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Se solo ci fossi tu
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E-book393 pagine5 ore

Se solo ci fossi tu

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Info su questo ebook

Luca è un uomo brillante e, a più di quaranta anni, si sente felice dell’esistenza piena e appagante che si è costruito: ha un buon lavoro e una vita che scorre tra feste, serate in discoteca e incontri appassionati con un’amica-amante. Allora perché, quando è solo, alla sera, piomba nel suo silenzio e scrive poesie piene di sofferenza e mancanza su un taccuino strappato? Un giorno comunque la sua carriera ha una svolta imprevista: invece della promozione che si aspettava, viene trasferito in una società minore nella periferia di Roma. Qui stringe amicizia con Amedeo, un uomo molto diverso da lui, che gli fa conoscere il suo mondo e un modo nuovo di affrontare la vita. Luca scopre una realtà diversa, fatta di piccole cose e popolata di persone che hanno una furiosa voglia di vivere appieno la vita, malgrado le tempeste che hanno dovuto affrontare. Ma il vuoto che sente dentro lo aspetta appena oltre il confine dei suoi pensieri e questi cambiamenti non fanno altro che aiutarlo a venire a galla. Quanto ancora riuscirà a fingere che questo vuoto non esista? Quanto ancora potrà sfuggirgli prima di doverlo affrontare veramente?
LinguaItaliano
Data di uscita12 ott 2023
ISBN9791222458915
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    Anteprima del libro

    Se solo ci fossi tu - Emanuele Cruciani

    Capitolo 1

    Quanto tempo sia passato dall’ultima volta che si è sentito felice, Luca non saprebbe dirlo.

    La felicità, quella vera, per lui è stata sempre una cosa sfuggevole, provvisoria. La vita è stata sempre come un grande oceano di solitudine e dispiaceri inframezzato da piccole isole di felicità.

    Eppure quella felicità lui l’ha provata realmente, tangibile, intensa.

    C’è stato un tempo in cui l’ha assaporata, vissuta, in cui si è inebriato del suo gusto e del suo profumo al punto di credere, anche solo per un attimo, che sarebbe potuta durare, se non per sempre, almeno per un po’.

    Ma da quell’ultima volta, non sa quantificare il tempo che è passato. Non riesce più a collocarla con precisione sulla linea temporale dei suoi ricordi. Gli sembra solo tanto lontana, appartenente a un’altra vita ormai perduta, svanita tra le nebbie del mondo e dell’esistenza.

    Dopo a Luca è sembrato soltanto di navigare in un infinito mare piatto, sotto un cielo grigio che promette perennemente tempesta, al cui orizzonte non si vede alcuna terraferma, ma soltanto altro cielo e altro inesauribile mare.

    Questo pensiero attraversa la sua mente, ma soltanto per un attimo.

    Come una nuvola che passa nel cielo sereno di una giornata d’estate davanti al sole e lo oscura con il suo sottile velo solo per il tempo necessario al vento per portarla via, così il pensiero della sua passata felicità rabbuia il suo animo per un fugace momento, lungo soltanto un battito della musica in cui è immerso. Musica che viene sparata a volume assordante da alte casse disseminate nella grande sala, in cui una piccola moltitudine di persone salta e balla intorno a lui.

    Musica da cui Luca si è isolato per un brevissimo attimo e che ora gli inonda le orecchie e il cervello con la forza di una mareggiata sugli scogli durante una tempesta. Si lascia colpire, apre le porte della propria anima e permette alle note e al loro ritmo feroce di entrare e dilagargli dentro.

    Spalanca gli occhi e li riempie delle luci lampeggianti e multicolori che volano nell’aria, roteando velocemente in un turbine che sovrasta le persone dentro la discoteca e a cui sono protese una selva di mani come rami di fitti alberi verso il sole. Allora butta anche lui le mani al cielo e salta unendosi al groviglio indistinto di corpi che lo circonda da ogni parte.

    L’intera discoteca sembra sobbalzare al ritmo delle luci vorticose e della musica che batte forsennata e Luca si lascia trasportare dal flusso e riflusso della piccola marea umana intorno a lui in modo che ogni pensiero scivoli via lontano e si disperda nel frastuono e nella confusione di corpi che ballano senza sosta né esitazioni.

    Segue il ritmo facendosi attraversare senza fare resistenza. Non è importante la musica, non è importante la melodia. Gli basta sentire i battiti che gli colpiscono la pancia, che gli echeggiano dentro insieme al turbinio di colori pulsanti, nel suo spazio vuoto, rapidi, ipnotici, totalizzanti.

    E in quei battiti si perde, come in un’antica danza estatica in cui ci si annulla per raggiungere l’infinito.

    Si perde in un nuovo fluire del tempo, in una nuova forma di felicità, fatta di energia vibrante, di volti sorridenti e corpi che si muovono trascinati dalla vita che impregna l’aria e che li riempie tutti, in abbondanza.

    Luca rimane così, sospeso in quel frammento di infinito, per un tempo indefinito, cullandosi da solo nella sua spensierata, tangibile felicità fino a che smette di sentire la musica, smette di sentire il ritmo, il caldo, gli odori, il sudore, i corpi che gli sono attorno.

    Smette di sentire tutto.

    Estraneo a ogni cosa, estraneo al mondo. E a se stesso.

    Ma come sempre accade in momenti del genere, a un certo punto Luca si accorge che, per quanto possa essere indefinito, il tempo per gli esseri umani è comunque una quantità finita, per gli esseri umani l’infinito ha in ogni caso un termine.

    E il suo infinito svanisce nel momento in cui ricomincia a sentire la musica e il battito dei bassi dentro lo stomaco e il caldo e poi le luci vorticanti e i corpi che formano una marea tumultuosa in costante movimento intorno a lui.

    Il mondo torna ad avere un contorno, una forma, un colore. E anche il suo corpo. Che gli ricorda tutto insieme chi è e cosa sta facendo. Sente nuovamente il fiatone, il sudore che gli scende lungo la schiena e le gambe, il vago dolore che ha alle ginocchia e alle spalle a furia di saltare con le braccia alzate sopra la testa.

    E sente che ha bisogno di qualcosa da bere.

    «Peccato che l’infinito finisca così presto» mormora tra sé.

    Poi scrolla lievemente le spalle e si guarda intorno per individuare dove sia il bancone del bar. Conosce molto bene quella discoteca, ma spesso sperimentare quel frammento di infinito lo lascia vagamente disorientato e quindi ha bisogno di qualche attimo per capire nuovamente dove sia la sua collocazione sulla terra. E dove il bar si collochi rispetto a lui.

    Una volta ridisegnata mentalmente la geografia del suo mondo, fa un cenno al ragazzo che è accanto a lui per comunicargli senza parole che andrà a prendere qualcosa da bere. Lui, preso dal momento e dalla musica, gli risponde appena con un gesto con la mano.

    Luca si fa largo tra la folla lentamente, cercando di assecondare i movimenti e le onde delle persone che ballano ed evitando i loro gomiti e i loro bicchieri.

    Quando arriva al bancone del bar, in uno degli angoli della discoteca, defilato rispetto al suo centro pulsante, si accorge di avere più fiatone di quello che aveva mentre ballava. Ignora l’improvvisa vampata di stanchezza e si sporge verso il barman per attirare la sua attenzione.

    Dopo qualche secondo, il ragazzo dietro il bancone si gira verso di lui e lo nota. Mentre lo guarda avvicinarsi, Luca sfila un grosso gettone di plastica giallo fluorescente dalla tasca, lo appoggia sul piano di legno lucido e lo allunga verso di lui. Il ragazzo, con un gesto esperto, lo fa scivolare sotto il bancone e si sporge a sua volta verso Luca.

    «Che ti servo?» gli grida.

    In realtà Luca non lo sente davvero. La musica è troppo alta e lui troppo stordito dalla confusione per percepire veramente qualche suono che non siano le note della canzone che sta suonando in quel momento. Ma non ne ha bisogno, lo capisce lo stesso.

    «Un gin tonic» gli risponde urlando a sua volta. Non tanto perché pensi di sovrastare la musica, ma perché spera che un granello della sua frase arrivi al ragazzo, in modo da fargli almeno intuire quello che sta dicendo.

    «Con molto gin» aggiunge. Ma si rende conto che l’ha detto più a se stesso che al ragazzo, il quale ha annuito con un rapido gesto del capo e, per preparargli il cocktail, si è subito voltato verso la parete alle sue spalle dove sono posizionate file e file di bottiglie di alcolici che riflettono le luci della grande sala proiettando uno studiato gioco di colori sulla parete chiara che fa da sfondo all’angolo bar della discoteca.

    Luca resta a osservare le mani del ragazzo che roteano agili tra tumbler, bottiglie e il grosso contenitore dei cubetti di ghiaccio. Volano nell’aria satura di gioiosa vita, in una specie di ballo rituale che, però, si concretizza in un risultato molto profano.

    Il ragazzo, assorto da questa danza fatta di gesti consolidati che lui esegue con eleganza e consumata esperienza, ha un’espressione che Luca non sa decifrare. Se da un lato sembra rapito da un’euforica estasi, similmente a come sarebbe stato nell’antichità un vero danzatore sacro che ballava per il proprio dio pagano, con i suoi movimenti ampi e teatrali e le labbra incurvate in un sorriso compiaciuto per la sicurezza di ricevere la compiacenza ultraterrena, dall’altra negli occhi c’è anche qualcosa di profondamente diverso. In quegli occhi c’è il vuoto, la noia, l’assuefazione alla ripetitività. Luca immagina che quel ragazzo abbia fatto quei gesti, quei movimenti così tante volte da non dover più neanche pensare a quello che sta facendo, così tante da essere diventato un automatismo meccanico e nulla più.

    Altro che estasi, altro che danza rituale.

    Le mani del ragazzo stanno solo ripercorrendo un percorso predeterminato, un tracciato già segnato e scavato nell’abitudine e nella ripetizione infinita.

    E quel sorriso che lui vede dipinto nel volto del ragazzo non è soddisfazione, compiacimento, ma un dissimulato segnale che la sua mente è da un’altra parte. O forse una maschera imposta dal momento e dalle convenzioni per non disturbare l’allegria dei clienti della discoteca.

    O forse ancora soltanto una sua complicata fantasia, una speculazione basata su supposizioni inutili. E, probabilmente, sbagliate.

    Quando il ragazzo del bar spinge verso di lui il bicchiere pieno, Luca spinge fuori dalla mente i suoi pensieri, oramai superflui davanti a un cocktail appena preparato, e lo ringrazia con un cenno del capo volutamente accentuato.

    Luca si gira appoggiandosi con la schiena sul bancone, porta la cannuccia alla bocca e tira forte un grosso sorso.

    Mentre assapora il sapore pungente del ginepro e delle erbe mescolato all’amarezza della tonica, si ferma a contemplare la marea umana in cui fino a poco prima era immerso e che non ha smesso neanche un secondo di ballare e di saltare, instancabile.

    Il bar è leggermente più in alto rispetto alla pista. Giusto un paio di gradini. Ma sufficienti per permettergli di osservare da una posizione privilegiata la folla ondeggiante.

    In effetti a Luca sembra realmente una piccola marea, con i suoi flussi e reflussi, le correnti, le risacche. Una piccola marea di corpi, di braccia, di mani. Di vita vibrante.

    È esattamente per quello che è lì.

    Per sentire la vita.

    Per farlo ancora e ancora.

    Per afferrarla, gustarla, morderla. E non farla scivolare via.

    Invano.

    Tra le onde intravede i volti dei suoi amici e delle sue amiche.

    Volti sorridenti, spensierati, freschi malgrado il caldo e la calca, giovani, pieni di energia. E di futuro.

    È così chiara la differenza con il suo di viso, con le prime rughe sulla fronte e sempre una sfumatura di nero sotto gli occhi, con la barba che inizia a essere brizzolata e con un vago grigio che si affaccia sulle tempie.

    Eppure quella differenza non è un problema, non è una distanza, una barriera, non per lui. È un modo per stare in compagnia senza seccature, senza complicazioni, senza le domande e le pesantezze che si portano irrimediabilmente dietro molte delle persone della sua età che ha conosciuto e che conosce ancora.

    Stare in compagnia e passare del tempo speso bene. E vivere questa vita che fugge veloce, lontano.

    Solo quello è importante.

    Vivere e stare nel momento. Senza zavorre dal passato, senza pensieri verso il futuro.

    Stare e basta, esistere in un perpetuo presente, accogliendo lo scorrere della vita e modellandola in modo da non sprecarne nemmeno un secondo.

    E un secondo felice non è un secondo sprecato.

    Quindi lui vuole esserlo in quanti più secondi possibile, per non dover dire, alla fine, di aver perso tempo dietro affanni inutili, di non avere vissuto.

    Per questo motivo è così bello per lui uscire con i suoi giovani amici, frequentarli, andare insieme a ballare fino al mattino in discoteca, fare insieme interminabili aperitivi in posti sempre diversi e sempre più particolari, partecipare insieme a feste nei posti più disparati.

    Luca prende un altro lungo sorso del suo gin tonic e lo sente, fresco e saporito, scendergli lungo la gola e donargli nuova energia per buttarsi di nuovo tra le onde della marea ribollente di corpi che balla al centro della grande sala, a soli due gradini di distanza da lui.

    E lo farebbe, finendo con un’ultima sorsata quello che è rimasto del cocktail, se non fosse che sente il suo cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni.

    Lo sente a malapena e solo perché ha infilato il pollice della mano libera nell’incavo della tasca mentre con l’altra tiene il bicchiere vicino alla faccia per terminare in fretta di bere.

    Con una leggera torsione del tronco e allungando un po’ il braccio, lascia il bicchiere sul piano lucido del bancone e tira fuori cautamente il cellulare dalla tasca.

    Nel tempo in cui si è fermato al bar, nella discoteca sono entrate altre persone e la sala è diventata così tanto piena che il mare danzante lo ha praticamente raggiunto e lo ingloberà presto.

    Tenendolo vicino al corpo, quasi come per proteggerlo dalla massa di corpi che ormai incombe su di lui, lo porta vicino al viso, così da vedere chi gli ha scritto.

    Con un rapido movimento del pollice sblocca lo schermo e tocca la notifica che è apparsa sopra.

    C’è un messaggio. Il suo volto si increspa in un sorriso appena abbozzato.

    È di Giulia.

    Sono passati molti giorni dall’ultima volta che l’ha sentita e non ne ha sentito la mancanza. Non ne sente mai. Ogni tanto, semplicemente, ha il desiderio di vederla.

    Tra loro funziona così, non c’è bisogno di vedersi, sentirsi, frequentarsi spesso. È bello incontrarsi, passare il tempo insieme, condividere le notti e il piacere, ma solo una volta ogni tanto.

    A volte vanno a cena insieme e provano ogni volta un ristorante differente. Non è importante quale tipo di cucina faccia né che tipo di recensioni abbia. Quello che conta è scoprire qualcosa di nuovo, di insolito, qualcosa degno di essere ricordato e raccontato il giorno dopo ai colleghi al lavoro. Guardare poi nei loro occhi lo stupore, la curiosità e, a volte, la sottile invidia che questi racconti suscitano in loro. E provare per questo una nascosta soddisfazione.

    A volte vanno al cinema a vedere film d’azione, soprattutto quelli in cui al protagonista uccidono la moglie o la figlia o la sorella o un qualsiasi altro appartenente alla sua linea di sangue e poi lui, accecato dal sacro fuoco dell’ira, imbraccia le armi e uccide tutte le persone coinvolte in quell’omicidio, brutalmente, una per una. Un copione che si ripete con leggere variazioni sul tema, ma sempre uguale, come si ripete uguale ma con leggere differenze quello dei loro incontri.

    Luca va a prenderla a casa e lei lo fa aspettare sotto il portone solo qualche minuto. Si presenta splendida, sempre con la gonna corta e il viso sorridente, e lui le bacia la mano e le dice senza mezzi termini quanto la trovi meravigliosa. Le apre la portiera e, dopo che lei è salita, parte a grande velocità verso la loro meta. Vanno al cinema o al ristorante o a tutti e due e dopo, senza eccezioni, salgono a casa di Giulia e passano la notte insieme.

    Altre volte ancora, invece, si messaggiano e basta. Ma la serata si conclude in ogni caso sempre nella stessa maniera.

    Questa sera, evidentemente, è una di quelle altre volte.

    Che fai? dice il messaggio di Giulia.

    Sono in giro le risponde con un rapido battito di pollici.

    Un altro messaggio non si fa attendere.

    Sono a casa. Sola.

    Come mai? Luca scrive quelle poche parole con la testa leggermente piegata su un lato.

    Sono andata al pub con le amiche, ma siamo tornate presto. Vieni?

    Il sorriso di Luca si allarga.

    Arrivo.

    Con la stessa cautela con cui lo aveva estratto, mette di nuovo il cellulare in tasca e inizia a cercare i volti dei suoi amici immersi nella massa di corpi che ormai è arrivata a meno della distanza di un braccio da lui. Non gli piace l’idea di andare via senza avvertirli.

    Uno dei suoi amici, lo stesso a cui ha detto che sarebbe andato a prendere qualcosa da bere, emerge dal mare di corpi, probabilmente anche lui interessato ai cocktail del bar.

    Luca coglie l’occasione, gli va incontro e si sporge fino al suo orecchio.

    «Io vado!» urla.

    E sorprendentemente il suo amico lo capisce al primo tentativo.

    «Perché?» il suo amico lo guarda con un’aria che è a metà tra lo stupore e la noncuranza.

    «Ho da fare!»

    Il ragazzo socchiude gli occhi e la bocca in un’espressione maliziosa, ma appena accennata.

    «Stasera si conclude?»

    «Penso proprio di sì» gli risponde Luca, divertito.

    Negli occhi appannati del ragazzo emerge una scintilla di eccitazione.

    «E andiamo, bro. Spaccala» gli dice mentre gli dà una plateale pacca sulla spalla.

    Luca immaginava di fare una conversazione più complessa. Nei limiti del possibile, considerata la quasi impossibilità di sentirsi dentro la discoteca, ma di sicuro composta da più di quelle quattro parole che si sono scambiati.

    Ma con i suoi amici va così, la comunicazione passa attraverso altri canali, attraverso i gesti, le occhiate, i video buffi. Anche se a volte si trova spiazzato, a lui sta bene.

    Luca si apre la strada tra la folla sempre più numerosa, un po’ assecondandone le oscillazioni, un po’ opponendosi alle sue spinte, come una nave che segue il vento ma spezza con la prua le onde durante una tempesta in mare aperto, fino ad arrivare al guardaroba accanto all’uscita.

    Si avvicina alla ragazza che siede dietro un basso muretto all’interno del piccolo stanzino che è stato adibito a guardaroba e nel quale, su lunghi tubi di alluminio allineati, sono appese piuttosto disordinatamente una moltitudine di stampelle in plastica leggera che tengono altrettanti abiti di tutti i colori. È seduta scomposta su una piccola sediola che sembra scomodissima e ha lo sguardo fisso e perso nel vuoto che le dà un’aria stremata e piuttosto seccata. Le porge una piccola piastrina con sopra inciso un numero che ha tenuto in tasca insieme al grosso gettone che ha usato per prendersi da bere e lei, dopo essersi ridestata dal suo torpore annoiato, sparisce dietro la fila di vestiti più lontana.

    La ragazza del guardaroba torna dopo molti minuti con la giacca di Luca e gliela porge. Luca controlla che sia veramente la sua, poi saluta la guardarobiera senza però ricevere in cambio alcuna risposta e si avvia verso l’uscita.

    Schiva altre persone che stanno entrando, supera lo sbarramento di buttafuori salutando anche loro con un ampio movimento della mano come fa di solito ed esce all’aperto.

    L’aria della sera è fresca e Luca apprezza il vento leggero che gli soffia addosso e sul viso. Sente ancora la musica che, seppur attutita, trapela da dentro e gli sembra che sia ancora perfettamente distinguibile anche dall’esterno. Ma non sa se la stia sentendo veramente o se sia l’eco che gli è rimasto dentro e che porterà fluttuante nella testa per tutto il resto della serata, fino a che andrà a dormire. E in realtà non gli interessa saperlo per davvero. Gli basta sentire ancora quel ritmo che ormai si è sincronizzato con il tempo dei suoi passi. E quello dei battiti del suo cuore.

    Segue la lunga processione di automobili parcheggiate strette lungo il ciglio della strada che gira intorno al Monte dei Cocci, raggiuge una piccola scala che attraversa una lingua d’erba ricoperta dall’umidità della notte e che porta a un grande viale con in mezzo un filare di alberi con sotto molte auto parcheggiate. Attraversa a passo veloce le due carreggiate e si infila in una via laterale, seguendo il muro merlato del Cimitero Acattolico. In un periodo che gli sembra appartenente a un’altra vita o al passato di un’altra persona, gli era piaciuto passeggiare tra le lapidi e i monumenti funebri di Keats, Shelley e degli altri poeti meno conosciuti che vi sono sepolti e immaginare come sarebbe stato parlare con loro di poesia, del mondo e di come era diventato. Ma anche quella vita è avvolta della nebbia dei ricordi lontani e non sente alcun bisogno di lasciarla riemergere.

    A circa metà della via, intravede la sua auto e, mentre si avvicina, cerca le chiavi nella tasca della giacca e, già da svariati metri di distanza, toglie l’antifurto, illuminando con tre rapidi lampi gialli il lungo muro di cinta e i bassi capannoni che gli stanno di fronte, sull’altro lato della strada.

    Apre la portiera e, con un unico fluido movimento, sale in auto e la mette in moto. Subito accende la radio e la sintonizza sulla stazione che trasmette musica house tutta la notte. Il ritmo della nuova musica in pochi secondi si sostituisce a quello che gli batte dentro la testa e le viscere. Il suo corpo impiega qualche secondo ad adeguarsi, ma poi i battiti, quelli fuori e quelli dentro di lui, prendono tutti lo stesso tempo e la sua esistenza riprende a scorrere fluida e scorrevole come fluida e scorrevole è la sua guida. Con poche agili manovre, Luca si libera dall’incastro con le altre auto e si lancia nella matassa di strade di Roma a velocità spedita.

    Passa nella strada ondulata tra Porta San Paolo e la Piramide Cestia, illuminate entrambe dal basso da caldi fari gialli che le fanno spiccare nelle ombre della notte. Forse è l’eccitazione, forse il gin. A Luca sembra di guardare la scena di un film monumentale del passato o quella di un sogno vivido e colorato. E di attraversarlo sentendosi anche lui parte di quello scenario, di quell’ambientazione eterna e magnifica. Con sotto, come colonna sonora, il solito battito nelle casse dell’auto e nelle sue orecchie.

    Raggiunge Ostia e si districa tra le vie più interne, e trova fortunosamente uno spazio libero per parcheggiare. Pensa che tutto sta andando come deve andare.

    Arriva alla palazzina in cui vive Giulia, citofona e il portone si apre quasi all’istante.

    Luca sale le due rampe di scale deciso, ma senza fretta, gustandosi i momenti che precedono il piacere e l’idea che Giulia passi quegli stessi momenti ad aspettarlo, lì dietro la porta di casa sua.

    Arriva sul pianerottolo e fa per suonare il campanello. Poi aspetta, per protrarre ancora per qualche attimo l’attesa sempre più ardente.

    Giulia ha capito molto bene il suo gioco e aspetta a sua volta prima di aprirgli la porta.

    Poi i loro sguardi si incrociano.

    Luca sembra aver lasciato lungo la strada la stanchezza, lo stordimento, il sudore. È piantato sulle gambe e sorride sicuro e malizioso. Giulia ha una vestaglia leggera tra le cui pieghe si intravede la pelle liscia e curata. E ha un profumo speziato che invade la mente di Luca spazzando via la musica che fino a un secondo prima gli ha pulsato dentro, sostituendola con un altro furioso battito.

    Entrambi si sono preparati a recitare quel loro copione che anche quella notte si ripeterà sempre così deliziosamente uguale a se stesso. In quel momento il sipario si alza e a loro non resta che iniziare.

    «Sei meravigliosa» le dice Luca guardandola tutta e prendendole una mano per baciarla.

    «Ci hai messo una vita ad arrivare» gli risponde lei, sussurrando.

    «Ma ora sono qui. Mi fai entrare?»

    Giulia fa un passo indietro, trattenendo nella sua la mano di Luca, tirandolo a sé. Lui asseconda il suo movimento ed entra.

    La porta si chiude.

    Lo spettacolo inizia.

    E loro lo portano avanti, con desiderio, fino alla fine.

    Il nuovo sole fa calare definitivamente il sipario sul loro incontro. E sul loro fugace amore.

    Insieme al suo tiepido calore e al vento che agita il mare contro la spiaggia, porta un nuovo giorno e un altro copione da recitare. Quello della distanza.

    Colpito dalla luce che proviene dalla finestra della camera da letto con le imposte troppo poco accostate, Luca si sveglia controvoglia.

    Il suo primo impulso è quello di girarsi dall’altro lato e continuare a dormire. Dopo qualche secondo, però, si ricorda che quel letto non è il suo.

    Allora si alza e indugia qualche attimo seduto sul bordo fissando il vuoto.

    Si mette in piedi lentamente, cercando di non svegliare Giulia. Poi si gira a osservarla. Dorme. Nella stessa posizione in cui l’ha vista ore prima, quando il loro desiderio è stato appagato e la loro passione si è spenta.

    Dorme sprofondata nei suoi due cuscini e avvolta nelle lenzuola. Niente gli fa supporre che l’abbia sentito scendere dal letto.

    Dorme e ancora non sa che lui sta già andando via, che la loro notte d’amore è finita e ha lasciato il posto a una domenica che li vedrà lontani come tutte le altre.

    O forse sì, pensa. Lo sapeva bene mentre si stringevano, avvolgendosi reciprocamente in un lungo abbraccio di apparente amore e di concreta passione, come lo sapeva bene quando si era addormentata, non aspettandosi di trovarlo lì accanto a lei quando si sarebbe svegliata.

    Luca preferisce ripensare al piacere della notte appena passata piuttosto che inseguire dei pensieri che lo porterebbero di sicuro in luoghi della sua mente che non ritiene necessario visitare.

    Si concede ancora qualche attimo, poi cerca in terra i suoi vestiti. Lui e Giulia li hanno disseminati lungo tutto il percorso che va dall’ingresso alla camera da letto e lui li raccoglie in silenzio, indossandoli senza fretta, uno per uno. Arrivato davanti alla porta, cerca la sua giacca, che Giulia gli ha tolto con forza come prima cosa e ha lanciato verso l’appendiabiti in un angolo. Ma l’ha mancato e la giacca è caduta sul pavimento, afflosciata come un cencio, ai suoi piedi.

    Luca si inchina un’ultima volta, prende la giacca-cencio e le dà nuovamente una forma, la indossa, esce sul pianerottolo dove tutto è iniziato la sera precedente e chiude piano la porta dietro di sé.

    Scende le scale con la stessa calma con cui è salito e raggiunge la strada. È ancora molto presto e il sole ancora molto basso nell’aria serena della prima mattina.

    Luca ha ancora molto sonno e inizia anche a sentire molta fame. Valuta l’idea di prendere qualcosa al bar che è lì vicino, sulla stessa via, a poche vetrine di distanza dal portone della palazzina di Giulia. Ma poi pensa che è il posto in cui di solito prende il caffè con lei e non ha

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