Cafonal Natalizio
Di Ester Nobile
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Anteprima del libro
Cafonal Natalizio - Ester Nobile
Ester Nobile
Cafonal natalizio
EEE-book
Ester Nobile, Cafonal natalizio
© Ester Nobile
Collana Romanzi & Racconti
Tutti i diritti riservati
www.edizioniesordienti.com
Prima edizione – 2011
ISBN: 978-88-6690-024-5
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Amo il Natale
Devo ammetterlo: amo il Natale. Ho sempre adorato il suo sottinteso fortemente socialdemocratico. Fateci caso: è la storia di un bambino nato disagiato a causa delle inesistenti politiche in materia di stato sociale di Erode, ma che già nel pagliericcio di una stalla riesce a catalizzare su di sé l'interesse e le speranze del proletariato israelita grazie al tam tam mediatico operato dalla Stella Cometa. Ma è meglio che non diffonda questa mia tesi. Temo altrimenti che i vertici di Comunione e Liberazione, per evitare pericolose contaminazioni delle menti dei fedeli e degli azionisti, comincino poi a diffondere uno studio teologico finanziato dalla Confindustria in cui si afferma che sì, Gesù era povero, ma bisogna anche ammettere che suo padre Giuseppe si ostinava ad operare in un settore manifatturiero, quello della falegnameria, dove i prezzi al consumo erano crollati a causa della concorrenza con la Dinastia dei Ming.
Tornando a noi, esistono altre specifiche del periodo natalizio che io amo, come per esempio la mia annuale donazione ad una multinazionale, preferibilmente a quella più abbietta ed inquinante. Il motivo di questo annuale sfregio alla morale umana risiede nel contratto di lavoro che ricevetti da una nota ONG impegnata nell'aiuto del bambini del Terzo Mondo. Il mio compito risiedeva nel cosidetto fund raising, versione figa e professionale di spilla quanti più soldi ti è possibile
. Era un lavoro dalle prospettive interessanti, se non fossi stata subappaltata ad un'agenzia di marketing, la cui ricetta per il successo e l'ottimismo risiedeva nel negare i limiti di orario, le ferie, la malattia, il mensile fisso, le provvigioni, gli straordinari, i contributi, i diritti umani in generale.
Indignata del trattamento, telefonai al sindacato più vetustamente comunista ed elefantiaco possibile per avere spiegazioni.
Scusate, ma è legale dare una menzione speciale a quei lavoratori che spontaneamente rinunciano al diritto di svenire per la stanchezza, viste le diciassette ore lavorative previste dai rapporti di forza sul posto di lavoro?
dissi io parlando al telefono con la sindacalista di turno.
Mmmmmmh... sì, è legale. Lo dice l'articolo 14 comma 16 della nuova legge sul lavoro.
Capisco. Mi scusi se è lecito, ma si può sapere come vi è venuto in mente di firmare una cosa del genere?
Mmmmmh... attenda in linea, vado a chiedere
disse la sindacalista allontanandosi dalla cornetta e mettendo in linea al posto della sua voce La primavera di Vivaldi.
Cominciò a balenarmi il sospetto che la tipina stesse prendendo tempo dopo essere stata al telefono per sette ore di fila ad ascoltare tutti i greatest hits di Vivaldi più gli inediti in esclusiva. Abbattuta, ma non rassegnata, mandai allora un'accorata mail di protesta al direttore generale della ONG in questione, un tizio inglese che nella foto sul sito appariva sempre con un bimbo africano tra le braccia, una camicia azzurra di lino strategicamente sbottonata sugli abbronzati pettorali e il ciuffo biondo perfettamente ondulato. Mi rispose in questo modo la settimana dopo:
Carissima ex-dipendente,
la lotta contro la povertà nel mondo non conosce frontiere ed ostacoli. Bisogna fare sacrifici per ottenere il risultato migliore, ovvero garantire un futuro ai tanti bambini che oggi soffrono per fame, guerra, e sfruttamento. Nella speranza che tu possa rinnovare la tua fiducia nei nostri confronti, ti faccio i miei più grandi auguri di buon Natale.
Lavorare come una schiava sotto la soglia della povertà assoluta per dare l'ebbrezza a qualche bimbo del Botswana di vivere per Natale al di sopra del reddito di un dollaro al giorno.
Geniale.
Così, dopo questa delusione, e soprattutto dinanzi alla cassetta delle lettere che traboccava di missive di ONG a caccia di donazioni nel periodo di picco dei sensi di colpa, cioè quello natalizio, iniziò la tradizione della donazione alle multinazionali. McDonald, Coca Cola, Unilever, Mitsubishi... Le peggiori le ho fatte tutte, quest'anno è la volta della Monsanto, ma spero di scovare una controllata che abbia delocalizzato in Inguscezia e che importi in Occidente scorreggiando quanti più gas serra possibile, perché non saprei proprio come giustificare a casa mia l'acquisto di cento chili di semi di mais mischiato a DNA di scarafaggio.
Tuttavia, come in tutte le medaglie che si rispettino, anche nel Natale per me ci sono degli aspetti che andrebbero cancellati, preferibilmente con la violenza. Uno di questi è sicuramente il cenone di Natale. Il rituale per eccellenza, durante il quale le famiglie finalmente riunite desinano in un'atmosfera di pace e concordia attendendo con trepidazione la venuta del Salvatore, per me ormai da un po' di anni a questa parte è sempre e solo il Festival della Biochetasi. Difatti le mie tradizionali cinque fette di cotechino, mischiate a mezzo pandoro del discount con consueto contorno di diciassette torroncini bagnati da ventinove bicchieri di coca cola, non riescono mai a trovare la strada maestra per l'intestino a causa delle altrettante porzioni abbondanti di rodimenti a cui sono sottoposta.
Per capire però da dove parte questo mio male di vivere e di pancia, bisognerà procedere per gradi e fare necessariamente qualche passo indietro. Bisognerà fare un po' come il programma