Le ricette del dottor Marigold
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Info su questo ebook
Charles Dickens
Charles Dickens was born in 1812 and grew up in poverty. This experience influenced ‘Oliver Twist’, the second of his fourteen major novels, which first appeared in 1837. When he died in 1870, he was buried in Poets’ Corner in Westminster Abbey as an indication of his huge popularity as a novelist, which endures to this day.
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Anteprima del libro
Le ricette del dottor Marigold - Charles Dickens
I LEONCINI
frontespizioCharles Dickens
Le ricette del Dottor Marigold
ISBN 978-88-9296-859-2
© 2015 Leone Editore, Milano
Traduttore: Andrea Cariello
www.leoneeditore.it
Testo in italiano
Testo in inglese
Sono un venditore ambulante, mio padre si chiamava Willum Marigold. Durante tutta la sua vita c’è stato sempre qualcuno che pensava che si chiamasse William, ma mio padre insisteva nel dire di no, il suo nome era Willum. Su questo punto mi limito a vedere la questione così: se a un uomo non è concesso sapere quale sia il proprio nome in un Paese libero, quanto può essergli consentito conoscere in una terra in cui regna la schiavitù? Pur volendo far ricorso ai registri delle nascite, Willum Marigold venne al mondo – e fece anche in tempo a lasciarlo – ben prima che questi registri saltassero fuori. E se anche fossero spuntati prima, in ogni caso non sarebbero andati granché d’accordo con lui.
Io nacqui lungo una strada di pertinenza della regina, anche se all’epoca apparteneva al re. Quando la mamma doveva partorire – avvenne in un parco pubblico – mio padre andò a chiamare un dottore. Per via della sua gentilezza, e non avendo accettato in pagamento nient’altro che un vassoio da tè, mi fu dato il nome di «Dottore», in omaggio e in segno di riconoscenza verso di lui. E così… eccomi qui. Il «Dottor Marigold».
Oggi sono un uomo di mezza età un po’ pienotto, porto pantaloni di velluto, ghette e un panciotto con le maniche i cui lacci mi penzolano sempre dietro le spalle. Ho provato a sistemarli in tutti i modi, ma continuano a sembrare le corde saltate di uno strumento. Se siete stati a teatro, avrete visto di certo qualcuno di quei violinisti intenti ad accordare il proprio strumento dopo averlo accostato all’orecchio, come se quello gli stesse sussurrando in segreto di temere che ci sia qualcosa che non va… e poi, a un tratto, sentite le corde saltare. Con il mio panciotto succede lo stesso, per quanto un panciotto e un violino possano assomigliarsi.
Ho un debole per un cappello bianco e mi piace portare al collo uno scialle, ma che il nodo non sia stretto! La mia posizione preferita è star seduto. Se devo dire di avere una predilezione in fatto di minuteria, questa riguarda i bottoni di madreperla. E questo è tutto, sono fatto così!
Visto che il dottore come ricompensa accettò un vassoio, magari potreste immaginare che mio padre facesse l’ambulante prima di me. Indovinato! Faceva l’ambulante. Il vassoio era bellissimo, raffigurava una prestante dama che si recava in una chiesetta lungo un sentiero ghiaioso che procedeva tortuoso fino alla cima di un colle. C’erano, inoltre, due cigni smarriti con lo stesso proposito. Quando dico che la donna era prestante non mi riferisco alla stazza – non è il mio intento – ma al fatto che compensasse benissimo in altezza. Insomma, diciamo che l’altezza e la snellezza ci accomunavano.
Avevo spesso occasione di vedere quel vassoio, dal momento che ero io il motivo involontario e sorridente (o più probabilmente urlante, date le circostanze) per cui il dottore lo teneva in piedi, appoggiato alla parete su un tavolo del suo ambulatorio. Ogniqualvolta mio padre e mia madre si trovavano da quelle parti del Paese, ficcavo la testa (ho sentito mia madre dire che all’epoca avevo una chioma riccia e bionda, mentre oggi potreste benissimo scambiarla per una vecchia scopa finché non arrivate al manico e scoprite… che il manico sono io) nella porta del dottore e lui, sempre contento di vedermi, diceva: «Aha, ecco il mio piccolo apprendista! Vieni dentro, piccolo. Che ne dici di sei pence?».
Nessuno è eterno, tantomeno mio padre e mia madre. Se non si esce di scena tutto in una volta quando è il momento, si corre il rischio di andarsene un pezzo dopo l’altro, e ci scommetto due a uno che il primo pezzo è la testa. Dapprima fu la testa di mio padre ad assentarsi gradualmente, poi accadde lo stesso a quella di mia madre. Avvenne in maniera innocua, ma costrinse la mia famiglia a lasciare il posto in cui la tenevo a pensione. I due anziani, sebbene ormai ritirati dal lavoro, cominciarono a dedicarsi solo ed esclusivamente all’attività di vendita ambulante, e in questo modo non fecero altro che svendere i beni di famiglia. Ogni volta che si apparecchiava la tavola mio padre iniziava a sbatacchiare le stoviglie, come si fa nel nostro campo quando si pubblicizza la merce da mettere all’asta. Peccato che non avesse più l’abilità di un tempo, così la maggior parte delle stoviglie cascava a terra andando in frantumi. Proprio come quando soleva passare al marito gli articoli da vendere, standosene seduta sul carretto, la mamma continuava a porgergli oggetti di famiglia… ed entrambi continuavano a disfarsene, nella loro immaginazione, da mattina a sera. E alla fine, il vecchio gentiluomo che giaceva infermo nella stessa stanza con l’anziana donna, dopo un silenzio di due giorni e due notti, gridò con la sua solita loquacità: «Venite, amici miei, avvicinatevi tutti… il Circolo dell’Usignolo si riuniva in un paesino, come simboli mostrava il Cavolo e le Cesoie, i suoi cantanti avrebbero avuto un talento sopraffino, se le orecchie del pubblico fossero state solo delle feritoie… venite, amici, avvicinatevi tutti. Venite a vedere il modello funzionante di vecchio e consunto venditore ambulante, senza nemmeno più un dente, ma con un dolore in ogni osso. Proprio come la vita stessa, che sarebbe buona se non fosse migliore, cattiva se non fosse peggiore e nuova se non fosse usata. Andiamo, fate un’offerta per questo modello ancora funzionante di vecchio ambulante, che nella sua vita si è bevuto più tè verde in compagnia di dame di quanto ne serva per farlo saltare in aria più in alto della luna, per tante migliaia di miglia quante fa zero meno nulla, diviso il debito pubblico con il riporto dell’imposta sui poveri, meno tre, più due. Dunque, cari i miei cuori impavidi e uomini di paglia, quanto offrite per questo lotto? Due scellini, uno scellino, dieci pence, sei pence, quattro pence. Due pence? Chi ha detto due pence? Il signore con il cappello da spaventapasseri? Che vergogna. Ma provo più vergogna per la sua mancanza di senso civico. Allora, sapete cosa facciamo? Dunque, aggiungo anche questo modello funzionante di anziana che ha sposato il vecchio ambulante tanto tempo fa che, lo giuro sul mio nome e il mio onore, è successo ai tempi dell’Arca di Noè, prima che l’unicorno potesse arrivare per proibirne le nozze facendo echeggiare il suo corno. Forza, andiamo! Quanto offrite per la