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Libertaria. Volume 3: Una antologia scomoda
Libertaria. Volume 3: Una antologia scomoda
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E-book619 pagine9 ore

Libertaria. Volume 3: Una antologia scomoda

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Info su questo ebook

Molti hanno dell’anarchia una idea assai superficiale, se non del tutto distorta. La propaganda martellante da parte dello Stato, e l’approccio passionale e irrazionale di molti auto-proclamati anarchici, hanno minato alla base l’anarchia come concezione e come pratica. Oggi, in una fase storica di profonda crisi dello Stato territoriale, è tempo di riportare alla luce alcuni scritti che, nonostante il passare del tempo, mantengono una freschezza e una lucidità straordinarie, e che per questo costituiranno forse motivo di disturbo per molti anarchici tradizionalisti e anti-anarchici viscerali.
Libertaria è il più ambizioso progetto antologico mai portato avanti sul tema dell’anarchia. I trecento saggi contenuti in questa collezione di cinque volumi mostrano non solo che la concezione e la pratica anarchica sono attualmente più che mai valide, ma ci offrono anche la possibilità di riflettere sulla crisi e sulla degenerazione di un potere dominante che non ha più ragione di essere.
LinguaItaliano
EditoreD Editore
Data di uscita23 lug 2023
ISBN9791222429076
Libertaria. Volume 3: Una antologia scomoda

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    Anteprima del libro

    Libertaria. Volume 3 - Gian Piero de Bellis

    Introduzione al terzo volume

    Questo terzo volume dell'antologia Libertaria concentra l’attenzione su temi che sono stati talvolta trascurati o addirittura fraintesi da taluni anarchici.

    Ad esempio, la differenza tra democrazia e anarchia, differenza notevole e sostanziale che non sempre viene colta da coloro che ritengono l’anarchia come lo sviluppo massimo della democrazia. Cosa che non è perché, anche nell’ambito della democrazia, vige sempre il contrasto tra maggioranze e minoranze.

    Anche per quanto concerne il federalismo, le nozioni non sono molto chiare in quanto alcuni non si rendono conto dell’importanza che il federalismo ha nella concezione anarchica. E pensare che, per Malatesta, federalismo e anarchia sono concetti del tutto interscambiabili: individui e unità sociali che liberamente si associano sulla base delle loro convinzioni e convenienze (Documento 20).

    Abbiamo poi il tema dell’organizzazione, tema dolente per tutti coloro (anarchici e anti-anarchici) che non vogliono capire che l’anarchia è la forma massima e più compiuta di organizzazione in quanto autoorganizzazione dei singoli nell’ambito di gruppi e associazioni che si formano spontaneamente e volontariamente. E che questo sia possibile ne abbiamo la prova in una miriade di progetti ed esperimenti sociali nel corso della storia.

    Infine, il tema della natura in cui vediamo la preveggenza di quegli anarchici che, già in passato, hanno fornito idee la cui attuazione avrebbe evitato la situazione disastrosa in cui ci troviamo attualmente.

    In definitiva, scritti da leggere e su cui riflettere e da cui ricavare materiali per progetti e realizzazioni.

    Parte I – Democrazia rappresentativa maggioritaria

    È la democrazia, come la conosciamo attualmente, la forma definitiva di governo? Non è possibile fare un passo in avanti riconoscendo e organizzando i diritti della persona?

    (Henry David Thoreau, Sul Dovere della Disobbedienza Civile, 1848)

    Democrazia rappresentativa maggioritaria

    Sul tema della democrazia gli anarchici sono stati sempre molti chiari. Malatesta lo ha apertamente proclamato nel titolo di uno dei suoi articoli: Né democratici, né dittatoriali: anarchici.

    Questo rifiuto della democrazia (rappresentativa, maggioritaria) è la conseguenza logica di un precedente rifiuto, e cioè il rifiuto della politica.

    Le contese-farse elettorali sono uno dei momenti centrali della politica in regime democratico. Ma a cosa servono queste elezioni in cui, per un breve momento, il popolo si illude di essere sovrano? Servono a nominare dei cosiddetti rappresentanti che, anche se scaturiti dal popolo, diventeranno i padroni di tutti, in quanto prenderanno decisioni da applicare, con la persuasione o con la forza, a tutti.

    Ecco, quindi, la triade politica-elezioni-padroni che caratterizza la democrazia (rappresentativa maggioritaria) e che illustra perché gli anarchici sono contro questo tipo di gestione dei rapporti sociali.

    Essi sono infatti contro la cosiddetta legge del numero (Ricardo Mella, Documento 10) sulla base della quale si considera accettabile e legittimo che la maggioranza domini la minoranza. Realtà del tutto inconcepibile e improponibile per gli anarchici che rifiutano qualsiasi tipo e forma di dominio, anche quello della maggioranza.

    Che poi, a veder bene, nei fatti, è assai spesso, se non sempre, il dominio di una ristretta minoranza nei confronti di una maggioranza manipolata e allettata da vane promesse. E talvolta, a seconda dei sistemi elettorali, non si tratta nemmeno della maggioranza delle persone o della maggioranza complessiva dei votanti, ma di una minoranza di elettori e di un’estremamente ristretta minoranza di eletti. E questa minoranza, con il suo potere politico ed economico, domina tutto e tutti a tal punto che molti autori in passato hanno parlato di democrazia totalitaria.

    Un autore perspicace e attento come Oscar Wilde, già alla fine dell’Ottocento, esprimeva questa convinzione a proposito della democrazia:

    High hopes were once formed of democracy; but democracy means simply the bludgeoning of the people by the people for the people. It has been found out. I must say that it was high time, for all authority is quite degrading. It degrades those who exercise it, and degrades those over whom it is exercised [1]

    E c'è di più. Gli anarchici non sono a favore delle masse ma degli individui e delle scelte libere e volontarie. Queste scelte possono portarli ad associarsi in vari gruppi, ma ciò deve avvenire nei modi e nei tempi che ogni singolo individuo decide. E la decisione concerne soprattutto con chi associarsi e per quali scopi. Nulla a che vedere con una massa informe di elettori chiamati a votare dai loro padroni attuali per eleggere i loro padroni futuri.

    In definitiva, è sempre valido l'interrogativo di Thoreau: «È la democrazia, come la conosciamo attualmente, la forma definitiva di governo? Non è possibile fare un passo in avanti riconoscendo e organizzando i diritti della persona?» [2].

    La Democrazia, di Pierre-Joseph Proudhon

    Documento 1 (1848)

    Un’analisi magistrale della democrazia, una critica poderosa che non ha perso nulla della sua attualità e del suo vigore.

    Fonte: Questo è un estratto dal capitolo I della Solution du problème social. Contiene la famosa frase, resa celebre da Benjamin Tucker come sottotitolo del suo giornale Liberty: «La liberté non pas fille de l'ordre, mais MÈRE de l'ordre» (la libertà non figlia, ma Madre dell'ordine).

    Io credo all’esistenza del Popolo come all’esistenza di Dio. Mi inchino davanti al suo santo volere. Mi sottometto ad ogni richiesta da esso formulata. La parola del Popolo è la mia legge, la mia forza, la mia speranza.

    Ma, seguendo i precetti di San Paolo, la mia obbedienza, per essere meritevole, deve essere ragionevole; e quale disgrazia, quale ignominia ricadrebbe su di me se, quando credo di sottomettermi solo all’autorità del Popolo, fossi invece il burattino di un vile ciarlatano! Come posso dunque, vi supplico di dirmi, tra tanti predicatori rivali, tra tante opinioni contraddittorie, tra tanti partiti cocciuti, come posso io riconoscere la voce vera del Popolo?

    La questione della sovranità del Popolo è il problema fondamentale della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità, il principio su cui si basa l’organizzazione sociale. I governi e i popoli non hanno altro scopo, attraverso le bufere delle rivoluzioni e le tergiversazioni della politica, se non quello di dar vita a questa sovranità. Tutte le volte che si sono allontanati da questo fine, sono piombati nell’asservimento e nel disonore.

    È a questo riguardo che il Governo provvisorio ha convocato un’assemblea nazionale eletta da tutti i cittadini, senza distinzione di reddito e di educazione; l’universalità del suffragio gli sembrava essere l’espressione più prossima della sovranità del Popolo. Quindi si suppone che il Popolo possa essere consultato; in secondo luogo, che possa offrire risposte; in terzo luogo, che il suo volere possa essere accertato in maniera veritiera; e infine, che il governo, fondato sul volere manifesto del Popolo, sia il solo governo legittimo.

    Tale è, nello specifico, la pretesa della DEMOCRAZIA, che si presenta come la forma di governo che esprime meglio la sovranità del Popolo. Ora, se io dimostro che la democrazia, non è, al pari della monarchia, che una forma simbolica della sovranità; che essa non risponde ad alcuno dei problemi sollevati da questa idea; che essa non può, a esempio, né stabilire l’autenticità degli atti che attribuisce al Popolo, né affermare quale sia lo scopo e il fine della società; se io provo che la democrazia, lungi dall’essere la forma più perfetta di governo, è la negazione della sovranità del Popolo e l'inizio della sua rovina, si dimostrerà, in pratica e in teoria, che la democrazia non è nient’altro che un arbitrio costituzionale che succede a un altro arbitrio costituzionale; che essa non possiede alcun valore scientifico, e che essa va vista semplicemente come una preparazione all’instaurarsi della REPUBBLICA, una e indivisibile [3].

    È necessario chiarire al più presto le idee a tale riguardo e far scomparire ogni illusione.

    I

    Il Popolo, essere collettivo, direi quasi, essere scaturito dalla ragione, non parla affatto nel senso concreto del termine. Il Popolo, non più di Dio, non ha occhi per vedere, orecchie per sentire, una bocca per parlare. Chissà se è dotato di una specie di anima, di una divinità immanente alle masse, come suppongono certi filosofi che attribuiscono un'anima al mondo, e che, in certi momenti, agita e spinge le masse all’azione. Oppure, se la ragione del popolo non è altro che l’idea pura, la più astratta, la più universale, la più svincolata da qualsiasi aspetto individuale, come pretendono altri filosofi riguardo a Dio, visto come l’ordine nell’universo, una pura astrazione. Non mi avventuro in queste speculazioni di alta psicologia: io chiedo alle persone pratiche, in che modo questa anima, questa ragione o volontà, come quella del Popolo, si pone al di fuori di sé e si manifesta?

    Chi può servire il Popolo come organo attivo? Chi ha il diritto di dire agli altri: è attraverso di me che il Popolo si esprime? Come posso credere che colui che, dall’alto di uno sgabello, arringa cinquecento persone che lo applaudono, sia l’organo del Popolo? Come è possibile che l’elezione da parte dei cittadini, persino il loro suffragio unanime, possa avere la virtù di conferire a qualcuno questa specie di privilegio, cioè di servire da intermediario del Popolo? E quando mi farete vedere, come in un cenacolo, novecento figure scelte in questo modo dai loro concittadini, perché dovrei credere che questi novecento delegati, che non sono affatto d’accordo tra di loro, sono ispirati dal volere del Popolo? E, per dirla francamente, come può la legge, che essi andranno a promulgare, costituire per me un obbligo?

    Ecco qui un presidente o un consiglio dei ministri; personificazione, simbolo o immagine della sovranità nazionale: primo potere dello Stato.

    Ecco qui un Parlamento; due Camere, l’una organo degli interessi conservatori, l’altra dell’istinto di sviluppo: secondo potere dello Stato.

    Ecco una stampa, eloquente, agguerrita, infaticabile, che ogni mattina versa fiumi di idee che formicolano in milioni di cervelli dei cittadini: terzo potere dello Stato.

    Il potere esecutivo è l’azione; le camere, la deliberazione; la stampa, l’opinione. Quale di questi poteri rappresenta il Popolo? Oppure, se voi affermate che è il tutto che rappresenta il Popolo, come mai questo tutto non si mette d’accordo? Ponete un re al posto di un presidente, e avremmo lo stesso risultato: la mia critica si indirizza sia alla monarchia che alla democrazia.

    * * *

    Il Popolo, di cui si dice, talvolta, che si è levato come un solo uomo, pensa anche come un solo uomo? Riflette? Ragiona? Arriva a delle conclusioni? Ha una memoria, un’immaginazione, delle idee? Se, in effetti, il Popolo è sovrano, vuol dire che pensa; se pensa, ha senza dubbio un certo modo di pensare e di formulare le sue idee. Come avviene dunque che il Popolo pensa? Quali sono le forme del ragionare popolare? Procede per categorie? Utilizza il sillogismo, l’induzione, l’analisi, l’antinomia o l’analogia? si modella su Aristotele o su Hegel? Voi dovreste chiarire tutto ciò, altrimenti il vostro rispetto per la sovranità del Popolo non è altro che un feticismo assurdo. Si potrebbe adorare una pietra e sarebbe la stessa cosa.

    Il Popolo, quando medita, fa ricorso all’esperienza? Tiene conto del passato, oppure il suo agitarsi mira solo a produrre nuove idee, una dopo l'altra? Come si concilia il rispetto delle sue tradizioni con i bisogni del suo sviluppo? Come si passa da un’ipotesi esaurita a una nuova sperimentazione? Quale è la legge dei suoi passaggi e dei suoi percorsi? Che cosa lo spinge, lo motiva sulla via del progresso? Perché questa agitazione, questa incostanza? Io ho bisogno di saperlo, altrimenti la legge che voi volete impormi, in nome del Popolo, cessa di essere autentica: non è più una legge, ma pura violenza.

    Il Popolo pensa sempre? E se non pensa sempre, come vi accorgete di questi vuoti di riflessione? Se si suppone che il Popolo possa essere rappresentato, che cosa faranno i suoi rappresentanti durante questi periodi di vuoto mentale? Il popolo si addormenta forse qualche volta, come Giove tra le braccia di Giunone? Quando è che sogna? Quando è che veglia? Voi dovete darmi conto di tutte queste cose, altrimenti il potere che voi esercitate per delega del Popolo, non essendo valido se non a intervalli, e non essendo chiari i periodi di intervallo, il vostro potere è un’usurpazione: voi siete inclini alla tirannia. Se il Popolo pensa, riflette, ragiona, talvolta a priori, seguendo le regole della ragione, talvolta a posteriori sulla base dei dati dell’esperienza, esso corre il rischio di sbagliarsi. Allora non è più sufficiente per me, per accettare come legge quello che pensa il Popolo, che ciò scaturisca davvero da lui; mi occorre anche che i suoi pensieri siano validi. Chi farà la cernita tra le idee e le fantasie del Popolo? A chi faremo ricorso contro il suo volere che può essere erroneo, e quindi, dispotico?

    Per cui, pongo questo interrogativo a forma di dilemma: Se il Popolo può sbagliarsi, si verificano due casi. O l’errore da lui commesso va rispettato come quando è nel giusto, e gli si deve sempre obbedienza, anche quando sbaglia. In questo caso, il Popolo è un essere sommamente immorale, dal momento che può talvolta pensare il male, volerlo e attuarlo.

    Oppure, se il Popolo commette degli errori, deve forse essere rimproverato? Quindi, in certi casi il governo avrebbe il dovere di opporsi al Popolo! Chi oserà dirgli: tu ti sbagli! Chi potrà correggerlo e obbligarlo ad agire diversamente?

    Ma che dico? Se il Popolo è soggetto all’errore, che ne è della sua sovranità? Non è forse chiaro che la volontà del Popolo deve essere presa in considerazione il meno possibile quanto più sono da temersi le conseguenze delle sue decisioni, e che il vero principio di ogni politica, l’indice della sicurezza delle nazioni, consiste nel non consultare il Popolo se non per diffidarsi di esso. Non è forse vero che ogni sua inclinazione può celare un pericolo enorme come pure un immenso successo; e il suo volere non essere altro che un desiderio di suicidio?

    * * *

    Il Popolo pensa forse all’abolizione delle concessioni, all’imposta progressiva, alle imprese nazionali, alle banche agricole, all’emissione di cartamoneta? O non ritiene piuttosto che gravare la ricchezza di imposte straordinarie equivale a ucciderla; che invece di ampliare la sfera di intervento dello Stato, occorre restringerla; che l’organizzazione del lavoro non è altra cosa che l’organizzazione della concorrenza, e che il massimo servizio reso all’agricoltura non è quello di creare una banca particolare per gli agricoltori, ma eliminare tutti i rapporti con le banche?

    Il Popolo è a favore dell’elezione diretta, o attraverso vari gradi di rappresentanza? È per un parlamento composto da 900 o da 450 rappresentanti?

    Il Popolo è a favore o contro il comunismo, le comunità utopiche, il neo-cristianesimo, l’utilitarismo? Perché, in sostanza, nel Popolo vi è tutto ciò. È per Pitagora, Morelly, Campanella o per l’ingenuo Icaro? È per la Trinità cristiana o per le Tre divinità pagane? Chiede del pane e dei divertimenti, oppure la libertà?

    Ora, se il Popolo in tutte le epoche storiche ha pensato, dichiarato, voluto e fatto un’enorme quantità di cose contraddittorie; se anche al giorno d’oggi, tra così tante opinioni che lo dividono, gli è impossibile sceglierne una senza ripudiarne un’altra e, di conseguenza, senza porsi in contrasto con sé stesso, che cosa volete che io pensi della sua razionalità, moralità e della giustezza dei suoi atti? Che cosa posso attendermi io dai suoi rappresentanti? E quale prova di autenticità del suo volere sareste voi disposti a darmi a sostegno di una sua opinione, senza che io possa immediatamente rivendicare il fatto che il Popolo è a favore anche dell’opinione opposta?

    Quello che mi lascia stupito, in mezzo a questa confusione di idee, è che la fede cieca nella sovranità del Popolo, lungi dall’attenuarsi, sembra, per via di questa stessa confusione, salire fino al parossismo. In questa cocciutaggine che ha la massa di credere nella sua intelligenza, io vedo come una manifestazione del Popolo che conferma sé stesso, come Dio, e dice: IO SONO.

    Io quindi non posso negare, anzi, sono obbligato a confessare che la sovranità del Popolo esiste. Ma, al di là di questa affermazione iniziale, quando si tratta di passare dal soggetto del pensiero al suo oggetto, quando, in altri termini, si tratta di applicare il criterio della sovranità popolare agli atti del governo, vorrei che qualcuno mi spiegasse dove sta il Popolo.

    Per principio, quindi, ammetto che il popolo esiste, che è sovrano, che esso trova la sua conferma nella coscienza delle masse. Ma nulla, fino a questo momento, mi conferma che possa esprimere all’esterno la sua sovranità, cioè, che sia possibile che il Popolo si riveli all'esterno. Infatti, in presenza di pregiudizi dominanti, di idee e interessi contraddittori, di opinioni che variano, di moltitudini che si lasciano trasportare dalle passioni, io mi domanderei sempre che cosa attesta l’autenticità e legittimità di un tale rivelarsi. E a questo la democrazia non può fornire alcuna risposta.

    II

    Ma, fanno notare, non senza ragione, i fautori della democrazia, il fatto è che il Popolo non è mai stato interpellato come si conviene. Mai ha potuto manifestare la sua volontà se non a sprazzi; il ruolo che ha giocato fino a ora nella storia è stato un ruolo del tutto subalterno. Il Popolo, affinché possa esprimere il suo pensiero, deve essere consultato democraticamente; questo vuol dire che tutti i cittadini, senza distinzione, devono partecipare, direttamente o indirettamente, alla formazione delle leggi.

    Ora, questo modo di consultazione democratica non è mai stato impiegato in maniera regolare: l’eterna congiura dei privilegiati non l’ha mai permesso. Principi, nobili, clero, intellettuali e alte sfere militari, magistrati, docenti, scienziati, artisti, industriali, commercianti, finanzieri, grandi proprietari, tutti costoro sono sempre riusciti a rompere l’unione dei democratici e a modificare la voce del Popolo in una richiesta a favore dei monopoli. Adesso che noi possediamo il solo e autentico modo per far parlare il Popolo, sapremo, utilizzandolo, cosa costituisce l’autenticità e legittimità della sua parola, e tutte le vostre precedenti obiezioni scompariranno. Un regime democratico genuino ci garantisce la soluzione del problema.

    Io sono d’accordo che la difficoltà principale consiste nel far parlare e agire il Popolo come una sola persona. La REPUBBLICA, secondo me, non è altra cosa, ed è lì che risiede tutto il problema sociale. La democrazia pensa di risolvere questo problema con il suffragio universale applicato al più grande numero, sostituendo quindi il potere delle masse al potere del re. È per questo che si chiama Democrazia, governo della moltitudine popolare.

    È quindi la teoria del suffragio universale che dobbiamo sottoporre ad analisi. O, per esprimere subito il mio pensiero, è la democrazia che dobbiamo demolire, come abbiamo demolito la monarchia. Questo passaggio sarà l’ultimo prima di arrivare alla Repubblica.

    1. La democrazia è un’aristocrazia camuffata

    Secondo la teoria del suffragio universale, l'esperienza avrebbe mostrato che la classe media, che ha esercitato da sola i diritti politici, non rappresenta affatto il Popolo; anzi, lungi da ciò, essa sarebbe in combutta con la monarchia e in opposizione costante contro il Popolo.

    Se ne conclude allora che è la nazione, nella sua totalità, che dovrebbe eleggere i suoi rappresentanti.

    Ma se è così per una classe di persone [la classe media] che rappresenta il libero slancio della società e lo sviluppo spontaneo delle scienze, delle arti, dell'industria, del commercio; che sorge a causa della necessità di avere delle istituzioni, con l'assenso tacito o l'incapacità risaputa delle classi inferiori; una classe infine che i suoi talenti e le sue ricchezze designano come l'élite naturale del Popolo; che cosa possiamo attenderci da una rappresentanza che, uscita da comizi più o meno affollati, con discorsi più o meno chiari e sinceri, sotto l'azione di passioni locali, di pregiudizi statali, di odi nei confronti di talune persone e principi? Non sarà, in ultima analisi, che una rappresentanza fasulla, un prodotto delle voglie improvvise della massa elettorale?

    Noi avremo un’aristocrazia scelta da noi, mi sta bene, al posto di un’aristocrazia come prodotto della natura. Ma, aristocrazia per aristocrazia, preferisco quella del caso a quella che scaturisce dagli umori di qualcuno: il caso non mi impegna personalmente. È poi molto probabile che non faremo che riportare al potere, per altra via, gli stessi aristocratici. Perché, chi volete che eleggano a rappresentarli, questi operai, questi braccianti, questi uomini di fatica, se non i loro borghesi? A meno che non vogliate che li facciano fuori?

    Che ci piaccia o no, il peso preponderante nel governo va alle persone che hanno maggiori talenti e ricchezze. E fin dall'inizio appare evidente che la riforma sociale non sarà mai il risultato della riforma politica ma, al contrario, che la seconda scaturirà dalla prima.

    L'illusione della democrazia deriva dal fatto che, sull'esempio della monarchia costituzionale, essa pretende di organizzare il governo per via rappresentativa. Invece di dire: Il Re regna ma non governa, la democrazia dice: Il Popolo regna ma non governa. La qual cosa rappresenta una negazione della rivoluzione.

    * * *

    Quindi, quando si pensa attualmente di sostituire una monarchia rappresentativa con una democrazia rappresentativa, non si fa altro che cambiare la frase: Bella marchesa, i vostri begli occhi mi fanno morire d'amore, con la frase seguente: I vostri begli occhi, bella marchesa, morire d'amore mi fanno. E allora si può dire che la rivoluzione è mandata in malora in maniera subdola.

    * * *

    2. La democrazia è esclusivista e dottrinaria

    Dal momento che, secondo l'ideologia dei democratici, il Popolo non può governarsi da sé, e che è costretto a darsi dei rappresentanti che lo governino sulla base della delega e con il beneficio della revisione della delega, si suppone che il Popolo sia almeno capace di farsi rappresentare e possa essere rappresentato fedelmente. Ebbene, quest’ipotesi è radicalmente falsa. Non c'è e non ci sarà mai una rappresentanza legittima del Popolo. Tutti i sistemi elettorali sono dei meccanismi per produrre menzogne e inganni. Basta conoscerne uno per condannarli tutti.

    * * *

    Per quanto si faccia, ci saranno sempre, in tutti i sistemi elettorali, degli esclusi, degli assenti, dei voti nulli, errati, non liberamente espressi.

    * * *

    Voi potete fissare la capacità a essere elettore a 21 anni; perché non a 20? perché non a 19, 18, 17 anni?

    * * *

    E tutti quei cittadini che per motivi di lavoro, di malattia, di viaggio, o per mancanza di denaro per recarsi a votare, saranno costretti ad astenersi, come li conterete? Forse come il proverbio: chi tace acconsente? Ma acconsente a che cosa? All'opinione della maggioranza, oppure a quella della minoranza?

    E quelli che votano solo perché trascinati dalle passioni, per fare piacere a qualcuno o per interesse, giurando ciecamente sulle buone intenzioni di questo o quel partito, che cosa direte al riguardo? È una vecchia massima che in ogni deliberazione bisogna tenere conto non solo del numero dei suffragi ma anche del loro valore in termini di riflessione.

    * * *

    3. La democrazia è l'ostracismo

    Perché avvenga che il deputato rappresenti i suoi committenti occorre che dia voce a tutte le idee di tutti coloro che hanno partecipato all'elezione.

    Ma con il sistema elettorale, il deputato cosiddetto legislatore, incaricato dai cittadini per conciliare, in nome del popolo, tutte le idee e tutti gli interessi, non rappresenta mai se non un’idea, un interesse. Tutto il resto è escluso senza pietà. Infatti, chi fa la legge a seguito delle elezioni? Chi decide della scelta dei deputati? La maggioranza, la metà più uno dei voti. Dal che ne consegue che la metà meno uno degli elettori non è rappresentato o, se lo è, ciò avviene per puro caso. Il fatto è che, di tutte le opinioni che differenziano i cittadini, una sola, posto che il deputato abbia un’opinione, ha voce in parlamento, e che la legge, che dovrebbe essere l'espressione della volontà del Popolo, non è che l'espressione della metà del Popolo.

    Di modo che, nella teoria dei democratici, il problema del governo consiste nell'eliminare, attraverso il meccanismo del suffragio che si pretende universale, tutte le idee meno una, tra quante agitano le opinioni, e dichiarare sovrana quella che ha la maggioranza.

    Ma, si potrebbe dire, l'idea che soccombe in una data circoscrizione può trionfare in un'altra e, in questo modo, tutte le idee possono essere rappresentate all'Assemblea nazionale.

    Quand'anche questo avvenisse, non avremmo fatto altro che rinviare il problema. Infatti, la questione è di sapere come tutte queste idee, divergenti e antagoniste, possono concorrere alla formazione della legge e trovarsi riconciliate.

    * * *

    Ben lungi dal poter risolvere questa difficoltà, il marchingegno della democrazia, la sua furbizia, consiste nell'eliminarla. Essa fa appello all'urna: l'urna è, di volta in volta, la base, la bilancia, il criterio della democrazia stessa. Con l'urna elettorale la democrazia elimina gli individui; con l'urna legislativa essa elimina le idee.

    * * *

    Su un tema da cui dipendono l’onore e il benessere della Repubblica, i cittadini sono divisi in due frazioni di pari peso. Da entrambi le parti si fanno valere le ragioni più serie, le convinzioni più autorevoli, i dati di fatto più fondati. La nazione è nel dubbio, l’assemblea parlamentare è in sospeso. Un rappresentante, senza un motivo valido, passa da destra a sinistra, e fa pendere la bilancia: è lui che ha fatto la legge.

    E questa legge, espressione di una qualche volontà fantasiosa, sarà ritenuta come l’espressione della volontà del Popolo! Occorrerà che io mi sottometta, che la difenda, che sia disposto a morire per essa! Per un capriccio parlamentare io perdo il più prezioso dei miei diritti, la Libertà! E il più sacro dei miei doveri, il dovere di resistere alla tirannia della forza, crolla davanti al voto sovrano di un imbecille!

    La democrazia non è altra cosa che la tirannia della maggioranza [4], la più esecrabile di tutte le tirannie. Perché essa non si fonda né sull'autorevolezza di una religione, né sulla nobiltà di una razza, né sulle prerogative del talento e della ricchezza: essa ha come base il numero, e per maschera la qualifica di Popolare.

    * * *

    4. La democrazia è una forma di assolutismo

    Se il suffragio universale, la manifestazione più piena della democrazia, ha conquistato tanto favore, soprattutto tra la classe lavoratrice, è perché è stato sempre presentato come un appello fatto ai talenti e alle capacità delle masse.

    * * *

    Alla buon’ora, eccoci tutti elettori. Spetta a noi scegliere i più degni.

    E ancora di più, noi li seguiremo passo a passo nelle loro attività legislative e nelle loro votazioni. Tramite loro faremo sentire le nostre ragioni e le nostre argomentazioni, noi intimeremo loro di attuare la nostra volontà, e quando saremo scontenti di loro, li revocheremo.

    La scelta dei più capaci, il mandato vincolante, la revocabilità permanente, sono le conseguenze più dirette e incontestabili del principio elettorale. Questo è il programma inevitabile di qualsiasi democrazia.

    Ora, la democrazia, al pari della monarchia costituzionale, non risponde affatto a simili comportamenti dedotti dai suoi principi.

    Quello che esige la democrazia, come pure la monarchia, sono dei deputati silenziosi, che non discutono ma votano; che ricevono dal governo gli ordini di come votare, avendo per obiettivo quello di schiacciare gli oppositori, come un battaglione compatto di soldati. I deputati, in democrazia, sono delle creature passive, direi quasi dei satelliti, non toccati dal pericolo di una revoca del mandato, la cui mente non è troppo ribelle, la cui coscienza non arretra davanti a qualsiasi arbitrio o imposizione.

    * * *

    Tutti gli autori di diritto pubblico, in particolare i fautori della democrazia, si esprimono contro il mandato imperativo. Tutti, lo confermo, lo considerano all’unanimità come contrario alla politica, incline a generare abusi, tendente a mettere in atto una condizione di oppressione del governo da parte dei cittadini, offensivo della dignità del deputato, eccetera. Il mandato imperativo è stato condannato con tutti i possibili anatemi. Nel diritto civile sarebbe cosa mostruosa che il committente avesse un’autorità inferiore a colui che egli ha incaricato come mandatario. In politica avviene esattamente il contrario. Qui, colui che riceve un incarico (mandatario) diventa giudice e arbitro di colui che gli ha affidato l’incarico (mandante). Quello che risponde a una norma giusta secondo il codice civile, diventa eresia nell’ordine costituzionale: questa è una delle mille anomalie dello spirito umano. Quanto alla durata del mandato, revocabile a volontà nel diritto civile, essa è, in politica, indipendente dalla volontà dell’elettore. In tutte le nostre costituzioni, la durata del mandato varia da uno fino a sette anni, seguendo ciò che conviene non ai cittadini governati ma ai cittadini governanti.

    In effetti, è bene inteso e riconosciuto dalla dottrina degli specialisti come dalle circolari ministeriali, che in qualsiasi tipo di governo il deputato appartiene al potere, non ai cittadini. Ed è proprio a questo fine che la monarchia richiede che gli eletti siano capaci o ricchi, e la democrazia, vuole che siano incapaci o poveri; e che tutte e due vogliano essere padrone del suo voto, e cioè, libere di utilizzarlo per i loro traffici e le loro compravendite; che il mandato abbia una durata determinata di almeno un anno, durante il quale il governo, in combutta con i deputati, fa ciò che a lui conviene e promulga le leggi che gli fanno comodo. Può essere altrimenti? No, e la discussione, dal punto di vista del diritto, non ha bisogno di altre parole.

    Il sistema decaduto poteva definirsi come il governo della società attraverso la borghesia, vale a dire l’aristocrazia del talento e della ricchezza. Il sistema a cui si pone mano adesso per introdurlo, e cioè la democrazia, può essere definito, per contrasto, come il governo della società da parte dell’immensa maggioranza dei cittadini che hanno poco talento e nessuna ricchezza. Le eccezioni che si possono trovare sotto l’uno come sotto l’altro di questi sistemi non scalfiscono affatto tale principio, e non cambiano né modificano questa tendenza. È destino che sotto la monarchia rappresentativa il Popolo sia sfruttato dalla borghesia e che sotto il governo democratico sia sfruttato in nome del proletariato.

    Ora, chi vuole i fini vuole anche i mezzi. Se la rappresentanza monarchica fosse formata da deputati con mandato imperativo, revocabili secondo il volere degli elettori, la borghesia perderebbe ben presto i suoi privilegi e la corte reale, che la personifica, sarebbe ridotta a zero. Allo stesso modo, se l’Assemblea democratica fosse composta da borghesi, uomini potenti per cultura e ricchezza, devoti ai loro principi, e che possono essere sostituiti da un momento all’altro qualora tradiscano i propri ideali, la dittatura delle masse sparirebbe subito e il proletario rientrerebbe nei ranghi del proletariato.

    * * *

    5. La democrazia, materialista e atea

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    Se la monarchia è il martello che schiaccia il Popolo, la democrazia è l'ascia che lo divide: sia l'una che l'altra conducono ugualmente alla morte della libertà.

    Il suffragio universale è una sorta di atomismo attraverso il quale il legislatore, non potendo far parlare il Popolo nell'unità della sua essenza, invita i cittadini a esprimere la loro opinione individualmente, proprio come il filosofo epicureo spiega i fenomeni del pensiero, della volontà, dell'intelligenza, come combinazioni di atomi. Si tratta qui di un ateismo politico, nel peggiore senso del termine. Come se, dalla somma di una qualche quantità di suffragi, potesse mai sorgere un pensiero generale!

    * * *

    Dal momento che gli scrittori, che per primi si sono occupati dell'origine dei governi, hanno insegnato che qualsiasi potere ha la sua origine nella sovranità nazionale, si è semplicemente tratta la conclusione che la cosa migliore sarebbe di far votare, per dichiarazione orale, per alzata di mano o attraverso una scheda, tutti i cittadini, e che la maggioranza dei suffragi così espressi costituisca, in maniera adeguata, la volontà del Popolo. Siamo stati ricacciaci alle pratiche dei barbari che, in mancanza di una scelta ragionata, procedevano nella elezione per acclamazione. Si è preso un simbolo materiale come la vera formula della sovranità. Ed è stato detto ai proletari: quando voterete sarete liberi, e sarete ricchi; prenderete le decisioni sul capitale, sulla produzione e sul salario; farete cadere la manna dal cielo, come fece Mosè; diventerete come degli dèi perché non lavorerete più o così poco che non ve ne accorgerete nemmeno.

    Qualunque cosa si faccia o si dica, il suffragio universale, testimone della discordia, non può produrre che discordia. Ed è con questa miserabile idea, di cui provo vergogna per la mia gente, che da anni si agita questo povero Popolo.

    * * *

    Che abbiate otto milioni di elettori, o che ne abbiate ottomila, la vostra rappresentanza, pur di natura differente, non varrà né più né meno. Fate novecento deputati o fatene novanta, le leggi che essi promulgheranno, talvolta a vantaggio della borghesia, talvolta a favore del proletariato, non saranno né migliori né peggiori.

    * * *

    6. La democrazia, retrograda e contraddittoria

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    In virtù del principio democratico, tutti i cittadini devono partecipare alla formazione delle leggi, al governo dello stato, all'esercizio delle funzioni pubbliche, alla discussione del bilancio, alla nomina dei funzionari. Tutti devono essere consultati ed esprimere il loro parere sulla pace e sulla guerra, sui trattati commerciali e sulle alleanze, sulle avventure coloniali, sulle opere di pubblica utilità, sui compensi da attribuire, sulle pene da infliggere. Tutti devono assolvere alle funzioni nei confronti della patria, come contribuenti, giurati, giudici e soldati.

    Se le cose fossero così, l'ideale della democrazia sarebbe attuato ed essa avrebbe un’esistenza normale, sviluppandosi in linea diretta dal suo principio di base, come tutte le cose che nascono e si sviluppano.

    Tutt'altra cosa avviene, nei fatti, per la democrazia, che non esiste pienamente, secondo taluni autori, se non in occasione delle elezioni e per la formazione del potere legislativo. Una volta passato questo istante, la democrazia si ripiega su di sé, e inizia il suo operato anti-democratico. Essa diviene POTERE.

    Non è vero, infatti, in alcuna democrazia, che tutti i cittadini partecipano alla formazione delle leggi: questa prerogativa è riservata ai rappresentanti eletti.

    Non è vero che i cittadini deliberano su tutti gli affari pubblici, all'interno e all'esterno: questo non è nemmeno appannaggio dei deputati, ma dei ministri. I cittadini parlano tra di loro degli affari pubblici, ma solo i ministri prendono le decisioni.

    Non è vero che ogni cittadino esercita una funzione pubblica; la maggioranza della popolazione ne è esclusa.

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    Non è vero che i cittadini partecipano alla nomina dei funzionari. È il potere centrale che nomina i suoi dipendenti, sia con scelte personali, che sulla base di talune regole di ammissione o promozione, indipendenti dalla volontà dei ministri e dei cittadini.

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    Non è vero, infine, che tutti i cittadini partecipano alle decisioni concernenti la giustizia e la guerra: la maggior parte di loro sono esclusi come giudici e ufficiali; e quanto al ruolo di giurati e soldati, tutti ne farebbero a meno per quanto possibile.

    Detto quindi in una parola: essendo la gerarchia la prima condizione del governo, la democrazia [intesa come espressione della volontà degli individui] è una pura chimera.

    Il motivo offerto dagli studiosi per spiegare ciò merita di essere esaminato. Il Popolo, essi dicono, è incapace, a causa della sua ignoranza, di autogovernarsi. E anche se ne fosse capace, la cosa non sarebbe possibile. TUTTI NON POSSONO, AL TEMPO STESSO, COMANDARE E GOVERNARE. Occorre quindi che il potere appartenga solamente ad alcuni che lo esercitano in nome e in rappresentanza di tutti.

    Ignoranza o impossibilità. Il Popolo, secondo la teoria democratica, è incapace di autogovernarsi. La democrazia, come la monarchia, dopo aver posto come principio di base la sovranità del Popolo, finisce per dichiarare l'incapacità del Popolo a essere sovrano di sé.

    Così intendono le cose i nostri fautori della democrazia i quali, una volta al governo, non si preoccupano di altro se non di consolidare e rafforzare il potere nelle loro mani. Così l'ha intesa la moltitudine delle persone che è accorsa alle porte dei Municipi chiedendo impieghi, sussidi, aiuti finanziari, risorse! Ed ecco allora la nostra nazione, monarchica fino al midollo, idolatra del potere, priva di energia individuale e di iniziativa repubblicana, abituata ad aspettarsi che tutto cali dall'alto, a non fare nulla se non seguire i dettami del potere!

    * * *

    Conclusione

    Concludo riformulando la mia domanda: la sovranità del Popolo è il punto di avvio della scienza sociale. Come si stabilisce dunque e come si esprime questa sovranità? Non possiamo avanzare se prima non abbiamo risolto questo problema.

    Certo, lo ripeto, affinché nessuno mi fraintenda. Io sono lungi dal negare ai lavoratori, ai proletari, e anche alla borghesia, il godimento dei loro diritti politici; io sostengo solamente che il modo in cui si pretende di far godere di questi diritti non è altro che una mistificazione. Il suffragio universale è solo un simbolo astratto della Repubblica, e non certo la sua realtà concreta.

    Vedete voi con quale indifferenza le masse operaie accolgono questo suffragio universale! Non si può neanche ottenere che vadano a iscriversi per votare. Mentre i filosofi celebrano le lodi del suffragio universale, il buon senso popolare si fa beffe di esso!

    La Repubblica è l’organizzazione attraverso la quale, essendo tutte le opinioni e tutte le attività libere, il Popolo, anche attraverso la diversità delle opinioni e delle volontà, pensa e agisce in maniera unitaria e armoniosa. Nella Repubblica ogni cittadino, facendo ciò che vuole e solo ciò che vuole, partecipa direttamente alla legislazione e al governo, come partecipa alla produzione e creazione della ricchezza. Nella Repubblica ogni cittadino è re, in quanto gode della pienezza del potere: regna e governa. La Repubblica è un’anarchia positiva. Non è né la libertà sottomessa all’ordine come nella monarchia costituzionale, né la libertà imprigionata nell’ordine, come lo intende l’attuale Governo provvisorio. È la libertà sciolta da tutti i vincoli soffocanti, tutte le superstizioni, i pregiudizi, i sofismi, i tranelli, gli autoritarismi. È la libertà che scaturisce dalla reciprocità, e non la libertà basata su vincoli e limitazioni. La libertà non figlia ma Madre dell’ordine.

    Sulla costituzione, di Lysander Spooner

    Documento 2 (1867)

    In questo estratto, Spooner riafferma il valore della legge di natura e condanna con parole di fuoco quella «banda segreta di ladri e assassini» che opera sotto il nome di Stato. Costoro, con la scusa della Costituzione, presentata come contratto implicitamente sottoscritto da ciascun individuo, manipolano, dominano e sfruttano tutti gli abitanti di un dato territorio.

    Fonte: Lysander Spooner, No Treason, 1867.

    Maggioranze e Minoranze

    Che cosa significa affermare che un governo poggia sul consenso delle persone? Se si afferma che il consenso espresso dal partito più forte, in una nazione, è tutto ciò che è necessario per giustificare la formazione di un governo che eserciterà il suo potere sul partito più debole, si potrebbe rispondere che il più dispotico dei governi al mondo si fonda proprio su tale principio, e cioè sull'approvazione da parte del partito più forte. Questi governi sono formati semplicemente attraverso l’assenso o l’accordo del partito più forte, ed essi agiranno di concerto per assoggettare al loro potere la parte più debole. Il dispotismo, la tirannia e l’ingiustizia di tali governi consistono proprio in questo fatto. O, quanto meno, esso costituisce il primo passo verso il loro dominio tirannico; un passo preliminare e necessario per tutti gli atti di oppressione che seguiranno. Se si afferma che il consenso riscosso dal partito più numeroso della nazione è sufficiente per giustificarne il potere sopra il partito che ha un seguito minore, si potrebbe allora rispondere che:

    Primo. Due persone non hanno alcun diritto naturale di esercitare un qualche tipo di potere su un individuo più di quanto ne abbia un individuo nei confronti di due persone. Un essere umano possiede dei diritti naturali che valgono nei confronti di tutti, e una loro violazione costituisce un crimine sia che venga commesso da una persona, che si chiami rapinatore (o che si presenti con qualsiasi altro nome), o da milioni, sotto l’appellativo di governo.

    Secondo. Sarebbe assurdo per il partito maggioritario parlare di istituire un governo che domini le minoranze, a meno che esso non sia anche il più forte oltre che il più numeroso; e questo perché si suppone che il partito più forte non si sottometterebbe mai alla parte più debole, semplicemente perché quest’ultima è composta da un maggior numero di persone. Nella realtà dei fatti, non è accaduto forse mai che i governi siano istituiti dalla parte più numerosa delle persone. Essi sono, di solito se non sempre, creazione di minoranze e la loro supremazia consiste in una maggiore ricchezza, astuzia e capacità di agire di concerto.

    Terzo. La nostra Costituzione non dichiara di essere stata introdotta semplicemente dalla maggioranza delle persone, ma dal popolo cioè tanto dalla minoranza quanto dalla maggioranza.

    Quarto. Se i nostri padri, nel 1776, avessero riconosciuto il principio che una maggioranza aveva il diritto di governare la minoranza, noi non saremmo mai diventati una nazione. E questo perché essi erano una piccola minoranza rispetto a quelli che rivendicavano il diritto di governare su di loro.

    Quinto. Le maggioranze, in quanto tali, non offrono affatto una garanzia di giustizia. Esse sono composte da esseri umani che hanno la stessa natura di coloro che fanno parte delle minoranze. Hanno quindi la stessa passione per la fama, il potere e il denaro, come gli appartenenti alle minoranze. Sono inclini – in misura uguale se non maggiore in quanto possono agire più sfacciatamente – a un comportamento avido, tirannico e privo di principi morali, qualora siano investiti di potere. Non vi è quindi alcun motivo per cui un individuo dovrebbe sostenere o dovrebbe sottomettersi al governo di una maggioranza, più che a quello di una minoranza. Maggioranze e minoranze non possono affatto essere prese in considerazione, legittimamente, quando si tratta di prendere decisioni in materia di giustizia. E qualsiasi discussione su maggioranze o minoranze di governo, è una pura e semplice assurdità. Gli esseri umani sono dei perfetti idioti quando si uniscono per sostenere un qualche governo, o una qualche legge, eccetto quando ciò risponde al loro volere unanime. E nulla, tranne la forza e l’inganno, li spinge a sostenere qualcosa di diverso. Affermare che le maggioranze, in quanto tali, hanno il diritto di governare le minoranze, equivale a dire che le minoranze non hanno e non dovrebbero avere altri diritti se non quelli che le maggioranze ritengono conveniente concedere loro.

    Sesto. Non è improbabile che molti, o la maggior parte dei peggiori governi – sebbene introdotti all’inizio con la forza da un gruppo ristretto di persone – arrivino poi a essere sostenuti, con il passare del tempo, da una maggioranza. Ma se così avviene, questa maggioranza è composta, per lo più, dalla parte più ignorante, superstiziosa, paurosa, dipendente, servile e corrotta del popolo; da coloro che sono stati totalmente intimoriti dal potere, dalla scaltrezza, ricchezza, arroganza; che si sono fatti ingannare da taluni stratagemmi; e che si sono fatti corrompere da allettamenti da parte di quella ristretta cerchia di individui che fanno realmente parte del governo. Queste maggioranze, molto probabilmente, si possono trovare nella metà, o forse nei nove decimi, dei paesi del mondo. Che cosa dimostrano? Nient’altro se non la tirannia e la corruzione proprie di quei governi che hanno ridotto porzioni così grandi del popolo alla loro attuale condizione di ignoranza, servilismo, degrado e corruzione. Ignoranza, servilismo, degrado e corruzione che appaiono del tutto evidenti per il semplice fatto che i popoli sostengono governi da cui sono stati totalmente oppressi, sviliti e corrotti. L'esistenza di siffatte maggioranze non costituisce per nulla la prova che i governi stessi sono legittimi; o che dovrebbero essere sostenuti, o addirittura subiti, da coloro che ne capiscono la vera natura. Quindi, il semplice fatto che accada che un governo sia retto da una maggioranza, in sé stesso non prova nulla di ciò che è necessario provare, e cioè sapere se un tale governo dovrebbe essere sostenuto oppure no.

    Settimo. Il principio che la maggioranza ha il diritto di governare la minoranza fa sì, in pratica, che ogni governo sia il frutto di una lotta tra due gruppi di persone, riguardo a chi dovrebbe far parte dei padroni e chi degli schiavi. Una lotta che, per quanto violenta, non può mai concludersi fino a quando l’essere umano si rifiuta di essere schiavo.

    La Nazione come falso concetto e falsa realtà

    L’affermare che il consenso della parte più forte o di quella più numerosa costituisca, in una nazione, una giustificazione sufficiente per l’istituzione o la conservazione di un governo avente il potere di controllare un’intera nazione, non risolve affatto la questione. Infatti, sussiste ancora l'interrogativo: come può esistere una cosa chiamata nazione? Come è che milioni di individui diventano una nazione? E questo, tenendo conto che tali individui sono sparsi su un territorio molto vasto; che ogni individuo ha come prerogativa naturale la libertà personale; che, per legge di natura, non è tenuto a chiamare suo padrone alcun simile, o gruppo di simili; che, in base alla stessa legge di natura, è incoraggiato a perseguire la sua propria felicità, a suo modo, a fare ciò che vuole dei beni in suo possesso, fin tanto che non invade la sfera di libertà di altri; che è anche autorizzato, dalla stessa legge di natura, a difendere i suoi diritti e correggere i suoi torti oltre che assistere e difendere chiunque, tra gli esseri umani, stia soffrendo per una qualche ingiustizia. In sostanza, c'è da chiedersi, in primo luogo, come fanno milioni di questi individui a diventare una nazione. Come avviene che ognuno di loro possa essere privato dei suoi diritti naturali, datigli da Dio, e sia incorporato, compresso, impacchettato e fuso in una massa, assieme ad altre persone che non ha mai visto, con le quali non ha mai stipulato alcun

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