L eredità del visconte
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L eredità del visconte - Elizabeth Bailey
successivo.
1
La prima sensazione fu di sbigottimento e incredulità. Per un attimo, lord Delagarde ebbe paura di essere impazzito, ma mantenne il controllo e si appoggiò alla mensola del caminetto, l'altra mano elegantemente posata sul fianco mentre osservava l'indisponente apparizione che con tanta irritante sfrontatezza lo stava affrontando nel salottino della sua casa.
A dire il vero non sembrava la figlia di un conte. Il lungo mantello verde e la gonna che portava sotto erano decisamente sciatti, e nessuna donna con un minimo di distinzione avrebbe mai accettato di farsi vedere in giro con addosso una cuffia color senape! Ma la cosa più snervante era lo sguardo, la fastidiosa fissità degli occhi grigi che lo braccavano da sotto la tesa di quella ridicola cuffia.
Le cose che gli aveva detto erano talmente assurde da fargli venire il sospetto di non aver capito bene. «Temo di non avervi seguito. Se foste così gentile da ricominciare daccapo...»
«Naturalmente.» Lei parlava a voce alta, con decisione, senza tradire alcuna timidezza. «Vi sto chiedendo di organizzare il mio debutto in società.»
«Mi chiedete di... organizzare il vostro debutto» ripeté lui, certo che quelle parole dovessero avere un senso, anche se al momento non riusciva ad afferrarlo. «Sì, mi era parso che si trattasse di questo.»
«Vi era parso bene» disse lei con lo stesso tono di prima. «Ormai è giunto il momento che mi sistemi.»
«Ah, dunque voi volete sistemarvi...» Il visconte si premette due dita sulla tempia, là dove pulsava un fastidioso principio di emicrania. Forse c'era una possibilità, seppure remota, che quella scena fosse soltanto un prodotto della sua immaginazione. Forse non era stato obbligato a rotolare giù dal letto a quell'infame orario mattutino per vestirsi e scendere a incontrare una donna di sconosciute origini che lo aveva assalito con quella scandalosa proposta. Richiedeva... richiedeva!... che lui organizzasse il suo debutto in società.
Sì, doveva essere tutto un sogno. A meno che la grande bevuta della notte appena trascorsa non avesse alterato il buon funzionamento della sua mente, sottoponendolo a quella straordinaria allucinazione. Ma poi l'allucinazione parlò nuovamente, strappandolo alle sue contorte meditazioni.
«No, non state sognando.»
«Se non sto sognando, vuole dire che sono impazzito» protestò Delagarde, che non si era reso conto di aver dato voce ai suoi pensieri.
L'allucinazione lo guardò con gli occhi sgranati in un'espressione innocente che rese le sue successive parole ancora più insultanti. «È più probabile che voi stiate soffrendo per i postumi di una bella sbornia. Vi posso assicurare che la mia presenza qui non è in alcun modo legata al liquore del quale avete evidentemente abusato ieri sera.»
Lui rimase interdetto, poi, in un crescendo di indignazione, chiese: «State per caso insinuando che mi sono ubriacato?».
«Perché, non è vero?»
«Nemmeno per sog...» Delagarde si interruppe, serrando risolutamente la bocca. Perché diamine perdeva tempo a rispondere a simili domande? Fulminando l'impudente ragazza con un'occhiata inceneritrice, dichiarò: «Se anche fosse, non sono affari vostri».
«Avete ragione» ammise lei, disarmandolo completamente.
«Allora per quale motivo lo avete chiesto?» incalzò lui in tono bellicoso.
«Per aiutarvi.»
«Aiutarmi?»
«Volevo semplicemente dimostrarvi che non eravate impazzito tutt'a un tratto e che questo non era un sogno» spiegò lei con calma.
A quel punto, Delagarde si portò entrambe le mani alla testa, che aveva cominciato a girargli vorticosamente. «Sembra che parliate per indovinelli» disse in tono lamentoso.
«Eppure si tratta di una questione molto semplice, come realizzerete quando vi sarete ripreso.»
Il che avrebbe potuto richiedere parecchie ore, riconobbe il visconte con una smorfia, sforzandosi di ricapitolare quello che era successo dal momento in cui il suo maggiordomo era venuto a svegliarlo per dirgli che una certa lady Mary Hope chiedeva di lui e che si rifiutava di andarsene senza prima averlo visto. Il nome non gli diceva niente, anzi per quel che ne sapeva sarebbe anche potuto essere inventato.
«Come posso essere sicuro che voi siete veramente lady Mary Hope?» le domandò lui all'improvviso, puntandole addosso uno sguardo penetrante.
«E chi altri dovrei essere?» replicò lei, allargando le mani.
«Che diavolo ne so?» ribatté lui, comprensibilmente irritato. «Potreste essere chiunque. Un'avventuriera... una truffatrice, una squilibrata... non ne ho la più pallida idea.»
«Accidempoli...» borbottò la sua visitatrice con aria ben poco signorile. «Una persona come voi, un pari del Regno, sa perfettamente quali sono i nobili di spicco. Se sono una Hope, è ovvio che sono imparentata con il conte di Shurland.»
«Se siete una Hope» convenne Delagarde, mettendo l'accento sul se. «Comunque, presentandovi come lady Mary, lasciate supporre di essere figlia dell'attuale conte di Shurland o di quello precedente, ma di questo io non ho alcuna prova.»
«Oh, se il problema è soltanto questo» rispose lei con un gesto noncurante, «io sono in grado di fornirvi tutte le prove che desiderate.»
«Bene. Dove sono?»
«Ve le presenterò senza attendere un secondo... dopo che ci saremo accordati sul resto.»
Era un lampo di sfida quello che vedeva brillare nei suoi occhi? Delagarde compì uno sforzo per scrollarsi di dosso la letargia e assumere il controllo della situazione. Non era certo tipo da lasciarsi intimidire da una damigella di belle speranze, lui.
«Mia cara ragazza, noi due non abbiamo niente su cui accordarci» tenne a precisare nel più arrogante dei toni. «Se questo è un tentativo di frode, avete scelto l'uomo sbagliato, ma in ogni caso, anche se foste davvero lady Mary Hope, sappiate che non ho la benché minima intenzione di...»
«Vi prego, non sprechiamo altre inutili parole su questo punto» ribatté lei con una certa impazienza, interrompendolo. «A voi conviene accettare la mia identità senza ulteriori indugi. Tuttavia, viste le circostanze, vi consiglio di chiamarmi Maidie... come fanno i miei famigliari e amici... in modo che la gente si convinca che la nostra è una conoscenza di vecchia data.»
«Io non ho alcun desiderio di convincere nessuno in questo senso» obiettò il visconte, evitando accuratamente di avvalersi del permesso che gli era stato accordato. «E continuo a nutrire parecchi dubbi sulla vostra identità.»
«Non capisco perché. Ormai dovreste esservi accorto che sono lady Mary.»
«Spiacente di deludervi, ma non è così» replicò lui, perdendo quel poco di pazienza che gli era rimasta. «Io vedo soltanto una giovane donna stravagante che si è presentata a casa mia in un orario quanto mai sconveniente...»
«Sono le dieci e mezzo!»
«...sconveniente per una visita. E, dato che stiamo affrontando l'argomento, vi faccio notare che qualunque donna che vantasse una qualche pretesa di nobiltà non si sarebbe mai sognata di recarsi in visita a un gentiluomo...»
«Nella mia situazione lo avrebbe fatto.»
«...nella sua casa senza essere accompagnata. Se foste davvero lady Mary Hope, sareste consapevole dell'improprietà di un simile comportamento.»
«Infatti, ne sono consapevole» disse Maidie, «ma non ho mai capito perché venga considerato improprio.»
«Mi sembra evidente» sbottò Delagarde, sempre più irritato. «A parte il danno alla vostra reputazione, siete sola, assolutamente priva di protezione.»
«Avete per caso intenzione di aggredirmi o molestarmi?»
«Naturalmente no!»
«Allora perché stiamo qui a discuterne?» ragionò lei.
«Oh, santi numi!» Chiaramente esasperato, il visconte si staccò dal caminetto, camminando avanti e indietro per la stanza finché non si ricordò come avevano fatto ad arrivare a quel vicolo cieco. «Il punto è un altro» tenne allora a precisare in tono veemente. «Non si è mai sentito di una perfetta sconosciuta che si introduce nella dimora di un gentiluomo per sottoporgli una richiesta così assurda e ridicola!»
Maidie inarcò un sopracciglio. «Non vedo che cosa ci sia di assurdo o di ridicolo nella mia richiesta.»
Lui allargò le braccia in un gesto di impotenza e sconforto. «Se non riuscite a capire nemmeno questo, forse fra noi due la pazza siete proprio voi!» ribatté con voce tagliente. «Organizzare il vostro debutto... così, come se fosse una sciocchezzuola qualunque! Anche se fossi interessato... e non lo sono, ve lo garantisco... sarebbe impossibile.»
«Perché?»
«Perché non sono nelle condizioni di farlo. Ma cosa pensavate? Che avrei dato una festa da ballo in casa mia?»
«Perché no?»
«Perché no?!» Delagarde sperimentò l'impulso di strapparsi i capelli. «Come potete dire una cosa simile? Buon Dio, ragazza mia, io sono scapolo, mentre voi avete bisogno di una distinta gentildonna che vi faccia da chaperon.»
Maidie si rilassò, appoggiandosi allo schienale della poltrona. «È tutto qui il problema? Be', potete smettere di...»
«No, il problema non è tutto qui!» esclamò lui esasperato.
«...preoccuparvi, perché ci ho già pensato io» concluse lei, ignorando la sua rabbiosa interruzione. «Mi sono fatta accompagnare dalla mia dama di compagnia, la quale fra l'altro è una delle vostre cugine. Come vedete, potremo stabilirci nella vostra casa senza destare alcuno scandalo.»
«Stabilirvi nella mia...» Il visconte non ebbe nemmeno la forza di finire la frase, e dopo averla fissata senza dire niente per una manciata di secondi cadde di schianto sulla poltrona dall'altra parte del caminetto, prendendosi la testa fra le mani.
Maidie lo osservò con grande interesse. Era diverso da come se lo era aspettato. Naturalmente aveva previsto di dover dare qualche spiegazione, ma non di veder messa in dubbio la sua identità. Proprio non riusciva a spiegarsi per quale motivo lord Delagarde si ostinasse a voler complicare una faccenda tutto sommato semplice e lineare.
Non aveva l'aria dello stupido, tutt'altro. Qualcuno avrebbe anche potuto definirlo un bell'uomo, di sicuro aveva dei lineamenti forti e intelligenti... sebbene al momento un po' annebbiati. La linea decisa della mascella, il naso diritto, la fronte ampia, gli conferivano un aspetto raffinato ed elegante che lo rendeva particolarmente adatto a svolgere il ruolo che aveva in mente per lui.
Almeno dal punto di vista esteriore, era pressoché perfetto. Abitava in uno dei quartieri più prestigiosi di Londra e la sua dimora era un piccolo capolavoro architettonico, decorato con molto gusto e nessuna volgare esibizione di ricchezza. Era proprio un peccato che fosse dotato di un carattere instabile, incline a frequenti sbalzi d'u more e improvvisi accessi di collera. Ma forse non era sempre così. Forse era arrivata in un momento sbagliato. Il maggiordomo che era venuto ad aprirle la porta le aveva detto che il visconte era ancora a letto e lui l'aveva fatta aspettare quasi mezz'ora prima di apparire, ancora visibilmente provato dalle abbondanti libagioni della sera precedente. Perfino quel sant'uomo del suo prozio Reginald era stato un po' rude la mattina dopo aver attinto con troppa liberalità alle sue preziose riserve di brandy. Forse, in condizioni migliori, lord Delagarde sarebbe stato meno intransigente.
Maidie si piegò in avanti, e in tono colmo di sollecitudine chiese: «Volete che vi faccia portare del caffè?».
Il visconte trasalì. Dio, ma era ancora lì? Durante quei pochi istanti di benedetto silenzio che gli erano serviti per alleviare la pressione alle tempie era quasi riuscito a dimenticarsi della sua importuna presenza. Abbassando le mani, artigliò i braccioli della poltrona e si impose di risollevare lo sguardo. Ma che cosa aveva detto? «Caffè?»
«Vi consiglio caldamente di berne una o due tazze. Il mio prozio sosteneva che, nei casi come il vostro, il caffè è una vera e propria panacea» gli spiegò lei.
Delagarde aprì la bocca per destinare lei e il suo esimio prozio alle fiamme dell'inferno, ma poi si trattenne. Mantieni la calma, si disse, tirando un profondo respiro. Non farti trascinare nella discussione.
«Io non voglio il caffè...» si ritrovò a mormorare lui a quel punto con studiata lentezza.
«Vi assicuro che...»
«No!» Una pausa, poi, deliberatamente: «Grazie».
Lei scrollò le spalle e tornò a rilassarsi contro lo schienale. «Come preferite.»
Con un gesto risoluto, Delagarde si alzò. «E adesso, lady Mary, cerchiamo di essere ragionevoli.»
In cuor suo, Maidie esultò. L'aveva chiamata per nome. Era già un progresso. «Non desidero altro.»
«Scusate se ve lo faccio notare, ma i vostri desideri non sono all'ordine del giorno» ribatté lui, asciutto. «Immagino che da qualche parte esista una persona meglio attrezzata di me per preparare il vostro debutto in società.»
Lei scosse la testa. «Non ho nessuno. Voi, lord Delagarde, siete il mio parente più prossimo... a parte naturalmente Shurland... quindi è vostro dovere aiutarmi.»
«Ma io non so nulla di voi! Quanto alla storia del parente più prossimo, non ricordo di aver mai avuto alcuna connessione con gli Hope.»
«E chi ha parlato degli Hope?» ribatté prontamente Maidie, mostrandosi sorpresa. «C'è un legame di parentela da parte di mia madre, che era una Burloyne.»
«Se devo essere sincero, non li ho mai sentiti nominare» dichiarò Delagarde senza riuscire a nascondere il sollievo. «Il che significa che non possono avere a che fare con la mia famiglia.»
Lei schioccò la lingua. «Ho forse affermato il contrario?»
«Avete appena finito di dire che...» Lui si interruppe, rendendosi conto che, con la confusione che gli aveva messo in testa, non era più in grado di distinguere una cosa dall'altra. «Non ha importanza. Il fatto è che...»
«Il fatto» interloquì lei, «è che anche se vi rifiutaste di riconoscere il rapporto di parentela, non potreste sottrarvi ai vostri obblighi.»
Il visconte la guardò stringendo sospettosamente gli occhi. Cos'era quella storia? «Quali obblighi?»
Maidie si mosse sulla poltrona, tirando fuori la borsa che era rimasta celata fra le pieghe del mantello. Dopo averla aperta, ne estrasse un foglio ingiallito dal tempo sul quale si intravedevano i resti di un sigillo di ceralacca.
«Questo vi spiegherà tutto» mormorò, alzandosi per porgerglielo, e quando lui lo prese aggiunse: «È stata vostra madre a scriverlo ed è indirizzato alla signora Egginton, una mia vicina che molto amorevolmente si era presa cura di me dopo la morte di mio padre. Fu lei ad avere l'idea di rivolgersi a vostra madre e, come potrete constatare, lady Delagarde aveva promesso di appoggiare e sostenere il mio debutto».
Lord Delagarde scorse rapidamente la lettera e, pur riconoscendo la calligrafia di sua madre, non si ritenne ancora soddisfatto. «E per quale motivo questa signora Egginton aveva deciso di rivolgersi proprio a mia madre?» chiese in tono venato di scetticismo.
«Vostra madre era nata come lady Dorinda Otterburn, giusto?»
«Sì, ma...»
«I Burloyne sono imparentati con gli Otterburn, quindi, come vedete, fra le nostre famiglie esiste una connessione.»
Lui non vedeva niente del genere. Il nome Burloyne non gli