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Il gioco del playboy: Harmony Collezione
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Il gioco del playboy: Harmony Collezione
E-book156 pagine2 ore

Il gioco del playboy: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

AMORI ARGENTINI - Vol.1. Daisy Wyndham non si era mai sentita tanto in imbarazzo in vita sua come in quel decadente night club di Las Vegas, almeno fino a quando Luiz Valquez, seducente e famoso giocatore di polo, non accorre in suo aiuto. Il gioco che si ritrovano a fare quasi senza accorgersene è assai pericoloso: Luiz fa del proprio meglio per comportarsi da bravo ragazzo, mentre Daisy prova a recitare la parte della ragazzaccia. Entrambi decidono di correre quel rischio, ma è solo una questione di tempo prima che uno dei due ceda alla realtà delle cose.



Miniserie "Amori Argentini" - Vol. 2/2
LinguaItaliano
Data di uscita20 lug 2016
ISBN9788858952252
Il gioco del playboy: Harmony Collezione
Autore

Melanie Milburne

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Il gioco del playboy - Melanie Milburne

    successivo.

    1

    Furono sufficienti tre isolati per liberarsi della guardia del corpo che suo padre le aveva messo alle costole.

    Sorrise raggiungendo le due amiche, insegnanti e colleghe, in un night club di Las Vegas, città in cui avevano deciso di trascorrere una vacanza prima che iniziasse il trimestre invernale a Londra. «Visto?» esclamò soddisfatta Daisy dando il cinque a Belinda e a Kate. «Ve l'avevo detto che ci sarei riuscita velocemente. È anche un nuovo record. Solitamente, quando sono all'estero, ci vogliono sei isolati per sfuggire a Bruno.»

    Kate, insegnante del terzo anno, corrugò la fronte mentre le porgeva un bicchiere di champagne. «Ma succederà così ogni sera della nostra vacanza?»

    Belinda alzò gli occhi al cielo. «Ti avevo avvertito, Kate. Andare all'estero con Daze significa un bagaglio pesante, sotto forma di un uomo spaventoso che ha in tasca un'arma. Devi abituarti. La situazione non cambierà mai.»

    «Oh, sì, invece.» Daisy alzò il mento. «Sono stufa di essere trattata come una bambina. Ho l'età per badare a me stessa. E questa vacanza è l'occasione perfetta per dimostrarlo.»

    Una volta per tutte.

    Suo padre avrebbe dovuto smetterla. Lei voleva vivere la propria vita a modo suo, non sempre dipendente dal padre che la trattava come se avesse dodici anni.

    «Perché tuo padre è così protettivo?» chiese Kate.

    Prima di rispondere, Daisy bevve un sorso di champagne. Non aveva mai confidato a nessuno i rapporti, grazie al cielo di breve durata, di suo padre con il mondo del crimine. Era molto più semplice fingere che fosse così protettivo perché, da bambina, era scomparsa per un'oretta. Che questa scomparsa non fosse niente più di un gioco a nascondino, sfuggendo all'attenzione della madre, era irrilevante. «Papà guarda troppi film gialli. Teme che non appena metto piede fuori dal Paese, qualcuno mi rapisca per chiedere un riscatto.»

    Kate arcuò un sopracciglio. «Sapevo che la tua famiglia era benestante, ma...»

    «Ha una valanga di denaro.» Belinda porse il bicchiere perché fosse riempito di nuovo. «Dovresti vedere la sua villa nel Surrey. Spettacolare. Inoltre suo padre possiede altre ville in Italia e nel sud della Francia. Non immaginavo che un commercialista potesse diventare tanto ricco. Forse avrei dovuto dedicarmi a questa professione, invece che all'insegnamento.»

    Daisy si mordicchiò il labbro. Aveva sempre creduto che suo padre si fosse arricchito col duro lavoro e l'impegno, creando dal niente quello studio a Londra. E ancora lo credeva... in un certo senso. Come poteva pensarla diversamente? Era un padre affettuoso, che avrebbe baciato il terreno che lei calpestava. Allora, che importanza aveva se un tempo aveva gestito la contabilità di un capo mafioso? Non per questo era un criminale. Le aveva assicurato che si trattava di qualcosa di anni e anni prima, e che adesso non c'era motivo di preoccuparsi, benché il fatto che avesse insistito che lei installasse un sistema di allarme in casa sua, e all'estero fosse sempre accompagnata da una guardia del corpo, le causava un certo disagio, anzi, una certa inquietudine, a essere onesta. Discutere con il padre sarebbe stato tempo perso, come aveva ben appreso sua madre quando aveva cercato di divorziare.

    «Ma se hai così tanto denaro, perché insegni?» volle sapere Kate.

    «Adoro insegnare» rispose Daisy, pensando alla sua classe d'asilo, con quei piccoli visi sorridenti. «I bambini sono così innocenti e...»

    Belinda sbuffò, poi rise, mentre passava il dito sull'orlo del bicchiere. «Già, come te.»

    Daisy la guardò risentita. «Solo perché, tecnicamente, sono ancora vergine, non significa che...»

    «Tecnicamente?» Sbalordita, Kate aggrottò la fronte. «Cosa? Vuoi dire che non sei mai andata a letto con nessuno?»

    Ecco, ci risiamo, pensò Daisy. Perché di questi tempi essere vergine è così strano? Parecchie ragazze lo erano. Le ragazze amish, per esempio. Giovani con profonde convinzioni religiose. Le suore, anche. Comunque, avere un padre iperprotettivo era come se si fosse state allevate in un convento. Praticamente, aveva allontanato qualsiasi suo ammiratore. Inoltre, aveva investigato su tutti coloro che la avvicinavano, il che era davvero imbarazzante. Per questo era arrivata a ventisei anni senza aver fatto il grande balzo.

    Ma quella vacanza avrebbe cambiato tutto. O, almeno, così sperava. Lontana dall'occhio indagatore del padre, sarebbe stata in grado di allargare le ali, di flirtare un poco e spiccare il volo. Di rilassarsi, invece di vivere in tensione, col timore che all'improvviso il padre apparisse, agitando un mandato di cattura per il ragazzo che la accompagnava.

    «Non ancora» rispose Daisy, «ma non intendo farlo per il gusto di farlo. Voglio che abbia un significato, e che lo abbia anche per lui.»

    «Mi dispiace dover essere proprio io a toglierti le illusioni, ma dubito che troverai l'anima gemella a Las Vegas» borbottò Kate.

    «Daisy non deve farti pena» intervenne Belinda con un sorriso malizioso. «La nostra Daze ha un giocattolo. Gliel'ho regalato quando, l'anno scorso, abbiamo fatto la recita a scuola. Non è così, Daze?»

    Daisy si unì alla risata, ma odiava arrossire per quel maledetto oggetto porno. L'aveva estratto dalla scatola poche volte... D'accordo, forse più di poche volte. Per essere sincera, non l'aveva riposto subito. Attualmente era nel beauty case assieme ai cosmetici, perché non voleva che la sua coinquilina ficcanaso lo trovasse nel cassetto del suo comodino mentre lei era in vacanza. Comunque fosse, consentiva dei massaggi fantastici, quando il collo o le spalle erano in tensione.

    «Ehi, controllate a ore due.» Belinda volse il capo verso l'estremità destra del banco. «Guardate l'uomo in compagnia di quella bionda con l'abito che sembra un foglio di alluminio. Sapete chi è?»

    Daisy studiò il giovane alto e bruno, appoggiato al bancone del bar con aria indolente mentre chiacchierava con una donna che indossava un abito luccicante, talmente aderente che pareva cucito addosso al corpo perfetto da modella. La camicia bianca del giovane, aperta al collo, creava un contrasto con la pelle abbronzata, e gli occhi erano così scuri da sembrare carboni. I capelli erano lunghi a sufficienza per arricciarsi sul collo, e scompigliati, come se si fosse appena alzato dal letto, o vi avesse fatto scorrere le dita. La bocca era perfetta, la curva sensuale circondata dall'ombra della barba, il labbro superiore incurvato in un sorriso che pareva più cinico che divertito, e il labbro inferiore che suggeriva un sano e pericoloso appetito sessuale. Nonostante il caldo del locale, Daisy rabbrividì involontariamente. «No, chi è?»

    «Luiz Valquez» disse Belinda. «È un famoso campione argentino di polo. Dalla stampa è soprannominato il re delle avventure di una notte. Nessun playboy cambia partner con la sua stessa velocità. Praticamente ne fa uno sport.»

    Daisy non aveva mai visto un giovane talmente affascinante al punto da bloccarle il cuore. Pareva uno di quei modelli che pubblicizzano occhiali da sole e costosi dopobarba. Emanava testosterone e sex appeal. Irradiava ondate di energia sensuale. Non riusciva a distogliere gli occhi da lui. Aveva qualcosa di... ipnotico. Accattivante. Non dipendeva soltanto dal suo aspetto straordinario. C'era qualcosa in lui che Daisy trovava estremamente intrigante. Lo intuiva dalla postura arrogante del capo, dal naso aquilino, dallo sguardo acuto e intelligente. Era come se sapesse di essere al comando del locale e lo dimostrasse.

    «Smettila di sbavare, Daze» la avvertì Belinda. «Non si mette con i comuni mortali come noi. Esce solo con stelle del cinema o con modelle.»

    Daisy stava per distogliere lo sguardo quando lui, improvvisamente, voltò il capo e i loro occhi si incontrarono; il giovane arcuò un sopracciglio in virile approvazione, causandole una sorta di scossa elettrica. Una sensazione di calore si propagò tra le sue gambe, tanto che per poco non cadde dallo sgabello del bar sul quale era appollaiata. Velocemente accavallò le gambe mentre lui seguiva il movimento con lo sguardo. Poi quello sguardo risalì pigro lungo il suo corpo, dalle caviglie ai fianchi, dalla vita al seno dove indugiò più del necessario, prima di salire ancora fino alla bocca.

    E lì rimase. A lungo.

    Daisy ebbe l'impressione che le labbra ardessero. Però poi lui spostò lo sguardo sui capelli castani che lei teneva raccolti, ma non a sufficienza perché non le incorniciassero il viso, sfiorando le spalle.

    Quindi tornò agli occhi.

    Daisy aveva sentito diverse volte l'espressione: il tempo si è fermato. Se n'era servita anche lei, di tanto in tanto. Sapeva che, per logica, era impossibile, ma questa volta realmente si era fermato. Lo sentiva. Pareva che ogni orologio nel night, ogni orologio di ogni smartphone, ogni orologio da polso, si fosse bloccato.

    Belinda le schioccò le dita davanti al viso. «Torna sulla terra, Daze.»

    «Oh, mio Dio!» Kate diede un colpetto alle costole dell'amica. «Sta venendo qui!»

    Daisy aveva il cuore che batteva come il pistone di un motore consumato dall'uso. La pelle le pizzicava. Le girava la testa, e dovette aggrapparsi al bancone per evitare di cadere.

    Non ricordava che un uomo l'avesse mai guardata... in quel modo. Come se fosse l'unica donna della stanza. Come se potesse scorgere attraverso l'abito nero la sua biancheria intima. Come se intuisse la reazione del suo corpo, come se le avesse fatto qualche tipo di incantesimo. Era scioccante e, nello stesso tempo, eccitante rendersi conto di non avere il controllo del corpo e dei sensi. Come se l'universo avesse percepito il sussurro del suo desiderio di uscire dai panni di brava ragazza, e le stesse offrendo il ragazzaccio più accattivante del pianeta. Nessun uomo l'aveva mai attratta sessualmente in quel modo, nessuno aveva mai risvegliato in lei un'urgenza del genere. Mentre attraversava la pista da ballo, Daisy lo paragonò a Mosè che divideva le acque del Mar Rosso. Non che questo particolare Mosè si sarebbe attenuto ai Dieci Comandamenti, pensò asciutta. Probabilmente li aveva infranti tutti già prima di colazione. Notò che, al suo passaggio, la gente si scostava e persino l'illuminazione pareva accentuare la sua avanzata, come se avvicinarsi per parlarle fosse l'evento clou della serata.

    Ormai era davanti a lei, così vicino che il ginocchio quasi gli sfiorava la lampo dei pantaloni e la pelle, al pensiero di essere a contatto di quel corpo fantastico, ardeva.

    Lui incurvò le labbra in un sorriso sexy. «Hola.»

    Sentendo quella voce baritonale, Daisy quasi si sciolse in una pozza di cera ai suoi piedi. L'aveva salutata nella propria lingua madre. Già lo spagnolo era una lingua orecchiabile e piacevole da ascoltare, ma mai come con l'accento argentino. L'influenza di una grande migrazione di italiani nel diciannovesimo secolo aveva contribuito a rendere quella lingua più musicale.

    Daisy era seduta, immobile, mentre il suono di quella voce si insinuava in lei come una carezza. Si rese conto di arrossire ma, alla fine, riuscì a trovare la voce. Era abbastanza mortificante squittire come un topo, ma sempre meglio di niente. «Salve... ehm... Ciao.»

    Gli occhi di Luiz Valquez, da vicino, erano ancora più scuri. Non si riusciva a individuare le pupille nell'iride. La bocca era persino più tentatrice, ora che ne scorgeva perfettamente i contorni. Ripiegò le dita per frenare l'impulso di toccarlo in viso. La forza che emanava quel corpo era così potente, che si sentì attratta come ferro da un magnete.

    «Vuoi ballare?» le chiese in inglese, ma con quella cadenza particolare che le provocò dei brividi alla spina dorsale.

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