La saga dei Borgia. Ascesa al potere
Di Alex Connor
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Info su questo ebook
Dopo trentaquattro anni al servizio della Chiesa cattolica, l’ambizione e la spietatezza di Rodrigo Borgia vengono ripagate dall’elezione al soglio pontificio col nome di Alessandro VI. Ignorando ogni tradizione, il nuovo papa si preoccupa subito di accasare in Vaticano prole e amanti. Presto, le voci sulla sua corruzione e la sua lussuria si diffondono in Italia e in Europa.
Nell’intento di concentrare potere e ricchezze nelle mani della sua famiglia, Alessandro VI decide di destinare i due figli a due strade diverse: Juan è avviato alla carriera militare, Cesare verso quella ecclesiastica. Ma quest’ultimo comincia a nutrire delle ambizioni proprie, alimentate da un forte sentimento di rivalsa nei confronti del padre.
Mentre si districa nella lotta politica contro i suoi molti nemici (su tutti il cardinale Giuliano della Rovere e il re francese Carlo VIII), il pontefice dovrà fare molta attenzione, perché il pericolo maggiore potrebbe essere sangue del suo sangue…
«Alex Connor raggiunge un equilibrio narrativo che si divide tra storia, fiction e caratterizzazione di un elemento spesso tralasciato nei romanzi dedicati agli artisti realmente vissuti: l’interpretazione del loro spirito.»
Marcello Simoni
«Formidabile. Conquista e seduce il lettore. Spettacolare.»
Matteo Strukul
«Alex Connor ha una mano avventurosa e consapevole. Pittrice e narratrice, convoca i giganti dell’arte in thriller coinvolgenti e basati su una solida cultura.»
Corriere della Sera
«Con ritmo serrato e dettagliatissime ricostruzioni d'epoca, l'autrice conduce il lettore nelle dinamiche della famiglia Borgia, scandagliando le emozioni dei personaggi. Riesce con talento a rivelarne lo spirito oltre la storiografia ufficiale e la mitologia che li ha resi famosi. Questo è il segreto del suo successo: dipingere i protagonisti del passato in uno stile attuale come una fiction colma di colpi di scena.»
Corriere della Sera
Alex Connor
È autrice di thriller e romanzi storici ambientati nel mondo dell’arte. Lei stessa è un’artista e vive in Inghilterra. Cospirazione Caravaggio, uscito per la Newton Compton nel 2016, è diventato un bestseller, ai primi posti delle classifiche italiane. Con Il dipinto maledetto ha vinto il Premio Roma per la Narrativa Straniera. La Newton Compton ha pubblicato inoltre la sua trilogia su Caravaggio, composta da Caravaggio enigma, Maledizione Caravaggio ed Eredità Caravaggio; Goya enigma; Tempesta maledetta e la trilogia che comprende I Lupi di Venezia, I cospiratori di Venezia e Venezia enigma. La saga dei Borgia. Ascesa al potere è il primo libro di una nuova serie.
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Anteprima del libro
La saga dei Borgia. Ascesa al potere - Alex Connor
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Prologo
E così la mia rotta è stata tracciata. Io, poco più che un puntino in mezzo alla miriade di gente che si accalca e respira per le vie di Roma. Un puntino tenuto a osservare gli ingranaggi dorati del potere papale, un puntino rischiarato dai ceri accesi per la messa, sballottato tra i cardinali con le loro papaline in testa, quegli zucchetti tanto simili a calotte craniche, anche se non ho mai visto un teschio color sangue. Un puntino invisibile che corre a nascondersi sotto i porticati, che scavalca inosservato il letame dei cavalli e gli escrementi umani disseminati per strada. Un puntino che suda sotto il sole cocente e nell’afa implacabile di agosto. Lo stesso puntino che adesso, tanti anni dopo il suo arrivo nell’Urbe, osserva l’oscenità che ha luogo davanti ai suoi occhi.
Lasciate che vi spieghi quanto è stata abietta la fine di questo papa.
Quando Roma ha saputo della sua morte, la notizia che tanto il pontefice quanto suo figlio, Cesare Borgia, erano caduti gravemente ammalati dopo aver cenato presso la dimora del cardinale Adriano Castellesi da Corneto ha fatto subito sospettare un avvelenamento. Si è persino vociferato che gli odiati Borgia fossero erroneamente divenuti vittime del loro stesso delitto. Io non lo so e non intendo mettere nero su bianco le mie opinioni personali, indi per cui mi limiterò a descrivere la sordida e abominevole fine di papa Alessandro vi. Comunque, occorre anche notare che la febbre stava già flagellando Roma da settimane e che pertanto potrebbe essere stata la Natura, facendo il suo corso, a decretare la sua fine.
Ma riprendiamo il filo del racconto.
Alla morte del papa erano presenti cinque cardinali e, quando l’ultimo soffio vitale ha abbandonato il corpo di suo padre, Cesare ha mandato a chiamare Michelotto, il tirapiedi più fidato della famiglia Borgia, insieme alla sua banda di tagliagole. Questi, armati fino ai denti, hanno minacciato di sgozzare il cardinale Jaime de Casanova a meno che non consegnasse loro le chiavi del tesoro del pontefice. Terrorizzato, il cardinale li ha accontentati, al che gli sgherri di Cesare hanno rubato tutto l’argento e due forzieri che contenevano centinaia di migliaia di ducati. Mentre loro erano impegnati a trafugare oro e monete, gli stessi valletti del Santo Padre hanno svuotato il guardaroba papale e le stanze dell’appartamento Borgia, tralasciando soltanto gli arazzi appesi alle pareti.
Infine è iniziata l’ignobile processione del pontefice dal Vaticano alla sua tomba.
Il suo ultimo viaggio è stato travagliato come la sua vita. Il corpo di papa Alessandro vi è stato portato via dal suo appartamento e deposto dapprima nella Cappella Sistina, quindi nella Basilica. L’odio che si era attirato in vita si è trasformato in giubilo, e alcune guardie di palazzo hanno persino rubato i moccoli che ardevano attorno alle sue spoglie. Temendo per la loro incolumità, i chierici impauriti sono sfuggiti alle guardie e si sono nascosti in sagrestia, e il corpo del papa è stato abbandonato al suo destino. Si è reso necessario l’intervento del vescovo di Sessa perché qualcuno tornasse a occuparsi della salma, che a quel punto doveva essere spostata per l’ennesima volta. Per paura che i detrattori del pontefice potessero violarlo, il corpo è stato trasferito nella cappella all’ingresso della Basilica ed esposto dietro una grata di ferro, accanto ai gradini d’accesso. E lì è rimasto per un certo numero di ore, con quattro ceri che gli bruciavano attorno e si consumavano con il passare del tempo.
Ma il volto e il corpo hanno subito cominciato a decomporsi.
Dimenticati dalla sua famiglia, perché né Cesare né Lucrezia Borgia si sono mai fatti vivi, alla fine i resti di Alessandro vi sono stati portati nella cappella di Santa Maria della Febbre e deposti in un angolo, con il feretro incastrato tra il muro e l’altare. È lì che l’ho visto per l’ultima volta, e non dimenticherò mai l’atrocità di quella scena. Il viso del defunto era già diventato nero. La bocca si era ingrossata, divenendo ripugnante, la lingua si era come divisa a metà e il naso e le labbra erano gonfi e dello stesso colore dei mirtilli.
È doveroso riportare che la carne aveva iniziato a decomporsi, che il corpo si era dilatato in modo grottesco. Gli orifizi non erano stati turati e i fluidi corporei erano fuoriusciti dal cadavere; le membra erano annerite e gonfie, la pelle attorno alle articolazioni lacera, il sudario impregnato di liquidi purulenti. I carpentieri incaricati di costruire la cassa da morto di Sua Beatitudine non si erano impegnati più di tanto e, al momento di mettere il pontefice nella sua bara, avevano scoperto che era troppo corta e troppo stretta. Dato che la pancia e i piedi della salma sporgevano, un gruppo formato da sei uomini, becchini e carpentieri, si era subito messo all’opera. Deridendolo in modo osceno, avevano tirato fuori il defunto dal suo feretro e lo avevano arrotolato in un vecchio tappeto. Poi, con il fiato corto e le bocche spalancate dallo sforzo, avevano combattuto per diversi minuti con il corpo in putrefazione, spingendolo e prendendolo a pugni finché non erano riusciti a far entrare quel cadavere rivoltante nella nuova cassa da morto.
Non c’erano né ceri né candele lasciati accesi, e nemmeno sacerdoti che vegliassero sulle spoglie di papa Alessandro vi.
Questo è ciò che ho visto.
Questo è il mio racconto.
Spero che non mi ricapiti mai più di vedere una cosa del genere.
Titolo originale: The Borgias. Bulls of Rome. Book One
Copyright © 2021 Alex Connor
Copertina © Sebastiano Barcaroli
Traduzione dalla lingua inglese di Tessa Bernardi
Prima edizione ebook: ottobre 2021
© 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma
ISBN 978-88-227-5715-9
www.newtoncompton.com
Edizione elettronica realizzata da Pachi Guarini per The Bookmakers Studio editoriale, Roma
Alex Connor
La saga dei Borgia
Ascesa al potere
Newton Compton editori
Non v’è più delitto né ignominioso misfatto che non abbia luogo in pubblico qua a Roma e nella casa del Sommo Pontefice. Come si fa a non inorridire dinnanzi ai […] terribili e mostruosi atti di lascivia che vengono apertamente commessi in Sua presenza, senza rispetto alcuno né per Dio né per l’uomo? Violenze e rapporti incestuosi si ripetono innumerevoli… [e mentre] il Palazzo Apostolico di San Pietro è frequentato da una gran moltitudine di cortigiane e ruffiani, a ogni angolo di strada abbondano altresì bordelli e case di piacere.
johannes burckhardt, protonotario pontificio e maestro di cerimonie
Ora siamo nel potere di un lupo, il più rapace forse che questo mondo abbia mai visto. E se non fuggiremo, inevitabilmente ci divorerà tutti.
giovanni de’ medici, figlio di Lorenzo il Magnifico
Era il più orribile, mostruoso e brutto corpo morto che si sia mai visto, senza alcuna forma o apparenza di umanità.
antonio giustinian, ambasciatore veneziano
Indice
Prologo
Albero genealogico della famiglia Borgia
parte prima. l’ascesa
Capitolo uno
Capitolo due
Capitolo tre
Capitolo quattro
Capitolo cinque
Capitolo sei
Capitolo sette
Capitolo otto
parte seconda. l’apice
Introduzione
Capitolo nove
Capitolo dieci
Capitolo undici
Capitolo dodici
Capitolo tredici
Capitolo quattordici
Capitolo quindici
Capitolo sedici
Capitolo diciassette
Capitolo diciotto
Capitolo diciannove
Capitolo venti
Capitolo ventuno
parte terza. amore e guerra
Introduzione
Capitolo ventidue
Capitolo ventitré
Capitolo ventiquattro
Capitolo venticinque
Capitolo ventisei
Capitolo ventisette
Capitolo ventotto
Capitolo ventinove
Capitolo trenta
parte quarta. la vendetta
Introduzione
Capitolo trentuno
Capitolo trentadue
Capitolo trentatré
Capitolo trentaquattro
Capitolo trentacinque
Capitolo trentasei
Capitolo trentasette
Capitolo trentotto
Capitolo trentanove
Capitolo quaranta
Capitolo quarantuno
parte prima
L’ASCESA
Capitolo uno
1490
Dimora estiva del cardinale Rodrigo Borgia
Monti Appennini
Il temporale della settimana prima aveva smosso una delle tegole di terracotta del tetto e la punta dello stivale del quindicenne rimase incastrata proprio sotto il bordo rialzato del coppo. Perdendo l’equilibrio, Cesare Borgia si sbilanciò in avanti e, non riuscendo a trovare niente a cui aggrapparsi per arrestare la caduta, scivolò giù dal tetto e sul selciato del cortile sottostante. Le urla che accompagnarono il volo e il tonfo successivo fecero correre fuori la servitù e il padre del ragazzo, il cardinale Rodrigo Borgia, che si precipitò al fianco del figlio e si inginocchiò accanto a lui.
«Cesare, figlio mio, cos’è successo?».
All’inizio non riuscì neanche a capire da dove perdesse sangue, ma dopo un attimo notò lo squarcio che andava dal polpaccio alla caviglia sinistra di Cesare.
«Un dottore! Un dottore!», urlò allora all’indirizzo dei domestici che stavano accorrendo in loro aiuto. Quindi il cardinale esaminò più da vicino il taglio e sorrise al figlio per rassicurarlo. «Suvvia, è meno profondo di quanto pensassi. È solo un graffio, niente di grave».
«È grave, invece!», lo contraddisse Cesare, andando su tutte le furie, mentre si stringeva la gamba e il sangue gli imbeveva i calzoni bianchi.
«Cesare, adesso calmati», lo ammonì Rodrigo, che poi allontanò la servitù con un cenno della mano e aiutò il ragazzo a sedersi su una panchina, dove ispezionò di nuovo la ferita superficiale. «Davvero, non è niente di grave. Ma, a proposito, che cosa ci facevi sul tetto?»
«Che importa, se tanto non è niente di grave?», fu la replica sarcastica di suo figlio.
«Cesare, bada a come parli». Se il tono del ragazzo era stato quasi insolente, quello del cardinale racchiudeva un avvertimento. «Sono tuo padre e ti voglio un gran bene, ma non ti permetterò di mancarmi di rispetto».
Rodrigo aveva sempre assecondato i capricci dei figli che gli aveva dato la sua amante, Vannozza. Che gli aveva dato. Sì, quella era una frase che gli era sempre piaciuta. Gli aveva dato carne e sangue, spirito e anima. Riportò l’attenzione su Cesare, seduto accanto a lui, che nel frattempo si era zittito. Quel primogenito gli procurava tanti pensieri. Da bambino era stato molto riservato, ma poi era cresciuto e la pubertà aveva fatto affiorare lati inaspettati del suo carattere. Una certa volubilità, la mancanza di diligenza, uno scostante oscillare tra la frenesia e l’indolenza. A volte rasentando l’arroganza. Anche fisicamente, il suo sviluppo improvviso aveva colto tutti di sorpresa; ormai aveva superato il metro e ottanta di altezza, la sua voce era diventata bassa e profonda, e aveva gli occhi ravvicinati, uno sguardo provocatorio e un fisico al quale, per quanto esile, sarebbe semplicemente bastato mettere su un po’ di muscolatura per risultare imponente. Un bambino poteva essere tenuto sotto controllo, ma il Cesare divenuto ragazzo, e che un domani si sarebbe fatto uomo, era tutto un altro paio di maniche, questo Rodrigo lo sapeva bene.
Ricordava di aver sentito per caso uno scambio di battute tra il suo primogenito e il Pinturicchio, il piccolo pintor
, come era stato soprannominato. Artista di talento malgrado un aspetto scimmiesco, era stato incaricato di dipingere un ritratto del cardinale con i suoi tre figli maggiori.
«Mi domando perché mio padre non abbia offerto l’incarico a un artista più famoso, uno degno di ritrarre un Borgia», aveva detto Cesare, all’epoca tredicenne, all’ometto minuto che si era presentato a casa loro indossando un semplice camiciotto di cotone grezzo. «Pinturicchio, piccolo pintor… Be’, che siete poca cosa si vede. Vale anche per il vostro talento?»
«Signorino Borgia, l’altezza la devo ai miei genitori. Il talento invece me l’ha concesso Dio, e non è stato considerato trascurabile».
«Sarà, ma di voi non si parla poi molto, mentre di Leonardo da Vinci si dicono meraviglie. Tutta Roma parla del genio fiorentino».
«Da Vinci è un pittore davvero eccezionale», aveva risposto Pinturicchio con un certo nervosismo, «ma anche io ho lavorato per tanti illustri committenti qua a Roma, e tutti sono rimasti soddisfatti del mio operato. Ho assistito il maestro Perugino nella realizzazione degli affreschi della Cappella Sistina», aveva continuato, sforzandosi di mantenere la sua giovialità, «e sono stato assunto da vari membri della famiglia Della Rovere per lavorare ai decori di una serie di cappelle nella basilica di Santa Maria del Popolo».
La faida tra Rodrigo Borgia e il cardinale Della Rovere era nota a tutta Roma e Cesare aveva colto la frecciatina del pittore, motivo per cui se ne era uscito con una replica altrettanto pungente.
«Per lavorare ai decori
? Siete un banale decoratore, quindi?»
«Un decoratore al servizio di Dio».
«Dubito che Lui sia più esigente dei Borgia».
Al cardinale Rodrigo Borgia quella conversazione tornò in mente mentre osservava attentamente suo figlio, anche se il suo sguardo era già proiettato verso il futuro. Aveva servito la Chiesa cattolica di Roma per trentacinque lunghi anni. Uomo dalle ambizioni smisurate e dotato di una pazienza formidabile, per più di tre decenni era stato apprezzato per le sue capacità amministrative. Aveva assistito ai giochi di potere e alle lotte intestine che si combattevano tra i labirintici corridoi del Vaticano, scoprendo quali cardinali godevano di certi privilegi e quali erano stati scavalcati, e nel frattempo aveva tramato. All’inizio il suo piano non era stato altro che un’idea peregrina, ma dopo trentacinque anni era diventato più concreto dei sanpietrini romani sotto i suoi piedi.
Grazie ai poteri che gli sarebbero stati conferiti una volta ottenuta la corona papale, Rodrigo Borgia si sarebbe assicurato di trasformare radicalmente la Sacra Chiesa Cattolica, perché al momento della morte dell’attuale Santo Padre sarebbe sicuramente stato eletto vescovo di Roma. Suo zio era asceso al trono di Pietro con il nome di Callisto, ragionava, quindi perché non poteva esserci un altro pontefice nella famiglia Borgia? Naturalmente in molti si sarebbero opposti alla sua ascesa, ci sarebbero stati numerosi ostacoli da superare e tanti palmi protesi da incensare, ma pure cardinali che aborrivano l’idea di un papa spagnolo, anche se l’attuale pontefice era di origini greche. Purtroppo, però, Innocenzo viii non versava in buone condizioni, né dal punto di vista fisico né spirituale, e la sua incapacità nel gestire i tesori papali lo aveva costretto a vendere la sua mitra per foraggiare le elemosine il giorno della Domenica delle Palme.
Ma il papa non era ancora morto. Anzi, non sembrava nemmeno avere i giorni contati. E malgrado i suoi trentacinque anni di servizio, Rodrigo sapeva che avrebbe dovuto attendere ancora. Ma dopo così tanto tempo tra le maglie ecclesiastiche, cosa potevano essere un paio di anni in più se alla fine lo avrebbero portato a indossare la tiara papale?
Lanciò un’occhiata al tetto spiovente dall’altra parte del cortile. Cesare aveva fatto un volo di quasi quattro metri. Si sarebbe potuto spezzare una gamba, o l’osso del collo. Il solo pensiero lo fece rabbrividire. Ma forse quell’attesa prolungata era un dono divino, un modo per dargli il tempo necessario per preparare i suoi figli, perché le ambizioni del cardinale spagnolo non si fermavano all’elezione papale. Voleva fondare un impero, un impero costruito attraverso l’attenta creazione di una rete di alleanze e di negoziati politici. E sarebbe stato lui l’uomo che alla fine avrebbe potuto attingere dalle reti da pesca calate in una miriade di stagni disseminati per tutta Italia e che avrebbero costituito il suo personale, e pescosissimo, oceano.
Un uomo con un simile potere aveva bisogno di alleati, e quali alleati migliori dei suoi figli?
Rodrigo sfiorò con delicatezza la ferita sul polpaccio del suo primogenito. Aveva quasi smesso di sanguinare. «Si sta già rimarginando. Tu non sei più un ragazzo, Cesare, e un uomo nasconde sempre i suoi sentimenti. Non fa capire agli altri che è sofferente».
«Anche se sta male?»
«Specialmente quando sta male», rispose suo padre.
Cesare lo guardò con aria di sfida. «Eppure io vi ho visto piangere, e mia madre non vi ha mai rimproverato. Vi ho visto piangere ascoltando la musica…».
Esasperato, il cardinale si lisciò le vesti e adottò un tono più autoritario: «Sono già alcuni mesi che volevo parlarti di una cosa, ma tua madre mi ha sempre chiesto di aspettare. Ora so che è arrivato il momento di farlo. Ho grandi progetti per i miei figli, progetti che non prevedono che il mio primogenito cada da un tetto».
«Stavo cercando di catturare uno dei miei uccelli».
«E sei disposto a rischiare la tua vita per un falco?»
«Se fosse stato Juan, come minimo lo avreste elogiato per il suo coraggio».
«Qua non stiamo parlando di tuo fratello!».
«Immagino che questo vi addolori», replicò Cesare, sostenendo lo sguardo furibondo del padre.
Rodrigo fece un respiro profondo per tenere a freno la rabbia, poi riprese il filo del discorso. «Ora sei abbastanza grande per prepararti a ciò che verrà. Dobbiamo discutere del tuo futuro, del futuro dell’intera famiglia. Del futuro dei Borgia».
Tacque per un momento, dopodiché fece cenno a un figuro rimasto all’ombra del colonnato, un uomo dalla corporatura massiccia e dall’altezza fuori dal comune che avanzò fino a incombere sul cardinale e suo figlio. Miguel de Corella, meglio conosciuto come Michelotto, aveva la sua casa natale in Spagna, anche se un mercenario non aveva fissa dimora e lui aveva girato mezza Europa al soldo del miglior offerente. La sua fama lo precedeva e, a dispetto della stazza, era un soldato dai riflessi fulminei ed era abile tanto con la spada quanto con il pugnale. E se negli ultimi tempi a Rodrigo era anche giunta voce che Michelotto avesse una certa dimestichezza con la garrotta, lui non stentava certo a crederci. Per un sicario, essere capace di squarciare una gola per eseguire un lavoro rapido e silenzioso era impagabile.
Rodrigo lo conosceva da tantissimi anni. Aveva sentito dire che lo spagnolo non era, come sospettavano in tanti, solo uno zotico attaccabrighe, ma il figlio illegittimo di una famiglia aristocratica. Un uomo ben educato, con una profonda fede religiosa e una devozione che rasentava il fanatismo. La convinzione di essere uno strumento al servizio di Dio lo rendeva un combattente feroce. Finché era in vita, Michelotto avrebbe difeso strenuamente la Chiesa Cattolica Romana; con la morte, invece, avrebbe finalmente ottenuto la sua ricompensa ultraterrena. Un cardinale poteva anche ingaggiarlo, un re pagarlo per i suoi servizi e un papa farselo alleato, ma Miguel de Corella si era votato esclusivamente a Dio.
E se un uomo senza paura era un’arma potente, un uomo così fedele alla Chiesa cattolica e al papato poteva essere letale.
Rodrigo aveva garantito la migliore istruzione sia ai due figli maschi che all’unica femmina, Lucrezia. Il terzo figlio maschio, Jofré, era solo un bambino, ma a tempo debito anche lui avrebbe seguito quella che era la tradizione di famiglia. Ciascuno di loro era stato educato e possedeva nozioni di politica, filosofia, arte, astronomia e, naturalmente, religione. Cesare, che aveva frequentato due università e aveva impressionato i suoi tutori, era dotato di una spiccata intelligenza. Tuttavia, se pure imparava in fretta, c’era da dire che si annoiava ancor più rapidamente. Juan, al contrario, era poco attratto dai dibattiti e dallo studio perché il suo unico interesse era l’arte della guerra. Già a dodici anni aveva cominciato ad assillare il padre e le sue guardie armate con un’infinità di domande sulle loro battaglie, struggendosi per conoscere i dettagli e annunciando che un giorno sarebbe diventato un celebre combattente.
Ma quello era un discorso che avrebbero dovuto affrontare in futuro. E, come Rodrigo sapeva bene, prima occorreva pensare al presente se volevano avercelo, un futuro.
«Cesare, ti presento Michelotto, che è venuto a insegnarti l’arte della scherma».
«Guardate che so già come si duella», rispose Cesare con espressione ostile, lanciando uno sguardo di sottecchi allo sconosciuto.
«Bada a come parli!», esclamò il cardinale. «Michelotto d’ora in poi vivrà qui, per farti da maestro e da guardaspalle».
«E perché dovrei averne bisogno?»
«Voglio iniziare a pensare al tuo futuro. E salvaguardarlo».
«Dai cardinali di San Pietro?», chiese Cesare prima di alzarsi dalla panchina e squadrare il mercenario da capo a piedi. «E un solo uomo sarà in grado di farlo? Quest’uomo nello specifico sarà in grado di farlo?»
«È un nostro alleato e un amico di questa famiglia».
«Come fate a esserne così sicuro?», continuò suo figlio con aria combattiva. «Se dite sempre che non possiamo fidarci di nessuno…».
«Lo conosco bene».
«Allora siamo a cavallo», replicò Cesare con sarcasmo.
La tensione tra padre e figlio aleggiava palpabile nella torrida aria estiva e passarono diversi istanti prima che Rodrigo riprendesse la parola.
«La tua gamba sta sanguinando di nuovo. Dovremmo farla medicare», osservò alla fine, alzandosi a sua volta per fronteggiare il ragazzo. «Perché devi sempre contestare la mia autorità? Sei mio figlio…».
«Lui, però», e Cesare indicò lo sconosciuto, «non è vostro figlio, eppure lo state accogliendo nella nostra famiglia. Vorrei sapere per quale motivo. E vorrei capire perché dovrà farmi da balia. Non sono più un bambino».
«Sei il mio bambino. Mio figlio. La mia miniera d’oro». Esaurita la pazienza, Rodrigo afferrò il braccio del quindicenne e indicò la sua gamba. «La ferita ha ripreso a sanguinare. Non dovremmo sottovalutarla o aspettare che si infetti». Poi si chinò e toccò il taglio, sporcandosi di sangue la punta delle dita. Quindi, in una sorta di benedizione, disegnò una croce sulla fronte del suo primogenito. «Il sangue è tutto».
Infastidito, il ragazzo fece per pulirsi.
«No!», esclamò bruscamente suo padre, tenendogli ferma la mano. «Ora mi starai a sentire. E non ti metterai a discutere con me, Cesare. Da questo momento in poi, mi obbedirai e ti fiderai di me, perché io so cosa è meglio per tutti noi». Lo guardò dritto negli occhi. «Il sangue è tutto. Il sangue che ci accomuna, il sangue che, in nome di Dio, potremmo dover versare. Il sangue è vita. E morte».
Quando un pesante nuvolone passò davanti al sole e fece piombare il cortile nella semioscurità, il cardinale Rodrigo Borgia alzò gli occhi al cielo, allarmato. Poi osservò il sangue che gli bagnava le dita e la croce che aveva disegnato sulla fronte di suo figlio ed ebbe un terribile presentimento.
Presagì un futuro dal quale nessuno di loro si sarebbe potuto sottrarre.
Capitolo due
Anche Miguel de Corella, da sotto il colonnato, vide il cielo che si incupiva, ma non se ne curò più di tanto. Quando il cardinale Borgia lo aveva invitato a raggiungerlo in Italia, Michelotto non aveva avuto esitazioni. Il porporato era un uomo abbiente, ambizioso e industrioso, ma soprattutto era uno spagnolo che poteva ambire a diventare papa. E quella, per lui che aveva a cuore soltanto la religione, era una prospettiva che sperava si potesse tramutare in realtà.
La tenuta di Rodrigo Borgia, che comprendeva una grande casa colonica e vari ettari di terra fertile a un giorno di viaggio da Roma, gli era stata donata da suo zio, papa Callisto iii, ed era stata trasformata in uno sfarzoso villino di campagna per il cardinale, la sua amante Vannozza Cattanei e i loro quattro figli. Ossessionato com’era dall’educazione, Rodrigo incoraggiava i figli maschi anche ad andare a caccia, un’attività per la quale lui stesso mostrava una certa predilezione. In Spagna, da giovane, era stato un torero audace e aveva fatto in modo che entrambi i ragazzi ereditassero le sue capacità, anche se tra i due erano più marcate in Cesare. Sempre protetto da un altro paio di toreri, perché suo padre voleva evitare che potesse riportare ferite troppo gravi, il ragazzo affrontava la bestia fissandola negli occhi e sfidandola a caricare. Quando il toro faceva la sua mossa, Cesare inclinava il corpo per evitare di essere travolto, dopodiché affondava una lancia nel dorso dell’animale. A finirlo, in genere con una stoccata alla base del cranio per spezzargli la colonna vertebrale, erano i toreri più esperti, ma poi era l’erede del cardinale a mozzargli le orecchie e a brandirle come trofei. Buon sangue spagnolo non mentiva.
Queste erano cose che Michelotto aveva saputo da altri viaggiatori, altri spagnoli che avevano fatto visita a Rodrigo Borgia e alla sua famiglia e che erano tornati a casa ansiosi di raccontare a tutti delle immense fortune e dei successi del loro connazionale. L’uomo che sarebbe diventato papa.
Eppure, rifletté il mercenario, quel giovane apparentemente coraggioso
, con la faccia imbronciata e la croce disegnata con il sangue sulla fronte, gli sembrava più volubile di una fanciulla. Michelotto ripensò a quando li aveva avuti lui, quindici anni. All’epoca aveva già una corporatura massiccia e le sue prodezze nell’arena delle corride erano sulla bocca di tutta Valencia. Si diceva che fosse in grado di prendere un toro per le corna e abbatterlo a mani nude, ma quelle erano solo chiacchiere, voci con cui la città cercava di trasformare in un eroe l’erede bastardo di una nobile famiglia. Lo stesso bastardo che, per l’appunto quindicenne, era stato così intrepido da andarsene di casa. Negli anni successivi si era avvicinato a chiunque difendesse la Chiesa e, in qualità di mercenario, assassino e avventuriero, aveva combattuto al fianco dei santi. Spietato, inflessibile. Un fanatico.
«Michelotto», lo chiamò Rodrigo quando Cesare rientrò in casa e rimasero da soli. «Venite a sedervi qua con me. Vi è stato offerto qualcosa da mettere sotto i denti?».
L’uomo fece cenno di sì con la testa. «Ho mangiato pane e formaggio».
«Un pasto da contadini! Qua abbiamo selvaggina, carne bianca e vino». Il cardinale gli diede una pacca sulla spalla. «Non siete diventato il grand’uomo che ho davanti agli occhi mangiando solo pane e formaggio. Le porte di casa mia vi sono state aperte, quindi potete scegliere e chiedere quello che volete. Avete capito?»
«Forse».
Rodrigo si mise a ridere. «Ah già, mi ricordo della vostra ritrosia! Voi non siete uno che parla tanto per parlare, come molti altri uomini, e questo mi piace», continuò prima di aggiustarsi lo zucchetto rosso sangue sui folti capelli scuri. «Come vi stavo accennando prima, ho bisogno di un guardaspalle per la mia famiglia. Non abbiamo mai ricevuto minacce dirette, ma i miei figli hanno raggiunto quell’età in cui ogni giovane tende a ribellarsi al proprio padre. Juan si azzuffa spesso, incline com’è a offendersi e a reagire anche quando non viene insultato in modo intenzionale. Vorrei che lo sorvegliaste».
«E Cesare?»
«Chissà cosa gli passa per la testa. Un attimo si comporta come un soldato, quello dopo è più mite di un monaco», rispose il cardinale con un’alzata di spalle. «Devo essere onesto con voi, Michelotto, perché tra noi non devono esserci segreti. Cesare vi porterà rancore e vi ostacolerà nel vostro lavoro, ma io vi concedo piena libertà d’azione con lui, purché riusciate a imbrigliarlo».
Anche se il mercenario rimase impassibile, quell’ultima parola lo colse di sorpresa. Malgrado i modi accoglienti e gioviali, Rodrigo Borgia celava un lato più subdolo. Tale dualismo, comunque, non lo meravigliava; era stato al servizio di duchi e monarchi e aveva imparato a conoscere il fascino sinistro di molti di loro. L’ambizione faceva irrancidire la bontà, e in quella fossa dei serpenti che era il Vaticano la debolezza veniva premiata con la distruzione, l’imparzialità con l’esilio e la sincerità con una pugnalata alle spalle.
«Quanto alle mie ambizioni», proseguì Rodrigo, «non è un segreto che ambisco alla corona papale, nonché alla gloria della Chiesa cattolica. Papa Innocenzo viii sta favorendo le persone sbagliate, per le ragioni sbagliate, e nel contempo dilapida i forzieri papali».
Come sperato, Michelotto si lasciò avvincere dalle sue parole. Era risaputo che il pontefice stava sperperando le risorse della Curia e pianificando crociate che non si materializzavano mai, e le tante voci sull’irresponsabilità del papa si erano diffuse non solo in tutta la penisola italica, ma anche oltre i confini.
«Vende titoli e baratta privilegi», aggiunse il cardinale. «Ma è forse questo lo scopo per cui è stata creata la Chiesa?»
«Questo pontefice non è certo stato il primo».
«Ah, ciò che dite è senz’altro vero», confermò Rodrigo, non sapendo se le parole di Michelotto nascondessero un tranello. Forse doveva tenere a mente che il mercenario non era soltanto impavido, ma anche astuto. Per un attimo si domandò se non fosse stato un errore accogliere lo spagnolo in casa sua, ma alla fine concluse dicendo: «Credo che riformare la Chiesa cattolica sia il mio destino, la mia missione, e vorrei avere al mio fianco un uomo di cui potermi fidare».
«È questo ciò che volete da me?»
«Sì, e vi chiedo assoluta lealtà», rispose il cardinale, fissando il connazionale con i suoi occhi penetranti. «Voi siete un mercenario e un assassino, ma prima di tutto siete un credente, un uomo fedele a Dio. Vorrei che vi metteste al servizio della Madre Chiesa. E con questo intendo al servizio di coloro che sostengono e rispettano la sacralità della Chiesa cattolica. Quando sarò eletto papa», e a quel punto si sporse verso Michelotto, e le ombre scure dei due uomini si allungarono sul selciato slavato davanti a loro, «perché il prossimo papa sarò io, avrò bisogno di un uomo pronto a morire per quello in cui crede».
«Già sapete che è così».
Rodrigo annuì. «Infatti lo so… ma adesso devo pensare anche all’educazione dei miei figli. I maschi litigano spesso, sono così diversi, e non sembrano avere un forte legame affettivo. Questo è per colpa mia e per colpa della madre;