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Caccia al bianco
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E-book210 pagine3 ore

Caccia al bianco

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Info su questo ebook

Il commissario Amareno Fabbri si ritrova a dover indagare su una serie di misteriosi delitti che hanno come vittime persone vestite di bianco. Nel corso delle indagini, come sempre, ci descrive una Bologna bellissima, città unica che sa di amaranto e tagliatelle. I suoi abitanti, a parole spesso “sboroni” in realtà in Caccia al bianco rimangono impressionati da uno o più serial killer che colpiscono a morte e feriscono solo persone che indossano vesti candide. Il panico dilaga, scompaiono dalla circolazione camici di farmacisti, macellai, medici e altri professionisti che passano in massa a vestirsi di scuro. Anche le spose vanno all’altare indossando abiti colorati e sembrano scomparsi i numerosi zingari che giravano per il centro con tuniche bianche, viso colorato di bianco e bianche anche le mani. Perché gli assassini se la prendono con loro? Basta leggere il libro.
LinguaItaliano
Data di uscita19 lug 2023
ISBN9788861559707
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    Anteprima del libro

    Caccia al bianco - Zap & Ida

    Zap & Ida

    CACCIA AL

    BIANCO

    Collana: Crime

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.

    commerciale@giraldieditore.it

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    ISBN 978-88-6155-970-7

    Proprietà letteraria riservata

    © Giraldi Editore, 2023

    Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo

    CAST

    AMARENO FABBRI – Commissario

    ANTONIO LEPORE – Questore

    ARISTIDE BURIANI – Medico legale

    ROSSETTI – Agente scelto

    MARISA – Prostituta

    GLORIA – Poliziotta grassa

    GUIDI – Giornalista del Carlino

    MAX – Giornalaio

    GIGINO – Cameriere

    NAPOLEONE – Ristoratore

    ERNESTO FORTUZZI – Pittore

    SCATTO – Fotografo

    ASTORRE BOVICELLI MENGUZZI – Milionario

    ALESSIO BOSCHI – Gallerista

    ARTURO BELLI – Armaiolo

    ROBERTO MORGANTINI – Inventore cucine popolari

    ORONZO detto STRONZO

    ANTONIO VITALI – Ex commissario

    CLAUDIO MATTEOLI – Prof.

    LUCIANO – Oste

    BA – Pittore

    NEROZZI BENITO – Padre di uno dei ragazzi portati in questura

    TAMBURINI – Salsamentiere

    FRANCO ROSSI – Ristoratore

    SCHICCHI – Fotografo del Carlino

    SELENE DE ROSA – Innamorata di Guidi

    ZAP E IDA – Umoristi

    ZORAN – Capo villaggio nomadi

    L’autunno in città non arriva di botto, le ore di luce si accorciano delicatamente e il monotono verde estivo delle foglie lascia piano piano il posto ad un’esplosione di colori fantastici che inondano i numerosi viali cittadini, i tanti giardini nascosti, i pochi pubblici e i balconi di molte case. Poi improvvisamente si passa all’ora legale, orrida invenzione dell’uomo che permette un risparmio notevole di energia elettrica ma spinge di colpo la città fra le braccia dell’inverno.

    Il commissario Amareno Fabbri si rifiuta da sempre di cambiare l’ora dell’orologio di casa, non sopporta i traumi e se vogliamo neanche le imposizioni. Preferisce godersi il passaggio delle stagioni lento e naturale.

    La mattina del 27 ottobre Marisa si mette ai fornelli per preparargli un abbondante e speciale caffè, come lei sola sa fare. Fabbri si concede una doccia per arrivare come di solito fresco e sveglio al posto di lavoro: la questura di Bologna. È il commissario capo, tenuto a dare alla sua squadra il buon esempio. Amareno non ha fretta, sa infatti che l’agente scelto Rossetti, suo sedicente e convinto ‘vice’, è già in ufficio a godersi quei pochi minuti di comando e a riordinare la scrivania del capo.

    Bologna si sta svegliando, nei bar qualche anziano avventore sorseggia una mistura nera che niente ha a che fare col nettare di Marisa mentre alcune vecchiette si godono delle brioches alle quali alternano sorsi di cappuccini per farle accettare meglio dalle numerose dentiere. Le persone anziane, si sa, dormono poco e vanno a letto presto. I primi a lasciare i bar sono i vecchietti.

    Dopo il caffè e una rapida occhiata alle pagine dei defunti del Carlino, si avviano verso i cantieri aperti in città a valutare dall’alto il lavoro e a disturbare gli operai con suggerimenti non richiesti. Le donne invece si intrattengono ai tavolini, spesso più del dovuto. Quelle poche ancora piacenti per farsi ammirare, le altre per spettegolare invidiose sulle più belle di loro. Il commissario decide di raggiungere a piedi la questura, via Solferino è a due passi e la giornata promette bene. Nonostante l’ottobre avanzato, il cielo è sereno e i raggi del sole illuminano il centro senza scaldare troppo. Oltre ai vecchi, gli unici in giro a quell’ora sono alcuni turisti col naso all’insù che alternano l’ammirazione per il Gigante alla facciata di San Petronio.

    Tappa obbligata al Mokambo per il litigio mattutino con Gigi, tifoso della Fortitudo. Fabbri è da sempre un fanatico della Virtus e spesso fra i due volano stracci.

    Girato l’angolo, il palazzaccio d’epoca fascista è ormai in vista quando l’attenzione del commissario viene catturata da tre ragazzini sui quattordici anni che camminano davanti a lui brandendo altrettante mazze da baseball con fare minaccioso.

    Li apostrofa facendoli girare:

    Ragazzi, dove credete di andare?

    Il più spilungone, battendo minacciosamente più volte il legno sulla mano sinistra, se ne esce con uno spavaldo:

    E tu che cazzo vuoi?

    Amareno si qualifica e li blocca:

    Non voglio cazzi ma risposte. Seguitemi in ufficio, non ne so niente di baseball e vorrei qualche delucidazione in merito da voi esperti!

    Due poliziotti della sua squadra, di passaggio, gli danno manforte e i tre, diventati nel frattempo da lupi ad agnellini, vengono presi per la collottola e condotti nella vicina questura.

    Rossetti, seduto sulla vecchia e rabberciata poltrona di comando, riconosce i passi di Fabbri in avvicinamento ed abbandona velocemente il trono del capo. Di solito il commissario arriva solo ma questa mattina lo accompagna uno strano calpestio. Lo stupore aumenta quando vede l’uomo entrare seguito da tre minorenni, cosa invero strana per quel luogo e a quell’ora.

    Scatto sull’attenti, tacchi che sbattono e:

    Buongiorno signor commissario, oggi ha già effettuato tre arresti?

    Quella che per altri può sembrare una battuta, per Rossetti è una domanda, i ragazzini tremano come foglie.

    Fabbri, burbero, indica all’agente le mazze:

    Prima di tutto sequestra quelle armi improprie e portale nel magazzino delle prove.

    Rivolto ai tre li apostrofa:

    Ora ditemi cosa facevate in giro per il centro di Bologna con una mazza a testa. Non mi risulta che in piazza Maggiore sia in programma una partita di baseball.

    Lo spilungone, forse, per via dell’altezza, ‘capo’ dell’improvvisata banda, risponde in un misto di timore e strafottenza:

    Eravamo a caccia di zingari, i nostri genitori non fanno che ripetere quanto siano bastardi e noi abbiamo deciso di castigare i loro figli, lasciati allo sbando.

    Fabbri li scruta in silenzio per qualche attimo con uno sguardo severo, poi la paternale:

    Proprio come voi, del resto. A quest’ora dovreste essere a scuola e invece da sbandati cercate altri sbandati per picchiarli. Forza, date all’agente generalità e indirizzi. Ci penseremo noi ad avvisare i vostri familiari e pensa fra sé e sé: Anche se lo ritengo inutile.

    Il vecchio telefono anteguerra in bachelite nera ha un sussulto. Rossetti vorrebbe rispondere ma è impegnato con i giovani ‘picchiatori’ e Amareno afferra la cornetta:

    Pronto? Questura!

    Risponde una concitata voce femminile dalla cadenza slava:

    Hanno ferito mio compagno in via di Santo Stefano, davanti ristorante Pappagallo! Riverso in lago sangue, accorrete!

    Fabbri si alza di scatto e fa segno di seguirlo ai due agenti che lo avevano affiancato nel fermo dei ragazzini. Raggiungono di corsa il luogo dell’agguato, a soli duecento metri dalla questura, e rimangono allibiti. Riverso a terra, proprio davanti allo storico ristorante, un poveraccio in tunica bianca. Il Pappagallo, vanto della Turrita dal tempo dei tram a cavalli, ha ancor oggi l’antico portone un tempo varcato da personaggi di primo piano del cinema muto, da onorevoli del Regno e addirittura da teste coronate. Pare che durante il Ventennio quando passava per Bologna facesse tappa al Pappagallo addirittura Lui in persona. Ora davanti all’ingresso agonizza uno strano tipo. Oltre alla tunica ha anche il viso colorato di bianco e bianche pure le mani. Inginocchiata in lacrime al suo fianco una donna in tutto e per tutto simile alla vittima, sesso a parte.

    Attorno il solito gruppo di curiosi, molti impegnati nei selfie con cadavere alle spalle. Appare sulla porta del ristorante lo chef stellato Marcello Leoni, amico di lunga data di Amareno, con in mano un mestolo.

    Veloce cenno di saluto, poi l’attenzione del commissario viene catturata da un tipo che scatta immagini a ripetizione al cadavere, non con il cellulare ma con una macchina fotografica professionale, e non tanto al morto ma alla macchia di sangue che si sta ingrandendo a vista d’occhio sulla tunica bianca. Non ci fa eccessivamente caso, di sicuro si tratta di uno leggermente più maniaco dei tanti altri paparazzi improvvisati per i quali la morte non è altro che uno spettacolo. Alla vista dell’uomo di Legge e dei due agenti, il paparazzo si dilegua velocemente sostituito presto da Schicchi, fotoreporter del Carlino che ferma la scena del delitto col cadavere in primo piano per il giornale, poi una raffica di scatti alla folla di guardoni come documentazione privata, una deformazione professionale.

    Fabbri aiuta con garbo inusuale la compagna della vittima ad alzarsi in piedi mentre i due poliziotti allontanano la piccola folla di curiosi per fare spazio all’ambulanza in arrivo. Un paramedico scende dal mezzo di soccorso solo per constatare che nel frattempo l’uomo è passato a miglior vita. Il mezzo riparte vuoto a sirene spiegate. Amareno se ne chiede il motivo visto che non trasporta nessuno, senza pensare che spesso anche lui mette in funzione la sirena anche quando non servirebbe.

    In città sono in aumento da qualche tempo gli zingari che si vestono di bianco, fantasmi diurni si aggirano fra la gente di passaggio e chiedono qualche spicciolo. Un tempo li vedevi tutti con le stampelle poi, l’indomani, facevano in massa i ciechi col cappello in mano solitamente appoggiati ai muri. Oggi, a decine, girano per la città vestiti e pittati di bianco. Decisamente la fantasia non è il loro forte però il vantaggio della nuova trovata è semplice e nello stesso tempo geniale. Mentre finti ciechi e finti zoppi dovevano starsene fermi per sottolineare la loro invalidità e commuovere qualche passante a lasciar cadere nel piattino una moneta, i ‘bianchi’ si muovono fra la gente e strattonano le persone per accentuare fisicamente la richiesta di un obolo. Chissà come ma, quando abbandonano la presa, spesso orologi e portafogli scompaiono da polsi, tasche e borsette.

    Quelli che molti considerano rifiuti umani, per Fabbri sono persone come le altre, degne di rispetto e comprensione, se non delinquono. Non per niente il commissario è amico di Morgantini, benemerito inventore delle Cucine popolari che offrono a diseredati di tutti i tipi la possibilità di avere un pasto caldo ‘a gratis’. Roberto è uno dei pochi a mettere in pratica quello che predica la nostra Costituzione: Le persone sono tutte uguali e godono degli stessi diritti, a prescindere dal sesso, dalla religione, dalle preferenze politiche... e dalle condizioni sociali.

    Il morto viene pietosamente ricoperto da un lenzuolo, bianco.

    Amareno riflette:

    Non sono certo pochi i bolognesi che detestano gli zingari. Si dividono a grandi linee in due categorie, quella di chi ha subito furti di ogni genere dai ‘figli di Boemia’ e i purtroppo tanti sempre pronti, a prescindere, nel manifestare il loro odio per i diversi, terzomondisti e gay inclusi.

    Sono i neo-razzisti degli anni Duemila. Mentre per i derubati Fabbri dimostra una non condivisa ma umana comprensione, proprio non sopporta la nuova e italica ‘razza ariana’.

    Figlio di Livio Fabbri, partigiano ed eroe della Resistenza che più rosso non si può, è cresciuto nel mito del genitore e rappresenta in questura una mosca bianca in mezzo a tanti colleghi in odore di Destra.

    Si fa spazio fra i curiosi amanti delle morti violente il furgone di Medicina legale. Il mezzo, provato da decenni di attività, sembra quasi fare un sospiro di sollievo quando scendono contemporaneamente due pezzi grossi e le balestre paiono ringraziare. Non si tratta infatti di due pezzi grossi metaforici ma semplicemente fisici, un paio di armadi umani.

    Per primo scende un vecchio amico di Amareno, il dottor Aristide Buriani. Si tratta del più grasso fra i medici legali della città, forse della provincia. Dirige la ‘morgue’ e recupera i morti ammazzati in giro per poi sezionarli in via Irnerio, nella sede di Medicina legale, fra un panino alla mortadella e l’altro. Dal sedile opposto emerge una massa giusto di poco inferiore al Buriani. Guidi, cronista di nera del Carlino già compagno d’università sia del medico che di Fabbri. Li chiamavano ‘attenti a quei tre’, da studenti dell’ateneo petroniano ne combinavano di tutti i colori.

    Visto il luogo e la situazione, un semplice cenno di saluto e il corpulento medico dei morti ammazzati si china, non senza fatica, sul cadavere.

    Guidi invece si avvicina al commissario:

    Fabbri, stavo facendo la mia solita colazioncina quando dal giornale mi hanno telefonato di correre qui, davanti al Pappagallo. In via Irnerio ho incrociato il furgone di Buriani che mi ha invitato a salire. Cos’è successo?

    Amareno lo guarda e pensa di essere stato molto fortunato a non presenziare alla colazioncina dell’amico o sarebbe partito gran parte dello stipendio.

    Qualche secondo di silenzio poi una mossa del capo verso il cadavere:

    Hanno ammazzato questo poveretto, come puoi vedere. Così, a freddo.

    Nel frattempo, a fatica, i due poliziotti risollevano la corposa compagna della vittima che si era di nuovo gettata in lacrime sopra l’ormai cadavere impedendo a Buriani di fare una prima indagine del corpo.

    La donna farnetica in slavo, chiaramente scioccata.

    Dalla questura arrivano altri poliziotti, la zona viene recintata per le indagini della Scientifica e Guidi, fissando il morto, continua:

    Scusa commissario, ma si sa cosa lo ha colpito? Una coltellata, un proiettile, un pugno o altro?

    Fabbri lo guarda con sufficienza indicando l’estesa macchia di sangue passata ora anche al lenzuolo:

    Escluderei il pugno.

    Interviene il medico legale che solleva il sudario e mostra loro un foro all’altezza della schiena:

    Questo è il segno d’entrata di un proiettile sparato a bruciapelo. Non c’è traccia di bruciatura perciò suppongo che l’assassino abbia fatto uso di un silenziatore. Dopo aver esploso il colpo deve aver fatto perdere le sue tracce confondendosi fra i numerosi passanti. Saprò dirvi di più dopo l’autopsia.

    Due uomini della Scientifica fanno alcuni veloci rilievi poi i poveri resti vengono caricati sul furgone di Medicina legale che riparte verso la base.

    Il crocchio di curiosi pian piano si assottiglia, Fabbri e Guidi si avviano lentamente, direzione questura, mentre un cameriere del Pappagallo cancella con un secchio d’acqua la macchia di sangue. La vita riprende sotto le Torri come se niente fosse successo.

    I due raggiungono l’ufficio del commissario in silenzio e a testa china. Ignorano i deferenti cenni di saluto rivolti da due signore ad Amareno, troppo impegnati a pensare al fattaccio. Fabbri e Guidi sono interessati a scoprire chi può essere stato ad uccidere l’uomo in bianco, entrambi per motivi professionali, anche se diversi.

    Il giornalista in passato aveva dato manforte al poliziotto con suggerimenti che lo avevano aiutato a risolvere alcuni casi difficili. Fabbri suda ancora freddo quando pensa a pranzi e colazioni offerte a Guidi per ringraziarlo degli aiuti e spera, questa volta, di risolvere il problema da solo.

    L’agente scelto Rossetti, all’ingresso dei due, scatta sull’attenti battendo i tacchi.

    Fabbri lo apostrofa:

    Quando entro con Guidi sei esentato dal saluto, altrimenti questo pseudo giornalista si monta la testa convinto che tu lo faccia a lui! Per favore va’ a prenderci due caffè. Alla macchinetta mi raccomando, e senza paste.

    È ormai abitudine consolidata lasciare che il più grosso cronista della città, quando gli fa visita, si sieda sulla vecchia ma ampia poltrona, anche se sberciata, dietro la sua scrivania. Una semplice sedia non basterebbe a contenere il culo esagerato dell’uomo.

    Il commissario un po’ si sente a disagio, è abituato a guardare in faccia gli ospiti dal suo trono sfilacciato, siano colleghi, indiziati o persone che denunciano torti subiti. Guidi, rendendosene conto, abbozza un sorriso di scusa e apre le braccia:

    Uno dei pochi vantaggi offerti dalla corporatura.

    Il secondo è che allo zoo sei invisibile, ti confondi con gli ippopotami replica, soddisfatto per la battuta, Amareno.

    Lo scribacchino finge di non raccogliere:

    Cosa ne pensi di quel poveretto ammazzato davanti al Pappagallo?

    Fabbri si alza in silenzio, prende in mano il pallone-reliquia firmato dai giocatori della Virtus e tenta un tiro al cesto sequestrato tempo prima in un campo da basket fuori norma, poi fissato al muro dell’ufficio. Abituato a lanciarlo dalla poltrona sbaglia il bersaglio. Riposta la palla sullo scaffale, con un’espressione corrucciata risponde all’amico:

    "Appena si riprenderà, voglio interrogare la donna che stava con lui, è l’unica testimone diretta e magari potrà darmi qualche informazione. Il solo aspetto positivo è che per uno zingaro ammazzato lo scassaminchia del questore non mi starà col fiato sul collo. Lui li considera feccia dell’umanità e, conoscendolo, mi sa che in fondo in fondo,

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