I DUE MONDI
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Pessimista? No! Lovelock ha esaminato soltanto le alterazioni del clima, e non ha preso in considerazione l’aumento esponenziale della popolazione, l’enorme massa di disperati pronti a tutto, la diffusione delle armi di distruzione di massa…
“I due mondi” è il primo libro della trilogia “Il tempo prima della luce”, che ipotizza un mondo avviato all’estinzione, per proporre un ritorno al passato ed esaminare in modo nuovo gli insegnamenti di alcuni grandi maestri.
È un tentativo di capire le ragioni di certe prese di posizione rivoluzionarie di questi maestri, ed evidenziare ciò che può aiutare a perseguire la pace globale, e quindi la sopravvivenza. È soltanto un libro di fantascienza, ma può suggerire qualche utile analisi critica sull’attuale stile di vita.
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Anteprima del libro
I DUE MONDI - Giuseppe Dalu
patto
Cap. 1 – Il punto di non ritorno
Era appena trascorsa l’alba, quando Toshiro arrivò nello studio del Ministro. Lo trovò in piedi, davanti alla grande vetrata, che guardava lontano pensieroso.
Sheila, la sua quarta schiava-concubina, dormiva ancora accovacciata sul divano.
Toshiro, assistente e segretario del Ministro, l’aveva fatta selezionare per lui, e questa volta aveva badato che fosse anche molto intelligente. L’aveva trovata ancora adolescente nella Cina Meridionale, dove le donne erano sottomesse agli uomini per una tradizione millenaria. Era una persona dolce, molto paziente con il suo padrone, che ammirava moltissimo. Era comunque la prima alla quale il Ministro era riuscito ad affezionarsi.
Per Toshiro non fu difficile capire che avevano passato la notte nello studio, perché tutti i monitor erano ancora accesi, e la scrivania era piena di grafici e tabelle.
Il Ministro avvertì la sua presenza e disse: «Non vedevo un’alba da quando ero ragazzo. E’ ancora un bello spettacolo, anche se i colori non sono più gli stessi». L’azzurro del cielo era ormai un ricordo lontano.
Toshiro chiese conferma dei risultati delle analisi. Il Ministro spiegò che era stato abbastanza facile riesaminare tutti i dati forniti dai diversi sistemi di rilevamento, e arrivare alle stesse conclusioni.
«Purtroppo è confermato. Le alterazioni sono ormai troppo gravi e siamo destinati all’estinzione.»
In realtà non era riuscito a dormire per cercare di trovare una soluzione, perché l’Imperatore l’aveva abituato a non informarlo di un problema prima che fosse in grado di prospettargli delle possibili soluzioni.
«I coloni sulla Luna!» esclamò Toshiro, con l’entusiasmo di chi ha intravisto una soluzione. «Loro potranno ripopolare la Terra.»
«No. La loro autonomia è troppo limitata.» fu la risposta decisa del Ministro. «Non basteranno mille anni per guarire le ferite inferte al pianeta.»
A Toshiro venne spontaneo ricordare che il vecchio Lama aveva previsto la catastrofe con alcuni decenni d’anticipo.
Il Ministro commentò: «Quel vecchio pazzo! Non poteva avere credito. E’ incredibile che sia ancora vivo. Avrà quasi 200 anni».
«243» precisò Toshiro.
«Vedo che sei bene informato.»
«Mi hanno sempre incuriosito gli strani poteri di quel monaco. Quand’ero studente, un mio compagno di studi mi portò con sé a trovarlo, e rimasi affascinato dal suo grande carisma.»
«La legge vieta di frequentare il Tempio della Pace.»
«Gli studenti infrangono spesso le regole. Da allora ho sempre seguito quel minimo di notizie che trapelavano, quando i prodigi che poteva compiere riuscivano ad arrivare ai giornali.»
Il Ministro rimase pensieroso per un po’, poi esclamò con decisione: «Andiamo!».
«Dove, mio Signore?»
«Voglio vedere il Lama. Sono rimasto spesso sconcertato da ciò che riusciva a fare, contro ogni possibile spiegazione scientifica, anche se ho sempre pensato che gli straordinari poteri della sua mente fossero molto esagerati dai giornalisti. Nonostante la mia curiosità, non ho mai avuto occasione di incontrarlo, e forse vedere quel vecchio può essere un buon diversivo. Hai qui la tua navetta?»
«Sì, ma come possiamo andare al Tempio senza preavviso e senza scorta?»
«Il Mondo va verso la catastrofe e tu ti preoccupi della scorta?»
Sheila si era svegliata da poco, e aveva sentito le ultime frasi. Chiese: «Posso venire con voi?».
L’idea di incontrare il vecchio Lama la affascinava. Il Ministro esitò.
«Vi prego» insisté.
Ormai che importanza poteva avere la forma?
«Va bene, vieni.» concesse il Ministro.
Durante il viaggio tra Kyoto, capitale del Grande Impero d’Oriente, e il Tibet, il Ministro cercò di pensare che cosa dire al vecchio Lama. Si sarebbe qualificato e gli avrebbe comunicato che la sua profezia si era avverata. Se necessario, gli avrebbe ricordato che solo un suo intervento nel Gran Consiglio dell’Impero aveva fatto cessare le persecuzioni contro il Tempio.
Il Ministro era stato un grande scienziato, ma era stato allevato come ateo, e all’inizio del suo mandato aveva contribuito ad eliminare ogni traccia di religione dal Grande Impero di Oriente. Era però riuscito a salvare quell’ultimo Tempio, facendo leva sulla sua rappresentatività nello sviluppo della Cultura dell’Uomo. Inoltre il Buddismo non aveva mai preteso di essere una religione. Il Tempio della Pace era quindi diventato una specie di monumento nazionale, d’interesse prevalentemente turistico.
La navetta atterrò nell’ampio cortile che si trovava alle spalle del Tempio, una specie di giardino circondato da un chiostro, che dava accesso a due grandi monasteri.
Quando il portello si aprì, il Ministro vide avvicinarsi alla scaletta un monaco che sembrava mandato a riceverli. Il monaco rimase chino fino a quando il Ministro non fu sufficientemente vicino da poterne vedere i piedi, e solo allora sollevò il capo.
Il Ministro si qualificò: «Sono il Ministro per la Cultura e la Scienza, Gran Maestro...».
Il monaco interruppe la sequenza dei titoli, che era piuttosto lunga, dicendo: «Siete attesi. Seguitemi.» e s’incamminò.
Il Ministro fissò Toshiro con uno sguardo tra il rimprovero e la richiesta di spiegazioni, ma questi si schermì con un deciso cenno di diniego.
Il terzetto seguì il monaco, che li portò nella stanza-studio del Grande Maestro.
La stanza era molto grande, poco luminosa e modestamente arredata. C’erano due grandi scaffali pieni di vecchi libri che rendevano l’aria quasi irrespirabile, una scrivania con sopra un lume e un monitor, cioè una finestra sul Mondo, unico oggetto relativamente moderno, e naturalmente le immancabili carte. La scrivania era soprattutto usata dal suo segretario, quando dovevano sbrigare la corrispondenza, ancora abbondante. Sul pavimento vi erano numerosi cuscini, e l’unica sedia presente era quella in dotazione alla scrivania. Vi erano infine alcuni oggetti sacri di varie dimensioni, tra i quali spiccava un Buddha di legno, a grandezza naturale, appoggiato a una parete in pietra.
Prima delle persecuzioni, alcuni monaci sostenevano che Buddha fosse la nona reincarnazione di Krishna, prima vera incarnazione dell’Assoluto.
Il Lama li accolse in piedi, nonostante la sua età. Quando il Ministro si trovò davanti quell’uomo incredibilmente magro e vecchio, tutto ciò che aveva preparato durante il tragitto svanì, e non riuscì a proferire parola.
Fu il Lama a rompere il silenzio con la solita domanda: «Che cosa posso fare per te?».
Il Ministro rispose semplicemente: «Abbiamo passato il punto di non ritorno».
«Lo so!» dichiarò il Lama, che sembrava stranamente informato di tutto. «Sono stato il primo a dare l’allarme, ma purtroppo non sono stato ascoltato.»
«Puoi fare qualcosa?»
Il Lama accennò un sorriso.
«Tu mi stai chiedendo di salvare il Mondo! Non ho questo potere.»
Il Ministro sembrò deluso, come se avesse veramente sperato di trovare qualche risposta in quel luogo sacro. Cosa poteva aspettarsi da quella vecchia mummia? Che cosa stupida sprecare il proprio tempo in un tentativo così assurdo. Con la sua solita mancanza di tatto, voltò le spalle avviandosi verso l’uscita.
«Mohadran!» lo chiamò il Lama.
Era la prima volta dopo molti anni che qualcuno si rivolgeva a lui con il nome, anziché con uno dei suoi titoli. Si fermò.
«Mohadran-gi,» ripeté il Lama, aggiungendo quel gi, segno di rispetto, che rivelava la comune origine indiana, «io credo che possiamo ancora fare qualcosa!»
Il Ministro si avvicinò nuovamente, ma vide quel vecchio barcollare e temette per lui. I due monaci, suoi assistenti personali, che gli erano sempre stati a fianco, lo sorressero e lo aiutarono a distendersi in quello che sembrava un tavolo di legno senza gambe, finemente intarsiato ai lati e coperto da un antico tappeto cinese di seta, che arrivava al bordo soltanto sui lati minori.
I due assistenti aiutarono il Lama ad adagiarsi su quello che si rivelò essere un giaciglio. Un’infermiera accorse con una bombola di ossigeno, e il Ministro notò finalmente la presenza delle apparecchiature ospedaliere.
Il monaco, che li aveva accolti al loro arrivo, si avvicinò al Ministro e lo invitò a sedersi su un cuscino posto alla testa del giaciglio. Rimasero tutti in silenzio. Uno degli assistenti sistemò uno specchio sopra la testa del Lama, orientato in modo da permettergli di vedere il suo interlocutore, senza essere costretto a sollevare il capo.
Appena il Lama vide nuovamente davanti a sé il volto del Ministro, allontanò la maschera dell’ossigeno e spiegò: «Tu hai sviluppato le moderne teorie sul Tempo e sulla Gravitazione Universale, per le quali hai ricevuto i più prestigiosi riconoscimenti dal mondo accademico. So che hai anche fatto degli esperimenti per mandare dei piccoli oggetti indietro nel tempo».
«Sì,» confermò il Ministro, chiedendosi come quell’uomo potesse essere così informato di teorie che pochi al Mondo potevano capire, «ma non ne abbiamo più trovata traccia. Non sappiamo ancora se questi esperimenti siano riusciti, e non abbiamo ancora conferma sperimentale delle mie teorie sui viaggi nel tempo.»
«Le tue teorie sono esatte,» tagliò corto il Lama, «e tu puoi mandare indietro nel tempo persone e strumenti. Questa è la via da seguire!»
Il volto del Ministro s’illuminò, perché capì cosa stava cercando di dire il Lama. Questi continuò: «Devi concentrarti sull’applicazione delle tue teorie e preparare tutto per tornare indietro nel tempo, con il compito di cambiare il corso della Storia».
«Ci vorranno molti anni per questo!» obiettò il Ministro.
«Non importa. Noi dobbiamo assolutamente tornare indietro nel tempo. E’ ormai l’unica possibilità rimasta per salvare il Mondo.»
«Noi, Venerabile Maestro?».
Era già sorprendente che quell’uomo fosse ancora vivo.
«Sì, noi!» replicò alzando leggermente la voce, «Io so cosa va fatto ed è essenziale che io faccia parte di questa missione. Ho rimandato la mia morte per questo!». Quest’ultima dichiarazione, detta con tanta sicurezza, fece trasalire il Ministro.
«Devi riuscire a portare indietro di duemila anni, duemila persone con duemila tonnellate di apparecchiature. Dobbiamo raggiungere il confine tra i due Imperi ai tempi del primo Imperatore Romano.»
Il Ministro era esterrefatto. Quella visita si stava rivelando proficua oltre ogni aspettativa, anche se non riusciva ancora a credere che le richieste del Lama fossero realistiche. In effetti, avrebbe dato del pazzo a chiunque altro le avesse proposte, ma la situazione era talmente disperata, che tanto valeva tentare anche l’impossibile.
Ora il Lama appariva esausto, e il Ministro pensò che fosse giunto il momento di accomiatarsi. Si alzò.
«Farò tutto ciò che posso per aiutarti in questa missione.» promise, dando per scontato che il Lama vi avrebbe preso parte.
Il Lama sollevò una mano, non per salutarlo, ma per trattenerlo ancora un momento. Con voce smorzata disse: «Devi fare presto. E ricorda!».
Ora la voce era così debole, che Mohadran fu costretto a chinarsi su di lui. Il Lama posò la mano sulla sua tempia quasi volesse accarezzarlo, e continuò, sforzandosi di parlare più forte.
«Ricorda!» ripeté. «I problemi più gravi saranno di tipo politico e organizzativo, non scientifico!»
Sulla via del ritorno, mille pensieri affollavano la mente del Ministro. Commentava ad alta voce: «Devo riprendere gli studi sui viaggi nel tempo e dedicarmi completamente a questo progetto. Occorre fare presto. Devo riunire le migliori menti dell’Impero».
Pianificava la ricerca con dettagli che Toshiro spesso non capiva. Durante quel monologo, si era limitato a intervenire con qualche monosillabo, quasi sempre di approvazione, e qualche breve risposta, quando il Ministro gli anticipava un compito che avrebbe dovuto svolgere personalmente.
Fu solo al rientro nello studio del Ministro che Toshiro gli ricordò le ultime parole del Lama: la parte meno difficile sarebbe stata quella scientifica. Eppure fino a quel momento non si era parlato d’altro.
Mohadran rimase un attimo pensieroso.
«L’Imperatore ha spie dappertutto e sa certamente dei controlli sulla qualità dell’ambiente. Non escluderei che sappia già anche di quest’assurda visita al Tempio della Pace».
«Ho informato io l’Imperatore.»
«Tu?!»
La confessione di Toshiro lasciò Mohadran senza parole.
Toshiro cercò di spiegare: «Ero ancora studente quando fui prelevato dai Servizi Segreti dell’Imperatore. Cercavano dei giovani dotati intellettualmente e fisicamente per farne agenti dell’Imperatore.
«Io vengo da una famiglia relativamente povera della periferia di Osaka, e non mi sembrò vero di cogliere una tale opportunità. Imparai le tecniche e le metodologie della polizia scientifica, e naturalmente fui addestrato nell’uso delle armi e in varie forme di arti marziali. Ero il migliore in quasi tutto, e fu così che, dopo qualche incarico di minore importanza, fui assegnato a Voi, come assistente e, data la mia preparazione, come guardia del corpo».
Mohadran era esterrefatto. Non riusciva a credere che proprio il suo più stretto collaboratore fosse una spia. Negli anni trascorsi insieme aveva imparato ad apprezzarlo per la varietà delle sue competenze e per la sua versatilità.
«Cosa devo fare con te?».
«La mia scelta è di servire Voi. Per questo non ho mai rivelato cose compromettenti, ma non potevo tacere sulla visita al Tempio della Pace. L’Imperatore ha altri