Eterni secondi
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Cattivi romantici, L’internauta, La notte in cui spuntò la luna dal monte – scritti tra il 2011 e il 2017 – sono tre facce dello stesso orologio. Tre racconti apparentemente lontani, ma in realtà accomunati da quel romanticismo maldestro tipico della scrittura “bonaffiniana” e dei suoi personaggi, spesso teneri, fastidiosi e surreali, che ritraggono le fragilità, la tenerezza e il cinismo della società contemporanea. E per un mantovano doc, gastronomicamente parlando, i primi di solito fanno la differenza…
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ANUNNAKI - Narrativa ebook
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Anteprima del libro
Eterni secondi - Luca Bonaffini
Luca Bonaffini
Eterni secondi
© 2017 – Gilgamesh Edizioni
Via Giosuè Carducci, 37 – 46041 Asola (MN)
gilgameshedizioni@gmail.com – www.gilgameshedizioni.com
Tel. 0376/1586414
ISBN 978-88-6867-261-4
È vietata la riproduzione non autorizzata
In copertina: progetto grafico di Dario Bellini
© Tutti i diritti riservati
ISBN: 978-88-6867-261-4
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Indice
Introduzione
Cattivi romantici
Dietro la collina non c’è più nessuno
Così mi distraggo un po’...
Seconda stella a destra
La pioggia non ci bagna
Di quelle che non si sa mai
Noi che camminiamo sul mondo
Quello che è stato è stato
Camminerò un’altra volta
La fortuna di vivere adesso questo tempo sbandato
L’internauta
La logica di Caronte
Un libro di scale
Una carta sbagliata
Silenzi d’autore
Il commerciante di battiti
Bolle di gratitudine
Anjëzë la Macedone
L’allegoria del bradipo
Nessun risveglio
La notte in cui spuntò la luna dal monte
Galeotto fu il telefono
Full immersion
Strade nuove
Gli immondezzai e la speranza
Sembrano cent’anni
Zeus
Un canto di sponde sicure
Verso la luna
Spunta la luna dal monte
ANUNNAKI
Narrativa
70
Eterni secondi è un romanzo a tre tempi, ingannevole e mutante, strutturato come un lungometraggio a episodi degli anni ’70 e avente come filo conduttore il tempo e le sue avversità numeriche. Secondi si nasce, non si diventa e lo si resta per l’eternità, con tutti i vantaggi che offre la posizione non illuminata del non essere mai tra i primi.
Cattivi romantici, L’internauta, La notte in cui spuntò la luna dal monte – scritti tra il 2011 e il 2017 – sono tre facce dello stesso orologio. Tre racconti apparentemente lontani, ma in realtà accomunati da quel romanticismo maldestro tipico della scrittura bonaffiniana
e dei suoi personaggi, spesso teneri, fastidiosi e surreali, che ritraggono le fragilità, la tenerezza e il cinismo della società contemporanea. E per un mantovano doc, gastronomicamente parlando, i primi di solito fanno la differenza…
Luca Bonaffiniè nato a Mantova nel 1962. Compositore di musiche e autore di testi per canzoni, ha realizzato dodici album come cantautore e si è affermato intorno alla fine degli anni ’80 come collaboratore fisso di Pierangelo Bertoli. Altri suoi brani sono stati interpretati da Patrizia Bulgari, Flavio Oreglio, Sergio Sgrilli, Fabio Concato, Nek, Claudio Lolli e ha scritto testi teatrali insieme a Enrico Ruggeri e Dario Gay.
Insegna Storia della Popular Song presso Musica Insieme di Mantova e tiene seminari di alta formazione internazionale presso la Hope Music School.
Per i tipi di Gilgamesh Edizioni esce nel 2015 un libro-intervista dedicato ai suoi trent’anni di carriera, intitolato La protesta e l’amore - Conversazioni con Luca Bonaffini, scritto dal giornalista e scrittore Mario Bonanno .
Al professor Sergio Cordibella,
che mi insegnato le lettere e la storia
a colpi di cinque e mezzo.
Senza di lui e senza la sua umana intelligenza,
sarei rimasto un sognatore senza carta e senza penna.
Introduzione
Stavo male, molto male. Mi sentivo la pelle bollente e la testa in balla.
Il capolinea, la fine, il miglio verde, dead man walking.
Poi, come accade nelle favole, ecco l’eroe: il grande SER.D.
Per chi non lo sapesse, SER.D. è un gioioso acronimo che significa Servizio Dipendenze, è pubblico e a disposizione di persone affette da patologie assai sofisticate.
Speravo si trattasse di alcolismo, droga, ludo patia, sessuomania o di qualche fragilità assoggettata ai poteri manipolatori del Grande Fratello o del Piccolo Principe!
Invece no.
Dopo oltre trent’anni di nomadismo letterario e musicale, indispettendo spesso intellettuali e operatori culturali d’alto lignaggio, i medici e gli psicologi della struttura locale hanno trovato la soluzione: farmi scrivere un romanzo non breve.
Difficile per il sottoscritto, anzi improbabile, dato che fattori di non poco conto quali la mancanza di volontà, di coerenza e la carenza totale di una spiccata ambizione al successo sociale e mediatico, hanno sempre caratterizzato ogni singola avventura artistica che ho intrapreso.
Finalmente dopo infinite consulenze di psichiatri, neurologi, educatori, pedagogisti e medici di base, mi è stata proposta – secondo loro – la figura ideale, il sommo risolutore. Il mio editore.
Quell’editore integerrimo, spietato nei giudizi e dotato di un inconsueto (almeno nei tempi correnti) senso critico, fu colui che – spinto da una singolare filantropia e da un’incomprensibile voglia di letteratura popular – mi prese in carico qualche anno fa.
Il dottor Gilgamesh, essere divinizzato (da non confondere con avvinazzato) dalle sembianze umane, diagnosticò il mio problema nel giro di poche pubblicazioni.
La cartella clinica celava verità oscure e segreti terribili che mi riguardavano.
La mia dipendenza, patologia pan-psichiatrica, era quella di dover sempre concludere
.
Sì, la concludenza e, nella sua estensione più drammatica, la conclusione.
Dover definire, in fretta e furia, anche in maniera incoerente e incostante qualsiasi attività o progetto intrapreso, era stata da sempre la mia malattia. Aggravata dalla legge del contrappasso che, non offrendomi continue opportunità di crescita e di evoluzione delle opere iniziate, aveva interrotto bruscamente le mie imprese, lasciandomi prigioniero di quella discontinuità che ha dominato tutto il percorso.
Gilgamesh, instancabile esploratore dell’io, proprio e altrui, entrato nella cabina telefonica (oggi diremmo nella custodia di un I-Phone) ed uscito col mantello da Gilgaman, ha trovato la cura: un libro grande, non frammentario ma logico e coerente con il quale io, scrittore per caso e grazie a qualche suggeritore, sarei finalmente guarito.
Ebbene eccovi quella che io considero l’opera prima dello scrittore
(che fu cantautore e altre evanescenze giù di lì…) Luca Bonaffini.
Eterni secondi
in sostanza nasce da due spunti e da tre romanzi.
I due spunti sono i seguenti: il tempo (l’eternità e i secondi) e una sorta di supposta punizione karmica (c’è sempre qualcuno che arriva prima di noi).
Le tre narrazioni, apparentemente lontanissime e senza alcuna connessione tra di loro, sono state scritte tra il 2011 e il 2017 e raccontano stralci di vita sia immaginata che vissuta con modalità narrative affini ma al contempo estremamente differenti: quella surreale (Cattivi romantici), quella poetica e sequenziale (L’internauta) e quella autobiografica (La notte in cui spuntò la luna dal monte).
I tre racconti si svolgono in un ambito spazio temporale molto ristretto dove tutto
accade in meno di un giorno: una sera d’inverno in una stanza, un pomeriggio d’agosto in un parco, una notte in uno studio.
Poche ore, lunghi minuti, eterni secondi.
" Cattivi romantici" (ineditissimo, talmente inedito che devo rileggermelo anch’io) apre il trittico con una kermesse di personaggi teneramente ignobili, ritraendo una generazione assente a sé stessa, grazie al rincontro di due amici in occasione del funerale di un terzo compagno di scuola. La sera prima della cerimonia d’addio all’amico scomparso, del quale in realtà non si è mai trovato il corpo, Fabio e Andrea (ideologicamente ed esistenzialmente antitetici) si scambiano, come ai vecchi tempi, insulti e non-opinioni su ciò che è Stato e Non Stato. Vecchi vinili e foto ricordo sono la scusa per ricercare le cause di un malessere generato da un senso di sconfitta chiaro in entrambi.
A seguire, ispirato alle dieci canzoni del cd dell’amico medico (geriatra non per caso) Renato Bottura Sognatori Feriti
, arriva " L’Internauta".
Il protagonista, mago del web e killer-professionista della fantasia naturale a misura d’uomo, durante un pomeriggio assolato e bruciante di ferragosto, assiste alla morte del suo complice-gregario: il computer. Costretto a fare altro, causa il blackout irrimediabile, decide di uscire dal bunker.
Incapace di vedere la realtà, prigioniero del suo sé info-telematico, inciampa dappertutto e cade continuamente in stato di trance, obbligato a sognare senza PC. Scopre così di essere capace di camminare ancora attraverso la vita vera, incontrando nei suoi viaggi onirici personaggi veramente esistiti, come Madre Teresa di Calcutta bambina e un missionario in Brasile, e altri immaginati.
Scorrono nel giro di poche ore, istanti unici e indimenticabili destinati a cambiare il senso della sua vita.
Infine " La notte in cui spuntò la luna dal monte" è l’ultima narrazione ed anche l’unico spunto autobiografico della raccolta. In poche ore, dalle 21 del 6 gennaio 1991 alle 5 del giorno successivo, nacque la canzone che Pierangelo Bertoli (1942-2002) portò a Sanremo decretando il suo successo popolare e, soprattutto, televisivo.
Anche qui secondi interminabili e memorabili, da consegnare all’eternità.
Allora lettrici e lettori, Il dottor Gilgamesh è lieto di presentarvi la prima opera a tre romanzi (o il primo romanzo lungo a tre racconti brevi, chiamiamolo come ci piace di più) di Luca Bonaffini - scrittore esordiente e cantautore galleggiante - che, in conclusione
, parrebbe sulla via della guarigione.
Eppure se eterni restano i dubbi, come è giusto che sia, che il ruolo dei primi sia sempre un po’ scomodo anche se ci fa gola, io ho la quasi certezza che un secondo eterno valga quanto un eterno secondo.
Detto tra noi, penso che se i secondi non saranno mai i primi, avranno sempre qualcuno alle spalle a invidiare il loro posto.
Cattivi romantici
Dietro la collina non c’è più nessuno
Resistere alla galera è un’impresa difficile, ma sopravvivere alla libertà è praticamente impossibile...
Laconiche e lapidarie.
Queste erano state le ultime parole scritte dal Banza, il mio compagno di banco, con cui da ragazzi ne avevamo fatte di cotte e di crude.
Banza, al secolo Mauro Banzotti, si era tolto la vita in un giorno di febbraio del 2008, poco meno che cinquantenne.
Antieroe per eccellenza, dopo di mancata conversione alla normalità, aveva deciso di affidarsi definitivamente alla cura dell’alcol.
Morto.
Sbranato dalle fauci del mare di Porto Ferro in una notte di bufera e di libertà.
Aveva detto di assentarsi per qualche giorno perché si sarebbe preso una settimana di meditazione
in Sardegna, a casa di un amico di vecchia data.
In seguito, la scomparsa improvvisa e il ritrovamento dei suoi abiti ben cellofanati sopra uno scoglio.
Il titolo del giornale cita: Uomo di mezza età si uccide. Soffriva di depressione
.
Falso.
Mauro non era malato.
Era diversamente sano.
Un po’ come tutti noi.
Nel 1978 c’eravamo io, il Banza e … quell’altro
.
Tre inseparabili porcellini d’India che, da lì a poco, sarebbero diventati maggiorenni, entrando a far parte di questo mondo di maiali veri.
L’altro
(quello serio) era Fabio, detto il Prof.
Fabio studiava sempre e leggeva di tutto. Frequentava cinema d’essai, partecipava alle assemblee e agli scioperi caldi.
Era un Compagno con la C maiuscola.
Il Banza, il traviato degenere del trio, viveva nel suo bunker tappezzato di culi, tette e ritratti di Jim Morrison. Appesa, tra le immagini porno e quelle psichedeliche, un effigie di Benito Mussolini.
Tra i due litiganti ecco il terzo somaro: io. Ah… già.
Dimenticavo di presentarmi: mi chiamo Andrea soprannominato il Frusta perché tutte quelle che incontravo le battezzavo. Una specie di Casanova dei Navigli.
Mio padre, il commendator Leonardo Maselli, era stato fondatore di una delle prime compagnie finanziarie dell’Italia del dopoguerra.
Un buon uomo.
Che in verità non significa una bella persona
.
In casa non c’era mai.
Mia madre, presa dalle sue giornate impregnate di shopping e cazzate varie, mi recapitava da qualche parte e mi mollava lì. Come un sacco di biancheria sporca.
Ormai maggiorenne e patentato, sottraevo l’automobile parcheggiata in garage di papà perché il buon uomo
preferiva andare in taxi.
Tela lì. Una lussuosa Lamborghini d’epoca con cui scorrazzare per tutta la giornata da Porta Genova a viale Monza.
Al pomeriggio, il ritrovo di noi pecorelle smarrite era l’Osteria del Bianco (colore sgradito al buon Fabio) che, senza alcun riferimento politico, aveva preso il nome dal boss Tito Bianco, titolare del locale.
Lì, la sera, c’era buona musica.
Si alternavano jazzisti, bluesmen e un sacco di cantautori figli del parolame modaiolo.
Io e Fabio, alle diciannove in punto, eravamo già a casa come i bravi ragazzi.
In fondo a quel bar piuttosto ambiguo restava solo il Banza ad aspettare il grande esodo delle mignotte e dei ludopatici che, nel giro di qualche mano, si giocavano a poker la macchina, la casa e anche la moglie.
Una sera c’era stata pure una sparatoria finita in tragedia.
Nella Milano degli anni ‘60, i problemi si risolvevano così, come nel Far West.
Che peccato. Oggi non ci sono più le belle sparatorie di una volta.
L’Osteria del Bianco venne chiusa verso la fine degli anni ‘80, quando Tito decise di ritornare nella sua terra d’origine in Aspromonte e di ritirarsi dal mercato della droga.
Ognuno di noi aveva interessi diversi che, quasi sempre, non collimavano mai.
A me e al Banza, ad esempio, interessava
il cazzeggio: la nostra vita ideale era quella all’insegna delle bugie rotonde e del tennis da tavolo.
Fabio invece, coscienzioso e tenace, adorava deumidificare la testa con libri di poeti maledetti e canzoni impegnate, giocando a fare l’intellettuale con un gruppo di massaggiatori di barba e collezionando frustranti e dolorose utopie.
Basti pensare che le sue tre parole chiave erano pace, lavoro, Marx
.
Quelle del Banza erano guerra, canne e Benito
.
Io, di chiavi, ne avevo soltanto una: quella della macchina.
Povero Fabio.
In quegli anni, a sua insaputa, era stato pure sospettato di avere legami col terrorismo.
Frequentando un po’ troppa roba rossa, si era tirato addosso l’attenzione della questura che, senza tanti complimenti, non gli aveva tolto gli occhi di dosso per quasi un decennio.
Il suo amore viscerale per il Partito e per il popolo toro (oggi diventato bue) gli aveva aperto le porte della redazione locale dell’Unità.
È merito della sua caparbietà se oggi è redattore di una rubrica importante per un magazine on line.
Nel tempo libero scrive libri. Che non legge nessuno, che comunque pubblica.
Lo chiamano ancora il Prof, anche se non si è mai laureato.
Ehi... Fabio. Ti ricordi quando ti prendevamo tutti per il culo?
Il Prof non alza nemmeno la testa, sposta un occhio, un paio di denti e alza le spalle.
Conserva ancora quella Olivetti che io e il Banza gli regalammo al compimento del diciottesimo anno.
La prima macchina da scrivere con cui, guarda caso, aveva scritto il discorso di un compagno di partito semi analfabeta. Mannaggia a lui. Quando Mauro aveva scoperto che Quel discorso di merda...- definizione ovviamente del Banza - ... da sporco Trotskista
l’aveva scritto con il mezzo che gli avevamo regalato noi, per poco non gliela fotte sul testone.
Ah ah ah
. Se la rideva il grosso Fabio.
Intanto, tra una risata e un ricordino, il Banza non c’è più.
E con lui se n’è andata un’altra parte, buona o cattiva che sia, di noi.
Fabio mi offre da bere. Versa un mezzo bicchiere a testa, senza fare differenze.
Spilorcio e accattone nell’anima, risparmia anche sul vino
Ci facciamo un briscolina?
. Penso tra me e me che è un intero deficiente.
Domani è il funerale di Mauro mentre lui pensa alle carte.
D’altronde non si è rinnovato nemmeno in quello. È rimasto a Urla il vento fischia la bufera e ai giochi da tavolo. Almeno ci fosse una slot, qui in salotto.
Ha una bella casa, un appartamento da borghese che vuole tanto bene ai proletari.
Da uno che, nel bene e nel male, ha saputo vincere la noia e dare un senso alla sua giornata.
Io no. Mi rendo conto che sono sempre stato schiavo del mio narcisismo.
Inutile negarlo sono un vero egoista nel senso migliore del termine. Penso a me e basta.
Fabio si è sposato. Un po’ tardivo, ma si è fatto uomo. Ha consumato anche una quindicina di chili e, con quei flash di bianco e nero sulla testa, infonde saggezza e fiducia.
La sua calma, rimasta uguale a quella di qualche chilo e qualche capello fa, mi mette agitazione come al tempo della scuola.
Da lui copiavamo tutti.
L’insegnante di lettere, un bel giorno, lo aveva scoperto e punito con una sospensione. Eppure, tornato in classe con un paio di lividi sul culo inflitti dal battipanni cattivissimo di mamma Iride, aveva ricominciato a passarci i compiti.
Il Banza, che veniva a scuola un giorno sì e un giorno no, si appellava costantemente al sei politico e, alla fine di ogni anno, la passava liscia. Rimandato in tre materie e promosso.
Lo definivano un caso sociale
, un ragazzo difficile da comprendere e perciò da sostenere.
Erano, beffa incredibile,