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Sfida al milionario: Harmony Collezione
Sfida al milionario: Harmony Collezione
Sfida al milionario: Harmony Collezione
E-book167 pagine2 ore

Sfida al milionario: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

Il cinico e smaliziato Dare James è furibondo. Una donna, e che donna!, ha messo le grinfie su suo nonno, così in un impeto di rabbia decide di tornare nella grande proprietà di famiglia per rimettere le cose a posto. Peccato che una volta lì, si ritrovi lui stesso attratto da colei che intendeva smascherare con ogni mezzo.

Carly Evans non ha parole per l'umiliazione: lei è il medico dell'anziano uomo, non un'arrampicatrice sociale, e non vede l'ora di spazzare via quel sorrisetto compiaciuto dal viso di Dare. Senza nemmeno accorgersene, però, si scopre intrappolata con lui in un inspiegabile gioco di seduzione.
LinguaItaliano
Data di uscita19 mag 2017
ISBN9788858965016
Sfida al milionario: Harmony Collezione

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    Anteprima del libro

    Sfida al milionario - Michelle Conder

    successivo.

    1

    Era cosa nota che a Dare James non mancasse nulla, anche se lui non era sempre d'accordo. Con l'aria da affascinante canaglia e un fisico che molti atleti gli invidiavano, guidava auto costosissime, con donne anche più costose al fianco, e aveva case in ogni parte del mondo.

    A trentadue anni era già plurimilionario e poteva contare su una fortuna che si era costruito da solo dal nulla, con il lavoro duro unito a una grinta e a una determinazione d'altri tempi.

    L'unica cosa che gli faceva difetto era la capacità di trattare con gli stupidi, specialmente quelli incapaci di capire le oscillazioni di mercato finché non toccavano il loro portafoglio.

    Dare calò i piedi sulla scrivania e si appoggiò all'indietro. «Non m'importa se lui pensa che dobbiamo vendere» ringhiò al telefono. «Ti ho già detto che conviene tenerle. Se non si fida di me, può rivolgersi a qualcun altro.»

    Detto questo interruppe la comunicazione.

    «Problemi?»

    Lui alzò lo sguardo. Sulla soglia c'era sua madre. Era arrivata a Londra la sera prima, dalla Carolina del Nord, e aveva fatto tappa da lui per la notte, prima di dirigersi a Southampton, per far visita a una vecchia amica.

    Dare le sorrise poi tolse le gambe dalla scrivania.

    «Come mai già in piedi, mamma? Ti credevo ancora a letto.»

    Lei entrò e andò a sedersi su uno dei divani. «Volevo parlarti, prima di partire.»

    Dare sbirciò l'orologio. Per lui, gli affari venivano sempre prima di ogni altra cosa, ma non di sua madre.

    «Certo. Che cosa c'è?»

    Se aveva bisogno dell'autista per andare a Southampton, lui l'aveva già predisposto.

    «Ho ricevuto una mail da mio padre, un mese fa.»

    Dare corrugò la fronte. «Tuo... padre?»

    «Sì, lo so» sospirò lei. «È stata una sorpresa anche per me.»

    Dare non seppe che cosa lo sorprendeva di più, se la mail in sé o il fatto che sua madre avesse aspettato tanto per dirglielo. «Che cosa vuole?»

    «Solo vedermi.»

    Lei intrecciò le mani in grembo e Dare si irrigidì. Se un uomo che aveva buttato fuori di casa la figlia perché non approvava il suo matrimonio si faceva vivo dopo trentatré anni, aveva di sicuro un motivo. E a Dare non veniva in mente niente di buono.

    «Che il diavolo se lo porti» disse, senza complimenti.

    «Mi ha invitata a pranzo da lui.»

    Da lui significava a Rothmeyer House, un grande maniero in pietra immerso in centoventisette acri di magnifica campagna inglese.

    Dare sbuffò. «Non starai pensando di andarci?» Dopo il modo in cui era stata trattata, quella era l'ultima cosa che sua madre avrebbe dovuto fare.

    Però, a guardarla, si capiva già che avrebbe accettato. Anzi, che non vedeva l'ora d'incontrare suo padre.

    «Non ti ha mai aiutata» le ricordò lui, «e adesso chiede di vederti? Deve avere un secondo fine: ha bisogno di soldi, oppure sta per morire.»

    «Dare!» protestò sua madre. «Da quando sei diventato così cinico?»

    «Non cinico, ma realista.» Lui ammorbidì il tono. «Non voglio che resti delusa, mamma. Tutto qui.» Ormai, proteggerla era diventata una sua seconda natura.

    «È mio padre, Dare» replicò lei con dolcezza. «E mi ha teso la mano.» Ne alzò una delle sue, e la lasciò ricadere. «Non so come spiegarlo, ma sento che è la cosa giusta da fare.»

    Lui era abituato a trattare con i fatti, più che con le sensazioni, e per quel che lo riguardava suo nonno, Benson Granger, offriva troppo poco, e troppo tardi.

    Sua madre avrebbe avuto bisogno di lui anni prima. Non adesso.

    «Ha detto che ha provato a cercarmi anche prima» gli spiegò lei.

    «Avrebbe dovuto provarci con più impegno. Non mi sembra che tu ti sia nascosta.»

    «Magari c'è lo zampino di tuo padre, se non mi ha trovata.»

    Dare socchiuse gli occhi. Detestava anche solo il pensiero di suo padre. «Perché dici così?»

    «Una volta, quando tu eri piccolo e io mi fidavo ancora di lui, mi disse che aveva fatto in modo di far capire a mio padre che mi aveva persa per sempre. Solo molto tempo dopo mi sono chiesta che cosa volesse dire. Tra l'altro, mio padre non aveva mai nemmeno immaginato la tua esistenza.»

    «Bene, sarà meglio che ci si abitui, perché se decidi di andare io verrò con te.»

    «Allora credi che dovrei?»

    «Santo cielo, no. Per me, dovresti cancellare la mail e far finta di non averla mai ricevuta.»

    Sua madre sospirò. «Sei il suo erede, Dare.»

    Lui sbuffò ancora. «Non me ne importa un accidente. Non voglio ereditare un cumulo di macerie che costano di più in manutenzione di quel che valgono.»

    «Rothmeyer House è sempre stata bellissima... e io mi sento in colpa per non averti fatto conoscere prima il capostipite della mia famiglia...»

    Dare fece il giro della scrivania e andò a prenderle le mani nelle sue. «Guardami, mamma.» Attese che lei lo fissasse, con i suoi grandi occhi azzurri. «Hai fatto la cosa giusta. Io non ho bisogno di lui. Non ne ho mai avuto bisogno.»

    «È cambiato dopo la morte di mia madre» ribatté lei con dolcezza. «Si è chiuso. Con tutti.»

    Dare aggrottò un sopracciglio. «Proprio un modello da imitare.»

    Questo la fece sorridere. A cinquantaquattro anni era ancora una donna molto attraente, e finalmente sembrava essersi scrollata di dosso tutte le difficoltà con cui aveva dovuto combattere per anni.

    Ecco perché, per Dare, riallacciare i rapporti con suo nonno era inutile. Sua madre adesso era felice e non aveva bisogno di brutti ricordi. In fondo, se il passato si chiamava così c'era una ragione.

    «Anch'io ho avuto le mie colpe» continuò lei. «Da giovane ero impetuosa... e poi lui aveva ragione, a proposito di tuo padre. Sono stata troppo orgogliosa per riconoscerlo.»

    «Non penserai che sia stata colpa tua!» Dare si accigliò.

    «No, ma...» Sua madre lo guardò. «La cosa più strana è che l'avevo sognato, di tornare a casa. Anche prima di ricevere la mail. Una premonizione, non credi?»

    Lui credeva alle premonizioni non più di quanto credesse alle favole.

    «Va bene, ho capito» sbuffò. «Vuoi andare. Però te l'ho detto: verrò con te.»

    Lei gli rivolse un gran sorriso. «Speravo che lo dicessi. Lui è già entusiasta di conoscerti.»

    Magnifico, pensò Dare. Una riunione di famiglia, proprio quel che ci voleva. «Quando sarebbe?»

    «Domani.»

    «Domani!»

    «Scusami, tesoro. Avrei dovuto dirtelo prima, ma non ero sicura che accettassi.»

    Lui quasi rimpianse di averlo fatto. «Chi altro ci sarà?»

    «Non lo so.»

    «Non si è risposato? Magari hai una matrigna e non lo sai.» Sorrise, ironico.

    «No. Però ha detto che ospita qualcuno...»

    «Una donna?»

    Sua madre si strinse nelle spalle. «Non lo so. La telefonata è stata molto formale.»

    «Va bene» tagliò corto lui. «Dirò a Nina di sistemare la mia agenda.» Si concentrò. «Partiremo da qui alle...»

    Sua madre lo interruppe scrollando la testa. «Ho promesso a Tammy di andare da lei a Southampton questa sera, e non posso mancare. Perché non ci troviamo direttamente a Rothmeyer House domani intorno a mezzogiorno?»

    «Se lo preferisci.» Dare tornò a sedersi alla scrivania. «Ho già detto a Mark di accompagnarti. Resterà a tua disposizione anche domani.»

    «Grazie, Dare. Sei il migliore dei figli.»

    Lei si avvicinò e lui si alzò per abbracciarla. «Lo sai che farei di tutto, per te.»

    «Lo so, tesoro. E lo apprezzo.»

    Chissà se pensava ancora a suo padre, si chiese Dare a quel punto. Vivere con lui era stato come viaggiare sulle montagne russe di un luna-park, sempre senza terreno solido sotto i piedi.

    Suo padre era morto quando lui aveva appena quindici anni e definirlo sognatore era un eufemismo. Più che altro era stato un impostore con i piedi di argilla. L'unica cosa che gli aveva insegnato era come riconoscere una fregatura a un chilometro di distanza.

    Era stata comunque una lezione utile, che era servita a Dare per fare più soldi di quanti ne avesse mai sognati. E ne aveva sognati parecchi, crescendo nella poverissima periferia di una piccola città americana. Lì, aveva imparato molto presto a fidarsi solo di se stesso.

    Verso i diciotto anni aveva scoperto che sua madre proveniva da una ricca famiglia aristocratica, e lui, che l'aveva vista combattere anche con tre impieghi contemporanei pur di sbarcare il lunario, quella famiglia l'aveva odiata. Si era detto che mai e poi mai avrebbe accettato di incontrarla. E invece...

    Invece sarebbe andato a conoscere subito suo nonno. Quel giorno stesso e non l'indomani, come pensava sua madre.

    Se Benson Granger si illudeva di potersi insinuare nella vita della figlia con intenzioni poco meno che altruistiche, se la sarebbe vista con lui.

    E una gita in Cornovaglia, quel pomeriggio, gli avrebbe anche consentito di provare sulla strada il suo nuovo giocattolo.

    Dare sorrise, ma non con quel sorriso che faceva cadere tutte le donne ai suoi piedi, e che gli uomini gli invidiavano. Era il sorriso del gatto che pregustava di mangiarsi il topo.

    Oh sì. Avrebbe detto a suo nonno ciò che si meritava.

    Gli abitanti del villaggio di Rothmeyer dicevano che un'estate così bella non si vedeva da trent'anni. Giorni sereni e notti con appena un alito di vento.

    A Rothmeyer House, la grande tenuta poco distante dal paese, Carly Evans si aggrappò al bordo della piscina e si tirò su, esausta.

    «Chiunque sostenga che il duro esercizio fisico produce endorfine è un bugiardo» sbuffò. La sentì solo il cane del padrone di casa, sdraiato all'ombra ad acchiappare le mosche.

    Da quando era arrivata, tre settimane prima, nel tempo libero Carly non aveva fatto altro che nuotare e correre, ma di endorfine neanche l'ombra.

    Non che potesse lamentarsi. L'occasione di assistere a domicilio come medico l'anziano Barone Rothmeyer era stata un vero colpo di fortuna. La residenza era spettacolare e lei veniva trattata come un'ospite di riguardo. Ormai mancavano solo due settimane all'operazione a cui il barone doveva sottoporsi per salvarsi la vita.

    Poi l'incarico sarebbe terminato e Carly avrebbe dovuto trasferirsi ancora. I suoi genitori forse avrebbero protestato, ma a lei andava bene così: negli ultimi dodici mesi aveva fatto praticamente una vita da zingara.

    Abbozzò una smorfia, strizzò i lunghi capelli rossi poi li buttò dietro la schiena. Non che, vedendola, la si sarebbe mai potuta paragonare a una zingara, e infatti fino a un anno prima aveva condotto una vita molto tranquilla, lavorando sodo come medico d'urgenza nel miglior ospedale di Liverpool.

    Poi, all'improvviso, il terreno sotto i suoi piedi si era squarciato e il mondo le era crollato addosso.

    Carly prese un telo da bagno e si asciugò, poi si sistemò su un lettino al sole, con il telefono in mano. Il barone sarebbe stato via per un paio d'ore e lei era decisa a non sprecare tempo a rimuginare sul passato.

    «Se non ti decidi ad affrontare le cose» le aveva detto suo padre, «anche le briciole diventeranno montagne.»

    Per quanto la riguardava, erano già montagne. Quando fossero ridiventate briciole, allora avrebbe riconsiderato l'idea di tornare a casa. E pensare che aveva sempre amato la famiglia, i genitori. E sua sorella.

    Sentì formarsi in gola un nodo ormai familiare.

    Per distrarsi guardò il telefono. C'era una nuova mail dei suoi, che di sicuro volevano indagare per sapere come stava, un'altra della sua vecchia università e un'altra ancora dell'agenzia per cui lavorava, la Angeli in viaggio.

    Aprì la mail di lavoro e lesse che aveva già

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