Il tacchino
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Il tacchino rappresenta la più alta espressione artistica di Mrozek, autore polacco di nascita, ma europeo di elezione e cultura. I protagonisti sono alla ricerca disperata di qualcosa che incuta loro coraggio e speranza. Arte? Affetti? Routine? Uno dopo l’altro, vengono scartati tutti. “Scappare? Anche se si volesse non si saprebbe dove, le strade sono pessime, tutt’intorno un vero deserto”, dice il poeta. Contro questa abulia si difende Rodolfo, un giovane che, per amore, rapisce la ragazza scelta del duca per moglie. L’autore fa riferimento al marasma della vita nella Polonia staliniana (il testo è del 1960). Ma i riferimenti al “contemporaneo” non sono poi così difficili da individuare. In questo contesto, tragico e assurdo insieme, anche un tacchino, pur così regale, così sicuro dei propri successi, apprestandosi ad atti amorosi con belle ed opulenti galline, ne perde improvvisamente la voglia e abbandona il campo disgustato. “Ecco dove si cela il dramma, l’apatia, la ribellione contro la routine... Marasma e stasi. Mancanza di idee. Mancanza di una concezione generale, ecco cos’è”.
Critica serrata e spietata di molteplici aspetti della vita in una democrazia popolare, come quando l’autore fa dire: “ognuno serve il duca come meglio può. Il contadino semina i campi, altri costruisce le strade e altri ancora fa la spia”. O quando fa dire al poeta: “Io continuo ad essere come la nave senza vele. Senza scopo, senza senso”. E respinge ogni speranza che la vita e le sue leggi elementari: amore, amicizia, lavoro, possano smuoverlo dalla stasi, dall’indifferenza.
Atto di accusa contro il regime staliniano dell’epoca, sicuramente, ma non è mai troppo tardi, in qualsiasi momento storico, per bollare le ingiustizie, ridicolizzare assurdità purtroppo ben radicate, ammonire contro i pericoli di una sterilizzazione psichica sempre incombente.
Sławomir Mrożek è stato uno scrittore e drammaturgo polacco; ha fatto parte del partito polacco “lavoratori uniti” durante il regime stalinista nella Repubblica Popolare Polacca ed ha lavorato tutta la vita come giornalista politico.
Alla fine degli anni cinquanta, Mrożek esordisce come scrittore. Emigra prima in Francia e poi in Messico. Dopo 33 anni da esule per il mondo torna in Polonia alla fine degli anni ‘90 e si stabilisce a Cracovia.
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Anteprima del libro
Il tacchino - Slawomir Mrozek
Sławomir Mrożek
IL TACCHINO
Farsa in due atti
Teatro
KKIEN Publishing International
info@kkienpublishing.it
www.kkienpublishing.it
Prima edizione digitale: 2018
Ed. Originale: Indisk, 1960
Traduzione di Livia Jarulsky
ISBN 9788833260327
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Table Of Contents
ATTO PRIMO
ATTO SECONDO
Personaggi
Laura
Rodolfo
Il Poeta
Il Capitano
Il Duca
L’Eremita
Il Dormiente
Il primo contadino
Il secondo contadino
Il terzo contadino
L’azione si svolge nell’epoca romantica sul territorio del principato.
ATTO PRIMO
L’azione si svolgerà su due livelli. Il primo è costituito dal pavimento della scena, l’altro è una specie di balconcino con balaustra. I due livelli sono collegati da una scala. Sarebbe opportuno che la scala fosse situata in modo da essere vista di fianco. Il balconcino poggia su due pilastri, dietro i quali, sullo sfondo, al di sotto del balconcino s’intravede una grande porta d’ingresso. Una porta più piccola porta dal balconcino al piano superiore. Sul balconcino, in fondo, sotto la parete, ci sono due sedie. Nessuna finestra. Il tutto è racchiuso lateralmente da superfici lisce — pareti, e al di sopra, dal soffitto. Sul pianterreno ci sono tre tavoli con sgabelli. Tre contadini, una specie di coro, stanno seduti dietro il tavolo nel fondo, in fila, guardando al pubblico. Ciascuno ha davanti a sé una brocca di peltro. All’altro tavolo, il più vicino al proscenio è seduto il Poeta. Al terzo, anche questo nel fondo, di profilo, appoggiato al tavolo, è semicoricato e dorme il Dormiente. Non si vedrà né il suo volto, né il colore dei capelli, perché porta in testa un largo copricapo. Si tratterà meramente della sua presenza. Davanti al Poeta, sparpagliati, libri, fogli e manoscritti. Ogni tanto, pigramente, il Poeta prende un foglio, lo strappa e lo butta per terra, prende un libro, sfoglia alcune pagine, getta il libro dietro le spalle con aria di ribrezzo, prende di nuovo un foglio, lo strappa, sbadiglia, legge qualcosa. I contadini sono immobili, dignitosi: salvo nell’ultima scena, non fanno gesti. E neppure fanno attenzione a ciò che si svolge sulla scena.
Da dietro la porta sul balconcino qualcuno suona il violino con grandi stonature, A destra (guardando parte della platea), sotto la parete un’altra sedia ancora. Il balconcino dovrebbe essere funzionale al massimo (per facilitare i contatti tra gli attori nei due livelli e per permettere la migliore visibilità dell’insieme dell’azione, sul balcone e al pianterreno ecc. ). Pure la scala dovrebbe consentire di vedere ogni azione che vi si svolge. L’insieme costituisce l’interno di un’osteria. Ci si potrebbe imprimere il carattere un po’ fantastico, con molta delicatezza però, allungando, per esempio, tutti gli oggetti e tutte le prospettive. Siccome il contenuto stesso della commedia abbonda di molti elementi di parodia e di semplificazione, sarebbe forse meglio evitare (malgrado il sottotitolo della commedia) di fare la sceneggiatura farsesca, eccessivamente «leggera» e grottesca.
S’alza il sipario. Il Poeta si comporta come già detto, poi si odono le scale del violino. Ciò dura un bel po’. Improvvisamente qualcuno dà calci alla porta d’ingresso. La porta si spalanca, entra Rodolfo portando in braccio Laura svenuta. Rodolfo veste un’ampia mantella rossa da dentro, nera da fuori.
RODOLFO (fermandosi nei pressi della porta) Dell’acqua! Presto!
POETA (a se stesso, indifferente all’improvvisa intrusione) Piove da due settimane...
RODOLFO Come è pallida!
POETA Tutto intorno è grigio... Pioviggina... Non si scorge neppure l’orizzonte.
RODOLFO I suoi occhi son chiusi. Il seno si muove appena... Laura!
POETA Odiosa umidità.
RODOLFO Laura, mi senti?
POETA Un giorno dopo l’altro, tutti uguali...
RODOLFO (disperato) Non mi sente! (Corre verso il centro della scena, sempre con Laura in braccio) Chiunque tu sia, aiutami!
POETA La metta sul tavolo. Non posso far altro.
Rodolfo s’avvicina al tavolo del Poeta. Vi depone Laura. Il Poeta spinge all’indietro la propria sedia e continua a divagare.
RODOLFO Non c’è un medico qui?
POETA Ce n’è stato uno, di passaggio, ma s’è sparato la settimana scorsa.
RODOLFO (disperato) È certo che sia morto?
POETA Quanto mai. Certissimo.
RODOLFO (disperato) Perché? Dio mio, perché?
POETA Perché s’è sparato.
RODOLFO Forse un infermiere?
POETA È morto. Morto pure lui.
RODOLFO Un guaritore.
POETA No.
RODOLFO No, che cosa? Morto pure lui?
POETA No! Non c’è un guaritore.
RODOLFO Oste! Chiamate l’oste!
POETA Qui non c’è l’oste.
RODOLFO È morto?
POETA Non si sa.
RODOLFO E lei?
POETA Io sono vivo.
RODOLFO Sia ringraziato il Signore!
POETA Non c’è di che.
RODOLFO (indicando i contadini) E quelli chi sono?
POETA Contadini del luogo.
RODOLFO E l’altro?
Il Dormiente russa.
POETA Un cafone. Un pellegrino, uno sconosciuto, uno straniero, qualcuno. E poi non ne