Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Diario diplomatico: Un fiumano a Roma
Diario diplomatico: Un fiumano a Roma
Diario diplomatico: Un fiumano a Roma
E-book296 pagine4 ore

Diario diplomatico: Un fiumano a Roma

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Dal 2012 al 2017 Damir Grubiša è stato ambasciatore della Repubblica di Croazia in Italia. Professore universitario con molte pubblicazioni alle spalle, studioso del Machiavelli, del quale ha tradotto in croato e commentato le opere scelte, con pregresse esperienze politiche (è stato, tra l’altro, dal 1986 al 1990 direttore del Centro di Cultura e Informazione della ex Jugoslavia a New York, capo di gabinetto del ministero degli esteri sempre nella ex Jugoslavia e altrettanto lo è stato presso il ministero degli esteri della Croazia, più altri incarichi di responsabilità).

Figlio di madre italiana e padre croato, per le sue origini fiumane ha avuto la ventura di essere, al seguito della famiglia materna, esule giuliano-dalmata in Italia alla fine della seconda guerra mondiale, per poi tornare a Fiume, dopo la dura esperienza del campo profughi e la liberazione del padre, condannato dal regime di Tito ai lavori forzati, dopo l’accertamento di alcuni fatti relativi alla fuga in Italia di un gruppo di dipendenti del Silurificio del quale erano dipendenti. Esperienze, queste, che gli hanno permesso di capire, più di altri, sulla propria pelle, le ragioni degli altri, e gli hanno conferito la tendenza a una rara obiettività nella visione politica e culturale, non senza diritto di critica e di opinioni, che ben risaltano in questo “Diario diplomatico” che ha il pregio di dire pane al pane e vino al vino, senza troppi giri di parole. Non a caso, come scrive Damir Grubiša nella premessa, confessando che aveva l’idea di scrivere e pubblicare le note che troverete in questo libro già durante il suo incarico di ambasciatore a Roma, ma “ho ricevuto, al riguardo, l’esplicita proibizione dei miei superiori al Ministero per gli Affari Esteri e europei della Croazia”.
Note che abbiamo il privilegio di leggere oggi, in questo straordinario Diario diplomatico e che, sicuramente, per i tanti retroscena, alcuni scottanti, che racconta, non mancheranno di avere una loro eco nelle cancellerie non solo croate e italiane.
Diego Zandel
LinguaItaliano
Data di uscita16 apr 2023
ISBN9791280649478
Diario diplomatico: Un fiumano a Roma

Correlato a Diario diplomatico

Titoli di questa serie (9)

Visualizza altri

Ebook correlati

Biografie e memorie per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Diario diplomatico

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Diario diplomatico - Damir Grubiša

    COVER_diario-diplomatico.jpg

    Tutti i diritti riservati

    Copyright ©2023 GAMMARÒ edizioni

    Oltre S.r.l., via Torino 1 – 16039 Sestri Levante (Ge)

    www.librioltre.it

    ISBN 979-12-80649-47-8

    isbn_9791280075574.jpg

    Titolo originale dell’opera:

    DIARIO DIPLOMATICO

    Un fiumano a Roma

    di Damir Grubiša

    Collana * Le bitte *

    ISBN formato cartaceo: 979-12-80649-07-2

    PREMESSA

    Questo è un diario diplomatico, direi, insolito. Infatti, ho cominciato a scriverlo quando il mio mandato di ambasciatore della Repubblica di Croazia nella Repubblica Italiana è già cessato.

    Non è un testo né cronologico né tematico (neanche molto serio, talvolta). Si tratta di frammenti di ricordi, impressioni, reminiscenze sparse, spigolature, pubblicate originariamente sul quotidiano La Voce del Popolo di Fiume, organo mediatico della comunità nazionale italiana che vive a Fiume e in Istria e alla quale anch’io appartengo per linea materna.

    Inizialmente, avevo l’idea di scrivere e pubblicare queste note durante il mio incarico di ambasciatore (2012-2017), ma ho ricevuto, a riguardo, l’esplicita proibizione dei miei superiori al Ministero per gli affari esteri e europei della Croazia.

    Ho tentato di spiegare ai miei capi che anche Stendhal, mentre era in missione a Roma scriveva dei saggi sull’Italia, la sua storia, le sue bellezze e sul modo di vivere degli italiani. Avrebbe potuto solo aiutare il mio lavoro se io avessi scritto delle cose italiane, e sarebbe servito anche al pubblico croato per capire meglio e per apprezzare di più l’Italia, il paese vicino e amico, uno dei paesi cardini dell’unità europea. Ma non c’è stato verso: sebbene giovane, la diplomazia croata patisce, come gran parte del servizio diplomatico di molte nazioni, di una visione anacronistica della diplomazia, e questo ho tentato di spiegarlo in questi frammenti.

    Pertanto, ringrazio Errol Superina, direttore della EDIT – casa editrice degli italiani della Croazia e della Slovenia – che ho tradito promettendogli di scrivere e pubblicare questi miei frammenti durante il mio incarico ma non ho potuto mantenere la promessa e lui mi ha spinto di pubblicare questo diario diplomatico di un fiumano a Roma post festum; i miei ringraziamenti vanno anche ai redattori capo della Voce del Popolo, Roberto Palisca e Christiana Babich, con cui ho cooperato in questi ultimi quattro anni durante i quali ho scritto e pubblicato questi tasselli di un mosaico autobiografico. E, naturalmente, i miei ringraziamenti vanno anche a Dario Saftich che ha redatto i miei testi scritti in un italiano un po’ claudicante per La Voce del Popolo.

    Va da sé che è stato un piacere essere istigato e spronato a questa malefatta dall’amico Diego Zandel, del quale il mio diario parla in vari contesti. E chiedo scusa a tutti quelli che avrebbero dovuto essere menzionati perché importanti per questa o quella ragione connessa con questo diario, ma forse per molti di loro è meglio non essere stati compromessi in questo modo…

    Lo dedico ai miei nipoti Mario Fabio e Gregor Cocco, di sangue misto arbëreshë (italo-albanese), italiano, ucraino, croato, montenegrino, serbo-bosniaco e sloveno: dunque, cittadini europei.

    Fiume-Roma, all’epoca del Covid, 2020-2021

    Damir Grubiša

    CAPITOLO PRIMO

    Un’ambasciata quasi in periferia

    Tanti anni fa, quando approdai inaspettatamente all’Ambasciata croata a Roma, sita nel quartiere romano di Vigna Clara, avevo ben creduto di poter smuovere significativamente le acque ancora stagnanti delle relazioni bilaterali tra Croazia e Italia. Dopo tutto era il 2012, soltanto un anno dopo l’incontro storico tra i presidenti delle rispettive repubbliche, Giorgio Napolitano e Ivo Josipović (presidente della Repubblica di Croazia 2010-2015). Il presidente Napolitano aveva, due anni prima, avviato il percorso della definitiva riappacificazione tra i due paesi a cavallo dell’iniziativa concertistica del maestro Riccardo Muti, che aveva diretto a Trieste il concerto epocale che aveva visto i tre presidenti – dell’Italia, della Slovenia e della Croazia – incontrarsi e parlarsi di un futuro europeo dei tre paesi. Ciò voleva dire anche superare i contrasti del passato, i punti neri della storia che ci dividevano e il rancore accumulatosi sui destini drammatici, anzi tragici, delle popolazioni di frontiera.

    In questo quadro, nel 2011 il presidente Napolitano era venuto in Croazia, e con il suo omologo Josipović aveva parlato, nell’Arena di Pola, della necessità di guardare al futuro costruendo insieme un’Europa senza più frontiere, unita nella volontà di pace, benessere e solidarietà.

    Il discorso di Napolitano ebbe un forte impatto su Josipović, me lo confessò egli stesso in uno degli incontri del Consiglio per la politica estera, un organo costituito proprio da lui per poter meglio adempire al suo ruolo costituzionale di co-creatore della politica estera croata. Io venni a far parte di questo organismo, che non ha avuto precedenti nella storia della Croazia indipendente, come esperto di politiche europee, avendo insegnato proprio l’integrazione politica europea alla Facoltà di scienze politiche di Zagabria, dove avevo anche fondato un Centro di studi europei. Josipović aveva messo a capo di questo Consiglio il diplomatico jugoslavo Budimir Lončar, che aveva ricoperto la carica di ministro degli esteri della federazione jugoslava nel governo di Ante Marković (presidente del Consiglio esecutivo federale della Repubblica socialista Federativa di Jugoslavia 1989-1991), proprio alla vigilia e durante la dissoluzione e l’inizio delle guerre jugoslave. Lončar era un diplomatico provato, e lo è ancora oggi a 97 anni suonati, con una reputazione mondiale e le sue amicizie altolocate tra i leader più importanti del XX secolo. Aveva fatto l’ambasciatore jugoslavo in Indonesia, Germania e negli Stati Uniti, e dopo il collasso del governo riformista di Ante Marković e della federazione jugoslava si era riciclato, sul mercato internazionale, come inviato speciale del segretario generale dell’ONU presso il Movimento dei non allineati, che aveva egli contribuito a fondare ancora nei lontani anni sessanta del secolo scorso. Era finito sotto attacco dei nazionalisti croati che lo vedevano come un relitto storico della Jugoslavia che voleva salvare, anche se quello che egli voleva salvare era la pace, per evitare le vittime di una guerra che si fece poi cruenta e sanguinosa. E tornò sulla ribalta croata chiamato dal predecessore di Josipović, il presidente Stjepan Mesić (presidente della Repubblica di Croazia 2000-2010), che si avvalse dei suoi consigli e delle sue amicizie nell’arena globale. E anche Josipović lo tenne in alta considerazione, affidandogli l’incarico di presidente di questo Consiglio per la politica estera. Ne fecero parte dodici personalità del mondo accademico e anche ex diplomatici. Fra gli accademici, miei colleghi, ci furono il politologo e professore Ivan Grdešić, già ambasciatore in America durante il governo del socialdemocratico Ivica Račan (presidente del Governo della Repubblica di Croazia 2000-2003), e il professore Tvrtko Jakovina, esperto di storia della guerra fredda, nonché il professore del mio periodo studentesco Radovan Vukadinović, che aveva la reputazione di un Zbigniew Brzezinski nostrano. Ci furono anche parecchi ex diplomatici, come Neda Ritz, giornalista che approdò all’UNESCO durante l’era di Račan; Dražen Vukov Colić, giornalista del quotidiano fiumano Novi list ed ex ambasciatore a Vienna, ma anche un diplomatico dell’era di Tudjman, l’accademico Davorin Rudolf, che ha fatto l’ambasciatore in Italia per sette anni, dal 1993 al 2000. Josipović voleva avere un consiglio composto non di gente che la pensasse allo stesso modo, ma che potesse avviare un serio confronto sulle questioni internazionali della Croazia.

    Da questi confronti nacque l’idea di Josipović di farmi mandare a Roma, viste le mie proposte di seguire la politica impostata da un altro ambasciatore croato, l’istriano Drago Kraljević, che nel suo libro sulla sua missione a Roma (pubblicato dall’EDIT, la casa editrice della minoranza italiana a Fiume e nell’Istria) aveva apertamente dichiarato che per la Croazia l’Italia è il partner internazionale più importante di tutti.

    Cosi mi trovai a Roma, nella sede dell’Ambasciata croata, zona nord della capitale, un edificio all’angolo tra via Cassia e via Luigi Bodio, inappropriato per svolgere le funzioni di una rappresentanza diplomatica. Infatti, il precedente proprietario era un tipografo, e in questa palazzina, anni settanta del secolo scorso, operava una tipografia. Le male lingue, nel corso degli anni, suggerivano l’ipotesi che negli anni novanta, quando la Croazia comprò questo edificio adibito a tipografia, qualcuno avrebbe intascato delle mazzette. Peraltro, l’avvocato che aveva seguito il passaggio di proprietà si chiamava proprio Mazzetta, pover’uomo…

    La nomina degli ambasciatori durante il governo di centrosinistra

    La notizia che sarei stato mandato in Italia a far l’ambasciatore l’appresi da mia cugina. Era la fine di febbraio 2012, e i quotidiani croati avevano pubblicato, in esclusiva, la notizia che il presidente della Repubblica Ivo Josipović e il primo ministro Milanović avessero concordato l’invio di tre nuovi ambasciatori all’estero – tre professori e dunque diplomatici non di carriera. Cosi il politologo Ivan Grdešić sarebbe andato in Gran Bretagna, lo storico Ivo Goldstein a Parigi e io a Roma. Non avendo letto i giornali quel giorno, caddi dal pero, come si dice, quando da mia cugina Erina da Fiume (fiumana D.O.C.) mi sentii rimproverare di averle nascosto questa importante notizia. Per fortuna, quella stessa sera ricevetti una telefonata dalla ministra degli esteri, la sociologa Vesna Pusić che mi avrebbe in parte riabilitato agli occhi della famiglia: mi chiese se avessi visto i giornali di oggi. Io risposi di sì, aggiungendo: Tanto, chi ci crede ai media, che ne abbiamo viste di tutti i colori durante il governo autoritario del presidente Tudjman. Ma è vero, mi confermò lei. Ci stai? Beh, è un’offerta alla quale non si può dire di no, specialmente nel mio caso, le risposi. E pensai a mia madre Vernange, compianta, che sicuramente ne sarebbe stata contenta e anche fiera…

    Insomma, cosi furono sfornati gli ambasciatori durante il governo Milanović: gli interessati non erano stati neppure informati di essere stati prescelti per questo lavoro! Naturalmente non obiettai. E cosi cominciò il mio itinerario romano e il mio reinserimento nei ranghi diplomatici, dai quali ero uscito nel 1992. con una pedata nel sedere da parte dei governanti nazionalisti della Croazia.

    In questo modo, diventai il quinto ambasciatore della repubblica di Croazia in Italia dal 1992, cioè dopo il riconoscimento internazionale del paese. Anche il primo ambasciatore era stato un diplomatico non di carriera: il professore universitario e sociologo delle religioni, Ivica Maštruko, zaratino. Aveva fatto anche il sindaco di Zara e deputato al Sabor (Parlamento croato) durante l’epoca jugoslava e solo un anno prima della dissoluzione della federazione era stato mandato a fare l’ambasciatore jugoslavo presso il Vaticano. Autore di numerosi libri di tematica socio-religiosa, tra i quali La sfida delle teologie alternative, Il Cattolicesimo e la politica, era apprezzato anche nei circoli ecclesiastici, soprattutto quelli che a quel tempo erano disposti ad un dialogo tra religione e pensiero sociale laico. Mi ricordo, a questo punto, una conversazione avuta nel lontano 1978 con il generale dei Gesuiti Jean-Yves Calvez, assistente del leggendario Generale supremo dell’ordine Pedro Arrupe, altresì autore di un libro del quale avevamo discusso nel seminario di sociologia della religione a Zagabria, alla Facoltà di Scienze Politiche che frequentavo all’epoca. Erano i postumi del ‘68 studentesco, e il libro di Calvez aveva suscitato molto scalpore tra i teologi e molto apprezzamento tra i marxisti, avendo come titolo proprio Il pensiero di Karl Marx. Durante una visita a Roma di una delegazione culturale Jugoslava della quale facevo parte, nel 1978, con mia sorpresa mi trovai al ristorante, durante un pranzo offerto dall’allora ambasciatore jugoslavo presso il Vaticano, Zdenko Svete, faccia a faccia con il suddetto gesuita. Durante una piacevole e, devo dire, illuminante conversazione, gli feci una domanda un po’ ingenua: Come mai Lei è riuscito a conciliare il pensiero di Karl Marx con i dogmi religiosi? La sua faccia si illumino in una grande sorriso e mi rispose: Semplicemente! Sono venuto a conclusione che Dio ha creato il mondo seguendo i precetti del materialismo storico!

    Ebbene, anche Maštruko era uno che tentava conciliare il pensiero sociale del cristianesimo con il pensiero marxista, e la sua nomina ad ambasciatore jugoslavo venne, allora, ben accolta al Vaticano. Spirito gioviale che incarnava al meglio la verve Mediterranea, quando era iniziata la dissoluzione della Jugoslavia Maštruko aveva organizzato e gestito la transizione diplomatica dalla Jugoslavia alla Croazia, diventando cosi il primo ambasciatore croato al Vaticano. Di questo periodo ha scritto anche un divertente libro, pieno di aneddoti personali, oltre a documentare quei tempi certamente non facili, con il titolo Santa Sede A.D. 1991, l’ambasciatore di un paese che non c’era più. Infatti, il secondo giorno dopo il mio arrivo a Roma, ho avuto il piacere di presentarlo al pubblico del Festival della diplomazia che si tiene ogni autunno a Roma.

    Ma purtroppo Maštruko non è riuscito a mantenere a lungo il posto: come mi aveva confidato già allora un monsignore influente, i vertici della chiesa cattolica croata non volevano un ex-comunista, e cosi è transitato – anche qui brevemente – al Quirinale, come ambasciatore croato ad interim. Si è trattenuto soltanto un anno, fino al 1993, perché in lista d’attesa c’era già un uomo di piena fiducia del presidente Tudjman – un professore di diritto del mare, spalatino, di nome Davorin Rudolf, colui che si attribuiva il merito di aver comprato per la Croazia la sede dell’Ambasciata, descritta precedentemente e che è diventata, per la sua peculiarità, un protagonista quasi vivente delle mie vicissitudini ambasciatoriali.

    Gli ambasciatori che mi hanno preceduto

    Davorin Rudolf riuscì a rimanere attaccato al posto di ambasciatore a Roma per sette anni (dal 1993 al 2000), anche se le diplomazie moderne, cosi come doveva essere anche il servizio diplomatico croato, prevedono un mandato normale della durata di tre o quattro anni. Un cambiamento dopo quattro anni può essere salutare, se no, come dicono gli Americani, l’ambasciatore si inserisce anche troppo bene nella vita del paese-ospite, tanto che c’è per lui il pericolo di fraternizzare con i locali. Ma il professore Rudolf non ha volute mollare, e quando il socialdemocratico Ivica Račan ha vinto le elezioni nel 2000 voleva ancora, dopo sette anni, rimanere a Roma. Ho avuto con lui degli alterchi sul problema del confine sloveno-croato nella baia di Pirano. Lui propugnava l’applicazione della Convenzione internazionale sul diritto del mare, alla quale la Slovenia non aveva aderito, mentre io sostenevo l’idea della cogestione della baia di Pirano, in vista della futura adesione della Croazia all’UE e l’abolizione dei confini tra gli stati membri dell’Unione.

    Ora, dopo venti anni e passa, anche Rudolf è approdato all’idea della cogestione, quando ormai il verdetto del Tribunale d’arbitrato ha detto la sua. Inoltre, quando l’Italia ha deciso di dare la cittadinanza agli ex-sudditi del Regno d’Italia, Rudolf aveva gridato all’irredentismo e al pericolo delle ambizioni territoriali dell’Italia verso la Dalmazia e l’Istria, e qui abbiamo di nuovo discusso in pubblico confrontandoci.

    Dopo di lui, dal 2000 al 2005 l’ambasciatore a Roma, prescelto dal governo del socialdemocratico Račan, è diventato un istriano, Drago Kraljević, che a differenza del diffidente Rudolf sosteneva che l’Italia avrebbe dovuto essere il partner numero uno della Croazia. Da vero istriano, Kraljević conosceva bene sia la lingua che la mentalità delle popolazioni di frontiera ed ha contribuito considerevolmente alla distensione dei rapporti tra i due paesi. Della sua esperienza diplomatica ha scritto, come ho detto, anche il libro Un istriano a Roma, pubblicato sia in croato che in italiano, in cui ha dato mostra di una mentalità aperta al dialogo tra Italia e Croazia. Anch’egli non era un diplomatico di professione. Račan lo aveva pescato tra le file del SDP, il partito socialdemocratico croato, e per anni aveva guidato l’Ambasciata della democrazia locale a Pinguente, un’organizzazione non-governativa sotto l’egida del Consiglio d’Europa.

    A Kraljević è succeduto Tomislav Vidošević, un altro dalmata che ha trascorso a Roma un altro settennio, dal 2005 al 2012. È curioso che gli ambasciatori croati, provenienti dall’HDZ, il partito nazionalista allora (e anche adesso) al potere, hanno infranto tutte le regole diplomatiche concernenti la durata del mandato.

    Vidošević, poco più che quarantenne quando è diventato ambasciatore per la prima volta (d’abitudine per il primo incarico, a meno che non si provenga dagli ambienti accademici, si va in un’ambasciata meno impegnativa), è venuto in Italia non conoscendone la lingua. E quando l’ho incontrato dal presidente Josipović per ricevere le lettere d’accredito per la missione diplomatica a Roma, lui riceveva, nello stesso tempo, l’accredito per andare in Ucraina. In quell’occasione mi aveva detto: Beato lei che a Roma avrà tutte le porte aperte! Io credevo che alludesse al suo operato che mi aveva spianato la strada, ma lui aggiunse: … perché lei conosce la lingua!

    Ecco, questi sono stati coloro che mi hanno preceduto nella mia missione – tre dalmati e un istriano, due di loro circospetti verso l’Italia (Rudolf e Vidošević), e noi altri tre (Maštruko, Kraljević e il sottoscritto) che, al contrario, consideravamo l’Italia quale partner numero uno della Croazia. La conoscenza della lingua e della cultura del paese di destinazione della missione diplomatica è un prerequisito essenziale per il successo della missione. Specialmente nei paesi chiave, cioè nei paesi più importanti della scacchiera mondiale. E l’Italia, uno dei grandi stati europei, fondatore della Comunità europea, è senza dubbio il paese che merita giustamente un ambasciatore croato che ne conosca la lingua, la storia e la cultura. Proprio per capire meglio il paese e le sue istituzioni politiche, per interloquire meglio e per poter approfondire le relazioni bilaterali e naturalmente per completare il processo di riappacificazione dopo il secolo dei nazionalismi e dei totalitarismi che hanno lasciato profonde ferite dall’una e dall’altra parte. Purtroppo, la diplomazia della nuova Croazia sembra non l’avesse capito, a scapito di relazioni che avrebbero dovuto essere molto migliori di quello che sono… L’ambasciatore che mi è succeduto a Roma, Jasen Mesić (dal 2017), è un archeologo e vanta un master in management della cultura dell’Università di Siena, che fa sperare bene almeno quel che concerne la conoscenza del paese nel quale si viene inviati.

    L’importanza del bagaglio culturale di un diplomatico

    Mi sono limitato a dare, finora, un essenziale profilo dei miei predecessori presso l’ambasciata croata di Roma. Ma la figura degli ambasciatori è solo uno degli indicatori delle relazioni diplomatiche tra due paesi, legato semplicemente alla persona, ma non per questo si può evitare di giudicare un paese anche da questa. Pertanto, nella storia della diplomazia moderna, quella che incomincia con i primi ambasciatori residenti del Rinascimento italiano, la persona dell’ambasciatore è sempre stata una cartina di tornasole per il paese che egli rappresenta. A quel tempo, si usava applicare la formula latina: gli ambasciatori devono essere bene nati, bene vestiti…, ma i critici di quella professione nascente aggiungevano con malizia, in latino: "… et mediocriter docti!". Cioè, sapevano un po’ di tutto, ma erano in fin dei conti solo latori di messaggi dei loro sovrani.

    Ora non è più cosi: i diplomatici, come anche gli ambasciatori che rappresentano il vertice della loro carriera professionale, sono reclutati dai ranghi di una professione ben distinta, alla quale si accede per concorso e con una solida conoscenza delle cose del mondo. Naturalmente, è ancora in vigore il dilemma classico se questo vasto e solido sapere dovrebbe essere relativo anche al paese nel quale si viene catapultati, alcune volte per concorso interno e altre volte per volere politico del potere esecutivo. I Britannici sono stati i primi ad applicare la figura del diplomatico-specialista, per cui i diplomatici che parlavano la lingua e conoscevano bene la storia, la cultura e le abitudini del paese di destinazione avevano una precedenza sugli altri, i cosiddetti tuttologi, chiamati anche ignoranti universali – perché, come si dice anche per i giornalisti, possiedono un vasto sapere, ma superficiale e non profondo. Non è poi detto che tra i non-specialisti ci sia qualcuno che riesca ad approfondire la sua conoscenza del paese nel quale è stato paracadutato…

    Nella storia delle relazioni diplomatiche tra la Croazia e l’Italia si può subito tracciare una linea sinusoidale, dagli alti e bassi: i miei predecessori che conoscevano bene la lingua, conoscevano bene anche la cultura e la storia dell’Italia, e poi avevano anche un’esperienza personale di convivenza con gli italiani, sia in Croazia che in Italia. Naturalmente parlo di quelli che si sono distinti durante il loro mandato: in primo luogo, Ivica Maštruko, nativo dell’isola di Ugliano (in croato Ugljan), il cui cognome, Mastrucco, in versione italiana richiama alle radici veneziane. E poi, Drago Kraljević di Pinguente (Buzet, in croato), che ha vissuto in prima persona l’esperienza della convivenza tra croati, italiani e sloveni in Istria, tanto da andare a studiare sociologia a Lubiana e poi adoperandosi nella costruzione di modelli di democrazia locale per il Consiglio d’Europa.

    Maštruko, provenendo dalla diplomazia dell’ex Jugoslavia, era diventato un professionista e per vincere la nomina ad ambasciatore aveva dovuto sostenere dei duri esami di lingue straniere, nelle quali del resto eccelleva, e poi di storia della diplomazia, diritto diplomatico e internazionale, protocollo diplomatico e relazioni internazionali. I preparativi duravano allora circa un anno prima di essere inviati in missione all’estero. Anch’io ho dovuto passare questo tirocinio, quando, nel 1986, fui prescelto per essere mandato a New York in qualità di direttore del Centro jugoslavo di cultura e dell’informazione.

    Invece, gli ambasciatori della Croazia indipendente, dal 1992, venivano reclutati in base a criteri politici, e il criterio dominante era l’orientamento politico e ideologico del governo in auge. Maštruko è rimasto ambasciatore per un breve periodo, in Italia, perché all’inizio aveva garantito una professionalità indiscussa nel gestire la transizione dalla Jugoslavia alla Croazia a Roma. Kraljević è stato scelto e nominato dal governo di centrosinistra, e più precisamente su scelta personale del primo ministro Račan nel 2001. Cosa che successe anche a me, quando, Milanović, capo del governo di centrosinistra, si insediò nel 2011 e Ivo Josipović, presidente della Repubblica, scelsero me, ma non come uomo di partito perché non lo ero, ma in quanto esperto di chiara fama, avendo tra l’altro pubblicato dei libri sulla storia del pensiero politico italiano e sul sistema politico italiano contemporaneo.

    Gli altri, invece, sia il professore Davorin Rudolf che il giovane giurista spalatino Tomislav Vidošević, fratello dell’allora potentissimo presidente della Camera croata di commercio Nadan Vidošević, che ora è sotto processo per corruzione, erano membri del partito al governo, l’HDZ, e i loro preparativi per l’invio in missione durarono poche settimane. E in più, non si sarebbe potuto sostenere la tesi che conoscessero l’Italia in profondità…

    L’interrogatorio di un candidato a fare l’ambasciatore al Parlamento croato

    Come dice la Legge sugli affari esteri croata, ogni ambasciatore, dopo la proposta e la nomina che avviene in sede governativa, cioè in una seduta del Governo, deve passare a un’udienza al Parlamento, cioè nella Commissione affari esteri del Sabor. E cosi anch’io ho dovuto fare questa trafila circa un mese e mezzo prima del mio invio alla missione a Roma. Come da prassi, il Ministero degli Esteri aveva raggruppato i dodici candidati, che si erano visti chiamare in una afosa mattinata di luglio del 2012, a una data ormai vicinissima al 15 di luglio, quando tutti i parlamentari se ne erano andati in vacanza. Ci ritrovammo così tutti insieme nell’anticamera dell’aula dove si era riunita la Commissione. Il bello è che, non avendo nessuno di noi un orario preciso per la convocazione, fu come essere nella sala di

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1