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MARMI: Da Michelangelo al Moma
MARMI: Da Michelangelo al Moma
MARMI: Da Michelangelo al Moma
E-book84 pagine59 minuti

MARMI: Da Michelangelo al Moma

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Info su questo ebook

Marmi, rocce, aggregati.
Quanto hanno influito sulla storia dell'uomo e quanto hanno contribuito i marmi, le rocce, gli aggregati a realizzare ponti, case, palazzi, vie di comunicazione, dalla storia Romana ad oggi.
Un libro agile e divertente, per incuriosirsi e appassionarsi dell'uomo e del suo rapporto con la natura.

LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2015
ISBN9788890692352
MARMI: Da Michelangelo al Moma
Autore

Massimo Ghidelli

"I like to explore, observe, get curious"Passionate about tourism, travel and cooking, when Massimo is not out and about with his motorbike he lives in Desenzano del Garda (Italy). His books are printed in Italian, English and German and also available in eBook format on major international platforms.Follow me on Smashwords.

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    Anteprima del libro

    MARMI - Massimo Ghidelli

    Lo studio imbiancato

    Michelangelo, l’arte, la materia

    Bianca moderna creatività

    L’architettura, il design, il colore

    La materia

    Dal profondo della terra: la scienza e il cuore

    Dai cavatori al diamante

    C'era una volta la miniera

    La civiltà della pietra

    La montagna, il marmo, gli aggregati

    La scoperta del cemento

    L’architettura moderna e il mondo nuovo

    Gli aggregati e le vie di comunicazione

    Il viaggio, la conoscenza, le culture

    Gli aggregati e l’ambiente

    La ricostruzione della terra

    Le leggi dell’uomo

    Responsabilità, controllo e limiti per la tutela dell’ambiente

    Lo studio imbiancato

    Michelangelo, l’arte, la materia

    Lo stanzone è luminoso, ampio, disordinato.

    A terra, posati su liste di legno, grandi blocchi di marmo grigio mostrano i primi segni del taglio, le striature dello scalpello, le linee brevi della sagomatura della figura che andrà scolpita. Al gesso colorato che si utilizza per tracciare i contorni compete di definire le proporzioni di quella che diverrà poi un’opera d’arte: un busto, un volto, una figura intera, persone, animali, cose.

    Sugli ampi tavolacci sono disposti, in gran confusione, compassi, mazze, scalpelli, corde, cunei, stucchi, raspe. Tutto è velato da una polvere fina, bianca: i lavori già ultimati, i blocchi appena giunti dalla montagna, gli stracci gettati qua e là, un panno che serve per pulirsi la faccia dal sudore; e il pavimento, su cui l’artista e i suoi allievi lasciano orme confuse e sovrapposte.

    In uno studio siffatto possiamo immaginare che lavora Michelangelo Buonarroti e, come lui, i tanti grandi scultori di quella straordinaria stagione che è il Cinquecento italiano.

    La scultura è l’arte di ricavare da una roccia informe un capolavoro di grazia e armonia.

    Ai giorni nostri, la distinzione fra la scultura, la poesia, la pittura e le numerose altre forme di arte ci appare bizzarra; eppure in quell’epoca lontana e nonostante la loro infinita grandezza, né la scultura greca né quella romana e neanche il genio michelangiolesco erano riusciti a fare della scultura un’Arte nobile.

    No, la scultura non era un’arte nobile.

    Nobile era, piuttosto, l’opera dei pittori, strenuamente preservata dalla confraternita della Fraglia, una fra le tante corporazioni che nell’Italia di qualche secolo fa proteggeva il lavoro degli artigiani, dei mercanti, dei pellicciai, degli scultori, dei carpentieri. Maestri ugualmente apprezzati erano gli stuccatori; importanti e ben considerati erano i vetrai, i miniaturisti (cui si rivolgevano le nobildonne per farsi fare dei pregevoli cammei), i decoratori di borchie, di cassoni in legno, di scudi (usati più per esibizione di sfarzo che per sfidarsi in autentiche battaglie). Gradito era il lavoro di quegli artigiani che coloravano stoffe o istoriavano carte da gioco.

    Tutti importanti; ma tutti venivano dopo.

    I veri artisti, quelli maggiormente considerati dalla pubblica opinione dell’epoca, erano i figureri.

    I figureri (cioè i pittori) hanno una grazia naturale: lavorano vestiti alla moda, in ambienti puliti, distaccati dal quadro al quale, allungando il braccio e graziando la tela del loro intervento, donano colore e senso e armonia.

    La condizione dello scultore era (ed è) visibilmente opposta.

    La caratterizza, anzitutto, la totale contiguità dell’artista con la pietra, la fisicità con cui l’uomo svolge il suo lavoro. Avete mai visto uno scultore al lavoro? Si addossa al blocco, lo tocca, lo accarezza, alterna colpi risoluti di scalpello a lievi lisciature, ha i capelli impolverati e le mani callose; lavora in un’ambiente che non riesce mai ad esser realmente pulito.

    Lo scultore, oggi come ieri, deve trasferire al blocco la scienza del disegno preparatorio, modellare la pietra dura e assoggettarla al suo progetto; deve dare forma e, soprattutto, anima ad un blocco informe la cui lavorazione non perdona errori. Pensate a cosa può determinare un colpo (un solo colpo) errato, incauto, eccessivo o, semplicemente, che incontra una fessura nascosta, inimmaginabile e fatalmente irreparabile...

    Dare l’anima a un’opera d’arte è compito enorme, è la vera netta separazione fra il pittore ordinario, il cesellatore, l’artista di bottega e il genio.

    Leonardo da Vinci nel suo Trattato di pittura ricordava che un artista, per raggiungere il livello più alto del suo magistero, deve saper "far le figure in atto sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell'animo: altrimenti la tua arte non sarà laudabile. E, ancora, scriveva: Lo bono pittore ha da dipingere due cose principali, cioè lhomo e il concetto della mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile perché s’ha a figurare con gesti e movimenti delle membra".

    In altre parole: se vuoi essere un bravo pittore, prima ancora che il viso devi essere capace di raffigurare l’anima.

    Figuriamoci come questo sia ancora più difficile avendo a che fare con un blocco di marmo. Eppure Michelangelo, quando ancora era nella fase preparatoria di quadri e sculture, non solo esortava i suoi ragazzi di bottega a lavorare con coscienza e dedizione, ma li ammoniva a non cercare di limitarsi ad imitare la natura (che pure è la fonte di ogni riferimento), ma di "forzare le forme e costringerle ad atteggiamenti che la correggono e perciò la rendono

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