Paradiso amaro
Di Autumn Saper
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Info su questo ebook
Pensa di potersi occupare di tutte le incombenze in poco tempo e di tornare alla sua vita a Oklahoma City, ma la vita ha altri piani per lui.
Complici delle lettere e delle verità venute alla luce dopo quasi quarant’anni, Elias si troverà non solo a fare i conti con esse, ma anche con i suoi sentimenti e una rivelazione inaspettata che gli toglierà tutte le certezze. L’unico ad avere le risposte sembra essere zio Levi, ma saprà accettare quello che l’uomo ha da dire?
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Anteprima del libro
Paradiso amaro - Autumn Saper
1
21 ottobre 1972
Amore mio,
ti scrivo questa lettera perché oggi è il giorno in cui la nostra vita cambierà per sempre.
Darei qualsiasi cosa per far sì che questo momento si cancellasse, facendo tornare la nostra vita a come era prima, ma sappiamo entrambi che non è possibile. Abbiamo fatto delle scelte, preso decisioni, commesso errori.
Questo è solo il frutto di quello che siamo stati negli ultimi sette anni delle nostre vite, forse persino da prima. Forse tutto è iniziato quando eravamo bambini e giocavamo nei campi. O forse quando cavalcavamo insieme. O magari quando sgattaiolavamo via con la macchina e guardavamo il sole tramontare fino a che non sopraggiungeva la notte e i grilli cantavano.
Da oggi in poi sarà tutto diverso, ma la gioia di averti comunque nella mia vita è paragonabile solo al Paradiso.
Ti amo nonostante tutto. Ora e per sempre.
2010
Elias si sentiva come in trance mentre guidava il pick-up lungo la strada pressoché deserta in quell’ora tarda. L’aria che entrava dai finestrini era fresca, essendo autunno, ma non così tanto da costringere a viaggiare con i vetri chiusi.
Aveva sempre amato guidare con l’aria sul viso perché gli riportava alla mente le lunghe cavalcate in solitaria nel ranch della sua famiglia. Ricordava ancora quando, adolescente, si svegliava con le galline, sellava il suo cavallo – Tuono – e correva nei campi staccando la rugiada mattutina dalle foglie. Spesso lo avevano accompagnato anche suo padre e suo zio, ma tendenzialmente i due preferivano cavalcare da soli prima del tramonto, sfruttando gli ultimi raggi solari e la quiete. Suo padre gli diceva sempre che con la sua parlantina, lui e lo zio non riuscivano a godersi il silenzio. Elias era sempre stato convinto che fosse una scusa, perché in realtà i due volevano solo passare del tempo insieme da soli come avevano sempre fatto sin da bambini.
Quella delle lunghe cavalcate al tramonto era una routine ben oliata tra loro, ed erano stati sempre più che intenzionati a mantenerla viva. Inoltre, avevano un legame speciale, profondo, che Elias aveva sempre invidiato. Non aveva mai sperimentato niente del genere in vita sua.
Aveva un rapporto speciale con Chris, ma la connessione tra suo padre e suo zio era troppo profonda per essere imitata da chiunque altro, persino da lui, che era cresciuto circondato da essa.
«Stai bene?» Fu proprio la voce di Chris a riportarlo alla realtà.
Scosse la testa, ma non disse nulla. Non aveva voglia di parlare. Non aveva voglia di pensare. Voleva solo guidare il più in fretta possibile e arrivare al ranch prima che facesse ancora più buio. Farsi una doccia, collassare a letto e occuparsi di tutto l’indomani.
Chris sembrò capire il suo bisogno di silenzio perché non aggiunse altro e si limitò a guardare il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino. Elias immaginava che, per un cittadino come lui, tutta quella natura incontaminata fosse una visione curiosa. Chris aveva affermato più volte di non essersi mai avventurato fuori dalla città, a meno che non fosse per spostarsi in un altro centro abitato, perciò Elias non sapeva cosa aspettarsi circa l’impressione che avrebbe avuto del luogo in cui era cresciuto.
Elias amava il ranch della sua famiglia – il ranch che adesso immaginava fosse suo – ma non sapeva cosa pensare a riguardo. Probabilmente avrebbe prima dovuto metabolizzare tutto quello che era successo, anche se non se ne sentiva ancora in grado.
Si stava imponendo con tutte le sue forze di spingere il più a fondo possibile qualunque sentimento si stesse agitando sotto la superficie. Scoppiare a piangere mentre guidava a quella velocità era decisamente una pessima idea. Se ne rendeva conto anche con la mente annebbiata che aveva.
Era così confuso che non si accorse nemmeno di essere arrivato finché i fari della macchina non illuminarono la vecchia casa padronale del ranch. Era una costruzione di legno a due piani dipinta di un giallo pallido, con un portico anteriore e una bassa ringhiera che Elias aveva riverniciato un mucchio di volte nel corso degli anni. Quattro scalini rialzavano il piano della terrazza dal terreno e, se si concentrava, Elias poteva sentire il rumore dei suoi stivali da lavoro che sbattevano sul legno appena curvato e liso dal tempo, mentre cercava di togliere più sabbia possibile da sopra di essi per non riempire casa di polvere e far arrabbiare sua madre.
Sua madre... Erano anni che non ci pensava così intensamente. Che non si concentrava su ricordi insignificanti come quello. Ricordi che, a ben vedere, incarnavano l’essenza della persona che era adesso. Aveva realizzato già da tempo che era dalle piccole cose che si capiva che tipo di persona si è. Non servono gesti plateali, grandi fanfare; basta una carezza o uno sguardo e improvvisamente capisci che tipo di uomo sei diventato.
Non che l’avesse dimenticata, chiaramente, ma da quando si era ammalata, Elias aveva cercato di ricordarla solo come la donna vivace e sempre impegnata in casa che era stata, non come quel corpo scheletrico che marciva nel letto della casa di riposo che suo padre aveva pagato per tanti anni.
All’inizio era rimasta in casa, ma quando la malattia si era fatta più forte e più invalidante, l’uomo era stato costretto a metterla in una struttura dove poteva avere tutte le cure di cui necessitava, nonché un’assistenza medica specifica e professionale.
Elias aveva chiamato sua madre ogni settimana, così come aveva chiamato suo padre, ma non era mai andato a trovarla. Era stato egoista, e adesso se ne pentiva, perché non ne avrebbe mai più avuto la possibilità. Sua madre era morta nemmeno sette mesi prima. Elias non era sicuro di riuscire a programmare il secondo funerale in meno di un anno. Gli tremavano le gambe alla sola idea.
«E così questa è casa tua.» Di nuovo la voce di Chris, a ricordargli che non era solo in quella macchina e in quel mare di merda.
Si voltò verso di lui mentre spegneva la macchina e la luce dei fari con essa. «Già,» disse, anche se persino alle sue orecchie appariva insicuro. Dopo tanti anni lontano, era davvero ancora così?
Chris sorrise comprensivo e allungò una mano ad accarezzargli una guancia con le nocche. «È ancora un dolore troppo fresco, ma vedrai che col tempo andrà meglio.»
Elias chiuse gli occhi godendosi la carezza e annuì. Sapeva che Chris aveva ragione. Anche per sua madre, adesso che erano passati sette mesi, si sentiva molto meglio rispetto a prima. Il tempo e la lontananza avevano alleviato la tristezza, anche se l’affetto e il ricordo erano tutt’altro che diminuiti. Il dolore sordo si era trasformato in un pulsare leggero, come un sottofondo che gli ricordava perennemente che metà del suo Essere se ne era andata dritto in cielo. E adesso, con la morte di suo padre – il suo amatissimo padre – era scomparso del tutto da questa terra.
Elias non era un bambino, aveva trentotto anni, sapeva bene che la gente moriva, anche quella che noi amiamo. Ma essere pronto? Beh, quello era tutto un altro paio di maniche. E suo padre era stato troppo giovane e in salute, comunque. Un infarto a sessantadue anni non se lo sarebbe mai aspettato nessuno, tantomeno lui.
Forse era questo che rendeva quella perdita più dolorosa di quella della madre. Jennifer era stata malata molto a lungo, per anni. Si era spenta a poco a poco, perdendo dapprima la mobilità e poi la luce negli occhi. Suo padre Ethan invece era sempre stato attivo, con una dieta sana e una vita irreprensibile. Aveva gestito il ranch e l’allevamento di bovini fino all’ultimo secondo, quando era collassato in mezzo al pascolo scatenando il terrore tra i suoi braccianti. L’infarto era stato così improvviso che, quando era giunta l’ambulanza, non c’era ormai più nulla da fare. Suo padre era morto lì, con la terra sotto e il cielo sopra, nel luogo che più amava. Quel pensiero da una parte dava un po’ di conforto a Elias, perché sapeva che, se suo padre avesse potuto scegliere, avrebbe voluto morire a casa sua. Ma questo non cancellava il dolore straziante che gli stava squarciando il petto.
«Entriamo.» Elias uscì dalla macchina e sentì Chris fare lo stesso. Presero i bagagli, sbatterono le portiere e si avviarono verso l’ingresso. Salirono i quattro gradini, ma il rumore delle loro scarpe da tennis non produceva neanche la metà di quel suono che ricordava sin da bambino. Era più ovattato, sordo, incerto. Persino da quel rumore il mondo poteva capire quanto gli tremassero le gambe.
La chiave era nascosta nel vaso a forma di elefante che sua madre aveva visto e desiderato fin da subito una ventina d’anni prima da un rigattiere specializzato in oggetti che richiamavano lo stile orientale. Elias e suo padre lo avevano trovato orrendo, ma lei era stata così contenta che Ethan alla fine glielo aveva comprato e lei lo aveva trasformato in un rigoglioso vaso pieno di piantine grasse,