Occhi di ragazzo: Sergio Bardotti: un artista che non ha mai smesso di sognare
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Anteprima del libro
Occhi di ragazzo - Nini Giacomelli
Un riuscito sodalizio artistico
di Silvana Antonioli Cameroni
Nini e io ci siamo conosciute per caso verso la metà degli anni settanta, a Milano, nella modesta abitazione di sua zia Catina e di suo zio Federico. Federico Sorbaro era stato un personaggio di spicco della resistenza cattolica antifascista e mio marito e io, che eravamo agli inizi dell’attività giornalistica, lo frequentavamo, con simpatia e con affetto, per raccogliere testimonianze e documenti sul movimento cattolico. Nini era lì in visita. Era una ragazzina tutto pepe, dallo sguardo vivace e determinato ma sognante. Era anticonformista, lo si capiva subito. Era impulsiva, vulcanica ed estroversa. Io, invece, ero una ragazza acqua e sapone, quasi all’antica. Ero misurata, pacata, riflessiva. Ma ci intendemmo subito.
Ci accomunava forse la tensione a una progettualità fuori dagli schemi, la voglia di affrontare e vincere sfide importanti. La nostra frequentazione continuò e si infittì quando, qualche tempo dopo, alla morte di Sorbaro, l’anziana zia Catina tornò nella nativa Valle Camonica, e per l’esattezza a Breno, per vivere i suoi ultimi anni accanto alla sorella e al cognato - che erano i genitori di Nini.
Ogni volta che andavo a trovare Catina Sorbaro - e accadeva abbastanza spesso - incontravo anche Nini. Quasi ci attraesse una calamita, ci appartavamo nel salotto di sua zia e facevamo a gara nel raccontarci i nostri lavori in corso
, i nostri progetti e i nostri sogni.
Lei, mi diceva, era entrata, quasi per gioco, nel mondo della musica leggera. Aveva scritto alcuni testi per canzoni e li aveva mandati a Ornella Vanoni, che li aveva apprezzati e che aveva incaricato Sergio Bardotti di contattare la giovane e promettente autrice. Ecco dunque: Sergio. Quando Nini ne faceva il nome - in quella casa antica in pietra grigia dai davanzali fioriti di grandi, meravigliosi gerani rossi, là, in quel borgo strappato al passato e protetto dalle imponenti montagne della Valle - facevo davvero fatica a immaginare che quel Sergio
potesse essere il famoso Maestro Bardotti, quello che firmava i maggiori successi musicali dell’epoca, da Perché non dormi fratello a Occhi di ragazza, a Piazza Grande. In quegli anni le canzoni rappresentavano una colonna sonora importante nella vita delle persone e Bardotti era un nome. Come poteva essere, dunque? Nini era di casa lì, sui bricchi, e Bardotti nella capitale.
Doveva essere un’omonimia, mi dicevo.
Negli anni successivi, dovetti però convincermi che quel
Sergio era proprio il Maestro Sergio Bardotti. Non ho mai osato, comunque, chiedere a Nini più di quello che mi raccontava. Non volevo sembrare curiosa, né tanto meno essere indiscreta.
Constatavo semplicemente, in occasione dei nostri incontri, fattisi poi sempre più sporadici, che, almeno per un certo numero di anni, la vita di Nini era come plasmata dalla presenza di Sergio
. Che ho inaspettatamente incontrato, ormai nei primi anni duemila, quando ha assunto le vesti di direttore artistico di un evento ideato e curato da Nini per la Valle Camonica: il Festival Dallo Sciamano allo Showman. Eccolo, il Maestro Sergio Bardotti, seduto accanto a Nini al tavolo dei relatori, in occasione della conferenza stampa milanese di presentazione di una delle edizioni del Festival. Appariva un po’ sciupato e stanco, a dire il vero, ma era un piacere ascoltarlo. Sì, era un grande affabulatore. La sua carica di humour sottile lo rendeva molto simpatico e lasciava trasparire una vasta cultura, assolutamente non ostentata. Doveva essere interessante e stimolante lavorare con lui. Quando poi ho saputo della scomparsa di Sergio, nell’aprile del 2007, ho subito preso in mano il telefono per chiamare Nini: Mi dispiace molto
, le ho detto. Lei stava partendo per Roma, per essere presente all’ultimo saluto che il mondo della musica leggera ha tributato a uno dei suoi più grandi autori.
Una storia con la s maiuscola
Sono passati ormai più di due anni da quel mese di aprile e oggi incontro Nini. Ho pensato che, con garbo, le chiederò di parlarmi di loro. Nini mi toglie subito d’impaccio, perché è lei che, inaspettatamente, alza di sua iniziativa il velo sul suo particolarissimo sodalizio con Bardotti.
Conferenza Stampa Festival 2004:
Sala Stampa Regione Lombardia, con l’Assessore Regionale Massimo Zanello ed Enzo Braschi.
Festival Dallo Sciamano allo Showman 2004:
Si prepara la puntata RAI con il regista Gabriele Marchesini.
Io devo molto a Sergio
, mi confida, senza reticenze nel mettere a nudo i suoi sentimenti e la riconoscenza nei confronti del Maestro. Se sono quello che sono, è anche grazie a lui. E mi piace condividere con altri i momenti professionalmente belli che abbiamo vissuto insieme, i punti d’incontro che c’erano tra di noi e che hanno permesso una profonda intesa artistica. Sergio viveva sollevato due metri da terra. Io sono una montanara e ho un legame molto forte con la ‘terra’, ma mi sento proiettata nell’aria e nella musica dei grandi spazi. Così ci siamo incontrati quasi per caso, e nel vento
.
Ecco pertanto che si tratteggia la loro storia.
Quando Nini e Sergio si conobbero, erano i primi anni ottanta. Per l’esattezza era il 6 gennaio 1981. Sergio era già un uomo maturo, affascinante. Era un produttore e autore affermato. Possedeva una dialettica straordinaria
, ricorda Nini, che non intende minimamente frenare la sua ammirazione, ma allo stesso tempo era di una semplicità disarmante. Aveva una capacità di autoironia che solo i grandi sanno avere. Era un meraviglioso uomo di musica e parole. E aveva sempre il sorriso sulle labbra, un sorriso che non si arrendeva mai. Io ero poco più di una ragazzina. Avevo appena chiuso una storia sentimentale importante proprio per dare spazio al mio bisogno di aria, di sogni, di libertà. Ero anche un tantino anarchica
.
Non erano però solo la musica e le parole a legare Nini e Sergio, ma anche la curiosità, la voglia di sognare, di vivere fuori dalle convulsioni della realtà, dalle tristezze del quotidiano, dai nomi delle cose. Sempre e a dispetto di tutto. Li univa una specie di leggerezza dell’essere
, afferma Nini con una voce leggermente roca che dà spessore alle sue parole. Insieme hanno scritto, cantato, riso, costruito, demolito, viaggiato. Hanno vissuto appoggiando i piedi per terra solo di tanto in tanto
, per ritrovarsi davanti a un bicchiere di vino, di pane e salame, di gorgonzola, o di cassoeula, quella cassoeula che la mamma di Sergio, Nimi, cucinava magistralmente per loro. Sono stati anni di sogno
, conclude, precisando che poi, verso la fine degli anni novanta, lei e Sergio si sono persi di vista. Sergio si dedicò alla TV, anche per questioni economiche (perché non era facile vivere solo di canzoni, nemmeno per lui), Nini al teatro. Si sono ritrovati qualche anno dopo, ormai maturi entrambi, per riprendere a lavorare insieme a nuovi progetti comuni. Sergio abitava allora da solo, sempre a Roma, in un appartamento accanto a quello della madre, ormai vedova da tempo, e si occupava personalmente di lei, aiutato da una badante. Fui io a telefonargli
, confessa Nini. La conosco abbastanza bene, ormai. So con quale slancio sa agire, sempre pronta a tuffarsi con entusiasmo e con generosità in nuove avventure. "Lo chiamai per proporgli la Direzione Artistica del Festival Dallo Sciamano allo Showman. Ed è stato come se ci fossimo visti il giorno prima. Ventiquattro ore dopo, Sergio era in Valle ad aiutare Bibi Bertelli e me nella costruzione della rassegna".
Una collaborazione fruttuosa
Mi sono sempre chiesta dove e come Nini e Sergio abbiano potuto lavorare insieme. Nini legge nei miei pensieri e abbozza il profilo di un maestro severo, di un compagno di lavoro esigente, e allo stesso tempo di un amico di giochi e di avventure straordinarie: un clown, un bambino…
Prima di mettere sulla carta pensieri e appunti di testi, parlavamo, parlavamo per ore, per giorni, spesso viaggiando per mete ‘curiose e sconosciute’, al seguito di un evento culturale o culinario, o semplicemente ‘per il gusto di andare altrove’. Poi, quando quello che ci occorreva sapere si era sedimentato nelle nostre menti, ci rifugiavamo da qualche parte. A volte qui in Valle, in una baita, una ‘bardola’ diceva lui, in alta montagna, a Lozio, oppure al mare o al lago, o nella sua amata Val Versa, dove cercavamo ‘quel salame’ che, quando era maturo al punto giusto, si sposava stupendamente con il Moscato di Volpaia. Ci mettevamo doppie cuffie collegate e, armati dei nostri quadernoni vecchio stile, quelli blu a righe, scrivevamo. Lavoravamo con grande serietà, ma divertendoci. Era bellissimo quel ‘pensare insieme’, quel convergere di idee che nasceva dalla discussione e dal confronto. Era una specie di sana follia la nostra
.
Dal Maestro Bardotti Nini ha imparato anche a tradurre i testi delle canzoni secondo un metodo sicuramente originale: per prima cosa Sergio le faceva riscrivere la canzone secondo la pronuncia, così da consentirle di acquisire, di quella canzone, la musicalità
ancor prima della metrica. E da farle mantenere quella musicalità tenendo conto, dove possibile, delle rime, delle consonanze, delle allitterazioni, dei parossitoni, sempre rispettando la poetica.
Fare tutto questo quando la canzone da tradurre era in portoghese e portava la firma di Chico Buarque de Hollanda era un gran bel match. Chico giocava con le parole, le plasmava, ne faceva uscire altre. Sapevo come componeva le sue canzoni. Eravamo stati suoi ospiti in Brasile. Si divertiva cercando impossibili etimologie, scherzando con gli acrostici, con le sciarade
, ricorda divertita Nini. Io ho tradotto testi di letteratura e di saggistica e capisco bene quello che intende. So come sia sempre in agguato il rischio di tradire anziché tradurre.
Era diverso per i testi dall’inglese. Lì il testo spesso lo lasciavamo perdere e si andava dritti sui suoni. Sergio mi trasmetteva la sua curiosità per i mondi lontani, per le culture diverse di cui le canzoni erano espressione. Credo di avere imparato a vedere le cose attraverso i suoi occhi ancor prima di essere riuscita a vederle da sola con i miei
.
Dovette vederle da sola le cose, però, nel 1989. Quando Sergio arrivò a Breno con le canzoni di Charles Aznavour da tradurre per l’LP "Momenti sì, momenti no" e le chiese di cimentarsi da sola in quell’impresa. Sergio, ovviamente, avrebbe rivisto il lavoro e vi avrebbe messo del suo. Avrebbe fatto volare
i brani.
Ma quella volta Nini doveva dimostrare al Maestro di saper fare con le sue sole forze.
Sempre a proposito di traduzioni, e sempre rimanendo in ambito linguistico francese
, continua Nini, "c’è una canzone tradotta alla quale sono particolarmente legata, una canzone per la quale si è viaggiato più sul sottile, sull’ironia, sull’eufonia. È una canzone molto femminile, che esprime quella dolcezza crudele che solo le donne sanno ben interpretare. Ma Bardotti sapeva anche essere androgino nello scrivere, sapeva penetrare l’eterno femminino fino a farne parte. Si tratta del brano I grandi cacciatori (1983), contenuto nell’LP di Ornella Vanoni dal titolo ‘Uomini’. La canzone originale si intitolava Chasseur d’Ivoire ed era stata scritta nel 1981 da Serge Gainsbourg su musica di Alain Chamfort. Fu prodotta anche una versione numerata dell’LP, molto raffinata, con un progetto grafico di Franco Maria Ricci e la plaquette curata da Martina Vergani. Le canzoni erano abbinate a poesie e personaggi di grande fascino come Hemingway".
Ascoltando i testi di Bardotti si coglie in effetti quella straordinaria capacità di volare
che dà loro un inconfondibile tocco di poesia, quel tocco che trasforma la tecnica dello scrivere in magia dello scrivere. Quel tocco attraverso il quale Bardotti ha saputo esprimere e raccontare l’inesprimibile, l’ineffabilità dei sentimenti: il tempo, la nostalgia, l’amore, la fine. Con mano leggera, ma ferma. Leggendo le numerose fiabe e filastrocche che Nini Giacomelli ha scritto nel corso degli anni si riconosce l’impronta del Maestro.
Nini ha peraltro sempre conservato tutto del lavoro fatto con lui: dagli scritti importanti alle traduzioni imparaticce
, alle registrazioni che Sergio faceva mentre improvvisava al pianoforte, servendosi delle canzoni per comunicare un’emozione, un disagio, per divertirsi, per provocare.
Aveva una vena scherzosa inesauribile
, dice Nini, "che divertì tutti quando realizzammo l’LP di Dario Baldan Bembo ‘Spirito della Terra’, nel 1982. Si registrava in un grande prato a Maggiora, e si viveva tutti - tecnici, musicisti, fonici e autori - in camper e roulotte. Tutti lì. Sergio, nominato cappellano del campo dal Capitano Dario, aveva inventato l’alzabandiera con appello al mattino e la preghiera della sera. Al suono della tromba eravamo tutti lì sul prato, in ordine e schierati. Sergio pronunciava addirittura in tedesco l’introduzione all’appello. Era un giocherellone."
Mi sembra anche di capire, dal ritratto che sta prendendo corpo, che gli importava probabilmente più la possibilità di cogliere il gusto di ciò che andava costruendo che non quella di coglierne i frutti economici (un male comune, purtroppo, a molti di noi che ci riteniamo comunque appagati dalla possibilità di svolgere un’attività appassionante). Vengo ad esempio a scoprire - e per me è davvero una sorpresa, perché mi riesce difficile pensare a un artista che non sia egocentrico - che raramente Sergio scriveva i testi da solo. Amava scrivere divertendosi e gli piaceva farlo in compagnia. Non gli importava il guadagno fine a se stesso.
"Mi piace ricordare quando, al Tower Center di New York, digitando per gioco il mio nome mentre cercavo delle musiche per uno spettacolo teatrale in allestimento, vidi apparire sul monitor del computer i titoli di quattro CD di Céline Dion che contenevano Hymne a l’amitié (Amico è). Senza preoccuparmi del fuso orario, tirai giù dal letto Bardotti, anche lui ignaro della cosa. Ci fece piacere scoprire di essere finiti nelle hit parade internazionali,