Il profumo dell'anima
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Soltanto così può cominciare, per Bianca, la stagione della pienezza, con un profumo nuovo di frutto maturo, nel cuore dell’estate.
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Anteprima del libro
Il profumo dell'anima - Gigliola Biagini
Francucci
I - IL DOLORE
Mancavano sette giorni a Natale che si preannunciava gelido per via di certe correnti provenienti dal Nord Europa. Bianca si mise i guanti, una sciarpa calda e avvolgente e un berretto di lana che la faceva sembrare una bambina. Era proprio una bambina quella che vide mentre si dava un’ultima occhiata allo specchio; una buffa bambinetta con un ridicolo cappello di velluto marrone. Odiava doverlo indossare sotto pressione di una madre apprensiva; la irritava, la infastidiva come se stesse indossando un elmetto di bronzo. Desiderava liberare i capelli e sentire la brezza sulla fronte e insieme a quel vento far volare i pensieri fino ad avere la testa leggera leggera. Oggi, da adulta, invece, Bianca odiava immensamente il freddo. Nessun indumento era abbastanza caldo, nessuna sciarpa o cappello riusciva a proteggerla dal vento di tramontana che le arrivava sul viso e sulla nuca colpendola con la violenza di uno schiaffo.
Quel pomeriggio, nonostante la temperatura pungente, Bianca uscì ugualmente; aveva bisogno di camminare. Sperava forse che l’aria la scuotesse dall’inesplicabile torpore che la soffocava, che il vento le scompigliasse i pensieri che si affollavano comprimendole le meningi e lasciandole un senso di vertigini. Pochi passi più tardi il freddo le era già diventato insopportabile. Così decise di affrettarsi di nuovo verso casa, la cuccia calda, la tana letargica, il guscio uterino dove ripararsi dal mondo intero. Accese la tv, si preparò un bicchiere di latte caldo che sorseggiò raggomitolandosi in un abbraccio al calorifero della cucina. Fuori era ormai buio ma alla luce dei lampioni il vento scuoteva ancora le cime degli alberi in giardino. Chiuse le imposte, ingoiò un paio di sonniferi e si infilò sotto il piumone azzurro tirandolo su fino al naso.
– Signora Piccolo, mi creda, lei è depressa. – Il medico fu conciso e forse anche brusco. Bianca uscì dallo studio sdegnata, offesa, furiosa. A stento riusciva a trattenere le lacrime. Lei era andata dal medico di famiglia, il dottor Tilesi, che l’aveva in cura da molti anni, per un colon spastico che la faceva soffrire, non certo per sentirsi dire che era pazza. Certo, negli ultimi mesi aveva passato parecchie notti senza chiudere occhio, era tesa, nervosa, ma lei aveva i suoi pensieri, le sue preoccupazioni, i suoi dolori. Sì, lei era addolorata, non depressa. Il dolore sembrava a Bianca una condizione dignitosa, rispettabile in chiunque; la depressione le suonava di malattia mentale. Lei era addolorata, non malata di mente. I suoi dolori… Già, ma quali? Bianca, che aveva sempre diffidato degli analisti come dei preti, considerandoli invasori e depredatori dell’anima, pensò che forse poteva esserle utile un viaggio introspettivo alla ricerca di quanto non fosse stato metabolizzato, una sorta di autoanalisi finalizzata alla catarsi, perché il dolore non la faceva più vivere davvero.
II - IL DIVORZIO
Il divorzio da Alessandro, nove anni prima, Bianca si disse di averlo completamente elaborato, digerito. Nessuna ferita rimasta a sanguinare, nessun rimpianto o vuoto incolmabile. Tredici anni di matrimonio avevano esaurito ogni passione, ogni slancio da parte di entrambi, che si erano riscoperti assolutamente diversi l’uno dall’altra. Non avevano avuto figli ma questo non era stato vissuto come evento traumatico da nessuno dei due. Forse un figlio avrebbe aggiunto progettualità a un ménage che si trascinava nell’inerzia; ma non era il caso di sfidare la volontà del destino. Così almeno la pensava Bianca.
Si erano conosciuti il giorno in cui Bianca aveva dato la maturità. Uscendo dall’Istituto Tecnico Commerciale, in preda a uno stato emotivo piuttosto incerto, Bianca rischiò di farsi investire sulle strisce pedonali. Il fischio del vigile la portò alla realtà, il suo sorriso, quattro anni dopo, all’altare. Alessandro Braccio, un bell’uomo dal fisico robusto con certi occhi neri neri dal taglio orientale, di qualche anno più grande di lei, le sapeva infondere un rassicurante senso di protezione e, quando se ne stava raggomitolata tra le sue braccia, aveva la sensazione di trascendere in un’altra dimensione. Potenza dell’amore! E dell’amore Bianca era davvero innamorata; forse un po’meno della persona in sé. Cerebrale, complicata, con un senso preponderante dell’esistenza, lei amava la politica, il sociale e l’ambiente. Animalista, umanista, naturalista, non c’era cucciolo indifeso o bambino deprivato o popolo oppresso che non fosse nel suo cuore. Ogni miseria del mondo lei se la portava dentro come un fardello e questo la faceva sentire migliore. Il suo ego gongolava di piacere.
Alessandro aveva interessi più semplici; amava giocare a calcetto con gli amici, oppure a tennis. Non era un superficiale ma Bianca non riusciva ad avere un vero confronto con lui. Il dialogo spesso deragliava su binari differenti e, quando la discussione non volgeva in una rissa, moriva spontaneamente in un mare di banalità. In silenzio, finivano per guardarsi con sospetto. Lui la giudicava una saccente arcigna e presuntuosa e lei considerava lui un babbeo privo di materia grigia. La notte Alessandro la cercava con la libidine spontanea degli uomini sereni. Bianca invece faticava a lasciarsi andare; liberarsi da tutti quegli oneri mentali non era esattamente facile.
Fu naturale, come scivolare su una buccia di banana, per Alessandro, alle soglie della quarantina, invaghirsi di una giovane collega, Anna, rossa di capelli, non particolarmente bella, con un fisico snello e atletico e con una verve da far invidia a un’adolescente. Appassionata ballerina di latino-americano, adorava frequentare locali. Alessandro fu talmente travolto da una tale energia che non fu per niente difficile per Bianca intuire la tresca. – Sei libero, puoi fare le valigie appena vuoi – sentenziò, algida e lapidaria, una sera. Non era affatto gelosa della rivale
e non avvertiva nessuna competizione. Alessandro si sentì ferito dall’atteggiamento implacabile della moglie e per ferire a sua volta cercò di essere ancora più crudele, rinfacciandole di essersi mortalmente annoiato in quegli anni con lei e che finalmente, leggero come un coleottero, poteva tornare a volare.
Quando il marito se ne andò, Bianca provò quasi un senso di liberazione. L’unico malessere che le frullava continuamente in testa era provocato dal fatto che quel beota la ritenesse noiosa. Bianca non si considerava affatto noiosa. Il suo narcisistico ego sanguinava