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Doppio Gioco
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E-book240 pagine5 ore

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Info su questo ebook

Tutta una serie di interessi ruotano intorno alla presentazione di un nuovo velivolo dotato di armi non convenzionali. Una serie di strani personaggi cercheranno di metterci le mani sopra, rubando il prestigioso progetto, per scopi che non sono esattamente quello che sembrano a prima vista.
Ambientata tra Roma, Torino e Ferrara, una coppia di investigatori si trova invischiata, loro malgrado, in una storia più grande di loro, nella quale si troveranno a muoversi tra spie, strani personaggi, terroristi ed hacker. Sullo sfondo poi, lo spettro di uno strano incidente d'auto accaduto anni prima.

LinguaItaliano
Data di uscita26 mag 2012
ISBN9781476226095
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    Anteprima del libro

    Doppio Gioco - Robert Mc Castle

    Quella mattina il traffico sembrava impazzito. Si procedeva a passo d'uomo, incolonnati uno dietro l'altro mentre il sole stava iniziando a scaldare preannunciando una giornata calda e soffocante. Nonostante si era soltanto nel mese di maggio la situazione a quella latitudine era già rovente. I clackson delle auto suonavano all'impazzata in quell'inizio di giornata in cui tutti cercavano di raggiungere velocemente il proprio posto di lavoro. Senza indugi tutti tentavano di sopravanzare la vettura che li precedeva e che, a loro dire, rallentava il proprio viaggio. In questo, quell'8 maggio del 2002 non era molto dissimile dal giorno precedente e probabilmente non lo sarebbe stato da quello successivo. O forse sì!

    Nel mucchio, tra tanti veicoli nel traffico congestionato, c'era un pulmino, uno di quelli solitamente usati per spostarsi dal centro all'aeroporto della città, che si trovava a circa 17 chilometri da quella via così affollata. Il pulmino era pieno di operai che quella mattina, come ogni giorno, si stavano recando sul posto di lavoro. In un angolo, ferma sul bordo della strada, una Bmw 320 nera stava aspettando qualcosa. All'interno, nell'abitacolo della macchina scura, un uomo, dalla carnagione anch'essa scura, di origine sicuramente araba, si guardava intorno, apparentemente tranquillo. Indossava un paio di occhiali neri da sole, che oltre a proteggerlo dai raggi luminosi, rendeva ancora più difficile una rilevazione biometrica dei suoi tratti somatici. I folti capelli neri e ricci completavano il quadro di una fisionomia che a quelle latitudini era fin troppo comune, di fatto rendendo l'uomo uno dei tanti, se non fosse stato per quella piccola cicatrice che gli solcava la guancia sinistra e che la barba nera, leggermente incolta, non riusciva del tutto a coprire. A differenza di tutti gli altri sembrava non avere alcuna fretta, anzi, aveva tutta l'aria di starsene lì, in attesa di qualcosa, aspettando che il tempo passasse e che tutta quella confusione, finalmente si esaurisse. La macchina era parcheggiata a poca distanza dallo Sheraton Hotel, un albergo molto lussuoso, simbolo della prepotenza dell'occidente, e della intollerabile ingerenza che, soprattutto lì in Pakistan, si stava esercitando in un modo molto ignobile. Dopo l'attacco alle torri gemelle dell'11 settembre, il regime di Musharaf si era rivelato un alleato insperato per la lotta tutta occidentale contro i terroristi di Al Qaeda, mettendo a disposizione le proprie basi militari per gli attacchi americani nel vicino Afghanistan covo dichiarato dei terroristi. Ma il presidente Musharaf parlava soltanto a nome di Musharaf, e la popolazione Pakistana, principalmente fondamentalista, mal si piegava a condividere questa decisione dettata più da fini politico-economici che da reale condivisione ideologica. Pertanto la polveriera stava mano a mano aumentando di pressione; e quell'hotel Sheraton, imponente nel proprio lussuoso sfarzo, posto al centro di Karaki nel cuore del Pakistan, era un boccone troppo ghiotto per non approfittarne. L'uomo nella Bmw, si chiamava Mohamed ben Hamli, e stava controllando l'orologio che aveva al polso, fissando allo stesso tempo il pulmino che avanzava lentamente. Estrasse dalla tasca della giacca una piccola radio trasmittente; schiacciò il tasto della portante e affidò alcune parole alle onde elettromagnetiche che venivano disperse nell'aria attraverso il piccolo microfono del dispositivo radiotrasmittente. Poi restò lì fermo, col motore acceso, in attesa di quanto sarebbe accaduto di lì a poco. Dall'angolo opposto della strada si sentì il rumore cupo di un motore lanciato al massimo e dopo pochi istanti ecco comparire una automobile, una Toyota Corolla di colore rosso, che si immetteva nella strada in senso opposto a quello nel quale procedeva il pulmino. La macchina avanzava a zig zag cercando di mantenere una velocità particolarmente elevata e non restare imbottigliata nel traffico; giunta che fu in prossimità del pulmino, il guidatore della Corolla puntò diritto verso di esso, sterzando improvvisamente ed accelerando a tavoletta. Il rumore che si udì al momento dell'inevitabile impatto tra i due mezzi, fu incommensurabilmente più fragoroso di quanto ci si sarebbe aspettato per un incidente del genere. Il pulmino venne sbalzato in aria per diversi metri, per poi ricadere a terra in mille pezzi. Una sorte analoga toccò alla Corolla rossa e a tutte le vetture presenti lì attorno. La deflagrazione fu enorme; lo stesso Sheraton Hotel, lì davanti, fu pesantemente colpito, i vetri della facciata infranti, alcuni suoi occupanti feriti. Lo spettacolo che ne seguì fu sconcertante. Brandelli umani erano disseminati tutt'intorno al punto dell'esplosione, mescolati a macerie, pezzi meccanici, vetri e pezzi dell'asfalto sbrindellato che era saltato in aria insieme a tutto il resto.

    Non c'erano più dubbi, semmai ce ne fossero mai stati; era stato un attentato, un attentato suicida. Un terrorista dentro quella Corolla rossa, si era immolato per la causa diventando un eroe per il suo popolo e portando con sé tutti e dieci gli occupanti del pulmino. L'uomo dentro la sua Bmw nera, unico a quanto sembrava ad essere preparato a quegli eventi, ingranò la marcia e sparì, sgommando, dalla scena. Da lontano però, un potente teleobiettivo non mancò di bloccare in una fotografia, l'uomo alla guida della sua Bmw che si allontanava dal luogo dell'attentato. Un attentato fortemente simbolico; dieci tecnici francesi, impiegati in una società che effettuava la manutenzione dei sommergibili pakistani, venivano uccisi da un attacco terroristico davanti allo Sheraton Hotel, luogo simbolo dell'occidente. Fu un video consegnato, alcuni giorni dopo, alla tv araba Al Jazeera a rivendicare l'attentato contro l'arroganza occidentale; fu un Osama Bin Laden in buona salute, al riparo nelle sue grotte, con il suo kalasznikow in spalla, quello che attribuì la paternità del micidiale attentato alla sua potente organizzazione terroristica.

    Indice

    ~~~~~~

    Monica

    La giovane donna correva lungo i viali alberati del parco del Valentino al termine di una calda giornata di metà ottobre del 2011. Il verde dei prati del parco contrastava prepotentemente con il giallo e il marrone delle prime foglie secche che iniziavano a cadere dagli alberi, preannunciando quello che sarebbe stato di lì a pochi giorni, quando il generale inverno avrebbe preso il controllo del tempo, scaricando a terra pioggia e neve e temperature polari.

    La corsa era leggera, armoniosa, cadenzata, quasi una danza sulle punte delle nike bianche, che sembravano volare sulla ghiaia del viale. La ragazza aveva dei lunghi capelli castani, lisci, lasciati liberi di muoversi a tempo con le sue lunghe falcate, che risaltavano sulla tuta bianca all'ultima moda. Alle orecchie la ragazza aveva delle cuffiette, collegate al suo lettore mp3 dal quale stava uscendo la voce di Vasco Rossi che cantava Eh già.

    La ragazza sapeva bene come tenersi in forma smagliante; una dieta ferrea, e molto esercizio sportivo le avevano consentito di conservare un fisico pressoché perfetto, senza un grammo di grasso né un accenno di cellulite, e nonostante si stesse avvicinando ormai alla trentina, tutti le riconoscevano un corpo fresco e tonico come quando aveva solo vent'anni.

    Lei andava nel parco quasi ogni giorno a correre, prediligendo il percorso più lungo, che costeggiava l'argine del fiume Po per quasi la metà della sua lunghezza; vedere l'acqua che scorreva lenta accanto a lei, le infondeva una certa calma. Qualche volta arrivava anche a spegnere il lettore mp3 per sentire meglio il rumore dell'acqua che scendeva dalle Alpi e che sarebbe arrivato poi fino al mare. Non era di certo una donna sentimentale lei, anzi, ma il rombo dell'acqua le favoriva la concentrazione e le era più facile seguire il flusso dei suoi pensieri. Chi aveva avuto modo di conoscerla non poteva non cogliere il suo carattere freddo e determinato di abile calcolatrice e manipolatrice, ben nascosto sotto le pieghe di un bel fisico e di una donna esageratamente attraente. Ma il fisico statuario e il carattere determinato non erano di certo le sole qualità della giovane donna, che poteva anche contare su un quoziente di intelligenza sicuramente fuori dal normale, unitamente ad una laurea in scienze politiche che aveva conseguito, giovanissima, all'età di 22 anni. Era da poco uscita da un matrimonio sfortunato che l'aveva lasciata molto presto vedova, sebbene intestataria di un immenso patrimonio, che le consentiva di condurre una vita di lusso senza doversi preoccupare di nulla.

    Per il jet set erano la coppia del momento; lui Heinrich Julius Kruger, giovane e ricco imprenditore tedesco, rampollo di una ricca dinastia con interessi cospicui in diversi settori strategici, che spaziavano dall'editoria alle industrie manifatturiere, per non parlare delle cospicue partecipazioni nei capitali di diverse banche tedesche. Lei, giovane e bella modella, di umili origini ma di immense ambizioni che scalava la gerarchia sociale, piazzandosi molto in alto, tanto che si era subito abituata a vedere la sua faccia e il suo nome nelle copertine di diverse riviste europee, soprattutto di gossip. La bella e desiderata indossatrice Monica Martini, in quegli anni, era diventata suo malgrado il simbolo di una generazione per la quale il raggiungimento del successo, della fama, della ricchezza potevano valere qualsiasi compromesso. Ma non era questo il suo caso; tutto si poteva dire di lei tranne che il suo matrimonio, purtroppo così breve, non fosse stato dettato esclusivamente dall'amore. Anzi, probabilmente, il suo compianto marito era la sola persona al mondo a conoscere tutto di lei, qualsiasi aspetto della sua vita, e della sua attività.

    La loro unione si era interrotta una mattina di tre anni prima all'alba, per un banale incidente stradale. Il marito stava tornando a casa dopo aver guidato tutta la notte la sua Mercedes 5000 sec al termine di una estenuante giornata di lavoro ad Amburgo, quando in prossimità di Monaco di Baviera, quasi a casa, entrò in collisione con un camion che fece scempio dell'uomo uccidendolo sul colpo.

    Così correre, curare il suo fisico statuario, viaggiare e godersi la vita erano diventate le sue occupazioni giornaliere, senza curarsi troppo di quanto accadeva attorno a lei. Non mancavano di certo gli uomini che le ronzavano attorno, attratti sia dalla sua bellezza che dal suo cospicuo conto in banca. Ma lei non era di certo la donna che si faceva incastrare da un uomo, soprattutto se si trattava di uno spiantato che voleva cambiare la sua vita sposando una ricca vedova. E lei stava molto attenta agli uomini che frequentava; pochi per la verità e solo se di un certo livello e di una certa casata ben selezionata. Non era di certo una donna per tutti, lei!.

    Anche quel giorno la sua corsa stava ormai volgendo al termine; aveva appena terminato l'ultimo dei soliti tre giri del circuito più esterno del parco e ora, sempre di corsa, sarebbe uscita dal Valentino per dirigersi lungo il corso Massimo d'Azeglio, dove si trovava il suo super attico.

    Dal parco a casa sua erano soltanto pochi passi che lei percorreva sempre in pochissimi minuti. Poco dopo infatti, la ragazza apriva la porta di casa ed entrava a passo veloce nel grande salone open-space reso molto luminoso dalla grande porta finestra che si affacciava direttamente sulla spaziosa terrazza che correva tutta intorno alla casa. Con una mossa rapida sfilò via le scarpe, e si trovò a camminare scalza sul caldo legno del parquet che ricopriva l'intero pavimento. Quindi tirò via la felpa della tuta e per ultimo tolse anche i pantaloni, restando così in slip e reggiseno, rigorosamente bianchi, adatti a far risaltare quel corpo modellato così pazientemente nel corso di anni di sacrificio.

    Sempre con passo deciso, si recò verso il bagno dal quale, appena un istante dopo, si sentì lo scroscio dell'acqua nella doccia.

    Le stanze sembravano ora deserte, inanimate con quel loro arredamento minimalista oggi molto in voga ma quasi impersonale, che non lasciava alcuno spazio a tutti quegli oggetti o soprammobili che fanno di una casa qualsiasi la tua casa. Non c'erano cornici, fotografie di persone care di famiglia, nessun oggetto tramandato con affetto per alimentare il ricordo delle persone care, niente di tutto questo. Dal muro bianco, una grossa cornice digitale di quasi 26 pollici, trasmetteva ciclicamente immagini di paesaggi lontani, delle vette innevate del Nepal, o della banchina polare, o di qualche isola tropicale col mare azzurro e la sabbia bianca. Tutto era impersonale e freddo. L'ordine vi regnava assoluto. Né un oggetto fuori posto, né un granello di polvere sulle superfici lucide dei mobili. Le sole note stonate erano date dalle nike che la donna aveva lasciato alla rinfusa sul pavimento appena tornata dalla corsa pomeridiana e la tuta sudata lasciata a terra anch'essa sul pavimento in legno.

    Mentre dal bagno proveniva il rumore dell'acqua della doccia, dal computer portatile acceso sopra al tavolo di cristallo, un gingle sonoro annunciava l'arrivo di una mail.

    Quando parecchi minuti dopo Monica uscì dalla doccia, sul desktop del computer portatile lampeggiava una piccola icona a forma di lettera, che indicava un nuovo messaggio di posta non letto. La donna, avvolta in un morbido accappatoio bianco dal quale facevano capolino due gambe toniche, ben modellate e con una discreta abbronzatura, si sedette al tavolo e avviò il programma di posta, insieme al programma di decriptazione per rendere leggibile il testo appena ricevuto.

    Una volta che le lettere sul display Lcd del portatile divennero comprensibili, Monica potè leggere il testo del messaggio che comunque, anche dopo essere stato decriptato, era esso stesso criptico nel suo contenuto, e diceva.

    Tutto secondo i piani, mantenere i contatti con Mirko

    Monica lesse il testo e restò per un attimo pensierosa prima di eliminare definitivamente il messaggio dal computer ed iniziare a pensare ad un piano d'azione.

    * * * * *

    Quella sarebbe stata una serata molto lunga, una di quelle che rischiano di non finire mai, che ti tengono per strada tutta la sera e tutta la notte, lasciandoti libero di tornartene a casa a dormire solo alle prime luci del mattino dopo. Il cielo era limpido e la luna era così luminosa che sembrava quasi di poterla toccare se solo si fosse alzata la mano in alto verso di essa. A lui di solito piaceva quella luna in quel cielo stellato di fine autunno, ma non quella sera, non quando doveva lavorare, non quando c'era bisogno del buio per fare quello per cui era pagato. In macchina aveva preparato tutto il necessario; una coperta per proteggersi dal freddo, un thermos pieno di caffè caldo, e la macchina fotografica, il suo prezioso strumento di lavoro. Il gioco, pardon la serata, era iniziata da quando aveva ricevuto un messaggio sms sul suo cellulare che lo informava che:

    Mia moglie uscirà tra un'ora circa..

    Così aveva preso la macchina e si era piazzato in un posto nascosto sotto la casa della signora, ma non dovette aspettare molto. La Toyota Yaris della donna, infatti, comparve subito dall'uscita del garage e si immise nel flusso del traffico. La serata aveva inizio.

    Si buttò anche lui nel traffico, intenzionato a seguire la piccola Yaris possibilmente senza farsi notare. Per questo motivo si teneva ad una certa distanza per non correre il rischio di essere visto, tanto più che a quell'ora non c'era molto traffico in giro, e non era difficile seguire una vettura tenendosi ad una distanza di sicurezza. Inoltre la piccola vettura aveva imboccato una strada comunale assai poco frequentata, che terminava in collina, presso la basilica di Superga. Decise così di mettere ancora più metri tra sè e l'altra vettura, facendo in modo che i suoi fari non potessero essere inquadrati nello specchietto retrovisore della piccola Yaris, e facendo attenzione a rimanere sempre indietro di almeno una curva nella tortuosa strada collinare. Due fari in una strada buia e deserta, infatti, tendono ad essere un po' troppo evidenti, e possono rivelare la tua presenza. E nel suo lavoro era una cosa assolutamente da evitare. Tanto non poteva di certo scappare; quella strada finiva su, nella Basilica, e non c'era possibilità alcuna di deviare a meno di non addentrarsi nella campagna circostante, ma nella notte i fari della macchina sarebbero stati comunque visibili.

    Una volta giunto in prossimità del parcheggio, rallentò e spense i fari, fermando la vettura sul bordo della strada prima di entrare nel parcheggio; quindi scese e proseguì a piedi facendo ben attenzione a non essere visto. Si affacciò sull'ampio parcheggio e vide due auto una di fianco all'altra; una delle due era la Yaris che aveva seguito fino a lì, mentre l'altra era una grossa Mercedes di colore scuro. Scattò qualche fotografia alle due auto, avendo cura che si potessero leggere bene le targhe delle macchine. Tentò anche di scattare qualche foto dei due dentro l'abitacolo della Yaris, ma era buio e non poteva certo avvicinarsi più di tanto. Le foto risultarono così del tutto inservibili. Era appena rientrato nella sua macchina quando la piccola Yaris uscì dal parcheggio, mentre la grossa Mercedes era rimasta lì. Era un classico. La coppia clandestina si incontrava in un posto fuori mano dove si può lasciare parcheggiata una delle due macchine senza dare troppo nell'occhio. Poi i due si spostano su una sola vettura, di solito quella di lei, per raggiungere un motel, un albergo, o un pied a ter allestito da qualche parte. E lui doveva scoprire dove. L'inseguimento continuava, con la stessa strategia. Qualche minuto più tardi la Yaris entrava nel parcheggio dell'albergo residenziale Superga, che doveva essere la destinazione finale per quella serata. Dalla macchina uscì la donna, la moglie del suo cliente, accompagnata da un giovanotto sui trent'anni, fisico palestrato, pelle scura, abito elegante. La donna era fasciata da un tubino nero particolarmente corto e attillato, che lasciava ben intendere quali sarebbero stati gli argomenti della serata col suo accompagnatore. L'uomo aveva dei capelli molto corti, che sembravano ricci, e una barba incolta. Per un attimo, mentre l'uomo stava girando su se stesso per porgere il braccio alla signora, Giorgio notò una piccola cicatrice che gli solcava la guancia sinistra e che la barba nera non riusciva a coprire totalmente. Quella cicatrice dette per un attimo a quel viso un non so che di sinistro e di preoccupante, come se dietro ad essa ci fosse in realtà un intero mondo, tutto da scoprire.

    I due si diressero senza indugiare verso l'ingresso dell'albergo dove, con ogni probabilità, avrebbero preso una camera e consumato la serata clandestina. Ma stavolta non erano

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