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Aneddoti
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E-book191 pagine2 ore

Aneddoti

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Diciotto aneddoti tutti veri: La memoria dei genitori e dei primi parenti che formavano una sola famiglia, l’incursione sulle scene del teatro, la meraviglia della scoperta su un cucchiaio al mattino, la pallacanestro di una volta, la mala giustizia, l’inganno delle assicurazioni, gli errori delle norme di sicurezza, la legge di Murphy, il casale rustico, l’importanza di un cognome, Città della Pieve, e così via fino a far accendere la luce con un limone. Anzi con mezzo.
A concludere un apologo significativo
LinguaItaliano
Data di uscita8 mag 2013
ISBN9788867559107
Aneddoti

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    Anteprima del libro

    Aneddoti - Giampietro Favero

    9788867559107

    Prefazione

    Il presente volume racchiude diciotto racconti, tutti di vita vissuta, che spaziano da un ritratto dei miei cari nei giorni della loro morte, fino all'immagine dei miei genitori che veramente si sono fatti da sé.

    Leggendo, ci si può indignare sugli sprechi della Cassa del Mezzogiorno o sui difetti della giustizia, riflettere sulle peripezie dolci ed amare degli attori o sui pensieri indotti specchiandosi in un cucchiaio, cercar di capire le idiozie degli uomini e delle Norme, divertirsi con la pallacanestro minore,  partecipare alle feste delle cittadine umbre e ripensare i nomi delle piante.

    Da ultimo stilo le confessioni di un obeso nelle quali mi giudico senza compiacimenti ma anche senza esagerazioni.

    Dopo i racconti inserisco un apologo, interessante.

    A tutti dico buona lettura.

    I cari

    Alberto

    La Chiesa di Santa Maria del Popolo era tutta addobbata in nero sia all'interno che sulla facciata esterna, una folla silenziosa faceva ala sulla scalinata in attesa che venisse il carro funebre tirato da 4 cavalli neri, bardati in nero ed oro e con pennacchi neri. Il carro in legno nero e vetro, che aveva percorso poco spazio dal portone di Via Flaminia al numero 21, si affacciò dal fornice laterale di Porta del Popolo, e fece una conversione per fermarsi in capo alle scale. Fu aperto il portello posteriore e parenti ed amici portammo il feretro entro la chiesa sul catafalco verso l'altare maggiore. Il coro, disposto nella cantoria a balcone, cantava l'antifona della messa funebre: Requiem aeternam dona ei Domine cum sanctis tuis in aeternum. Deposto il feretro, il sacerdote che lo aveva accolto all'ingresso, accompagnato da diacono e suddiacono e dal turiferario, e che aveva guidato la processione all'interno della chiesa, incensò ed asperse la bara, poi, deposto il piviale ed indossata la pianeta iniziò la messa solenne, in latino. Il coro intonò il Kyrie in gregoriano e letta l'epistola dal suddiacono proseguì con la sequenza del Dies irae. Dopo il vangelo, letto dal diacono, il coro continuò con l'offertorio Domine Jesu Christe, rex gloriae ... fino al Sanctus. Alla comunione moltissimi la fecero mentre il coro continuava il canto dell'Agnus Dei, subito seguito dal canto del Communio Lux aeterna luceat ei Domine cum sanctis tuis in aeternum quia pius es. Alla benedizione della salma il sacerdote aveva dismesso la pianeta e indossato di nuovo il piviale, e il coro intonò dapprima il Libera me Domine de morte aeterna quindi, più dolcemente rivolgendosi direttamente al defunto cantò In paradisum deducant te angeli et in tuo adventu suscipiant te martyres, et perducant te in civitatem sanctam Jerusalem.

    IL sacerdote, alla fine dei canti e delle preghiere benedisse la salma e, andandosene, mormorava a bassa voce: Anima eius et animae omnium fidelium defunctorum per intercessionem Domini requiescant in pace.

    La chiesa rimase tutta in silenzio mentre i necrofori toglievano il drappo nero bordato d'oro dal catafalco, ed il silenzio continuò anche oltre l'uscita della bara e la sua deposizione nel carro.

    Gli zoccoli dei cavalli facevano un rumore assordante battendo sull'acciottolato della piazza nel caldo sole di giugno. E guidati con maestria uscirono dal fornice centrale della porta per voltare a destra lungo il Muro Torto. Dai gradini della chiesa il rumore degli zoccoli fu udito a lungo.

    La partita era appena finita e stavamo come sempre a commentarla fra noi, papà, mamma, zio Alberto, zia Giannina, Paola, Anco, zio Tonino, io, che eravamo tutti seduti vicini, al settore M della Monte Mario, e poi si aggiunsero zio Ubaldo, Nunzi e Marina che avevano i posti più sotto.

    Era stata la penultima partita di un campionato senza infamia e senza lode che la Roma avrebbe concluso la domenica successiva a Torino.

    E cominciammo a parlare dell'annuncio che zio Alberto ci aveva dato, che quello stesso giorno sarebbe entrato alla clinica dell'ospedale Fate Bene Fratelli dell'isola Tiberina per liberarsi finalmente del fastidio che gli dava l'ulcera, convinto in ciò anche dal medico curante il dott. Crisci che incidentalmente era il medico sociale della Roma.

    Nella famiglia allargata quale era la nostra, nessuno si sottoponeva volentieri alle mani del chirurgo, mamma, addirittura rifiutava l'iniezione antidolorifica del dentista e sì che si era tolti tutti i denti da anni, secondo una malintesa moda americana di fine guerra cui papà l'aveva convertita. E' peraltro vero che dopo la fine della guerra papà si era operato di ernia inguinale, Paola e Carlo di appendicite e Franco di menisco ma lo zoccolo duro della famiglia Benedettini aborriva e continuò ad aborrire l'intervento chirurgico anche quando, magari, sarebbe stato necessario.

    Comunque zio Alberto era stato invitato dai medici consultati a considerare la possibilità che la sua ulcera potesse risolversi in un male peggiore; sia il medico curante che il direttore sanitario del Fate Bene Fratelli erano amici che lo avevano assicurato sulla banalità dell'operazione e sul suo esito felice, così zio si era convinto ad affrontare l'intervento, e perciò, all'uscita della partita, andammo tutti in processione ad accompagnarlo all'ospedale.

    Il dott. Crisci, all'uscita della sala operatoria a zio Alberto ancora quasi incosciente disse di spicciarsi a tornare in piedi come previsto per il venerdì perché quel giorno avrebbe tolto la sonda gastrica e poi sarebbe partito per Torino al seguito della Roma. Zio Alberto, semi addormentato sorrise dicendo che non aveva alcuna voglia di fare l'ammalato.

    Il secondo giorno dell'operazione durante le nostre visite, zio abbassava il volume della televisione che aveva in camera e cominciava a parlare del matrimonio di Paola Ruffo di Calabria con Alberto del Belgio cronache che riempivano i giornaletti rosa.

    Quando in clinica venivano le zie Giannetta e Fernanda non era raro che si recitasse il rosario, io non andavo spesso perché stavo preparando gli esami all'Università, ma della grande famiglia, a fare compagnia, c'era sempre qualcuno; uscendo dal negozio mamma e le zie passavano immancabilmente in clinica e riportavano le ultime notizie.

    Il terzo giorno cominciò qualche linea di febbre sopra il normale ma i medici dissero di non preoccuparsi essendo quello il decorso normale postoperatorio. Aumentando peraltro la febbre e vedendo il deperimento di zio che era sempre semi addormentato, i medici dissero che c'era bisogno di sangue oltre quello che loro avevano predisposto per l'intervento.

    Gianfranco detto Anco aveva allora venticinque anni ed era veramente un bel ragazzo con una qualche rassomiglianza con Cary Grant, sportivo (giocavamo spesso a tennis insieme) ed aveva una passione amorosa, nascosta ed in gran segreto, perché mia cugina Giannina (sua madre) non voleva sentir parlare di affari di cuore prima che avesse finito l'Università.

    Incidentalmente però Simonetta era figlia di una Dottoressa in Chimica, Miretta Togni in Francisi, che lavorava all'AVIS per cui  potevamo avere una linea preferenziale per ottenere il sangue in caso di urgenza.

    Miretta volle dapprima un campione del sangue di zio Alberto per riscontrarne il gruppo sanguigno e dall'esame venne fuori che il sangue che in ospedale avevano adoperato per zio era di un gruppo diverso dal suo.

    Andammo tutti in famiglia a donare il nostro sangue e ricordo che i flaconi per zio li portammo in automobile io e Anco correndo a clacson spiegato nel traffico di Roma.

    I dottori continuavano a minimizzare quelle che per noi erano le cattive condizioni di zio, anche perché le dosi massicce di sangue e medicine ebbero un qualche effetto anche se temporaneo.

    Il venerdì mattina, secondo il programma ma non tenendo conto delle effettive condizioni di zio gli tolsero la sonda e zio avvertì un grandissimo dolore di strappo e anche questo sintomo fu minimizzato dal medico che non vedeva l'ora di partire per Torino, ma ancora niente lasciava presagire l'esito ferale.

    Il sabato quando arrivai in clinica il quadro era decisamente cambiato: in camera di zio non si poteva entrare, zio Arduino piangeva su una sedia portatagli nel corridoio, le zie Giannetta, che aveva un affetto tutto speciale per zio Alberto e faceva avanti ed indietro dalla camera del malato, e Fernanda quando erano fuori della stanza piangevano anche loro, Giannina restava sempre in camera del marito con Anco, e mamma non riusciva secondo quello che normalmente faceva a sollevare l'animo di nessuno; papà, Paola ed io stavamo da parte consci che fra poco avremmo assistito alla morte di un primo componente della nostra grande famiglia.

    La morte fu attribuita a setticemia ma non fu mai chiarita la ragione per cui questa fosse insorta; i medici negarono che  l'aver utilizzato un sangue di gruppo diverso da quello di zio avesse comportato qualche conseguenza.

    Il dott. Crisci seppe della morte di zio Alberto al ritorno dalla partita di Torino.

    Arduino ed Ia

    Fino a circa l'anno santo avevamo mantenuto viva la tradizione che voleva tutta la grande famiglia riunita a casa nostra,  per le feste di Natale. Il trasloco della famiglia Benedettini Crescenzi da Via Flaminia a San Silvestro avveniva durante la vigilia e la loro permanenza si protraeva fino al giorno seguente l'Epifania. Però successivamente anche perché noi ragazzi si era diventati grandi, i genitori erano cinquantenni le zie di poco maggiori e i nonni di Anco avevano superato la sessantina, pur continuando a stare insieme ai pranzi e alle cene, e sempre a casa nostra, dopo cena zii e cugino tornavano a casa.

    Ciò comportò nel tempo un allentamento di questa vicinanza, nel senso che non tutti i giorni ci trovavamo insieme ma solo le domeniche e le feste, inoltre talvolta venivano solo Anco con i genitori perché Arduino preferiva stare solo.

    Egli, col tempo, era diventato leggermente ipocondriaco e mal sopportava gli inviti a reagire e non lamentarsi delle zie, Giannetta e Giannina, anche se gli erano sorella e figlia, e si alterava quando esse non davano retta ai suoi infiniti e immaginari malanni. Solo mamma, secondo lui, riusciva a capirlo anche se qualche sua impuntatura era un vero e proprio capriccio.

    Papà probabilmente era diventato geloso del fatto che ormai la maggior parte delle attenzioni di mamma fossero rivolte al fratello; avrebbe forse preteso che fossero tutte per lui, ma lei, per il suo carattere, era sempre portata a dividerle dapprima con le sorelle ed ora anche con il  fratello; per ciò il comportamento di papà nei confronti delle zie e di zio Arduino tese al variabile. In specie dapprima verso zia Fernanda che era diventata la vittima di dispetti per lei spaventosi, come quando le mischiò assieme a quella comune l'insalata lattuga che si era preparata a parte e lavata con l'acqua di Trevi del bagnetto laggiù, in seguito anche verso Arduino che richiedeva quasi giornalmente la presenza di mamma a casa sua. Questo fatto papà non lo mandava giù parlandone con me e Paola apertamente e sfogando su mamma il suo rancore.

    Una volta morto zio Alberto, papà era stato inizialmente molto vicino a Giannina e Anco, poi lentamente, negli anni, anche mia cugina entrò nel novero delle sue antipatie, crescenti in fine quando lui, che come canottiere era stato sempre molto magro avendo seguito una dieta a bistecche ed insalata, in vecchiaia cominciò ad apprezzare la pasta asciutta ed ingrassò una ventina di chili. Dopo un periodo di godimento gastronomico dei disturbi cardiaci lo impaurirono e cominciò con sforzo a tentare di dimagrire. Zia Giannina che era stata sempre una buona forchetta anche in gioventù, continuò ad esserlo anche in vedovanza, e dopo aver lasciato il negozio che la obbligava tutto il giorno in piedi, la stessa quantità di cibo risultava eccessiva perciò ingrassò. Però del fatto che fosse diventata grassa non se ne è mai preoccupata, mentre per papà, che si sforzava di tornare magro, questa sua indifferenza era quasi un'offesa e non gliene lasciava passare una dandole il tormento ogni volta che mangiavano insieme.

    Papà, quindi, che si chiamava Felice, in vecchiaia si rese infelice per impicciarsi troppo degli altri.

    Tornando agli incontri di Natale, quell'anno 1964, mentre Anco e Giannina vennero a San Silvestro a Natale, zio Arduino lamentando che nessuno si curasse di lui restò in casa, poi, a mezza notte andò in chiesa alla messa, lui che difficilmente andava a messa la domenica. 

    All'uscita della messa lo accolse una pioggerellina che penetrava alle ossa, e il percorso da chiesa a casa, circa mezzo chilometro che si faceva generalmente a piedi, dovette farlo tutto sotto l'acqua e senza ombrello per cui l'iniziale raffreddore, trascurato dal medico che non lo capì e iniziò la cura con gli antibiotici troppo tardi, si tramutò in polmonite.

    Mamma si trasferì quasi costantemente a casa sua perché anche in quella occasione zio Arduino voleva solo le sue cure. Quell'anno saltarono le feste di capodanno e il 2 gennaio zio Arduino morì.

    A quel punto era diverso tempo che la moglie, Ia, stava male entrando ed uscendo dal letto e costantemente il marito, con lo spirito macabro che contraddistingue i romani veri, continuava a dirle che gli toccava pure seppellirla, al che zia Ia rispondeva con le corna, dicendo - Tieh !-.

    Alla morte del marito, con la figlia occupata a negozio, ed il nipote Anco sposato, zia dovette essere accudita da una di quelle che attualmente si chiamano badanti ma al tempo era una cameriera; che è vero che la accudisse bene però la combinava come Pippi Calzelunghe con i capelli raccolti in trecce ai lati della testa, tenuti assieme da nastrini azzurri.

    Zia restò abbastanza allegra anche durante il suo deperimento, ma diverse furono le telefonate a negozio per avvisare la figlia che era arrivato il momento, ma erano tutti falsi allarmi. Un giorno che aveva dato le disposizioni per la spesa e che poi aveva detto di voler riposare si addormentò per non svegliarsi più, e la telefonata a negozio

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