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Il canto silenzioso dell'acqua
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Il canto silenzioso dell'acqua
E-book200 pagine2 ore

Il canto silenzioso dell'acqua

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Info su questo ebook

«Ho trovato diverse fotografie, principalmente nuraghi, ma alcune ritraggono luoghi legati all’acqua».A Solemalia un assassino si aggira in città. Un noto penalista viene trovato cadavere e l’indagine è affidata alla commissaria Valentina Derossi, donna forte e fragile insieme, detective razionale ma anche intuitiva. Dovrà ricorrere a moderne tecnologie e strumenti di un lontano passato, come la lettura dei tarocchi o l’interpretazione dei sogni.
Qual è il movente, la gelosia? E la pistola trovata in casa? Superando silenzi, sconfitte e un misterioso suv che la segue dappertutto, Valentina con tenacia e grande intuito è alla ricerca di una sconvolgente verità.

Alma Perez Spiga (1958) vive a Sinnai (CA). Coltiva la passione per l’esoterismo, le arti sceniche e i thriller, che predilige per la propria formazione classico-giuridica e per aver lavorato in alcune Procure dell’isola. Non ha problemi a trarre spunto dalla realtà, che è sempre semplice e lineare. Non ha in simpatia i gialli troppo violenti, quelli che raccontano crimini complicatissimi: nella realtà non esistono.
LinguaItaliano
Data di uscita12 nov 2018
ISBN9788827857182
Il canto silenzioso dell'acqua

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    Anteprima del libro

    Il canto silenzioso dell'acqua - Alma Perez Spiga

    Il canto silenzioso dell'acqua

    Un assassino a Solemalia

    Descrizione

    Biografia

    Indice

    Il canto silenzioso dell’acqua

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    A Solemalia un assassino si aggira in città. Un noto penalista viene trovato cadavere e l’indagine è affidata alla commissaria Valentina Derossi, donna forte e fragile insieme, detective razionale ma anche intuitiva. Dovrà ricorrere a moderne tecnologie e strumenti di un lontano passato, come la lettura dei tarocchi o l’interpretazione dei sogni.

    Qual è il movente, la gelosia? E la pistola trovata in casa? Superando silenzi, sconfitte e un misterioso suv che la segue dappertutto, Valentina con tenacia e grande intuito è alla ricerca di una sconvolgente verità.

    Questa edizione digitale inoltre include Note e Capitoli interattivi, Notizie recenti sull'autore e sul libro e un link per connettersi alla comunità di Goodreads e condividere domande e opinioni.

    Alma Perez Spiga (1958) vive a Sinnai (CA). Coltiva la passione per l’esoterismo, le arti sceniche e i thriller, che predilige per la propria formazione classico-giuridica e per aver lavorato in alcune Procure dell’isola. Non ha problemi a trarre spunto dalla realtà, che è sempre semplice e lineare. Non ha in simpatia i gialli troppo violenti, quelli che raccontano crimini complicatissimi: nella realtà non esistono.

    © Alma Perez Spiga, 2018

    © FdBooks, 2018. Edizione 1.0

    ISBN: 9788827857182

    Youcanprint Self-Publishing

    L’edizione digitale di questo libro è disponibile su Amazon e altri store online.

    L’edizione cartacea è disponibile su Amazon e in tutte le librerie italiane e straniere.

    In copertina e in quarta di copertina:

    Veduta di Sinnai dall’alto e fotografie di famiglia dell’Autrice.

    Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.

    È vietata ogni riproduzione, anche parziale, non autorizzata.

    Incomincia a leggere

    Il canto silenzioso dell'acqua

    Un assassino a Solemalia

    Indice del libro

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    Alla mia Sciamana Metropolitana.

    All’amica Andreina, per i preziosi consigli

    Alma Perez Spiga

    Il canto silenzioso dell’acqua

    Un assassino a Solemalia

    Capitolo 1

    Profondo sud della penisola italiana.

    Adagiata su di un promontorio a picco sul mare Solemalia, ridente cittadina dai nobili trascorsi, all’apparenza sonnecchiava placida in una calda sera d’estate. A ben guardare, però, per strada non si vedeva nessuno, salvo qualche raro passante che rincasava accaldato e stanco. In realtà la città era sofferente, tormentata da un’infernale cappa bollente perché, da alcuni giorni, soffiava inesorabile lo scirocco.

    Anche fuori città la situazione non era migliore: stessa calura, stessa afa insopportabile. In periferia, la vecchia Statale 180 si avventurava come sempre nei paesini dell’interno, lanciandosi sinuosa lungo una serie interminabile di campi coltivati distesi pigramente alla luce della luna. Il bianco astro notturno, incredibilmente grande, pareva incombere rotondo su quel paesaggio agreste, come se volesse staccarsi dalla volta stellata per tuffarsi di sotto tra le siepi di cisto e rosmarino. L’unica cosa che poteva capitare di sentire, da quelle parti, era il monotono gracidare di alcune rane insonni dai bordi delle vasche irrigue sparse tra gli orti; nient’altro: non c’era anima viva. In alternativa, volendo fare una sosta lungo la via, sarebbe stato possibile udire in sottofondo il suono dominante tipico di quei luoghi: il canto dei grilli, uniforme, fortissimo, persistente come un’ancestrale vibrazione di fondo destinata a non avere mai fine.

    Quella sera, insolitamente, sotto il chiarore dei raggi lunari era possibile scorgere due automobili ferme, con i fari spenti, in un’area per la sosta d’emergenza.

    Una delle auto aveva lo sportello aperto e al suo interno non c’era nessuno, mentre all’esterno si poteva distinguere chiaramente la sagoma di un uomo alto, robusto e vestito elegantemente. Era leggermente curvo, intento a discutere con il passeggero dell’altra macchina, evidentemente seduto al posto di guida e con il finestrino aperto.

    L’uomo in piedi appariva piuttosto alterato: parlava ad alta voce e gesticolava animatamente. Di colpo, nel bel mezzo della discussione, rapido come un fulmine estrasse qualcosa da sotto la giacca urlando: «Non ho bisogno di te!».

    Poi, improvviso e feroce, risuonò nell’aria un colpo di pistola. Per un attimo fu il silenzio totale. Perfino i grilli si fermarono, turbati da quel fragore inaspettato. Di seguito echeggiarono nell’aria altri tre spari, veloci, decisi, uno dietro l’altro.

    Infine l’uomo, rimettendo a posto la pistola, disse ancora: «Sporco egoista, tu non meriti la vita eterna!».

    Tutt’attorno si respirava soltanto immobilità e silenzio, pareva che il tempo si fosse fermato. Non c’era niente che si muovesse, a parte il lieve ondeggiare delle foglie nei campi. Non si vedeva nessuno nel raggio di chilometri, non un’automobile in transito né, tanto meno, esseri umani.

    Quell’uomo alto ed elegante, con calma, salì sulla sua macchina e se ne andò indisturbato, lasciandosi alle spalle l’altra auto, ferma e muta sul ciglio della strada.

    Nella quiete della notte a poco a poco riprese il canto dei grilli, dapprima timidamente, quasi in sordina, poi sempre più forte.

    Capitolo 2

    Quella mattina non era cominciata molto bene per Valentina. Alle 9.30 aveva ricevuto una telefonata perentoria del dottor Falchi Gallo: «Deve andare subito sulla Statale 180, al chilometro 38. Hanno ammazzato l’avvocato Pinna, il noto penalista. Si occupi lei delle indagini e m’informi quanto prima sui particolari. D’accordo?»

    «Tutti sanno che l’avvocato aveva una vita sociale molto intensa, non sarà facile indagare sul suo omicidio!» disse Valentina, piuttosto preoccupata.

    «Senta dottoressa Derossi, visto che la vittima era dichiaratamente omosessuale, abbia cura di rivolgere le sue indagini anche in quella direzione» raccomandò il magistrato.

    «Pensa che si tratti di un omicidio passionale?» domandò la commissaria.

    «Come lei sa bene, può essere tutto: rapina, omicidio passionale… Non possiamo trascurare niente! Faccia un sopralluogo accurato e poi passi in Procura a riferirmi i dettagli» disse il dottor Falchi Gallo, ponendo fine alla conversazione.

    «D’accordo, dottore. A presto» salutò Valentina.

    La commissaria Valentina Derossi era una bella ragazza alta, dal fisico atletico. Portava magnificamente i suoi trentadue anni, dimostrandone almeno dieci di meno. I capelli castani, tagliati cortissimi, evidenziavano un bel viso, dai lineamenti delicati e dall’ovale perfetto. Gli occhi scuri erano svelti e ridenti e la bocca, ben disegnata, si apriva spesso in un sorriso contagioso, con tanto di fossette ai lati.

    Aveva fama di essere un’ottima investigatrice, soprattutto di essere dotata di un formidabile intuito, che le consentiva di trovare una soluzione anche in situazioni impossibili: proprio per tale ragione il Pubblico Ministero l’aveva scelta per questa brutta faccenda. Solemalia era un posto abbastanza tranquillo, dove raramente si verificavano reati così gravi; era una città che viveva principalmente di turismo e la stagione degli affari durava bene o male da maggio a novembre. Questa vicenda inquietante rischiava di creare una brutta pubblicità, era necessario risolverla in maniera brillante e in poco tempo.

    La macchina correva sulla strada piena di curve in quella soleggiata mattina; l’impianto di climatizzazione acceso a palla impediva di sentire il caldo, ma fuori dall’auto c’erano non meno di trentotto gradi. Valentina stava guidando l’automobile distrattamente, cercando nella sua memoria qualche ricordo dell’avvocato Pinna. Le sembrava di rivedere il suo viso, gli occhi neri, profondi e un po’ malinconici. Come se fosse lì presente in quel momento, sentiva ancora la sua bella voce, dal timbro morbido: voce che non aveva mai perso un accento sardo piuttosto marcato. Come tutti sapevano, infatti, Adolfo Pinna era originario di un paesino vicino a Nuoro. Lo rivedeva ancora camminare dritto nei corridoi del Tribunale: a giudicare dal suo aspetto, la commissaria gli avrebbe dato circa quarant’anni, non di più. Non molto alto, la sua carnagione era piuttosto chiara, i capelli neri e folti, il fisico era asciutto e aveva un portamento da atleta. Valentina era perfettamente consapevole del fatto che la vittima avesse una ricca vita di relazione e viaggiasse spesso.

    «Accidenti! – pensò Valentina – Non sarà facile risolvere questo caso, ma riuscirò lo stesso a venirne a capo!».

    Arrivata sulla scena del crimine, si avvicinò subito all’auto della vittima per una prima ricognizione. Il cadavere era riverso sul volante, il viso coperto di sangue e gli schizzi erano sparsi un po’ dappertutto nell’abitacolo. Un colpo d’arma da fuoco l’aveva raggiunto alla testa e altri tre al torace.

    Frugando nel vano portaoggetti del cruscotto, Valentina trovò una pistola verosimilmente di proprietà della vittima, una Glock 17 scarica e apparentemente inutilizzata. Sempre nello stesso posto, c’era un biglietto aereo per Lima: l’avvocato avrebbe dovuto utilizzarlo due giorni dopo. Nell’altro vano portaoggetti, quello tra i due sedili, trovò un curioso disco di terracotta, ben lavorato e con delle strane incisioni. Sembrava antico, aveva tutta l’aria di essere un reperto archeologico. Lo raccolse e proseguì la sua accurata ricognizione. Nell’automobile non pareva esservi nient’altro di particolare.

    In tasca l’avvocato aveva solo i suoi documenti e il portafogli intatto, dentro c’erano tutti i soldi e le carte di credito, il che escludeva l’omicidio a scopo di rapina. Controllando la carta d’identità, con vero stupore Valentina scoprì che il morto aveva addirittura sessant’anni. «Incredibile! – pensò – Come si fa a dimostrarne venti di meno?». Trovò anche un foglietto sul quale era scritto un numero di cellulare e, accanto, delle iniziali: C. R.

    Prese i pochi oggetti trovati e lasciò proseguire i rilievi sul luogo del delitto ai colleghi della scientifica. Avevano appena raccolto i bossoli lasciati dall’arma del killer, così apprese subito da loro che la vittima era stata uccisa quasi certamente con una calibro 38 e che tutti i colpi erano stati sparati da una distanza ravvicinata.

    A quel punto, in preda a uno strano presentimento, la commissaria decise di recarsi al più presto nell’abitazione del morto, nella zona residenziale di Solemalia, in Via delle Ginestre 36. Salì sulla sua auto e partì senza perdere tempo.

    Prese una scorciatoia che escludeva il centro, tagliando attraverso i viali della zona industriale. Ben presto apparve all’orizzonte, bellissima, la villa di Adolfo Pinna, circondata da palmizi di varie specie, anche piuttosto rare, e da piante tropicali d’ogni genere. Parcheggiata la macchina, Valentina scese e si affrettò a controllare, prima di tutto, l’ingresso principale, trovando tutto in ordine. Si spostò quindi sul retro, per verificare che anche l’ingresso di servizio fosse a posto ma, come sospettava, lo trovò socchiuso. Chiunque fosse entrato passando da quella porta non aveva avuto bisogno di forzarla. Entrando trovò tutto a soqquadro: da un primo esame si poteva dedurre chiaramente che qualcuno era stato lì di recente, cercando disperatamente qualcosa. Chiamò immediatamente i colleghi del commissariato per un sopralluogo accurato.

    Nel frattempo diede uno sguardo qua e là. Entrò nel grande salone-studio, totalmente immerso nello spazio e nella luce, al centro del quale troneggiava una vetrina contenente dei reperti archeologici. La vetrina era stata messa sottosopra, ma pareva che non mancasse niente. Conteneva una collezione di miniature in bronzo: una navicella, una sacerdotessa e altre statuine votive. L’avvocato Pinna possedeva una bella raccolta, malgrado dovesse essere certamente a conoscenza del fatto che la cosa non fosse legale.

    Valentina passò poi a controllare la scrivania, notando subito dai cavi abbandonati che mancava il portatile dell’avvocato. Poco distante, sparse disordinatamente sul ripiano, c’erano alcune fotografie di siti archeologici. Si trattava più che altro di quelle antiche torri in pietra di cui è disseminata la Sardegna, chiamate nuraghi. Valentina si ricordò di averne viso qualcuno da bambina, forse sui libri di scuola. C’erano anche alcune fotografie di tombe o, comunque, sembravano delle strutture sepolcrali. Sempre sulla scrivania, rovesciata da una parte, giaceva una vistosa cornice d’argento contenente la foto di un bel giovane biondo, probabilmente l’attuale compagno della vittima. La commissaria prese con sé quella foto, pensando che fosse opportuno procedere al più presto all’identificazione di quel ragazzo: per esperienza sapeva che non si poteva mai escludere il movente passionale, anzi…

    Controllò anche la segreteria telefonica, c’erano un paio di messaggi che risalivano a tre giorni prima. Uno diceva: «Ciao Adolfo, sono Gesuino, ricordati di venire a ritirare il formaggio… Quando vuoi» Nient’altro. Nel secondo, una voce maschile dall’accento marcatamente francese diceva: «Ciao mon cher, ci vediamo al solito posto, ok? Ti aspetto». Senza perdere tempo Valentina prese nota di entrambi i numeri di telefono.

    Gli ignoti visitatori della villa non avevano toccato il cestino delle cartacce. La commissaria controllò anche lì, trovando solo il biglietto da visita di alcuni locali: un ristorante, un circolo culturale e un’associazione sportiva di squash che anche lei conosceva. Infine, appallottolata sul fondo, c’era la copia di una mappa che indicava un sito in territorio peruviano, il suo nome era Tampumachay, sotto quel nome qualcuno aveva scritto ed evidenziato Fonte della salute. Pensando al biglietto per Lima trovato sull’automobile della vittima, Valentina prese anche quel pezzo di carta: ogni cosa poteva rivelarsi utile.

    Con

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