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L'uccellino bianco
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E-book246 pagine3 ore

L'uccellino bianco

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Info su questo ebook

Il Capitano W., reduce di guerra, quarantenne e scapolo, vive con inglese regolarità le sue giornate, assieme a un cane san bernardo, Porthos, unico suo motivo di affetto. I suoi passatempi preferiti sono la scrittura e frequentare il suo club. Da lì osserva curioso ogni giorno Mary A., una giovane ragazza di classe meno abbiente, che fa la bambinaia, e il suo innamorato, postino e pittore. Quando scopre che i due hanno litigato mortalmente, riesce, a loro insaputa e con uno scaltro inganno, a farli riconciliare. Diventato amico della coppia, comincia presto a occuparsi anche del loro figlioletto David, portandolo spesso ai Giardini di Kensington, dove i due ambientano le loro storie. E sarà proprio in queste storie che comparirà per la prima volta Peter Pan.
LinguaItaliano
Data di uscita12 gen 2024
ISBN9788892968455
L'uccellino bianco
Autore

J. M. Barrie

J. M. (James Matthew) Barrie (1860--1937) was a novelist and playwright born and educated in Scotland. After moving to London, he authored several successful novels and plays. While there, Barrie befriended the Llewelyn Davies family and its five boys, and it was this friendship that inspired him to write about a boy with magical abilities, first in his adult novel The Little White Bird and then later in Peter Pan, or The Boy Who Wouldn't Grow Up, a 1904 play. Now an iconic character of children's literature, Peter Pan first appeared in book form in the 1911 novel Peter and Wendy, about the whimsical adventures of the eternal boy who could fly and his ordinary friend Wendy Darling.

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    L'uccellino bianco - J. M. Barrie

    frontespizio

    GEMME

    James Matthew Barrie

    L’uccellino bianco

    ISBN 978-88-9296-845-5

    Traduzione: Andrea Cariello

    © 2018 Leone Editore, Milano

    www.leoneeditore.it

    I

    Io e David ci mettiamo in cammino per un viaggio

    A volte il ragazzino che mi chiama papà mi porta un invito da parte di sua madre: Mi farebbe davvero piacere se venisse a trovarmi. Ma rispondo sempre con parole del tipo: Gentile signora, declino l’invito. E se David mi domanda come mai declino, spiego che non ho nessuna voglia di incontrare quella donna.

    «Questa volta vieni, papà» ha insistito di recente «perché è il suo compleanno, fa ventisei anni.»

    Per David è un’età così enorme che dà l’impressione di temere che non possa durare ancora a lungo.

    «Ventisei. Davvero David?» ho replicato. «Dille che per me ne dimostra di più.»

    Quella notte ho fatto un sogno delizioso. Ho sognato che anch’io avevo ventisei anni, cosa che è avvenuta molto tempo fa, e che prendevo un treno per un posto chiamato «casa mia», che nella vita reale non ho idea di dove sia. Una volta sceso alla stazione, ad aspettarmi c’era un adorato amore perduto, e andavamo via insieme. Lei mi accoglieva senza alcuna estasi emotiva, né io ero sorpreso di trovarla lì. Era come se fossimo sposati da anni e rimasti lontani per un giorno. Mi piace pensare di averle lasciato dei bei ricordi.

    Se raccontassi il mio delizioso sogno alla madre di David – a cui non ho mai rivolto una parola in vita mia – chinerebbe il capo per poi alzarlo con coraggio, a significare che la rendo infelice ma molto orgogliosa; poi proporrebbe di prestarmi il suo ridicolo fazzolettino. Inoltre, ne avessi il fegato, potrei farle una rivelazione che la lascerebbe stupefatta, poiché il volto che vedo nei miei sogni non è quello della madre di David.

    Caro lettore, ti è mai capitato di essere perseguitato da una donna carina che pensa, senza un minimo di ragione, che tu abbia un debole per lei? È così che ormai da diversi anni sono assillato dalla sgradita compassione dell’onesta e tenera Mary A. Quando ci incontriamo per strada, quella povera illusa soffoca il suo buonumore, come se fosse una vergogna camminare contenta di fronte a uno che ha azzoppato, e in tali occasioni il fruscio del suo abito mi suona come parole di conforto sussurrate e le sue braccia sembrano ali gentili che desiderano che io sia un ragazzino come David. In lei percepisco anche una timorosa eccitazione di cui mi avvedo solo dopo il suo passaggio, quando mi raggiunge una debole nota di sfida. Occhi che dicono «non azzardarti», un naso che dice «perché non ci provi?» e una bocca che ammette «quanto vorrei che lo facessi». Questo è il ritratto di Mary A. quando la incontro.

    Una volta osò rivolgermi la parola così da potersi vantare con David del fatto che io le avessi parlato. Mi trovavo ai Giardini di Kensington e mi chiese se per cortesia potevo dirle l’ora, proprio come la domandano i bambini per poi dimenticarsela mentre tornano di corsa dalla bambinaia. Ma ero preparato anche a questo e, sollevando il cappello, indicai con il bastone un orologio in lontananza. Avrebbe dovuto sentirsi imbarazzata ma, mentre proseguivo ascoltando con attenzione, con fastidio mi parve di sentirla ridere.

    La sua risata assomiglia molto a quella di David. Potrei punzecchiarlo tutto il giorno pur di sentirlo ridere. Mi verrebbe da dire che sia stata lei a instillargli quella risata. Non fa che infondere caratteristiche in David, lo modifica, lavorandolo continuamente con un tornio sin dal primo giorno che l’ha conosciuto e, in realtà, da molto prima, con una tale maestria che quasi lo si potrebbe definire un suo figlio naturale. Quando gli lasci la mano, David schizza via all’istante, come una freccia dall’arco. Non appena gli punti gli occhi addosso, ti viene da pensare agli uccelli. È difficile da credere che cammini per i Giardini di Kensington: sembra sempre che ci sia piombato dall’alto, e se dovessi spargere delle molliche presumo che si avvicinerebbe per beccare. Non è una sua predisposizione, è tutto frutto di quella donna all’apparenza timida che finge di esserne sorpresa.

    Ogni giorno David si produce in un centinaio di intrepide pose. Quando casca, cosa che capita spesso, va a terra come un dio greco. Mary A. vuole così. Ma quanto soffre del fatto che possa riuscire in qualcosa! L’ho visto arrampicarsi su un albero mentre lei stava lì sotto in preda a un’angoscia indicibile. Ha lasciato che si arrampicasse perché i ragazzi devono essere coraggiosi, ma sono sicuro che, mentre lo osservava, si sia sentita svenire a ogni ramo.

    David l’ammira tremendamente, la reputa così buona da essere in grado di portarlo in paradiso, per quanto lui sia discolo. Altrimenti le marachelle le combinerebbe meno a cuor leggero. Ma forse lei se n’è accorta. Infatti, da quel che ho intuito da lui, di recente gli ha fatto capire di non essere brava come lui crede.

    «Ne sono più che certo» risposi.

    «È brava come credi?» mi domandò.

    «Che il cielo l’aiuti» dissi «se non lo è di più.»

    Il cielo aiuti tutte le madri qualora non fossero davvero brave, poiché il loro bambino lo scoprirebbe di sicuro in quella breve e strana ora del giorno in cui ogni madre si trova esposta di fronte al proprio figlioletto. Quell’ora scocca fra le sei e le sette; quando i bambini vanno a letto più tardi, quel momento non arriva. Adesso invece lui è avvolto nelle coperte e se ne sta lì disteso tranquillo, signora, con grandi occhi misteriosi fissi sulla mamma. Sta ricapitolando la tua giornata. Ora nessuna delle scoperte che mentre giocavate insieme vi hanno uniti e al tempo stesso divisi può salvarti. Non avete età, nessuna esperienza di vita vi differenzia. È l’ora del bambino e tu sei lì per essere giudicata. «Sono stata brava oggi, figlio mio?» Ti tocca dirlo, e non azzardarti a nascondergli nulla; lui sa tutto. Quanto simile alla sua è diventata la tua voce, ma più tremula e, allo stesso tempo, più solenne, così diversa da quella che entrambi avete di giorno.

    «Sei stata un po’ ingiusta con me oggi riguardo alla mela, non è vero mamma?»

    Stai lì, donna, accanto al letto, incrocia le mani e rispondigli.

    «Sì, figlio mio, è così. Pensavo…» Ma ciò che pensavi non influirà sul verdetto.

    «È stato giusto, mamma, dire che potevo stare fuori fino alle sei e poi fare finta che erano le sei prima delle sei?»

    «No, è stato davvero ingiusto. Pensavo…»

    «Sarebbe stata una bugia se io avessi detto che erano davvero le sei?»

    «Oh, figlio mio, figlio mio! Non ti dirò più bugie.»

    «Ti prego, mamma. Non farlo.»

    «Piccolo mio, nel complesso sono stata brava?»

    Supponete che non sia in grado di dire di sì.

    Potreste dire che questi sono peccatucci di poco conto. Dunque, venire meno all’accordo sottoscritto quando vi è stato dato il bambino sarebbe roba da poco? Ci sono madri che evitano i propri figli in quell’ora, ma questo non le salverà. Com’è che così tante donne hanno paura di essere lasciate sole con i loro pensieri fra le sei e le sette? Non lo sto chiedendo a te, Mary. Io credo che, quando chiudi delicatamente la porta di David, ci sia felicità nei tuoi occhi e la soggezione di chi sa che il dio a cui i bambini rivolgono le proprie preghiere ha il viso delle loro madri.

    A questo punto mi fa piacere accennare che David crede fortemente nella preghiera, tanto da aver litigato per la prima volta con un bambino cristiano che lo aveva sfidato a saltare perché quel bambino aveva pregato per la vittoria, cosa che David aveva ritenuto un tentativo di procurarsi un vantaggio in maniera sleale.

    «E così Mary ha ventisei anni! Voglio dire, David, che sta invecchiando. Dille che verrò a casa a darle un bacio quando ne avrà cinquantadue.»

    Glielo disse e suppongo che lei fece finta di essere risentita. Ora, quando le passo davanti per strada, mi mette il broncio. Chiaramente in preparazione del nostro incontro. Ho saputo che ha anche detto che non dovrò pensare troppo a lei quando avrà cinquantadue anni, intendendo che non sarà così carina allora. Quanto poco ne sa il gentil sesso della bellezza. Di sicuro un’energica donna matura potrebbe essere la vista più piacevole del mondo. Dal canto mio confesso che proprio loro, e non le giovani, sono state la mia rovina. Quando stavo per innamorarmi di qualcuno, improvvisamente scoprivo che preferivo la madre. In effetti, non riesco a guardare una donna apparentemente giovane senza immaginarmela a, diciamo, cinquantadue anni. Che mistero le ragazze! Quando avrete cinquantadue anni vi scoveremo; allora non potrete più mascherarvi. Se la vita vi avrà riempito di rughe sarà soltanto colpa vostra. Tutte le malignità che la vostra giovinezza ha nascosto si saranno radunate sul vostro viso. Eppure, anche i bei pensieri, le maniere dolci e le gentilezze affettuose e dimenticate indugiano lì, per sbocciare al vostro crepuscolo come primule.

    Non è strano che, sebbene parli a David in questo modo così schietto di sua madre, lui pensi comunque che le sia affezionato? Allora penso: com’è possibile? Quanto dev’essere ingenuo? E magari gli dico in modo crudele: «Ragazzino, assomigli incredibilmente a tua madre».

    Al che David ribatte: «È per questo che sei così gentile con me?».

    Suppongo di essere gentile con lui ma, se è così, non è per amore di sua madre, ma perché lui alle volte mi chiama papà. Lo giuro sul mio onore di soldato, la questione non va oltre questo. Devo fare in modo che non lo sappia, poiché ciò gli aprirebbe gli occhi e romperebbe l’incantesimo che ci lega. Il più delle volte per lui sono solo il Capitano W., e ne ha buoni motivi. Mi chiama papà solo quando va di fretta e mai mi sono azzardato a chiedergli di utilizzare quell’appellativo. Lui dice: «Vieni, papà» con un’insopportabile, meravigliosa noncuranza. Fai pure, David, ancora per un po’.

    Mi piace quando lo dice davanti agli altri, come nei negozi, nei quali chiede al commesso quanti soldi guadagna al giorno, in quale cassetto li tiene, come mai ha i capelli rossi, se gli piace Achille, di cui David ha sentito parlare di recente e ne è così appassionato che vorrebbe morire per incontrarlo. In tali occasioni i negozianti mi accolgono come suo padre e io non riesco a spiegare il particolare piacere che la cosa mi procura. In quei momenti sono sempre combattuto fra il rimanere e andare avanti ancora un po’ con quella farsa oppure portarlo via prima che riveli: «Non è veramente mio padre».

    Quando David incontrerà Achille, so che cosa succederà. Il ragazzino prenderà l’eroe per mano, lo chiamerà papà e lo trascinerà via verso un qualche Lago Tondo.

    Un giorno, quando David aveva circa cinque anni, gli spedii questa lettera: Caro David, se davvero vuoi sapere come ha avuto inizio, perché non vieni a mangiare un boccone con me oggi al circolo?

    Mary – che ho scoperto aprire tutte le sue lettere – gli diede il permesso e non ho dubbi sul fatto che lo istruì a prestare attenzione a ciò che accadeva, così che avrebbe potuto ripeterglielo, poiché, a dispetto della sua curiosità, nemmeno lei sa come tutto sia iniziato. Io ci risi su, credendo che si aspettasse una storia romantica.

    Venne da me tutto agghindato come per un viaggio impegnativo e con l’aria stranamente austera, quella che hanno sempre i ragazzini quando indossano un soprabito importante. Portava uno scialle attorno al collo.

    «Qualcosa potrai togliertela» dissi «quando attraverseremo l’estate.»

    «Attraverseremo l’estate?» chiese davvero intimorito.

    «Molte estati» ribattei «perché stiamo tornando indietro, David, a vedere com’era tua madre prima che arrivassi tu.»

    Prendemmo una carrozza. «Ci porti indietro di sei anni» dissi al cocchiere «e si fermi al circolo dei giovani vecchietti.»

    Quel tizio era uno stolto e dovetti guidarlo con il mio ombrello.

    Le strade non erano per niente come erano state al mattino. Per esempio la libreria all’angolo adesso vendeva pesce. Diedi a David qualche indizio su cosa stava accadendo.

    «Non diventerò più piccolo, vero?» chiese in preda all’ansia. E poi, con un terribile presentimento: «Non diventerò troppo piccolo, vero papà?».

    In quel modo intendeva dire che sperava di non sparire del tutto. Fece scivolare nervosamente la sua mano nella mia e io la misi in tasca.

    Non potete immaginare quanto piccolo sembrasse David quando varcò il portone del circolo.

    II

    La piccola governante

    Dovete immaginare che, mentre varco la soglia della sala da fumo del circolo, David svanisca nel nulla e che sia un giorno qualunque di sei anni fa, alle due di pomeriggio. Suono il campanello per chiedere caffè, sigaretta e uno cherry brandy, poi metto la mia sedia accanto alla finestra, proprio mentre la piccola, sciocca bambinaia arriva incespicando. Ho sempre la sensazione di aver premuto il campanello per chiamarla.

    Mentre sollevo con accortezza la brocca del caffè per evitare che il coperchio cada nella tazza, lei attraversa la strada verso l’ufficio postale; mentre scelgo l’unica zolletta di zucchero adatta, lei dà le ultime sei occhiate alla lettera. Con l’aiuto di William accendo la sigaretta, e lei adesso sta rileggendo l’adorato indirizzo. Il tempo di appoggiarmi allo schienale e lei ha fatto scivolare la lettera nella fessura. Giocherello con il mio liquore e lei tende l’orecchio per sentire se gli addetti arrivano per ritirare la sua lettera. Guardo accigliato un socio del circolo che ha avuto l’impudenza di entrare nella sala da fumo; nel frattempo i due piccoli che ha in custodia la trascinano lontano dall’ufficio postale. Guardo di nuovo fuori dalla finestra e lei è sparita, ma potrò suonare per lei domani alle due in punto.

    Dev’essere passata davanti alla finestra molte volte prima che la notassi. Non so dove viva, ma suppongo nei dintorni. Sta portando il bambino e la bambina, che la tormentano, al St James’s Park – lo deduco dai loro cerchi giocattolo – e lei ha l’aria distrutta e spenta. Di certo la sua padrona la carica troppo di lavoro. Il fatto che si comporti quasi come se la signora fosse lei deve far imbestialire il resto della servitù.

    Ho notato che a volte aveva altre lettere da spedire, ma solo una richiedeva una procedura per essere imbucata. Le altre precipitavano nella fessura come delle plebee, quella invece le seguiva pomposamente, in maniera regale. L’ho addirittura vista soffiarle dietro un bacio.

    E poi c’era il suo anello, di cui era tanto consapevole che sembrava fosse lui, più che lei, ad aggirarsi allegramente per la strada. Lo toccava attraverso il guanto per assicurarsi che ci fosse ancora. Si sfilava il guanto e si portava l’anello alle labbra, ma io non avevo dubbi che si trattasse di un ninnolo da due soldi. Lo ammirava allontanando la mano, si chinava per vedere come risaltava contro il terreno, valutava l’effetto che faceva spostandolo a destra e a sinistra, prima con un occhio e poi con l’altro. Anche quando credevi che si fosse rassegnata, decidendosi a pensare a qualcos’altro, quella sciocchina gli lanciava un altro sguardo.

    Do a chiunque tre possibilità di indovinare come mai Mary fosse così felice.

    No, no e no. La ragione era semplicemente questa: un giovane zotico era innamorato di lei. Quindi, invece di disperarsi per la propria insignificanza, veleggiava – nel vero senso della parola – allegramente lungo Pall Mall, con stampata in viso quell’insopportabile aria di donna fidanzata. All’inizio il suo autocompiacimento mi infastidiva, ma gradualmente diventò parte della mia vita alle due di pomeriggio insieme al caffè, la sigaretta e il liquore. E qui arriva la tragedia.

    Il giovedì è un grande giorno. Ogni giovedì dalle due alle tre è tutto dedicato a lei. Pensateci: questa ragazza, che probabilmente è pagata diverse sterline all’anno, una volta alla settimana ha un’ora tutta per sé. E lei come la passa? Frequenta dei corsi per diventare una persona più raffinata? Non lei. Ecco cosa fa: alza le vele verso Pall Mall, indossando i suoi vestiti più belli, comprese le piume azzurre, e con un tale luccichio di speranza in viso che mi fa mescolare il caffè in maniera piuttosto furiosa. Nei giorni normali almeno prova ad apparire decorosa, ma un giovedì ha esibito una tale fiducia da usare la porta di vetro del circolo come uno specchio per vedere come le stava quella sciocchezza simbolo del fidanzamento.

    Nel frattempo, uno zotico dalle gambe lunghe l’aspetta fuori dall’ufficio postale, dove si incontrano tutti i giovedì, un tipo che indossa sempre lo stesso completo e ha una faccia che deve portarlo a stare ben lontano dalla compagnia dei gentiluomini. È uno di quei vostri magri, puliti uomini inglesi dal bel fisico, e temo proprio che sia attraente. Dico «temo» perché i vostri uomini attraenti mi hanno sempre infastidito e giuro che, se fossi vissuto all’epoca dei duelli, li avrei sfidati uno per uno. Sembra non rendersi per niente conto di essere carino, ma Mary… oh, se lo sa Mary! Per la facilità con cui passa dall’euforia alla depressione, ne desumo che appartenga alla schiera degli artisti, e per il modo curioso con cui muove il pollice sinistro, come a toccare il foro della tavolozza, l’ho collocato fra i pittori. Trovo piacere nel concludere che si tratti di quadri decisamente scadenti, poiché è ovvio che nessuno li compra. Sono sicuro che Mary dica che sono splendidi, lei è quel tipo di donna. Da qui il rapimento con cui la saluta. La prima reazione che produce in lui è una risata fragorosa. All’improvviso ride con degli «ah!» provenienti da una faccia entusiasta ed esultante, poi «ah!» di nuovo e poi, quando stai ringraziando il cielo che sia finita, arriva un ultimo «ah!» più forte degli altri. Li prendo come ruggiti di gioia per il fatto che Mary sia sua. Intorno hanno un’aura di giovinezza difficile da sopportare. Potrei perdonargli tutto eccetto la sua gioventù, ma è così aggressiva che talvolta devo ordinare a William di chiudere la finestra.

    Quanto è più subdola del suo amante quella piccola governante. Nel momento in cui arriva, guarda l’ufficio postale e lo scorge. Poi guarda dritto di fronte a sé e adesso è lei a essere vista, poi lui attraversa correndo verso di lei trionfante; lei sussulta – sussulta sul serio – come se l’avesse colta di sorpresa. Osservate la mano di lei che all’improvviso si solleva verso il suo piccolo, perfido cuore. È questo il momento in cui giro il mio caffè con violenza.

    Lui guarda in basso verso di lei con un tale rapimento da intralciare il passaggio a chiunque; quando lei gli prende il braccio, lo stringe un pochino e poi si allontanano felici, con Mary a gestire il novanta per cento della conversazione. Finisco per domandarmi come saranno da grandi. Che grottesco effetto hanno l’uno sull’altra queste due nullità.

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