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Il sole, la luna e le altre stelle
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E-book211 pagine3 ore

Il sole, la luna e le altre stelle

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Info su questo ebook

I Marchi sono una famiglia originaria della Lombardia ma si trasferiscono a Foligno perché il papà lavora per un’industria di aerei. Poi scoppia la seconda guerra mondiale e dall’Umbria tornano a Milano dove verranno ingannati con false speranze di lavoro e saranno poi, a guerra conclusa, costretti a tornare in Umbria. Il figlio, Piero, dopo gli studi da perito industriale entra in Aeronautica e diventa pilota di aerei da caccia. Costruirà una brillante carriera rivestendo ruoli di alto prestigio e responsabilità descrivendo al lettore, con minuzia di particolari ed empatia, una carrellata di personaggi ed eventi che caratterizzeranno la sua vita. Fonte inesauribile di risorse, Piero si dedicherà prima all’arte del restauro, poi alla scrittura e infine alla musica, condividendo gran parte dei suoi interessi con la moglie Paola. Per lei spenderà le sue ultime fatiche e pensieri, accompagnandola attraverso una triste e alienante malattia.

Arnaldo Ceccato nato in Lombardia da genitori veneti, ha vissuto la sua straordinaria infanzia in Umbria ivi attraversando il periodo drammatico della seconda guerra mondiale tra sofferte esperienze di sopravvivenza. Da adolescente ha praticato molti mestieri con rara manualità anche nel campo artistico fin quando, raggiunta la maturità con spirito anticonformista e per dare un tono epico alla vita, è entrato per concorso in Accademia Aeronautica. Laureato in Scienze Aeronautiche e della Sicurezza, pilota “combat ready” su caccia-bombardieri, ha operato in un mondo professionale dinamico e senza confini, ricco di una variegata umanità dalla quale ha estratto personalità peculiari qui simboleggiate dal Sole, dalla Luna e dalle altre Stelle. Approdato casualmente alla narrativa ha trovato nella miniera della sua memoria il piacere e l’interesse storico di rivivere episodi veri della propria esistenza con rinnovata partecipazione emotiva.Ha Pubblicato: La Pace Armata, una storia della guerra fredda vista da un addetto ai lavori. Il genio italiano di Antonio Ferri. Dal muro del suono allo spazio, biografia. Il Rapporto La Moriciere saggio storico sulle operazioni dell’Armata Pontificia nel settembre 1860 contro l’invasione piemontese delle Marche e dell’Umbria. Fronde di memoria, raccolta di sessanta racconti. Sulle strade del tempo, raccolta di sessanta poesie. Dieci Racconti (Ediz. Albatros). Il Rapporto La Moriciere e Sulle strade del tempo hanno ottenuto il premio speciale della giuria rispettivamente per la saggistica storica e per la poesia al Premio letterario nazionale “Franz Kafka”.
LinguaItaliano
Data di uscita13 feb 2024
ISBN9788830695566
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    Anteprima del libro

    Il sole, la luna e le altre stelle - Arnaldo Ceccato

    ceccatoLQ.jpg

    Arnaldo Ceccato

    Il sole, la luna

    e le altre stelle

    © 2024 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-9306-7

    I edizione marzo 2024

    Finito di stampare nel mese di marzo 2024

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Il sole, la luna e le altre stelle

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Diagramma

    Cammino sulle ascisse del tempo

    procedo senza possibilità

    di tornare in dietro.

    Sopra questa ipotetica ascisse

    la vita distribuisce gli eventi

    su una linea bizzarra che va,

    nonostante le intenzioni,

    non si sa mai dove.

    La vita è però una ricchezza,

    temo il suo precipitare.

    Prolungo allora l’asse del tempo,

    aggiungo anni

    ma ormai sono fuori dal foglio.

    La linea si perde nell’immaginario,

    finirà nel nulla,

    in picchiata sullo zero,

    dove era cominciata.

    Piero Marchi ha mosso i suoi primi passi sul palcoscenico del teatro Piermarini, una piccola Scala nel cuore di Foligno, intitolata a quel grande architetto locale che nel Settecento progettò ed edificò il teatro alla Scala di Milano. La famiglia Marchi si era trasferita da qualche settimana in Foligno per ragioni di lavoro seguendo l’espansione di un’azienda aeronautica varesina nota come ‘la Macchi’, da poco riprodottasi in Umbria e in via di completamento degli organici verso le tremila unità.

    Papà Marchi, per la sua capacità di affrontare da abile professionista ogni attività manuale, era un artigiano poliedrico di stampo rinascimentale; il più dotato per la sua precisione, fra i 350 falegnami dell’azienda perciò scelto per realizzare modelli destinati agli studi nelle gallerie del vento. Fu dunque indispensabile il suo trasferimento nella fabbrica umbra. Non era facile allora trovare alloggi se non qualche camera ammobiliata e i Marchi trovarono soddisfazione provvisoria presso il custode del teatro. Nei successivi traslochi la situazione andò sempre migliorando ma per imprevisti problemi di salute della signora Marchi, la stessa dovette sistemare il bambino più piccolo, Piero, di appena quattro anni, presso l’asilo nido delle suore Palestine dove Suor Ester e Suor Melania erano per tutti le vice mamme, un riferimento e un rifugio. Attente a tutte le manifestazioni dei vari temperamenti, sempre pronte a intervenire con le opportune correzioni; severe o dolci, erano una miniera di iniziative per promuovere la socializzazione dentro uno schema di sane regole comportamentali. Nel quadro delle iniziative non potevano mancare i coretti e gli spettacolini teatrali, per l’impegno attivo dei bambini e per la gioia dei genitori. Ad uno di questi spettacolini fu data a Piero nientemeno la parte di presentare l’intera compagnia teatrale avanzando in mezzo al proscenio e ‘sparare’, (a memoria!) la seguente battuta: Noi siamo dei campioni autentici di prima scelta, guardateci bene! Per età, appena quattro anni e per statura, Piero era il più piccolo di tutti ma la voce grave e perentoria, degna del più maturo Arnoldo Foà, sollevò per contrasto una marea di risate lasciando turbato lo stesso Piero che non riusciva a capire perché tanto chiasso per una battuta che non lo faceva affatto ridere trovandola invece piuttosto demenziale. Piero tuttavia non divenne mai un attore trovando però, da adolescente, varie collocazioni nel mondo dello spettacolo sportivo. Presso le suore, il piccolo Piero che già riempiva il quaderno di aste, cerchietti perfetti, triangoli e quadratini, imparò a scrivere e leggere a soli cinque anni e da qui poteva essere iscritto alla scuola di musica. Ma l’inizio della seconda Guerra Mondiale frenò questa intenzione della madre. Una particolare musica però, affascinò Piero, quella degli aeroplani del vicino aeroporto che sorvolavano continuamente la città e dal rumore dei motori imparò a distinguere i vari modelli in volo: il trimotore S-79, il caccia Macchi 200, il biplano CR32. Nelle competizioni internazionali anni trenta l’Italia primeggiava nel campo sportivo come in quello aereo. Il clima generale era euforico di vittoria e si rifletteva anche negli spavaldi stornelli dei bambini di strada: Il Neguse ci ha detto che siamo di ricotta / il Duce gli ha risposto sei fijo de ‘na mignotta oppure, La moje de lu Neguse annava in aeroplano / per fasse vedé le cosce dall’Esercito Italiano ecc. intercalati dal ritornello Bombe in giù / l’Inghilterra non ne può più. In città, la sera, gli ufficiali piloti a passeggio erano l’attrazione di tutte le donne. Nel lungo piazzale in fondo alla via dove abitavano i Marchi, studenti appassionati di aeromodellismo provavano le prestazioni dei loro modelli costruiti nel laboratorio comune; in casa il piccolo Piero era molto interessato a seguire il lavoro serale del padre nel realizzare una copia del trimotore S-79 oggetto di dono che l’azienda in cui lavorava avrebbe fatto ad un’alta autorità governativa. Piero, seduto sul banco di lavoro, guardava e memorizzava tutto, da come si riconosce la qualità del legno, come si usa una pialla o uno scalpello, come si affila una lama, tutte le nozioni e le pratiche che già a dodici anni ne avrebbero fatto non un falegname ma un ebanista. Nell’autunno del 1944 la città di Foligno entrò nel mirino dei bombardieri alleati in quanto sede aeroportuale e di importanti industrie, specie aeronautiche e ferroviarie, nonché come importante nodo stradale e ferroviario. L’allarme aereo era dato, ai quattro venti, da quattro potenti diffusori posizionati sulla torre merlata del Comune. Di giorno e di notte, questi non davano tregua. Ogni famiglia cercava di mettersi al sicuro da qualche parte fuori porta portando con sé qualche coperta e un termos per una bevanda calda. Ma c’era anche chi, come la ‘sora Emilia’, che aveva nove figli da portare in salvo ogni volta: dalla più grande che aveva quindici anni al più piccolo di qualche mese. Non era possibile per i genitori portarsi in braccio quelli che non potevano correre. L’unica ricchezza della famiglia era il carrettino del papà muratore e questo fu prolungato con tavole di fortuna e fornito di un pagliericcio sul quale la figliolanza più piccola potesse dormire. All’allarme notturno si apriva il portone del magazzino e i genitori aiutati dai bambini più grandi, via a spingere in corsa il carrettino tra i vicoli, le piazze e le strade nei campi. Nel silenzio sordo della notte, nel buio sepolcrale dell’oscuramento, il rumore di quelle ruote rotolanti sul ciottolato della città entravano nel cuore di tutti a significare il dramma dei vivi. Trentasei furono i bombardamenti che ridussero la città in rovina. Nel mattino del 10 gennaio 1944 la città subiva il suo nono bombardamento. Molta gente era rimasta in casa sperando che l’allarme dato, come spesso succedeva, fosse un falso allarme che invece quel mattino risultò reale. Le esplosioni colsero la famiglia Marchi in fondo alle scale di casa per ripararsi in una profonda nicchia di un antico muro maestro. La fine di tutti era ormai questione di attimi. La terra e i muri tremarono all’unisono con i boati delle esplosioni. Vetri e tegole in frantumi ed altri oggetti caddero sulla via davanti al portoncino di casa; tra questi anche alcune eliche delle bombe che servivano ad armarle durante la caduta. Un parente ospite, sceso dal Nord in Umbria per procurarsi olio d’oliva anche da rivendere al mercato nero, scosso dallo spavento, rifece il suo bagaglio e via! Prima però convinse subito la signora Marchi a portare in salvo almeno i due bambini al paese natale presso il confine svizzero. La signora Marchi valutò assai saggia quella esortazione e prima di partire, pensò di comperare a entrambi i figli un paio di scarpe nuove che potessero durare a lungo. Poi, una mattina di buon’ora, si mise con loro in viaggio, lasciando papà Marchi a continuare il suo lavoro presso la Macchi in fase di smantellamento dei macchinari per il loro trasferimento a Nord. Nel buio di quella mattina, nonostante i 14° sottozero, c’erano anche banchi di nebbia, densa e impenetrabile alla vista: goccioline d’acqua allo stato soprafuso, pronte a trasformarsi in ghiaccio su qualunque corpo ne avesse turbato l’equilibrio. Era la galaverna, una calamità naturale che in quei giorni distrusse molti uliveti per cui l’annata divenne storica. Nel silenzio assoluto della notte, il rumore dei passi si diffondeva con echi variegati, dando la suggestione d’essere seguiti da esseri spettrali. Giunti sul supposto viale della stazione, mamma e bambini non intravedevano nulla che fosse riconoscibile. Una buca enorme e profonda era seguita da altre buche eguali, tutte centrate lungo il viale dove i marciapiedi erano introvabili; le macerie e i platani squarciati o divelti intralciavano il già difficile cammino: un platano era finito sul tetto della caserma distante cento metri. Mentre lo spettacolo andava sempre più convincendo la signora Marchi sulla urgente necessità di quella partenza, ecco apparire quella che doveva essere la stazione. In pratica non esisteva più, era soltanto un cumulo di macerie alto tre metri, i binari divelti e accartocciati verso l’alto come simboliche figure infernali nate nel bombardamento del giorno precedente. Confinante con quell’area ferroviaria, l’industria Macchi dove lavorava il signor Marchi, era anch’essa un cumulo di rovine. Non c’era nessuno in grado di dare qualche informazione. Un gruppetto di persone ipotizzò che un treno proveniente da Nord dovesse essere costretto a fermarsi alla stazione di Spello per poi tornare indietro. Gli orari arrivi e partenze non esistevano già più. Aggrappati a questa speranza, il gruppetto si mosse a piedi verso quella stazione con il proprio carico di bagagli in mano. Fu una fatica di quattro chilometri che la signora Marchi si sobbarcò da sola, con la sua grande e pesante valigia affiancata dai due bambini che le davano motivazione ed energia. La sorella di Piero, che aveva già tredici anni, aveva confezionato per il fratellino un paio di guanti di lana che però risultarono con le dita strette e così, limitando la circolazione, aumentavano la sensazione del freddo. Ne nacque un piccolo litigio perché, secondo lei, Piero non li avrebbe saputi indossare.

    Il gruppetto non era ancora giunto alla stazione di Spello quand’ecco avvicinarsi il rumore di un camion. Sì, era proprio un camion, vuoto e scoperto con del fumo che si liberava da un alto barilotto esterno presso il conducente: era un camion tedesco che funzionava a gasogeno. Raggiunto il gruppetto, il camion si fermò e ne scese un sottufficiale che offrì a tutti un passaggio verso Nord e approfittò per caricare il barilotto di tozzi di legna. Tutti salirono sul vano di carico impegnandosi a proteggersi dal freddo divenuto fortissimo, con coperte ed altri sistemi di fortuna. Il passaggio si concluse dopo una quarantina di chilometri, a Ponte Valleceppi, sul Tevere, dove c’era una stazioncina della ferrovia Media Centrale Umbra dalla quale, con un po’ di fortuna, si sarebbe potuto raggiungere Arezzo. Da lì, gli ulteriori quattrocento chilometri erano nelle mani di Dio.

    Nei pressi del ponte c’era la bottega d’un fabbro. Piero vi si introdusse con l’aria curiosa di chi vuol vedere i miracoli del martello su quel ferro incandescente ma approfittò anche per scongelarsi le mani intirizzite ai carboni ardenti della forgia compensando poi l’ospitalità del fabbro azionando il suo ventilatore. Dopo qualche ora finalmente arrivò un trenino azzurro, con i sedili di legno, i finestrini un po’ sconnessi e… tanti gelidi spifferi. Tutti salirono e Piero Marchi e la sorella, protetti dalle cure della madre, caddero in un sonno profondo che durò sin quando fra un’agitazione di voci qualcuno ordinò a tutti di scendere in quanto durante il percorso la stazione di Arezzo era stata bombardata e il trenino non poteva procedere oltre.

    Il gruppetto si ricompose per decidere sul da farsi. Riaffiorò l’idea che al di là della stazione di Arezzo qualche treno da Nord sarebbe stato costretto a fermarsi per tornare in dietro. Così tutti si misero nuovamente in marcia lungo i binari sperando di trovare presto una strada parallela più agevole che infatti subito comparve. Qui la notte invernale cominciò a presentarsi infernale.

    Il paesaggio, ove rischiarato dalla luna, in quel silenzio gelido assoluto, sembrava immerso nel vuoto. Il procedere del cammino portava tutti proprio nel cuore della zona bombardata, inevitabile per non perdere l’orientamento. Ma quel poco di limpido che la luna lasciava intravedere aveva poco del surreale, era una realtà tragica impressionante. Palazzi sventrati, strade ostruite da macerie, suppellettili a pezzi, persiane e fili elettrici ovunque e persino cadaveri non ancora raggiunti dalla umana pietà, quella che raramente trova spazio nella logica tremenda della guerra. Pur procedendo lentamente, ad ogni passo c’era il rischio di inciampare e il rumore incerto dei passi

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