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Tortona nove corto: Le indagini di Dante Ferrero
Tortona nove corto: Le indagini di Dante Ferrero
Tortona nove corto: Le indagini di Dante Ferrero
E-book329 pagine4 ore

Tortona nove corto: Le indagini di Dante Ferrero

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Info su questo ebook

Tortona è sempre stata una città tranquilla. Almeno fino alla notte in cui, lungo i binari nei pressi della stazione, viene ritrovato il corpo di un ragazzo, freddato con un colpo calibro nove. Il cadavere ha le mani mozzate di netto e del pietrisco nel cavo orale. Che significato può avere un rituale così macabro? Cosa si nasconde dietro un omicidio tanto orribile? In una Tortona più noir che mai, Dante “pedante” Ferrero, giornalista de “La Stampa” di Alessandria, si trova ad indagare su questo crimine nella sua nuova veste di investigatore dilettante. Un esordio spinoso e complicato. Un debutto con delitto. Ne seguiranno altri? Tra Servizi Segreti, veri o presunti, malavita organizzata, pallottole vaganti e tanta ironia, il noir più adrenalinico che sia mai stato scritto all’ombra della Madonna della Guardia.
LinguaItaliano
Data di uscita6 apr 2015
ISBN9788869430312
Tortona nove corto: Le indagini di Dante Ferrero

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    Anteprima del libro

    Tortona nove corto - Pier Emilio Castoldi

    I

    Da queste parti, vista la stagione, sarebbe normale la solita, leggera, scighéra. Di quelle impalpabili e romantiche da film neorealista in bianco e nero.

    A novembre ce n’è sempre appena un velo, una sottile spruzzata, bassa rasoterra come il vapore di un treno a vapore, appunto. Niente più. Forse per via delle colline intorno e quella mezza altitudine che fa tanto piano nobile ad una città che un po’ di nobiltà se l’è sempre voluta sentire addosso.

    Stavolta però si è esagerato.

    Questa mattina, su Tortona, c’è una nebbia da non vedere un lampione a distanza dell’altro.

    Anche se, prima di tutto, inquadrata sì e no l’ora della sveglia sul comodino, sarebbe opportuno stabilire cosa si intende per prima mattina, e se non sia il caso di scartare il termine per sostituirlo con una definizione più appropriata sul tipo: "una di quelle ore della notte in cui la gente ha il diritto di non farsi frantumare gli zebedei da una telefonata’’.

    Tanto per puntualizzare.

    Invece eccolo lì. A pedalare tra banchi di nebbia densi da sembrare zucchero filato, ma che invece è dolce un cazzo. Anzi. Sa di particolato. Ora che lo chiamano particolato. Una volta avrebbero detto che sapeva di merda o, i più raffinati, di caligine.

    Di quelle che non ti prendi certo il diabete quando la mandi giù ansimando a bocca aperta, pedalando a schiena curva come il Serse, ma che di sicuro è propedeutica ai reumatismi.

    Vedrai più avanti negli anni!, borbotta tra sé.

    Che i reumatismi, poi, non sono contemplati nei pensionamenti da lavoro usurante, ma le telefonate in piena fase REM che ti fanno saltare il cuore fino al soffitto, invece sì, dovrebbero esserlo! Tacchete! Infartino e addio pensione. Ci rimani secco prima. Non ci arrivi!.

    Svolta a sinistra.

    Sicuro come la morte!.

    Infila il rettilineo. Che poi è la ragione di questa pedalata fuori orario.

    See... Fuori orario. Sei proprio bravo con le battute da avanspettacolo! E vaffanculo, dato che sono le quattro meno un quarto del mattino e siamo in giro per strada come i metronotte, i clochard o gli ubriachi persi. Ti è toccato di scattare svelto dal letto come dalla branda... Quarta Batteria Obici Sirtica. Artiglieria. Voloire!... Voloire. Ma che minchiata!.

    Svolta a destra sfiorando col pedale il marciapiede.

    Ma che cacchio ti viene da pensare a queste menate di vent’anni fa. Ti si è ingrippata qualche sinapsi senza il rabbocco dell’antigelo, per Giuda.

    Infila il sottopasso.

    E pedala, Dante, pedala!, si incoraggia da sé.

    Pedala e pensa al bar dalle parti della stazione dove fanno un caffè così schifoso che dell’acqua di fogna non ha solo il colore ma anche il gusto e un aroma misto olio esausto, tabacco e pantegana.

    Puoi sempre fartelo correggere grappa. Anzi. Versami solo grappa. Molta grappa. Dai Mi Sun Ki, vai giù, non risparmiarti. Vai giù di Gewürztraminer perdio, visto che della stravecchia non tieni più neanche il vuoto sulla vetrinetta, ebreo travestito da cantonese!.

    Eccoti lì. A quest’ora di notte, scoglionato come il presidente del Club degli Scoglionati, mentre cerchi di indovinare se stai andando dalla parte giusta, con il fanale della bici che non arriva fin sull’asfalto di corso della Repubblica.

    Il tutto per via di un tizio finito sotto un treno... e tu che ti metti a pensare al Voloire e alla grappa dagli occhi a mandorla.

    Sei da curare. Oh sì! Un bel TSO è quello che ci vuole. Anche perché un altro, al posto tuo, all’invito a muovere il culo a quest’ora di notte, per conquistarsi il Pulitzer sui binari appena fuori la stazione, avrebbe risposto con un vaffanculo in stereofonia a quella telefonata di menta.

    E fanculo anche alla notizia da dare in anteprima, che tanto quel morto, una copia in più del quotidiano mica te la fa vendere.

    Qui in queste terre sabaude la gente ha imparato a farsi i cazzi suoi e di un pirla finito sotto il treno non gliene frega niente a nessuno, e dopo cinque minuti torna a interessarsi di cose ben più importanti, come il fuorigioco di Tevez contro il Sassuolo.

    Per vendere più copie de La Stampa, lui lo sa, molto meglio un inserto centrale in quadricromia con una tizia dalle roberte grosse come meloni e un culo da liuto cremonese. Miss Chiappe d’Oro Mandrogne 2014. Ecco!

    Sotto il piumone spesso due dita ci stava da dio come Cip e Ciop nella loro tana. Invece si è dovuto infilare un paio di pantaloni talmente alla svelta che, oltre alle gambe, si sono gelati anche i coglioni e per un attimo gli è mancato il fiato, che quando è ritornato è partita una bestemmia da staccare i quadri dal muro.

    E meno male che accanto non ci dormiva la Mercedes, che lei, per carità, le tette ce le ha ben proporzionate ma un tantino sotto misura. In più odia i bestemmiatori! Quelli con i coglioni gelati poi...

    La Mercedes, la sua compagna, che adesso us disa insì! Si dice così! Mica più morosa. Convivente, ecco! Convivente a mezzo, dato che ogni tanto, molto spesso, vive ancora dai suoi, in quella specie di quartiere Parioli brulicante di ville super lusso che è la via che porta su alla torre del Castello.

    Stanotte se n’è rimasta a dormire a casa sua, perché domani mattina, anzi, stamattina presto, deve partire alla volta di Pavia... per lavoro... e sta a vedere che la incrocio alla stazione.

    La Mercedes. Mercy per lui. Trentacinque anni da urlo, anche se sottopeso. Magretta insomma. Anoressica no, ma magra come un grissino torinese. Anche se si alimenta a paste, bignè e cannoncini della Pasticceria Vercesi invece che a diesel, come diceva il Sandro le volte che gli raccomandava di non portarsi a letto una Mercedes per via del gas di scarico.

    Mercy è una morettina dalla pelle chiara, chiarissima, si direbbe color champignon delle vaschette dell’Iper, che quando passeggia lungo i portici e fa la vasca in via Emilia con le amiche lampadate UV a braccetto, la fanno assomigliare alla striscia gusto crema al latte tra i due strati gianduja del cremino.

    Intanto si è arrivati. Dante Ferrero ha vinto la cronometro. È maglia rosa.

    Arrivo della tappa alla stazione di Tortona, con treni merci, rotaie e pensiline, immersi nel nulla.

    Ha intuito che sono lì, alla destra. Che è arrivato a destinazione. Sarà per via del fiuto da Bloodhound di Sant’Uberto o perché quelle strade le ha percorse per una vita intera. Fatto sta che quella che intravede, strizzando gli occhi e asciugandosi una lacrima di freddo col dorso del guanto, è la facciata della stazione che dà su piazza Fiume e più in là il corso che riprende dopo l’occhieggiare giallo sfocato del semaforo.

    Poi si ferma e si interroga se a muovere un passo falso finirebbe dritto nella fontana, che poi sarebbe quella specie di vasca quadra, buona per le carpe broccate giapponesi.

    Aspetta. Come le chiamano? Le Nishikigoi. Ecco, sì! Le carpe Koi.

    Si toglie dalla testa quell’orribile cappello. Un colbacco dalle orecchie tirate in giù da assomigliare a Pippo. Di quelli venduti in due esemplari al mondo. Il primo finito in testa a Gorbaciov, che si era vergognato così tanto da rifiutarsi di indossarlo, lasciandolo da solo con quel poco invidiabile primato.

    Entra.

    Si porta avanti, mentre gli ronza il cellulare nel taschino.

    Adesso chi cazzo è al telefono?, arrota pigiando il tasto.

    C’è un morto cadavere, si sente dire.

    Oh... che sia il Gaeta a fare il doppio gioco?, pensa tra sé. O sono diventati dei fulmini anche in redazione....

    A te chi te l’ha detto? Il gazzettino?, domanda.

    Non importa Ferrero... basta che ti muovi... muovi il culo giù dal letto e fila per la stazione.

    Glielo dice il Rossi, al turno in redazione. Ma lui già lo sapeva.

    Ed è per quello che si è già fatto la pedalata di salute, avventurandosi a fare il grimpeur in bicicletta.

    Ed è già lì sul posto. Già incatenata al palo segnaletico dei taxi la sua splendida Legnano nero lucido, coi freni a bacchetta e il portapacchi inox. Un piede in mezzo all’atrio. Accolto da un umido tepore e dalle luci al neon della biglietteria vuota. Una coppietta sui sedici anni che limona, appoggiata al muro come dovesse tenerlo su.

    Ma come cacchio si fa a limonare a quest’ora di notte alla stazione?, borbotta.

    A quest’ora non dovrebbero essere a casa quei due pulcini, sotto l’ala protettrice dei genitori, invece di essere qui, a un passo dal commettere atti osceni in luogo pubblico? Per di più sotto l’occhio etilico ma vigile di un barbone disteso sulla panca lì a pochi metri, con una puzza di piedi da Vieux-boulogne. Altri due tizi in fondo alla sala d’aspetto: il primo con la cera da tossico che s’intrattiene sottovoce con quell’altro che invece ha la faccia da CityAngels e indossa la tuta fluorescente della Misericordia. In un aroma di orina, cannabis e vomito che levati!

    La soffiata ce l’ha avuta dal Gaetano. Ed è per questo che si trova già sul pezzo.

    Grazie alla telefonata del Gaeta.

    Il pensionato Capitano Ipsilon, così come si fa chiamare in codice, per mantenere una certa riservatezza e la nomea da ex agente dei servizi segreti. Come se ai tempi fosse stato uno di quelli al servizio della corona britannica e della regale persona di sua maestà la regina Elisabetta. Potrebbe anche farsi chiamare tenente Colombo, Yoghi o Gatto Silvestro, tanto il mondo intero sa che all’anagrafe fa Gaetano Monticelli, così come sta scritto sul citofono del suo lurido palazzo fuorimano al termine di via Morandi.

    Si erano conosciuti qualche anno prima, sulle panchine vicino al chiosco dei giornali, dalle parti dell’Ospedale Civile. Dante gli aveva raccontato di fare il giornalista, e quell’altro di aver lavorato per i servizi segreti italiani. Il Sisde. E di essere ancora bravo ed efficiente.

    Accordo fatto, tirando un po’ sul prezzo. Una stretta di mano come firma.

    Ed è per questo che aveva gli indirizzi giusti, sapeva le cose in anticipo. Solo un ex Sisde poteva passargli le segnalazioni prima che queste arrivassero alle redazioni. Poi bastava allungargli un centone quando succedeva qualcosa di grosso, o il cesto di frutta secca, torrone morbido e spumantino per Natale, con una scatola di toscanelli gusto caffè. Così le dritte avrebbe continuato a dargliele.

    Ma intanto adesso è lì che si guarda intorno, poi esce sulla banchina della stazione, in un brodo che non lascia vedere al di là del binario 1, e con la mano senza la muffola che gli si intorpidisce tenendo il cellulare tra le dita, per rispondere a quel canchero del Rossi.

    Ahhh! Ok. C’è un morto cadavere.

    Sarà perché ha solo ventiquattro anni, il rosso di capelli col mito di Carl Bernstein, che è così preciso e zelante nello specificare quanto il morto sia cadavere.

    Grazie della puntualizzazione, risponde.

    Intendevo morto stecchito come un cadavere.

    Eh sì!... Perché esistono cadaveri che invece ballano il Foxtrot!.

    Oh cazzo, Dante! Soprannome indovinato il tuo!... Sempre a spaccare il pelo in sedicesimi, puntualizza quell’altro, brusco.

    E tu sempre preciso come una macchinetta tagliabasette!,

    Proseguendo: Guarda che lavori alla redazione de ‘La Stampa’ di Alessandria, mica alla Reuters, baluba!.

    Poi aveva chiuso la conversazione col tasto Esci e camminato, distante e svogliato, lungo la massicciata costeggiando i binari, seguendo nel buio lo sbiadito lampeggiante e qualche scatto lamentoso di sirena.

    Puttana Eva, che spaccamaroni il Rossi!, commenta cercandosi una Gauloises nella tasca del giaccone. Mi viene a dire che spacco il capello in quattro... addirittura in sedicesimi... capito?.

    Il Dante è fatto così. Sembra non sopportare la concorrenza.

    Che lui il capello in quattro magari non lo spacca ma è uno di quelli che della meticolosità ha fatto una religione.

    Mica per niente in redazione gli hanno dato quel soprannome. Che poi non si tratta neppure di scrupolo o perfezionismo. È solo noioso. E quell’appellativo gliel’hanno conferito anni prima, senza neanche una cerimonia ufficiale, va beh...

    Da allora, appena Dante Ferrero mette piede in ufficio, diventa automaticamente Dante Pedante.

    Questo fin dai tempi dell’assunzione alla redazione mandrogna della testata torinese, il giornale della Famiglia. Destinato alla cronaca nera, rosa e di tutti i colori era salito su al terzo piano rialzato di quell’edificio in piazza della Libertà che sembra il cubo di Rubik, però a due soli colori: grigio marmo e verdino zucchina malata alle tapparelle. Al terzo piano, con scritta a caratteri cubitali tutta in maiuscolo alle finestre. La Stampa. Una lettera per vetrata. Una roba sobria ed elegante, di quelle che fanno fino e non impegnano.

    Lui che da allora, per far onore al suo nickname (che soprannome è giurassico), è rimasto fedele al blocco note in carta sul quale scrive con la Bic dalla cannuccia rosicchiata e non avrebbe certo abbandonato la sua Lettera 32 se non fosse che non trova più i nastri. Lui che con la tecnologia ci ha litigato da quand’era in culla e tutte le volte che gli hanno spiegato come aprire una nuova finestra sul PC, ha sempre sognato di poterlo seriamente fare con una 7 e 65.

    Dante Pedante, Ferrero. In ogni santa circostanza a ripetere che non è parente di quello della Nutella o che piuttosto discende dal ramo sfigato dello stesso albero genealogico, ma la crema alle nocciole la paga al market come tutti gli altri, e che quel nome, Dante, non gli è mai piaciuto ma gli è stato dato per via del nonno paterno, come si usava allora, anche se il nonno non era uno di quelli famosi, se non per il fatto che compariva nel cippo in bronzo dei caduti, murato alla parete del famedio al cimitero, assieme ad un’altra sessantina di poveri cristi come lui.

    La Gauloises è quasi al filtro e intanto calcia un sasso con la punta della scarpa, mentre si separa da quel marasma di piacevoli ricordi per tornare alla realtà. Ride tra sé.

    Il blu dei lampeggianti ormai è a un passo, e comincia a intravedere il viavai di sagome e ascoltare un concitato brusio.

    Quando arriva, la vittima è già coperta da un lenzuolo e c’è un discreto stuolo di caramba e autorità investigative, più o meno importanti, rinchiuse nei cappotti in cachemire dal bavero alzato e borsalino d’ordinanza. Stanno dentro il recinto delimitato da un nastro in politene bianco e rosso. Off limits. Zona cadavere!

    La polizia ferroviaria l’ha scoperto a lato dei binari. Anche se a dire il vero, la scoperta l’ha fatta un barbone che li ha subito avvertiti, ed ora è lì che rilascia al brigadiere il suo mezzo resoconto.

    L’ha casualmente incontrato intorno alle due, quando a momenti gli rovina sopra inciampandogli nelle gambe. E quello non s’è nemmeno scusato.

    Racconta di averlo illuminato con l’accendino.

    Eh... proprio una brutta scena che m’è venuto da dare di stomaco, dice grattandosi una barba sale e pepe dai riflessi nicotina, sangue... un mucchio di sangue.

    Ferrero fissa attonito quel mucchietto inanimato di carne e ossa celato sotto il lenzuolo, senza riuscire a distoglierne lo sguardo. Prova forse pietà. Certo prova disagio e tutte le filosofie su come termina, a volte, la vita.

    ueilà! Commissario Maigrè, si sente assalire alle spalle, che ci fai da queste parti invece di ruzzolare nel tuo letto con la bella?.

    Chi lo interroga sornione è quel faccione insonnolito del Giraudo.

    Mario Giraudo, professione medico legale, tra l’altro. Studio avviato in Spalto Marengo ad Alessandria. Moglie che gli fa da assistente barra segretaria perché è tirato più di uno scozzese dei caruggi. Due figli. Più una BMW da paura e piccola imbarcazione all’Elba, tanto per ricordare al Dante chi dei due ha clamorosamente sbagliato professione. Appartamentino in Val di Fiemme, da non dimenticare. Un tirchio anomalo si direbbe.

    È lì sul posto per capire come mai il defunto non è più in grado di dire trentatré e dare un colpo di tosse a comando. A dire il vero, neanche nella possibilità di grattarsi il naso.

    Ma che Maigrè e Maigrè..., risponde, che in questo mese ho già messo su due chili.

    Colpa tua che non ti si vede più in palestra e nemmeno fare una sgambata fin su a Vho a vedere il mare!.

    See... il mare di Vho, dai piglia per il culo... bisognerebbe essere dei camosci per salire fin lassù, ci scherza, avere due gambe trazione caterpillar e l’ostinazione di un mulo. Gli stringe la mano.

    Il medico si prende un attimo di pausa scivolando al di sotto del nastro. Si raddrizza con la schiena e radiografa il fisico del Ferrero.

    Ti sei imbolsito... è vero, conferma accendendosi una Marlboro, offrendone un’altra a Dante, chissà com’è contenta la tua Mercy di trovarsi fidanzata a un cotechino!.

    E te che ti avveleni ancora con le bionde?, gli domanda ironico Ferrero. Cosa dice il dottore del tuo vizio?.

    Dice che è uguale al tuo! e accende la sigaretta tra le labbra dell’amico. Solo che te dimostri 40 anni mal portati da che il tuo sport preferito è rimasto il bowling.

    Bowling e ramino, prego!.

    Dante ripensa al loro comune passato da terzino e mediano, giocato all’estero con la maglia nerostellata del Sale Calcio. Lui e Giraudinho calciatori oriundi in quel paesone distante da qui una decina di chilometri, sulla statale 211 che porta in Lomellina.

    Quello lì?, indica con il mento il cadavere.

    Quello lì stiamo aspettando di capire se era uno stufo della vita oppure era un drogato che non ha sentito il treno, oppure non l’ha visto per via di questa... e non finisce la frase interrotto dal lamento prolungato di una sirena e dall’agitazione della coppia di graduati che si affanna in direzione del nuovo arrivato.

    Ecco i pezzi grossi.

    Ma sai... qui in provincia non succede mai niente... che vuoi... non gli sembrerà vero di finire sui quotidiani stamattina... domattina, ridacchia, ti toccherà di andare a intervistarli ora... e non dimenticare di anteporgli il titolo di dottore quando inizi la conversazione.

    Gli strizza l’occhio.

    Ma vaffanculo, vah! Dottore e infermiere!, attacca Dante. Dai, dammi due dritte.

    So poco, bisognerà aspettare l’autopsia.

    Ferrero lo sollecita con uno sguardo cinico e lesso.

    Ti posso dire che l’ho trovato con le mani mozzate. Il corpo di qua delle rotaie a scavalcare la putrella, le mani di là, entrambe girate all’insù, posate tra la traversina unta e il pietrisco. Artigliate come se stessero aspettando di grattare il sottopancia del regionale veloce partito dalla Centrale per fermare a Brignole.

    Ma è giovane o vecchio? Uomo o donna? È una puttana? Un drogato?, insiste il commissario Maigret.

    Un giovane intorno ai venticinque, occhio e croce, lo informa, apparentemente media borghesia visto che indossa abiti firmati. Sembrerebbe uno pulito.

    Si chiama? Ops... Si chiamava?.

    È tutto in mano al capitano Lodetti. Lo conosci? Hai confidenza?. Ferrero spegne la bionda sotto la suola e saluta.

    Vado... butto giù due righe con quello che so, risponde, mi sa che finisce che è stato solo un incidente... a uno così giovane non può venirgli la voglia di ammazzarsi.

    II

    Si chiamava Fabio Baroni.

    Chi?.

    Come chi? Il tizio trovato al ciglio della ferrovia!, urla al telefonino. Per caso ti si è ingrassato anche il cervello, Dante?.

    È che ero distratto, dice non perdendo di vista il televisore e sbuffa fastidio per la seccatura.

    Abbassa il volume a zero nell’istante in cui dal piede destro di Alessio Cerci parte un cross che spiove in area per la testa di Ciro Immobile. Incornata in rete. Uno a zero per il Toro. Aleeeee.

    E si morde le labbra resistendo alla tentazione di saltare sul tavolino in cristallo dalla gioia. Poi Giraudinho è pure tifoso dei gobbi e non capirebbe. Anzi, non gliela perdonerebbe.

    Pensavo ti interessasse dare un nome al tizio finito sotto il treno?.

    L’articolo è uscito sul numero di oggi, risponde assente, trafiletto nella cronaca locale... passato per un incidente... non avevo sbatti.

    Intanto cerca un posacenere per casa.

    Fa clamore il fatto che sia finito sotto il treno, ma credimi, è roba di un attimo, anonimo o non anonimo, gliene frega un cazzo a nessuno... la gente adesso ha ben altri problemi per la testa, risponde, di incidenti ne succedono tanti... la gente dimentica in fretta... figurati cosa gli può interessare di un pirla che fa l’equilibrista sui binari?.

    Il macchinista non si è accorto di nulla, sostiene l’altro.

    Cosa vuoi? Notte, nebbia... magari lo ha preso di striscio... un treno mica deraglia per colpa di un sacco d’ossa di cinquanta chili.

    Peccato perché c’era qualche novità in più.

    Sarebbe?, incalza Dante puntando il cellulare con gli occhi.

    Il capitano Lodetti non sembra essere di questo parere..., gli risponde sospensivo.

    Allora spara. Forza. Non è che metti l’acquolina e poi divaghi. Cosa c’è d’altro? Cosa dice Lodetti?, si spazientisce.

    Forse più per la seconda occasione gol mancata dal Toro che per il fare evasivo del medico.

    Fabio Baroni, anni ventiquattro appena compiuti, di Pontecurone... Hai presente? Sulla statale per Voghera.

    Uhè Mario... l’ho studiata la geografia a scuola!.

    Famiglia per bene, non aveva la ragazza, viveva in casa dei suoi....

    Quindi?, sbotta spazientito.

    Quindi ti invito stasera per una pizza... ti va al Lord Nelson?, gli chiede. Quello in corso Don Orione al 102.

    Sempre preciso come un TomTom, eh?, battibecca. Confessa che c’avevi paura che mi perdessi per Tortona!.

    Mogli e compagne al seguito ma lascio a casa i figli... anche tu i tuoi.

    Non ho figli, pirla!.

    Questo lo dici tu... Otto, otto e un quarto? Ti va bene? Prenoto io.

    Per me una margherita, la Mercy una quattro formaggi e mette giù.

    L’ambiente si ispira a un brigantino, per via dello stile marinaro e del bancone di legno dagli oblò in vetro e ottone, tant’è che uno s’aspetta che a dare il benvenuto arrivi davvero Nelson. Invece nisba. Ti becchi un tortonese normale e sorridente.

    Il primo pensiero del Dante, che di solito frequenta locali meno esclusivi, è che se per caso il veliero si mette a beccheggiare, la pizza gli si rivolterà subito nello stomaco e sporcherà il ponte di coperta. Poi scosta la sedia alla Mercy e si siede dove ha indicato il lupo di mare, pregando non si trasformi in un filibustiere quando porterà il conto. Ma tanto invito e portafoglio sono a carico di Giraudinho e quindi ci scapperà pure il dolce.

    Al tavolino dipinto di azzurro cielo servono tre pizze fuori misura più un calzone, due Coca Light per le signore e due pinte di pilsner chiara per i maschietti.

    Pensavo servissero rum delle Antille, commenta ironico Dante.

    Mario è già concentrato sulla prima fetta e litiga con la mozzarella.

    Allora prima ti lascio divorare la tua preda in pace e poi racconti..., gli assicura.

    L’altro bofonchia qualcosa a bocca piena.

    Mario è tutto il giorno che ci riflette su..., interviene la prosperosa Betty col frontespizio di un decolleté di quelli che ogni volta che sospira, gli operai della Michelin di Spinetta trattengono il fiato. Niente silicone, pensa tra sé Ferrero, altroché le coppette di champagne della Mercy. La signora Montgolfier.

    E da quando ha imparato a pensare?, scherza, indicando Giraudo con la testa giù sul piatto.

    Anch’io sarei curiosa di sapere di queste novità, ribatte Mercy. "Ciccio mi ha

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