriviamo nel pomeriggio. Nonostante siamo attesi, la casa sembra vuota. Solo un giardiniere si muove nel cortile. Ci conferma che è la casa di Guccini, e ci manda verso l'ingresso. La porta è aperta, Ugo si affaccia appena, la porta dà su di un soggiorno, ma non si vede nessuno. Permesso, chiede, timidamente. Il soggiorno si oscura, e un'ombra imponente si manifesta da una porta alla sua sinistra. Avanti, dice quell'ombra, con quella cadenza inconfondibile che tutti e tre, io, Ugo e Luca, riconosciamo immediatamente. Come se fosse quella di un parente, di un amico.

    È ospitale, Francesco Guccini. Invadiamo casa sua con telecamere e microfoni, ma lui rimane imperturbabile, cordialissimo e scherzoso. Voi siete di Parma, avete detto? Però non ce l'avete mica la erre moscia! Vabbè dai, ce la metto io. Siamo nella sua cucina, scura e curata, una cucina di una volta. Lui siede al capo di un lungo tavolo, alle sue spalle un grande camino. Un manipolo di gatti entra ed esce, per la gioia del cantautore. La sua educazione è estrema, chiede perfino il permesso di fumare in casa sua. Ma non esita a interrompere l'intervista per rispondere alla richiesta di cibo di un'adorabile gattina nera: ogni uomo ha le sue priorità.

    Ugo fa una domanda su Riccardo Bertoncelli e L'avvelenata . Guccini inizia a rispondere ma gli squilla il telefono. Scusate, rispondo ci dice. Dal telefono una voce metallica: Pronto Francesco, sono Riccardo, Bertoncelli! Guccini scoppia a ridere, e noi con lui. Chiacchierano, Guccini a un certo punto gli dice: Guarda, per me ti dico di sì, però mi devi richiamare più tardi quando c'è mia moglie, perché oramai son cieco come una talpa e non riesco a usare l'agenda. Ormai l'ha raccontato anche in pubblico, Guccini, ma allora la notizia era ancora riservata. Una malattia degenerativa alla vista l'aveva allontanato dal palco un paio d'anni prima.

    Al momento dei saluti, scompaio per una manciata di secondi. Corro in macchina, c'è la mia chitarra – la sera avrei avuto un concerto a Bologna. Non lascio mai la chitarra in macchina, meno che mai d'estate, ma come fai ad andare a casa di Guccini con la chitarra in spalla? Mi avrebbe imbarazzato da morire. Apro la tasca della custodia, estraggo un libro rosso, edizioni Carisch: Francesco Guccini – Antologia . Torno in casa Guccini, vado da lui: Maestro, mi fa un autografo, per piacere? Stavolta non sbuffa. Grazie per il 'maestro'!, fa, ridacchiando. Prende una penna, prova se scrive – e il ghirigoro resta sul frontespizio del libro. Poi fa una dedica: A Rocco, Francesco Guccini. Ero sicuro di dovergli ricordare il mio nome. Non è stato necessario. Gli dico Grazie, ed è per l'autografo, ma anche per tutto il resto, che lui non sa, e va bene così.

    22 ottobre 2015

    Sanremo è molto lontana, ben più di quello che ti immagini quando parti da Parma. Ti illudi che arrivato a Genova il più sia fatto, e invece ce n'è più o meno altrettanto. Eppure un popolo nomade, che ama la canzone d'autore e i cantautori, ogni anno si mette in viaggio da tutta Italia per raggiungere questo sperduto paese

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