Frammenti fotografici. La fotografia nella società delle immagini pervasive
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Anteprima del libro
Frammenti fotografici. La fotografia nella società delle immagini pervasive - Giovanni Gualario
RIFLESSIONE 1
Una rosa è una rosa, è una rosa, è una rosa
Il verso di Gertrude Stein, nel suo poema Sagred Emily, nella sua interpretazione più comune, sta a ricordarci che le cose non possono essere altro che quello che sono.
Ogni innovazione tecnologica induce un confronto fra i conservatori
della tecnologia precedente e gli innovatori
alfieri della nuova che si fa spazio e l’irrompere del digitale (anche) in fotografia non ha fatto eccezione
La prima resistenza contro l’innovazione digitale nella fotografia è stata combattuta sugli strumenti del mestiere: le macchine fotografiche.
Infatti, buona parte del discorso fotografico che ha preso avvio dopo l’irruzione del digitale nel mondo della fotografia (nel 1988 la Fuji presenta la prima fotocamera digitale, nella quale la pellicola viene sostituita da un sensore), ha posto frequentemente maggiore attenzione agli strumenti e alle tecnologie piuttosto che alle conseguenze derivanti dalle opportunità offerte da queste, soprattutto in combinazione con le piattaforme social.
Parafrasando Gertrud Stein possiamo dire che gli apparecchi che, qualunque forma o funzione accessoria abbiamo, sono in grado di fissare immagini dal reale sono a pieno titolo apparecchi fotografici
.
Terminata la prima battaglia di resistenza
che a questa categoria appartengano le macchine fotografiche digitali è questione scontata, mentre è stato meno facile considerare parte di questa categoria altri apparecchi nati per fare altro e che invece hanno acquisito nella funzionalità fotografica la caratteristica principale rispetto alla quale vengono ormai proposti al mercato e scelti dai consumatori: gli smartphone.
Anche questo argomento – l’ultima ridotta dei resistenti - può considerarsi comunque definito almeno livello di agenzie editoriali che preferiscono concentrarsi sui contenuti piuttosto che sugli strumenti adottati dal fotografo: l’Agenzia Magnum nel 2013 ha cooptato in scuderia Michael Christofer Brown, un fotografo che aveva adottato l’iPhone come strumento di lavoro già dal 2011, sdoganando formalmente così il cellulare
nella attività fotografica professionale.¹
Che il digitale, di per sé e in quanto tecnologia, non cambi la natura della fotografia è dimostrato dal fatto – evidente e in quanto tale spesso non considerato come gli oggetti in bella mostra che non vediamo - che il digitale usi la luce per disegnare le immagini non diversamente dall’analogico e richiede quindi al fotografo le stesse competenze, ma soprattutto la stessa sensibilità nella lettura della luce.
L’affermazione, a prima vista ovvia, acquista un significato particolare per l’uso del termine sensibilità
, che è qualcosa di più della attenzione che il fotografo sempre e comunque deve avere per l’illuminazione della scena da riprendere, quantomeno per stabilire la corretta esposizione. L’accusa spesso mossa alla fotografia digitale, per evidenziarne una differenza in pejus, di essere meno veritiera
di quella analogica per le manipolazioni consentite in post-produzione, risulta poco sostenibile e si presta a due generi di osservazioni: una di natura più specificatamente tecnica e una relativa alla veridicità
della fotografia in generale.
Circa la prima va osservato che anche la fotografia analogica prevede interventi in postproduzione (sviluppo e stampa) in grado di intervenire in maniera sostanziale sul risultato finale.
Scelta dei reagenti, delle carte, tempi di bagno, mascherature sotto l’ingranditore, tagli, solarizzazioni, ritocchi ed altro ancora sono accorgimenti capaci di modificare significativamente il risultato dello scatto: Cartier Bresson e
Robert Capa fondarono l’agenzia Magnum nel 1947 anche per evitare le manipolazioni delle loro foto effettuate dalle redazioni dei giornali, molti grandi fotografi hanno seguito personalmente le fasi di sviluppo e stampa.
Anche i collezionisti sono consapevoli che uno stesso negativo in fase di stampa può fornire foto diverse in termini di qualità finale sino ad alterare l’intenzione del fotografo in quanto le scelte artistiche fatte dal fotografo in fase di stampa non sono meno importanti, ai fini dell’esito finale dell’opera, di quelle fatte al momento dello scatto.²
Anche le manipolazioni più estreme non sono assenti nella foto analogica, ad esempio fotomontaggi e cancellazioni (per tutte, quelle operate in epoca staliniana in Russia per cancellare la memoria dei dirigenti caduti in disgrazia); anche in questo caso le differenze fra la fotografia digitale e quella analogica appaiono orientate maggiormente alla tecnica e agli strumenti più che alla sostanza.
Ben più complesso, anche se correlato al precedente, è il discorso sulla veridicità
della fotografia in generale, che spesso è data per scontata, in ragione della obiettività attribuita per default allo strumento fotografico, ma che invece è stata dibattuto già in epoca analogica.
Già nella lunga marcia della fotografia per affermarsi come arte, partita agli esordi nel XIX secolo e proseguita per buona parte del secolo scorso, era implicito il rischio della perdita di obiettività e quindi di adesione al vero
, inteso come reale.
Susan Sontag, in epoca analogica, osservava come l’autorità attribuita alla fotografia, in quanto riproduzione fedele della realtà e quindi vera
, non sia che un pregiudizio, in quanto la fotografia non può avere con la realtà che un rapporto ambiguo che interpreta il mondo, in ragione della sensibilità del fotografo, anche quando lo riproduce fedelmente, così come le altre arti grafiche della pittura e del disegno.³
Più radicale e per certi versi inquietante è il convincimento di Denis Curti, in epoca digitale: "La fotografia non
è copia della realtà, ma una sua interpretazione; la verità è un pregiudizio, lo abbiamo ribadito più volte. Ci spingiamo a dire che la fotografia è sempre il risultato di una messa in scena, anche nel reportage, perché ogni volta il fotografo sceglie cosa guardare e come raccontarlo e la somma di queste scelte di chiama punto di vista, una vera e propria presa di posizione nei confronti delle cose del mondo, ed è evidente che una narrazione non può essere neutrale"⁴
Qui Denis Curti introduce nel discorso un elemento che attiene alla neutralità o meno di una fotografia, evidentemente sposando la tesi della impossibilità di una fotografia che fornisca al fruitore dell’immagine solo gli elementi fattuali per costruirsi da sé una opinione sull’evento rappresentato ma che invece ogni fotografia contenga anche un meta messaggio che rappresenta il punto di vista del fotografo.
La veridicità
sia in termini di adesione totale al reale nella riproduzione che di neutralità acritica nella ripresa a partire dal movente della foto, sono quindi categorie concettuali dibattute già in epoca analogica e non possono essere considerate pertanto il crinale che segna una differenza sostanziale fra la fotografia digitale e quella analogica.
Anche quella che viene definita la novità più radicale della applicazione della tecnologia digitale alla fotografia e cioè la riduzione, sino quasi vicino