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In amore tutto può succedere. Tutta colpa di New York Extra 1.5
In amore tutto può succedere. Tutta colpa di New York Extra 1.5
In amore tutto può succedere. Tutta colpa di New York Extra 1.5
E-book139 pagine1 ora

In amore tutto può succedere. Tutta colpa di New York Extra 1.5

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IN ESCLUSIVA LE PRIME PAGINE DEL NUOVO ROMANZO DI CASSANDRA ROCCA

A Natale tutto sembra possibile, si sa, e anche le cose più improbabili possono avere il loro lieto fine. Così è stato per Clover O'Brian, irriverente personal shopper newyorkese, e Cade Harrison, avvenente star di Hollywood. Il loro amore è nato nella magica atmosfera natalizia, tra fiocchi di neve e luci colorate, trasformandosi in una romantica favola sulla bocca di tutti.
Ma una volta spente le luci dell'albero e smontate le decorazioni, cosa sarà successo? Clover e Cade saranno davvero riusciti a far funzionare le cose, incastrando le loro vite così diverse?

Cassandra Rocca
Giovane scrittrice di origini siciliane, vive a Genova. Nella vita di tutti i giorni lavora come educatrice infantile, ma dedica il tempo che le resta al suo amore più grande: i libri. Accanita lettrice e aspirante scrittrice fin dalla tenera età, ha iniziato a pensare di rendere pubblica la sua passione solo negli ultimi anni. Tutta colpa di New York è il suo romanzo d’esordio
LinguaItaliano
Data di uscita25 mar 2014
ISBN9788854168046
In amore tutto può succedere. Tutta colpa di New York Extra 1.5

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    Anteprima del libro

    In amore tutto può succedere. Tutta colpa di New York Extra 1.5 - Cassandra Rocca

    741

    Prima edizione ebook: marzo 2014

    © 2014 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-6804-6

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Cassandra Rocca

    In amore tutto può succedere

    Tutta colpa di New York extra 1.5

    In amore tutto può succedere

    Se sognare un poco è pericoloso, la sua cura non è sognare di meno ma sognare di più. Sognare tutto il tempo.

    Marcel Proust

    Brooklyn, New York, il giorno di Natale

    «Forse dovresti andare da solo», disse Clover, bloccandosi, a pochi passi dalla porta di una villetta elegante nei pressi di Brooklyn.

    Cade rallentò, un sorriso comprensivo sulle labbra. «Ti ricordi cosa ha minacciato di fare mia madre?»

    «In questo momento non mi ricordo neanche come mi chiamo», bofonchiò lei, dando un calcetto alla neve sul vialetto.

    «Ha detto che se non ti portavo al pranzo di Natale, non sarei più stato il suo figlio preferito».

    I grandi occhi screziati di Clover si alzarono per incontrare i suoi. «E per te è così importante essere il figlio prediletto? Voglio dire, hai già tutte le fortune di questo mondo! Potrai lasciare il privilegio a tuo fratello Jake, dopo trent’anni, giusto?».

    Con l’enorme pazienza che lo contraddistingueva, e che lei amava ogni minuto di più, Cade le circondò l’esile vita con le mani, cercando il suo sguardo. «Andrà tutto bene, amore. La mia famiglia è a posto, non è complicata come la tua».

    «Ma è proprio questo il problema: non ho dimestichezza con le famiglie da catalogo natalizio! So gestire la mia, con tutti i difetti e le stranezze che la contraddistinguono, ma fronteggiare tutti i tuoi parenti meravigliosi e splendenti è troppo! Penseranno: Ehi, ma che diavolo passava per la testa di Cade? Questa ragazza è così rozza e insignificante! Niente a che vedere con quelle sventole alle quali si è accompagnato finora, ricche, famose, e bellissime, e…».

    Ridendo piano, Cade le mise una mano sulla bocca per farla tacere. «Ok, può bastare, lingua lunga!». Clover gli morse il palmo, riuscendo liberarsi. «Ahi! Adesso mordi anche?»

    «Oh, non hai idea di tutte le cose terribili che posso fare! In fondo non mi conosci quasi, stiamo insieme da troppo poco tempo. Sei abituato a portare a casa tutte le donne con cui vai a letto, dopo solo una manciata di giorni?»

    «Certo che no».

    «Appunto! Allora perché hai fatto un’eccezione proprio per me?»

    «Lo sai».

    «Rinfrescami la memoria», sbuffò lei.

    Cade le afferrò i lunghi capelli rossi ai lati del viso, costringendola a sollevarlo. Con l’espressione più seria che gli riuscì, la guardò negli occhi. «È tutta colpa tua. Quando sono venuto a New York per nascondermi dai paparazzi, mi sei piombata fra capo e collo…».

    «Veramente io…».

    «E da quel momento hai usato tutte le tue arti subdole per rendermi schiavo», la interruppe lui, stringendo più forte le ciocche morbide. «Mi hai portato a spasso per la città come un cagnolino, mi hai abbagliato con tutte quelle luci e i festoni, assordato con la musica natalizia e drogato di cioccolata e marshmallow. E, una volta istupidito per bene, mi hai mostrato le cose più belle della vita, mi hai ricordato i miei antichi sogni. Hai sorriso e mi hai baciato… e quello è stato il colpo di grazia. Ora non posso più guarire: sono completamente in tuo potere», concluse, con voce dolce. Poi sorrise, malizioso. «Ma come ogni incantesimo che si rispetti, c’è sempre un prezzo da pagare: e il tuo è il pranzo di Natale con i miei». Le diede un rapido bacio sulle labbra fredde e riprese a trascinarla lungo il vialetto.

    Con un sospiro, Clover lo lasciò fare. «E va bene, suppongo di dovertelo. Ma se i tuoi mi detesteranno, non prendertela con me».

    «Me ne ricorderò, promesso», sorrise Cade, suonando il campanello.

    La porta si aprì immediatamente e apparve una donna alta e mora, molto bella, che parve illuminarsi come un albero di Natale.

    «Cade! Finalmente sei arrivato! Sono davvero felice di vederti!», esclamò la sconosciuta fasciata in un abito di seta rosso, più seducente che natalizio, facendosi avanti per abbracciarlo.

    Clover inarcò le sopracciglia e sbatté le palpebre. E quella chi era? Da quel che ne sapeva, Cade non aveva sorelle dai capelli scuri, né cugine alla lontana con un lieve accento europeo.

    E poi, quanti secondi doveva durare un abbraccio, prima di diventare inopportuno? A suo dire, molto meno di quanto stava durando quello fra il suo uomo e quella panterona…

    Cade fece finalmente un passo indietro, sorridendo. «Scusa il ritardo, ma…».

    «Non siamo in ritardo, è mezzogiorno in punto», lo interruppe Clover, lievemente infastidita. Non aveva nessuna intenzione di far capire a quella bellona che era stata la sua ansia a rallentarli.

    Gli occhi della donna si appuntarono su di lei, facendola sentire piccola e scialba. Clover raddrizzò le spalle e la studiò a sua volta: gambe lunghissime e toniche, fianchi accarezzati dalla seta del vestito – sicuramente un Valentino –, occhi ambrati e lunghi capelli lisci, perfettamente in ordine. Un profumo costosissimo la avvolgeva, e ogni cosa in quella donna parlava di successo, ricchezza e charme. Come poteva lei, piccola ed esile, con i suoi selvaggi capelli rossi, il trucco semplice e un abito di maglia che fino a pochi minuti prima le era sembrato adorabile, competere con tanto splendore?

    Per reazione, fece ciò che le riusciva meglio: affilò le unghie, passando al contrattacco.

    «Noi newyorkesi non siamo soliti arrivare con largo anticipo, preferiamo ottimizzare il tempo. In California è diverso?»

    «Io sono per metà francese, quindi non saprei», sorrise la donna, porgendole la mano. «Piacere di conoscerti, io sono Monique».

    La fidanzata del fratello di Cade…

    Ottimo inizio, Clover!, sbuffò mentalmente. Farsi venire un attacco di gelosia e azzannare un membro acquisito della famiglia Harrison era stata una mossa geniale.

    Strinse la mano a Monique, che si fece da parte per farli entrare.

    «Non siete in ritardo, gli altri sono arrivati da pochi minuti. Solo che tua madre era molto ansiosa di vederti», disse, rivolta a Cade.

    «Non ne dubito», ridacchiò lui, sospingendo delicatamente Clover verso il soggiorno.

    Ci siamo, pensò lei, prendendo un profondo respiro per farsi coraggio.

    Sei persone riempivano lo spazio in quella che sembrava una stanza uscita da una rivista di arredamento, calda, ben illuminata e addobbata a festa, tutta nei toni del verde, nero e crema. Clover non aveva mai visto nessuno di loro, eppure non fu difficile attribuire un nome a ogni volto.

    Su un ampio divano erano seduti i genitori di Cade. Grace Cooper Harrison era voltata per metà, ma Clover riuscì a notare la bellezza ancora giovanile del suo volto anche da quell’angolazione. Aveva lunghi capelli biondi, raccolti sulla nuca in un’acconciatura elaborata, e indossava un vestito semplice ma di gran classe, nero, con il collo impreziosito da ricami in pizzo. Accanto a lei, il marito William risultava imponente anche seduto. I capelli chiari ingrigiti sulle tempie e il viso abbronzato e segnato dal tempo contribuivano a renderlo affascinante. Nonostante la moglie gli stesse raccontando qualcosa, con evidente entusiasmo, lui sembrava assorto in altri pensieri, e giocava distrattamente con i bottoni del suo gilet.

    Su una poltrona posta ad angolo retto rispetto al divano era seduta una ragazza sui venticinque anni bionda e composta, che sfogliava una rivista. Doveva essere Heather, la figlia numero tre, designer d’interni. In piedi davanti al caminetto scoppiettante, un uomo alto, abbigliato in modo casual-chic, e una ragazza giovane, molto alla moda, discutevano animatamente di qualcosa. C’era qualcosa di familiare in quegli occhi azzurri: dovevano essere Jake e Cecile Harrison, figli numero due e quattro.

    Solo al ragazzo impegnato con lo smartphone accanto alla finestra, Clover non seppe dare un’identità. Di sicuro non era un parente degli Harrison, che sembravano esser stati fatti in serie, vista l’enorme somiglianza fra di loro. Di altezza media e con i capelli castano ramati, lo sconosciuto non somigliava a nessuna delle divinità bionde presenti, né i suoi lineamenti suggerivano analogie con quelli di Monique.

    Distratta dai saluti festosi all’indirizzo di Cade, Clover smise di pensare e si concentrò sul presente. Se anche non fosse stata al corrente dell’amore sconfinato che legava ogni membro della famiglia Harrison, lo avrebbe chiaramente intuito dagli atteggiamenti di quelle persone. Baciavano e abbracciavano Cade come se non lo avessero visto per mesi, mentre era stato con loro fino alla mattina precedente.

    Clover provò a ricordare quando era stata l’ultima volta in cui, nella sua famiglia, si era consumata una simile dimostrazione di affetto ed entusiasmo: probabilmente mai. Gli O’Brian non erano mai troppo sentimentali, ma di sicuro potevano concorrere per aggiudicarsi il Nobel per la falsa cortesia.

    Tutti quanti la salutarono affettuosamente come se davvero non vedessero l’ora di incontrarla, e questo la rincuorò. Il ragazzo misterioso si presentò per ultimo come Scott Waves, il segretario tuttofare di Cade.

    «Ero davvero ansiosa di conoscerti, Clover». La madre di Cade si fermò di fronte a lei con un largo sorriso, evidentemente desiderosa di approfondire fin da subito la sua conoscenza.

    Clover ricambiò il sorriso, sulle spine. Era assurdo ricordare con quanta naturalezza avesse trattato un famosissimo divo di Hollywood come Cade, durante il loro primo incontro, e paragonarlo al disagio che avvertiva in quel momento.

    «Anche io ero molto curiosa, signora Harrison», rispose, sperando di apparire come la buona ragazza educata che ogni mamma vorrebbe vedere accanto al proprio figlio.

    «Chiamami pure Grace, non essere formale».

    «Mamma, cerca di non spaventarla, d’accordo? Lo è già abbastanza di suo», scherzò Cade, dando una stretta rassicurante alla mano di Clover, che lo fulminò con un’occhiata.

    «Non è me che deve temere, ma tuo padre. Lui sì che è un osso duro!», scherzò Grace. Nel vedere gli occhi di Clover spalancarsi per il panico, sorrise e la prese per un braccio. «Vieni cara, siediti con noi. Vogliamo sapere tutto di te!». Con gentile fermezza la trascinò

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