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Alla "mia" Trieste e ai profughi giuliano - dalmati
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E-book222 pagine4 ore

Alla "mia" Trieste e ai profughi giuliano - dalmati

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Info su questo ebook

Nei miei articoli per le Giornate del Ricordo (dopo anni contentino del Governo) ho ospitato solo testimoni del tempo. Contro ogni barbarie riporto voci autorevoli su cosa conclude una guerra (poteri forti, finanziamenti), su scempi diplomatici riguardo le migrazioni, su dispersione d’aiuti in Africa, su Islam/Occidente, su ricchezza/povertà di vita con parole di operaio deportato. Amo il libro che ha storia, memoria e un po’ di sé per chi legge. Per lui - il lettore-amico! - finisco con un po’ di me.
LinguaItaliano
Data di uscita9 feb 2017
ISBN9788892611726
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    Anteprima del libro

    Alla "mia" Trieste e ai profughi giuliano - dalmati - Maria Luisa Bressani

    Edgardo.

    Due parole di premessa.

    Questa raccolta riguarda solo articoli e recensioni, pubblicati come giornalista, e qualche mio scritto del cuore. Ad essi mi piace anticipare la lettera di Emilia Jona Pardo, cara amica ebrea, per una frase di Victor Hugo che le suscitò, quando glielo inviai, il mio libro sulle scrittrici del ‘900 italiano: la mia anima dalle mille voci…. Parole che si possono adattare anche a questa raccolta per le tante persone da me intervistate e per i personaggi che ho conosciuto e ricordato (li ritrovate nell’indice). Alcuni sono noti, altri meno ma sono stati testimoni diversi di quei tempi di dolore.

    Ho una convinzione: bisogna rifarsi, quando è possibile, a chi ha visto e vissuto più che alle ricostruzioni storiche anche perché la storia si scrive sempre dalla parte dei vincitori e su quel carro saltano in tanti e con tanta retorica. Le persone da me ricordate sono come il canto all’alba di tanti uccelli diversi, sono voci di persone diverse anche nelle loro idee.

    E c’è anche stato un caporedattore, il mio primo, che criticava i miei articoli se non contenevano più di una notizia. Diceva: Le conti, quante sono in questo suo articolo? Ne ha messa una sola? Non va bene. Lei deve affollare l’articolo di persone e fatti.

    E questa raccolta di miei articoli di giornale dimostra che ho fatto mia quella critica e un po’ imparato: l’importante – infatti – è dar voce agli altri e tanto più si riesce a farlo con chiarezza, tanto è più variegato il mondo che si presenta al lettore. Non solo, quando penso ad un articolo scritto con il mio cuore gettato oltre l’ostacolo, poi penso che è infinitamente più importante dar voce ad altri e dagli altri non ho mai cessato di apprendere.

    In questo caso ho raccolto con scrupolo i ricordi, le vite, di tante persone che ho cercato o mi hanno cercato per dare testimonianza di quell’inferno che vissero e cui è stata dedicata la Giornata del Ricordo.

    Foto 3: Lettera Emilia Jona Pardo 23 gennaio 1992

    (la carissima Gina è Gina De Benedetti, amica di Emilia, mia insegnante al ginnasio del D’Oria e già direttrice, prima delle leggi razziali, della Scuola Ebraica in Genova)

    Di Emilia ho tenuto caro un consiglio per le Lettere d’amore e di guerra, epistolario dei miei genitori (edito Lint): Pubblica perché spesso non si riesce a portare a termine ciò che si è intrapreso. Se vuoi farlo, procedi; mio marito, giurista, attese per anni alla stesura di un testo che per la sua scomparsa non vide la luce curato da lui stesso. Di Salvatore Jona morto nel 1976 si ricorda Resistenza disarmata Cadibrocco Liguria 1943-45 in cui racconta come i coniugi Custo, nella loro casa sull’Appennino ligure, li avessero nascosti e salvati, insieme ad un ufficiale americano.

    Ebbi l’onore di poter scriver l’articolo¹ sulla cerimonia in cui Daniel Gal, console generale d’Israele a Milano, consegnò la Medaglia dei Giusti ai coniugi Custo.

    Sul periodo bellico ricordo ancora Emilia nella recensione a Missione Nemo perché pianse alla resa di Parigi nel 1940 e al riguardo mi inviò un’altra lettera (2003), garbatissima critica a quando mio padre scriveva felice alla mamma perché riteneva con quell’evento la guerra finita.

    La lettera d’Emilia è stata da me inserita anche per un altro motivo oltre alla bellissima citazione di Hugo: per anni i profughi giulianodalmati (almeno in Genova, città dove vivo) cercarono di far associare il loro ricordo alla Giornata della Memoria. La proposta non fu mai accolta pur se che i morti siano sei milioni come per le vittime dell’Olocausto o 10mila come si calcola sia il numero degli infoibati poco conta perché ogni vita umana è importante e non si possono fare distinzioni numeriche.

    C’era invece un comune denominatore nelle due stragi: la ferocia, la barbarie, il cuore nero dell’uomo quando si dimentica di essere tale e non contano le ragioni che accampa alla base del suo bestiale agire da predatore di vite e di terre.

    Due articoli di premessa-spiegazione:

    Questo primo è indicativo di Chi in Regione Liguria si è battuto per il Ricordo che a Genova divenne consuetudine come concorso scolastico quattro anni prima della giornata nazionale.

    1) 2007 - III Giorno del Ricordo, il Giornale 10 febbraio

    Il 10 febbraio sono passati 60 anni dal Trattato di Pace del 1947, definito Diktat di Parigi. L’Italia, pur considerata potenza cobelligerante e al tavolo delle trattative con gli Alleati, per aver perso la guerra dovette cedere alla Jugoslavia Dalmazia, Quarnaro, Istria... A toglierle la sovranità sulla zona B (Isola, Portorose, Istria fino al Quieto) ci pensò il Trattato di Osimo che regalò, senza contropartita, anche questi 1000 kmq italiani. Inizia così il comunicato che l’ANVGD (l’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia) ha voluto posare sulle sedie del Teatro della Gioventù di via Cesarea, dove si è svolta la cerimonia indetta dalla Regione per il Giorno del Ricordo.

    Questa memoria, che si celebra per una legge riparatrice voluta dal Presidente Ciampi, ripercorre il dolore dell’esodo di 350mila giuliano-dalmati e la tragedia delle 7/800 vittime delle foibe nel 1943 e delle migliaia del ‘45. "Che il numero esatto degli scomparsi sia quello accettato di 10/12mila o che vada ridotto o aumentato, è questione essenziale ma non importante. In ogni caso si tratta di uno sterminio dalle dimensioni di massa", ha scritto in Foibe (Mondadori, 2002) Gianni Oliva, assessore alla cultura per la Regione Piemonte.

    Due i testimoni invitati a parlare dalla Regione Liguria: lo scrittore Piero Tarticchio, che ebbe in famiglia 7 infoibati (tra cui don Angelo, il primo martire delle Foibe) e Claudio Eva (Ordinario Fisica Terrestre) di famiglia fuggita da Capodistria.

    L’ANVGD ha assegnato due targhe intitolate Ernesto Bruno Valenziano, emerito uomo politico che dalla Regione Liguria si batté per il ricordo quando in molti tacevano su questa pagina strappata della nostra storia. A Piero Tarticchio e alla medaglia d’oro Luigi Ferraro (in memoria) sono state consegnate dal fiumano Fulvio Mohoratz, presidente della Consulta Regionale dell’ANVGD.

    Questo secondo articolo mette il focus su Chi, a Genova in Regione, si è speso per il risarcimento ai profughi e mette in luce il problema del negazionismo. In Regione Liguria il testimone è passato da Bruno Valenziano a Giorgio Traverso.

    2) 2013 IX Giorno del Ricordo, il Giornale 15 febbraio

    Ad Aldo Siri è dedicata una targa perché ha presentato, curato e fatto in modo che fosse varata la legge n.40 del 29/11/2012 per far applicare quella nazionale disattesa, riguardante alloggi di edilizia sociale per i profughi.

    Un inciso: Il cardinal Angelo Bagnasco, prima della nomina ad Ordinario militare (incarico che ricoprì dal 2003 al 2006), era in Santa Teresa del Bambin Gesù in Albaro, dove punto di riferimento degli esuli è sempre stato don Nevio Martinoli esule da Lussinpiccolo.

    Per una Giornata del Ricordo, a lui indirizzata da don Nevio che con l’Unitalsi stava allora andando a Lourdes, Bagnasco mi fornì, con vera passione di avvocato di diritti, una dettagliata documentazione su ciò che per legge spettava ai profughi e scrissi un degno articolo.

    In questa IX Giornata 2013, l’ultima prima di pensionarmi dal giornalismo, sono stati premiati gli studenti vincitori del 12° concorso regionale sul tema: "Mantenere la memoria, rispettare la verità, impegnarsi per garantire i diritti dei popoli".

    Parole che suonano sacrosante ma molti sono gli atti di sfregio alla memoria o il travisamento volontario di fatti storici sia da parte dei negazionisti come di altri: dici una bugia oggi, la ripeti domani e ne fai una verità (ha commentato Fulvio Mohoratz, presidente ANVGD)

    Raro privilegio da giornalista poter scrivere di ciò che ci è più caro: per me è stato questo articolo che antepongo a quelli scritti da Genova, dal 2005 al 2013, per ogni Giornata del Ricordo.

    2010 - VI Giorno del Ricordo - il Giornale 9 febbraio

    Una genovese (= Maria Luisa Bressani) racconta: la mia Trieste che non c’è più…il gusto della cioccolata, il sapore inebriante della bora, la birreria sotto casa…

    Sono nata a Trieste, ma vi ho vissuto solo due anni, dal 1946 al ‘48, dal ritorno dalla prigionia africana a Saida di papà fino ad inizio della mia prima elementare.

    Fortunata lei che è nata in una città tornata all’Italia, disse una volta il fiumano Fulvio Mohoratz presidente ANVGD. Nel tempo Trieste è diventata la città di un mio mito. Mi spiego. Allora gustai la cioccolata simile alla nutella che i soldati americani nel dopoguerra davano a me come ad altri bimbi quando ci recavamo a Barcola per i bagni estivi. Da allora per me l’America ha gusto buono di cioccolata al di là delle sue bandiere bruciate, calpestate in altri Paesi. Per me, studiando, è rimasta il rifugio dei Padri Pellegrini e madre di democrazia.

    Per non andar fuori tema: allora Trieste è stato il luogo dove mia madre dava un piatto di minestra ad un povero che bussava da noi. Quanti i poveri nella città di frontiera?

    Da allora per me è città-simbolo di tolleranza con le sue tante chiese di culti diversi: San Spiridione Serbo-Ortodossa, S. Nicolò Greco-Ortodossa, la Neogotica Evangelica Augustana, S. Michele Anglicana, la Sinagoga di S. Francesco E oltre alla città vecchia, ebraica, ha la dolente Risiera S. Sabba, un tempio dove pregare per il futuro.

    La dominano la Cattedrale e il Castello di San Giusto martire, per la sua festa coperto di vite rossa. Nel bianco Carso quando la vite vergine rosseggia si dice: E’ il sangue dei nostri martiri. La domina il Santuario del Grisa dove ho trovato un dépliant con il testamento dell’Arcivescovo Antonio Santin, testimone di due guerre mondiali: Ho assistito allo strazio della mia povera terra e delle nostre buone popolazioni. Le foibe sono calvari con il vertice sprofondato nelle viscere della terra... Quello che tutti ci unisce e ci fa ricchi è l’amore..

    Tre ricordi importanti questi, ma Trieste ne ha per me di legati alla bora, al suo mare, alla sua luce. Il vento che soffia forte mi vivifica: il ricordo si lega a quando il nonno, un salutista, ci portava in giro nelle giornate di bora e per attraversare le strade facevamo catena con gli altri: per mano perché insieme si può. Il vento per me ha il senso di libertà, si associa a solidarietà, anche ad indipendenza. Questo perché allora, pur così piccola quando mi mandavano sotto casa a comprare la birra alla spina, capii cosa vuol dire avere un compito proprio da svolgere: mi sentivo importante! Abitavamo in via dello Scoglio, una stradina periferica che si affacciava sulla Birreria Dreher, a due passi da via dell’Acquedotto dove vivevano nonno e zii. Oggi si chiama via XX Settembre, un tempo strada del passeggio oggi invasa da auto in sosta. Alla birreria Dreher, di festa, i triestini si riunivano sulle panche per un panino e un bicchiere sotto certi stupendi affreschi ubriaconi. Di festa con pochi soldi erano tutti fuori: splendida socialità! Oggi la Birreria è un Centro Commerciale uguale a tutti.

    Trieste allora non era solo questa festa: quando per il 4 novembre i miei esponevano il Tricolore, con un fazzoletto bianco cucito sopra lo stemma sabaudo, scendevano gli slavi dal Carso a tirarci pietre ai vetri. Una volta un donnone slavo quando mia madre in bicicletta incuneando la ruota nelle rotaie del tram cadde, le gridò: Crodiga di un’italiana che sta per la cotenna del maiale. Nel ’48 papà decise di portarci a Genova, più tranquilla e con il mare.

    Inverno 1948: sul treno del nostro esodo mio fratello Ferruccio cantava a fior di labbra No ghe esisti un altro paradiso più splendido de ti, Trieste mia. Un suo compagno, quando ci furono le proteste del 5/6 novembre 1953 e migliaia di triestini scesero in piazza contro il piano anglo-americano che voleva fare della città una base navale, fu tra i giovani uccisi nella sparatoria. Poi con gli zii, a Trieste, i miei ne parlavano sottovoce per non farci sapere.

    Eravamo tornati ogni anno come in pellegrinaggio, e alla vigilia del 4 novembre ‘54, ritorno di Trieste all’Italia, nell’unica stanza d’albergo dove dormimmo tutti e quattro, mio padre andò avanti e indietro tutta la notte. Il giorno dopo i bersaglieri in corsa tra la folla scaldavano come il sole. E quel 5% di sloveni che temevano ripercussioni simili a ciò che loro avevano fatto, dovettero ricredersi: non gli fu torto un capello.

    Ancora una cosa: se penso alla bellezza, vedo il Castello di Miramare di Massimiliano e Carlotta D’Asburgo sotto cui andavamo a fare il bagno. Racconta La fanciulla di Giralba, leggenda trentina, che se una donna muore nel partorire saprà il destino del figlio: a dirglielo compare un pesce con una pergamena dove campeggia quel Castello del dolore. Mi sembra di risentire recenti parole di monsignor Ravasi al Ducale: nell’Apocalisse, Gerusalemme, la sposa dell’Agnello, cieca, incinta, incatenata davanti alla città del Male, è la spina di luce del Bene. La mia Trieste che ha sofferto (i 40 giorni di occupazione titina quando un Comunicato Alleato denunciò: "Da Trieste

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