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Deathdoc. C'è vita al cimitero: L'Uomo che sussurrava ai cadaveri
Deathdoc. C'è vita al cimitero: L'Uomo che sussurrava ai cadaveri
Deathdoc. C'è vita al cimitero: L'Uomo che sussurrava ai cadaveri
E-book562 pagine6 ore

Deathdoc. C'è vita al cimitero: L'Uomo che sussurrava ai cadaveri

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Info su questo ebook

Pensate che i cimiteri siano dei luoghi senza vita? Il fatto che siano popolati da cadaveri in stato di decomposizione più o meno avanzata non li rende assolutamente dei posti tranquilli… Certamente non è tranquillo il cimitero di Velletri, regno di Paolo Grandi, che ne è lo scontroso custode. Paolo la morte la conosce molto bene e i morti gli piacciono più dei vivi, che guarda invece con occhio malevolo e impietoso. In realtà, sotto il nome di Paolo si cela Giovanni Di Micco, un ex medico legale radiato dall’Ordine perché implicato in un traffico di organi umani e quindi costretto a vivere da clandestino e sotto falso nome. Malgrado il suo brutto carattere, Paolo riesce a instaurare rapporti umani veri e profondi con molte persone, compreso il figlio CJ, che ha avuto giovanissimo con una donna che ha sposato un altro uomo e che ignora l’identità del padre.
Una storia appassionante, che trova un ulteriore punto di forza nell’originalissima ambientazione in un cimitero, senza alcun gratuito gusto del macabro, ma con un realismo profondo, frutto di una solida documentazione, che ci fa scoprire un mondo davvero inatteso.
LinguaItaliano
Data di uscita17 feb 2014
ISBN9788866901761
Deathdoc. C'è vita al cimitero: L'Uomo che sussurrava ai cadaveri

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    Anteprima del libro

    Deathdoc. C'è vita al cimitero - Eugenia Guerrieri

    Eugenia Guerrieri

    Deathdoc

    (c’è vita al cimitero...

    ovvero

    l’Uomo che Sussurrava ai Cadaveri)

    EEE-book

    Eugenia Guerrieri, Deathdoc. C’è vita al cimitero... ovvero, l’Uomo che Sussurrava ai Cadaveri

    © Eugenia Guerrieri

    Prima edizione e-book: febbraio 2014

    Edizioni Esordienti E-book

    http://www.edizioniesordienti.com

    ISBN: 9788866901761

    Tutti i diritti riservati, per tutti i Paesi.

    Copertina: immagine © Giorgia Darmanin.

    Questo romanzo è frutto di fantasia. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è da ritenersi del tutto casuale.

    A Gianmarco Di Micco, vero anatomopatologo e altrettanto vero sovrintendente cimiteriale, per avermi ispirato, con la sua personalità e il suo lavoro, il protagonista della storia.

    Se io sono sicuramente la mamma di DEATHDOC, figlio e parto della mia mente, devo un bacio a Erika Corvo, che con la pazienza e la dedizione degni di una nonna o una vecchia zia, si è spesso presa cura del mio bebè letterario, cambiandogli i pannolini, asciugandogli il nasino e imboccandogli la pappa, nella speranza di vederlo, un giorno, camminare da solo.

    Ognuno di noi fa quello che può,

    per non pensare alla vita

    (Francesco Dellamorte)

    Oggi ricorrono i morti...

    SPERIAMO CHE VINCA MIO NONNO.

    Lo status di Facebook di un amico dei miei figli dice così, e li ha fatti tanto ridere. Anche io, a dire il vero, leggendolo accenno un sorriso. Nulla di più, però. So già che oggi al cimitero ci sarà un incredibile viavai di gente e questo sta a significare una sola cosa, il delirio assoluto. Non capisco perché la maggior parte delle persone si ricordi i propri morti a comando, una volta l’anno. Per me il giorno dei defunti rappresenta lavoro, lavoro e ancora lavoro.

    Sono il custode del cimitero di Velletri e come tale scavo le nuove fosse anche sotto la pioggia torrenziale e gelida, svuoto le tombe a cui è scaduta la concessione, ripulisco gli scheletri prima di metterli nelle cassettine per le ossa, e vado personalmente in Comune a ritirare gli atti di sepoltura qualora le agenzie di pompe funebri non avessero provveduto. Ogni notte perdo ore di sonno per fare la guardia. Senza contare il tempo e la fatica che mi costano la manutenzione delle tombe e la pulizia di viali e vialetti dai rifiuti che i visitatori lasciano in giro durante il giorno, ovunque fuorché nei cestini. Getto via i fiori secchi e annaffio quelli freschi.

    È massacrante, ma non mi lamento. Quando ho accettato il lavoro sapevo che sarebbe stato faticoso. Il mio predecessore, conosciuto durante una lunga chiacchierata al termine di un funerale, rimase così favorevolmente impressionato dalle mie conoscenze sulla morte da suggerirmi di far domanda per lavorare qui, designandomi poi come suo successore una volta che fosse andato in pensione. Solo in seguito scoprii che era ormai un po’ che sarebbe dovuto andare in pensione, ma cosa aspettasse di preciso non lo so. Voleva prima essere sicuro di trovare qualcuno che lo sostituisse degnamente? O era convinto di dover morire sul campo, come i soldati?

    Ed eccomi, dalla mattina alla sera, in questa oasi di pace di medie dimensioni immersa nella natura. È diventato un bellissimo cimitero, da quando ci lavoro io. Come dico sempre, dal momento che mi pagano, è giusto che mi impegni a mantenerlo pulito e in ordine. Naturalmente non faccio tutto da solo, non sono un mago... alle mie dipendenze lavorano dieci persone, ma sono sempre io il primo a entrare e l’ultimo a uscire. Oggi dovrò controllare che tutto fili liscio e dare una mano a chi ne avrà bisogno.

    Una volta chiusi i cancelli al termine della giornata, ci sarà da pulire... so io in quali condizioni pietose si riduce il cimitero il 2 novembre. Molti vivi sono così ipocriti da visitare le tombe dei propri cari solo oggi e, totalmente privi di rispetto e di senso civico insozzeranno viali e vialetti con spazzatura, mozziconi di sigarette e fiori secchi, che poi io dovrò scopare via e bruciare. Non vedo l’ora che arrivino le 18.

    All’avvicinarsi di questa fatidica data mi ci vuole sempre un po’ per essere psicologicamente preparato ad affrontare con calma e sangue freddo quello che mi aspetta: reclami, problemi, discussioni. E quel che è peggio, tutti vengono a lamentarsi da me.

    Durante la settimana ho portato i miei uomini alla pazzia in vista di questa giornata, costringendoli a darmi una mano nelle grandi pulizie: sono state estirpate le erbacce attorno alle tombe a terra, potate le siepi, spolverate le lapidi, lucidati ogni vaso e cornice, controllate quante e quali tombe avessero la luce votiva spenta, eccetera.

    «Perché tutto questo lavoro inutile, capo? Tanto i visitatori non lo vedranno!» mi hanno fatto notare.

    Come se non sapessi da solo che è tutta fatica sprecata e che nessuno verrà mai a congratularsi con noi... sono tutti ciechi quando si tratta di notare quanto il cimitero sia impeccabilmente pulito, ma bofonchiano subito tra i denti se vedono una cartaccia a terra e non c’è chi la raccolga entro cinque minuti. Da quando lavoro qui, ogni anno spero sempre che diluvi tutto il giorno, costringendo la gente a restarsene a casa. Chissà perché non succede mai?

    «Facciamoci coraggio e andiamo a lavorare!» dico al mio migliore amico Alessandro, responsabile della cura delle piante.

    Dunque, qual è il programma della giornata? Ore 7.30: prima messa a suffragio dei defunti, nella piccola chiesa del cimitero. Wow, da non perdere! A quell’ora ci saranno solo le vecchiette, perciò si replica nel corso della mattinata. Nell’intervallo tra una messa e l’altra, il parroco girerà per il cimitero e benedirà le tombe.

    Assesto una lieve pacca sulla schiena di Alessandro. «Apri il cancello di via del Cigliolo, io mi occupo dell’altro», e mi avvio di buon passo verso l’ingresso principale. Si è mai vista la gente in fila fuori i cancelli del cimitero, neanche si trattasse dell’inaugurazione di un ipermercato?

    Infilo la chiave nella serratura per consentire l’ingresso al primo scaglione di visitatori, per lo più anziani insonni e coloro che si fermano un momento sulla tomba dei loro cari estinti prima di andare a lavorare.

    Appena il cancello è aperto, entrano accalcandosi come se invece che al cimitero si trovassero ai saldi. Ehi, quanta fretta...! Avranno paura che gli scappino le salme? Oggi ricorrono i morti, ma a me sembra che anche i vivi corrano e ricorrano! La gente dovrebbe venire al cimitero più rilassata, più... distesa.

    Mi sfiora un tizio trafelatissimo che parla al cellulare. «Sono al cimitero. Eh, sì, oggi è la commemorazione dei defunti, il tempo di una preghiera e un fiore sulla tomba dei miei e vengo in ufficio. Come? No, non passo anche dalla madre di mia moglie, è nell’ampliamento e dovrei allungare troppo il giro. Invece i miei sono nel fabbricato vicino l’ingresso, quindi faccio subito. Tanto, visto che sono qui, è come se fossi stato anche da lei...»

    , commenta la mia vocina interiore, oggi c’è l’offerta speciale del giorno dei morti. Ne visiti due, valgono per tre! La verità è che a quel tizio della madre di sua moglie non frega un tubo.

    Colgo qualche frammento delle conversazioni di altri visitatori, di cui un paio suscitano il mio interesse.

    «Ma fra tanti posti, proprio qui dovevamo venire?» protesta una donna bruna con i capelli lunghi sulle spalle, attirandosi un’occhiataccia dal suo accompagnatore.

    «Be’? Ti lamenti sempre che non ti porto mai da nessuna parte e adesso hai da ridire?»

    «Sì, ma proprio al cimitero...»

    «Ti ricordo che oggi è la ricorrenza dei defunti» la interrompe l’uomo, spazientito «quindi è nostro dovere farlo. Io voglio andare dai miei parenti!»

    «Ma se molti di loro nemmeno li conoscevi, sono morti prima che nascessi!»

    «Taci, donna...! Se devi aprire bocca solo per dire stronzate, è meglio che tu stia zitta!»

    Un vero gentiluomo, costui.

    «Siamo arrivati... via quei sorrisi ed entrate in modalità lutto. Sfregatevi una cipolla sotto gli occhi, o almeno cercate di fare una faccia triste!» esclama un ragazzo molto alto, con i capelli chiari, rivolto ai due che lo accompagnano.

    Forte, la modalità lutto! Di tanto in tanto c’è qualcuno che riesce a essere divertente.

    «Che tristezza, i cimiteri» osserva una ragazza tatuata e piena di piercing, parlando con un’amica «tutte queste tombe... si dovrebbe fare qualcosa per vivacizzare un po’ l’ambiente, non trovi?»

    «Mi dispiace, non conosco barzellette da raccontare ai visitatori», bofonchio. Che gente...! Scrollo il capo e continuo a camminare per il vialone, tra l’indifferenza generale.

    Gli abitanti di Velletri mi conoscono come Paolo Grandi, il misantropo e scontroso custode del cimitero, messo a lavorare qui dalla Giunta Comunale dopo avere scontato una condanna per furto con scasso. Un paradosso, visto che non sono mai stato capace di forzare nemmeno il lucchetto da bambola del diario segreto di mia sorella. La gente giudica il prossimo in base a quello che vede e che crede di sapere. Una salutare lezione di vita che non dimenticherò mai, tant’è che io stesso ho provveduto a spargere in giro la voce di questo immaginario passato da ladro e galeotto. Voglio che tutti mi lascino in pace ed è l’unico modo per vedere esaudito il mio desiderio.

    Naturalmente, a causa dei miei presunti trascorsi, non sono simpatico a nessuno e vengo perciò evitato come la peste. A me non interessa, ho ottenuto il mio scopo. In ogni caso non ho bisogno di cercarmi la compagnia, tanto prima o poi vengono tutti qui in pianta stabile. Né mi metto a fare castelli in aria sui dolenti.

    Di tutte le persone che vanno e vengono, soltanto alcuni visi mi sono familiari, mentre gli altri neppure li noto. E nel novero di chi reputo degno della mia considerazione hanno un posto di rilevanza quattro vedove, che vengono a portare i fiori ai mariti una volta alla settimana.

    Notano tutto e tutti, al punto che sono tentato di assumerle come guardiani diurni. Espletato il loro compito, rimangono sedute su una panchina a chiacchierare. Potrei dirgli di farlo a casa loro, ma evito... non sarebbe giusto, non danno fastidio e non sporcano. La gente ha il diritto di venire al cimitero, se tiene un comportamento dignitoso e non irrita me.

    «Ciao, capo!!!» mi saluta un sorridente uomo di colore, carico di fiori tutti i tipi, che rivende a un euro l’uno.

    È un nigeriano di trent’anni che invece di tentare di vendere mutande e calzini a chiunque veda, ha avuto la geniale pensata di cambiare tipo di merce e fa sicuramente più affari dei suoi connazionali.

    «Farò finta di non averti visto!», gli dico a mo’ di saluto, «Prima o poi mi farai litigare con i fiorai qui fuori!»

    Non dovrebbe essere qui, ma non ho il coraggio di cacciarlo come avrebbe fatto il mio predecessore. Anche lui dovrà pur mangiare.

    Sarà dura arrivare a oggi pomeriggio! penso con rassegnazione, iniziando a raccogliere le prime cartacce. Il cimitero non dovrebbe aprire così presto, il 2 novembre. La vista di tutti questi vivi, di prima mattina, mi traumatizza.

    In qualche modo la mattinata trascorre, seppure con una lentezza esasperante. Quando finalmente arriva l’ora di pranzo, decido di andare a mangiare un panino al bar dall’altra parte della strada, chiamato familiarmente il ritrovo dei cassamortari, perché molti autisti di carri funebri ci si fermano tutti i giorni, anche più volte. Per fortuna il proprietario non è superstizioso e perciò non gli dispiace avere questo tipo di clientela.

    Se consumano e pagano, che mi frega di che lavoro fanno? controbatte a chi invece storce il naso.

    Ne trovo lì un paio, che come me fanno la pausa pranzo. Quando mi vedono mi salutano, ma nessuno dei due mi invita a sedermi al loro tavolo, così prendo il mio panino e mi scelgo un posto.

    «Hai sentito cos’è successo a Carlo della Onoranze Funebri Veliterna?» chiede uno dei due all’altro.

    «No.»

    «Stamattina si è fermato dal tabaccaio per comprare le sigarette, lasciando incustodita per qualche minuto la vettura col feretro da portare in chiesa. Giusto il tempo di prenderle e pagarle... è uscito e non c’era più!»

    «Come non c’era più?», ripete il secondo. «Che, se n’era andato?»

    «No, era appeso dietro il carro della rimozione.»

    «Cosa?!» L’autista più giovane lascia cadere rumorosamente la forchetta nel piatto.

    «Il funerale è stato rimandato, i parenti del morto erano inferociti, Carlo ha rischiato di essere seppellito al suo posto! Naturalmente lo hanno licenziato in tronco...»

    E cosa dovevano fare, dargli un premio? penso io, mentre mangio. Come si fa a scendere dal carro funebre con tanto di feretro, per andare a comprare le sigarette?

    «E questo quando è successo?»

    «Proprio stamattina, verso le 10.»

    «Ma non ha fatto niente, quando si è accorto che quelli della rimozione gli stavano portando via la vettura?» domanda l’autista numero due.

    «Sì: ha battuto il record di Bolt nei cento metri, ma non c’è stato niente da fare!»

    Quindi, in occasione di questa giornata, non sempre ricorrono i morti... a volte SI RINCORRONO!

    Ci son tre cose al mondo, le donne e il vino nero.

    La terza, in fondo in fondo, è sempre il cimitero.

    (Tiziano Sclavi)

    La pazza del loculo troppo lungo

    Nel mio giro di ricognizione incrocio una coppia, probabilmente marito e moglie, che discute animatamente proprio del giorno dei morti.

    Lei sostiene che deporre un fiore sulle tombe spoglie che non visita nessuno assicurerà a entrambi un posto in paradiso, ma il suo accompagnatore ritiene di essere ancora giovane per pensare al dopo. Alla fine la spunta lei e si dividono.

    «Tu vai da quella parte, io da questa» la sento dire «e quando abbiamo finito ci chiamiamo! Vedi di non buttare i fiori nel primo cassonetto che trovi, oppure andrai all’inferno e me ne accorgerò!»

    Meglio che mi allontani prima di scoppiare a ridergli in faccia... ma sono troppo curioso di osservarli.

    Perlustro il cimitero in cerca del marito e lo sorprendo mentre cammina parallelamente a una fila di loculi. Non sembra aver voglia di mettersi a distribuire fiori a defunti che non conosce, fatto sta che si limita a sfilarne uno dal mazzo e a deporlo sul davanzale, accanto alla luce votiva. Insomma si capisce che lo fa malvolentieri, solo per evitare grane con la consorte. Li buttasse nella spazzatura, non è vero che andrà all’inferno.

    Vado in cerca della moglie, che compie un lavoro più sistematico togliendo i fiori appassiti dai vasi e gettandoli nel cassonetto più vicino, assicurandosi la mia gratitudine per quel gesto. Dopo averne infilato uno fresco, si fa il segno della croce e procede oltre.

    Mentre la osservo, mi domando perché lo faccia. È davvero convinta che in questo modo andrà in paradiso? Se così fosse potrebbe fare della beneficenza, a che serve lasciare i fiori freschi ai defunti abbandonati? Ad ogni modo, affari suoi... è una pazza innocua, deporre fiori sulle tombe di perfetti sconosciuti non è un reato.

    Improvvisamente si ferma davanti a un loculo vuoto e resta a fissarlo, coi pochi fiori rimanenti che le pendono dalla mano inerte. Si volta e mi vede. «Ehi, senti», mi apostrofa imperiosamente, «tu lavori qui?»

    «Sì» le rispondo, seccato che mi si dia del tu e mi si parli con quel tono.

    Indica il loculo vuoto. «Dimmi una cosa, quanto è lungo questo buco?»

    «Circa due metri e trenta.»

    «Non avete altre misure?»

    Cosa?! Di tutte le domande balzane che mi vengono rivolte, è indubbiamente la peggiore in assoluto. Crede forse di essere in un negozio di articoli per trapassati?! Roba da matti. Mi sforzo di non riderle in faccia e di essere cortese. «Non esistono altre misure. È il loculo standard per adulti, per legge li fanno tutti così!»

    «E il prezzo?»

    «Dipende dalla fila. Quella più bassa e quelle più in alto, che per i visitatori sono scomode, costano meno.»

    «Non c’è uno sconto in più sulla misura del morto?»

    «No», scrollo il capo.

    «Ma non è giusto» si indigna la donna «io che sono piccolina dovrò pagare come tutti gli altri per finire in un buco lungo il doppio di me?»

    Rimango di sasso. Le ho davvero sentito dire questa frase? Mi guardo intorno in cerca di testimoni, ma non c’è nessuno che ci fili. Perché tutti gli sciroccati capitano a me? Devo rassegnarmi all’idea di affrontarla da solo.

    «E cosa vuole da me?», allargo le braccia. «Non sono previsti ulteriori sconti per le persone basse, mi dispiace. La lunghezza del loculo è uguale per tutti! Se non le sta bene, può sempre farsi cremare. Da qualche anno i familiari possono portarsi le ceneri a casa e metterle in bella mostra sulla mensola del caminetto! O ancora, se preferisce, si possono disperdere.»

    La donna resta in silenzio per un po’, probabilmente riflettendo sulle mie parole. «Perché no? Si può fare! Però bisogna sentire cosa ne pensa mio marito!»

    «Buona idea», annuisco con fare condiscendente, «chieda un parere a lui. Sa che per essere cremati serve il consenso del coniuge superstite? A meno che lei non esprima la sua volontà per iscritto mentre è ancora in vita.»

    «Due persone possono stare insieme? Tipo se mio marito morirebbe prima di me, così risparmieremmo... questi ci stanno in quattro!» dice, indicando una tomba in prima fila.

    Sempre più confuso, abbasso lo sguardo sulla lapide che mi ha indicato. Accidenti, è incredibile che si preoccupi non tanto dell’idea della morte, quanto di quella della spesa.

    «Questa gente è morta da ormai cinquant’anni» le spiego pazientemente, quasi come se parlassi con una ritardata «non legge le date sulla lapide? Non creda sia facile, bisogna chiedere un permesso speciale al Comune e controllare lo stato delle salme. Inoltre non risparmierebbe affatto come crede, se il loculo è singolo si dovrà pagare una tassa per ogni salma, urna o cassetta ossario in più.»

    «Davvero?! Be’, io mio marito lo chiamo lo stesso. È meglio deciderle finché siamo ancora vivi, certe cose!»

    Stremato da quest’assurda discussione che per i miei gusti si è protratta troppo, la assecondo nella speranza che la smetta e mi lasci in pace. «Giusto, fa bene. Dopo mi faccia sapere che decidete, così in caso mi preparo!», le dico prima di allontanarmi.

    Inaspettatamente lei si mette a chiamare il marito urlando a squarciagola. «Andrea! Andrea, dove sei?»

    Mi volto di scatto, mentre chi fino a un momento fa non aveva prestato attenzione alla scena si mostra improvvisamente infastidito.

    «Andreaaa!!!» continua a berciare la tipa, fingendo di non vedere le espressioni scocciate delle persone attorno.

    «È assurdo, inconcepibile» dice qualcuno, indignato.

    Subito fanno eco altre lamentele.

    «Questa è assoluta mancanza di rispetto sia nei confronti dei defunti che dei vivi!» brontola un’adirata signora. «Deve avere scambiato il cimitero per il mercato sulla piazza!»

    «Insomma, faccia qualcosa!», mi intima un anziano quando torno sui miei passi.

    «Avete ragione...» rispondo con un sospiro, avvicinandomi alla donna per rimproverarla. «Signora! Cosa fa, si mette a urlare nel cimitero?! Un po’ di educazione! Abbia rispetto per gli altri...»

    «Ma anche mio marito è qui da qualche parte. Vivo, naturalmente!»

    «Ho capito... però non può gridare come se fosse al mercato! Non ha un cellulare? Gli telefoni!»

    «Giusto.» Annuendo, compone un numero sulla tastiera del suo cellulare. «Andrea!», sbraita a voce altissima, «Vieni immediatamente qui, sono... dov’è che mi trovo, scusa?»

    «Tronco 15», le rispondo rassegnato. Se prima avevo avuto dei dubbi sulla sanità mentale di questa donna, adesso ho finito per convincermi che sia assolutamente fuori di testa.

    «Sono al tronco 15» ripete imperiosa, senza abbassare la voce «cerca di sbrigarti!»

    Aspetto che riattacchi per dirle severamente di non osare più gridare in questo modo, ma si limita a ordinarmi di restare qui senza degnarsi di chiedere scusa.

    Esasperato, sospiro e mi impongo di essere paziente.

    Il marito ci raggiunge quasi subito, evidentemente era qui vicino. Arriva a passo di carica, l’espressione furente. «Allora, si può sapere cosa c’è? Hai finito di distribuire fiori a perfetti sconosciuti?» chiede con impazienza alla consorte.

    «Ne mancano pochi.»

    «Be’, lasciali. Ho da fare e non posso perdere tempo così!» dice, togliendole quel che rimane del mazzo.

    «Ma no, è uno spreco!»

    «E allora le corone che vengono lasciate dopo i funerali? Le buttano, cosa credi?»

    Assisto in silenzio al battibecco, indeciso se chiamare il 118 o se spiegare a questi due che le corone, dopo i funerali, non vengono affatto buttate via: se sono ancora in buone condizioni i fiorai dei botteghini qui fuori le ricomprano da me, le disfano e ne fanno decorazioni da rivendere, ovviamente alzando il prezzo. Ecco spiegato, dunque, perché dalle parti del cimitero i fiori costano più dei diamanti.

    Finalmente la tipa cede, seppure a malincuore. «E va bene. Però se vado all’inferno sarà solo colpa tua!»

    «Ma via, per qualche fiore che non hai distribuito... dai, andiamo a casa.»

    «Aspetta, ti ho chiamato per un’altra cosa.»

    «Cosa? Sentiamo.»

    Ormai l’uomo sembra sul punto di mandare la propria pazienza a fare un lungo viaggio intorno al mondo. Io me ne rendo conto dal suo linguaggio corporeo, ma la moglie a quanto pare no.

    «Fattelo spiegare da lui!» Mi indica con un imperioso cenno del capo, alzando di nuovo la voce per attirare la mia attenzione. «Ehi, tu! Ci stai ascoltando?»

    «Signora, basta gridare!» le ingiungo, furioso. Ne ho abbastanza di lei, se non si toglie immediatamente dai piedi non rispondo più delle mie azioni.

    Da maleducata qual è mi risponde con indifferenza, scrollando le spalle: «Tanto i defunti non si svegliano!»

    «I defunti non si sveglieranno», ripeto severamente, «ma lei con la voce che si ritrova sta dando noia a tutti... me compreso! Sa parlare un po’ più piano?»

    Non è solo pazza come credevo, ma anche una grandissima ignorante.

    Attorno a noi si sono radunate un sacco di persone e la cafona non si è resa conto di rischiare il linciaggio, se non la smette di dare spettacolo.

    «Lei ha perfettamente ragione, ma la scusi...», scrolla il capo il marito. «È un po’ stravagante!»

    Un po’ stravagante?! Secondo me è proprio cretina! Bofonchio che devo lavorare e non ho tempo di fare salotto, poi mi allontano più in fretta che posso. Ma tutti io, li incontro?!

    Crudelia De Mon

    Tra tutte le persone che visitano il cimitero, nessuno mi rende più inquieto della donna alta, magra, impellicciata e ingioiellata neanche fosse la statua della Madonna il giorno della processione. Arriva a bordo di una fuoriserie, una Cadillac decappottabile che probabilmente si fa lucidare a forza di olio di gomito, e guai se non brillasse abbastanza da potercisi specchiare.

    Appartiene ad una delle famiglie più ricche di Velletri ed è il classico esempio di come, purtroppo, il denaro conferisca potere ma non buona educazione. Entra dal cancello di via del Cigliolo strombazzando quell’accidenti di clacson, del tutto incurante del decoro verso i defunti e fregandosene che l’accesso ai veicoli sia vietato, fatta eccezione per i carri funebri, il furgone cimiteriale e le automobili degli invalidi. Sfortunatamente è la moglie del Sindaco in carica e perciò, finché durerà il mandato del suo amato consorte, non posso permettermi di dirle nulla di particolarmente offensivo – anche se lo vorrei.

    Con il fiatone arranco su via del Cigliolo, che è in pendenza, di ritorno dal Comune dove ho ritirato i nulla osta alle nuove sepolture. Davanti a me, un’invalida sulla sedia a rotelle e la persona che la spinge hanno quasi raggiunto il cancello, quando la ormai nota Cadillac passa accanto a loro a tutta velocità, sfiorandole, e frena di colpo.

    La donna alla guida suona rabbiosamente il clacson e abbassa il finestrino. «Be’, cos’è oggi?! La processione delle lumache?» sbraita. «Forza, datevi una mossa! O camminate rasente al muro, anziché in mezzo alla strada!»

    Inizio a correre, mentre la strega continua a inveire contro quelle poverette che naturalmente cercano di difendersi. «Ma insomma! Non ha visto che la signora è invalida?!», dico quando raggiungo la Cadillac.

    «La sua carrozzella ha le ruote, giusto?», abbaia la guidatrice con una voce simile al rumore di un’unghia sfregata su una lavagna.

    «Sì. E allora?»

    «E allora va considerata un veicolo a tutti gli effetti e deve rispettare il codice della strada!» Riparte facendo stridere i pneumatici e continuando ad agitare il pugno ossuto nella nostra direzione.

    Accidenti a lei. Se non fosse la moglie del Sindaco in carica, saprei io come trattarla.

    «Col cavolo che alle prossime elezioni voterò suo marito!» bofonchia l’invalida, che deve pensarla come me.

    Uno dei miei necrofori mi aspetta al varco. «Occhio, capo... lei è qui», si premura di avvertirmi.

    «Sì, l’ho vista.» Non c’è nemmeno bisogno di specificare, capisco al volo di chi parla. «Acida e prepotente come sempre, se l’è presa con un’invalida sulla sedia a rotelle perché non camminava abbastanza rasente al muro e andava troppo piano! Il Diavolo veste Prada made in Italy!»

    «Sarà, ma a me ricorda di più Crudelia De Mon, la cattiva della Carica dei Centouno

    In effetti è quasi identica a Crudelia, sia nell’aspetto che nel carattere pestifero e dispotico, l’unica differenza sono i capelli tutti neri anziché per metà bianchi.

    La sua maledetta Cadillac è parcheggiata come al solito nell’area di sosta riservata. Inizio a vedere rosso e ho la tentazione di squarciarle tutte e quattro le gomme.

    «Adesso basta! È giunta l’ora di prendere provvedimenti e non me ne frega niente che sia la moglie del Sindaco. Chiamo i vigili e gliela faccio portare via, non ha il diritto di parcheggiare qui!»

    «Attento, capo, la conosci e sai com’è fatta. Per ripicca, sarebbe capace di farti licenziare!»

    «Macché licenziare... se soltanto ci prova, la strangolo con la sua collana!»

    Entro nel deposito feretri e mollo sul tavolo la cartellina con i nulla osta. Tre bare, qui dentro da sabato, aspettano di essere collocate nelle loro tombe. Mi accerto innanzitutto che siano in regola con le concessioni e chiamo Bruno per dirgli di procedere. Con l’aiuto di un collega, sposta una delle bare sul muletto alzaferetri per portarla verso la sua ultima – almeno per i prossimi trent’anni – destinazione: fabbricato 2, cappella 7, numero 8 della fila più in basso, così la vedova anziana non dovrà arrampicarsi sulla scala per mettergli i fiori.

    «Che fai, vieni ad assistere?»

    «No, grazie. Preferisco le estumulazioni» declino. Non che le tumulazioni non mi piacciano, intendiamoci, ma tirarli fuori è più interessante che metterli dentro.

    «Ma insomma!!! Anche oggi stava per spezzarsi la chiave!» inveisce Crudelia, gesticolando furiosamente. «È la terza volta che dico a qualcuno di dare il lubrificante a questa dannata serratura! Possibile che non sia ancora stato fatto? Cosa diavolo fate, tutto il giorno?! Ehi, tu!» punta il dito contro un giovane necroforo «Occupatene, adesso

    Ah, vabbe’...! Questa arriva, comanda e vuole. Niente per favore, né tantomeno grazie. Il ragazzo, poveretto, balbetta che lo farà immediatamente e abbozza addirittura un inchino. Non posso tollerare che un mio dipendente venga trattato in questa maniera da un temporaneo, vale a dire una persona in visita. Sarà la moglie del Sindaco, ma dovrebbe essere lo stesso più educata.

    «Spezziamola davvero, la chiave», gli sussurro, «chiudiamola dentro e lasciamola marcire... quando riapriremo questa porta, di lei resterà soltanto la polvere!»

    Crudelia mi vede e mi chiama. «Custode!»

    «Ce l’ha con me?»

    «Sì, proprio con lei! Vi avevo ordinato di lubrificare la serratura e non è la prima volta che ve lo dico! Cosa aspettate, che si spezzi la chiave?!»

    Proprio non riesce a parlare con un tono di voce meno... irritante? Adesso ce la chiudo davvero, qui dentro!

    Calmati!, si raccomanda la mia vocina interiore. Ci sono dei testimoni. Se proprio vuoi farlo, mettile prima un bavaglio per evitare che gridi aiuto e attiri l’attenzione, qualcuno potrebbe venire a liberarla!

    «Ma non si ammala mai, così se ne sta a casa qualche giorno e non viene a fare la prepotente qui?» geme il giovane necroforo, vagamente esasperato.

    Scrollo la testa. Ammalarsi, lei?! Macché, virus e batteri muoiono appena penetrano nel suo organismo...!

    Insomma, alla fine lubrifichiamo la serratura per farla stare zitta e oliamo persino i cardini della porta. Ma Crudelia, non contenta, ci ingiunge di pulire la sua tomba di famiglia da cima a fondo. Non deve restare un granello di polvere nemmeno sulle lettere in rilievo delle lapidi più in alto.

    «Cos’è questo schifo?! Datevi da fare! La prossima volta che vengo, questa cappella deve essere linda come il salotto di casa mia!»

    Che meraviglia sarebbe se una delle vene pulsanti del suo collo scheletrico esplodesse... non riesco proprio a sopportare questa donna.

    «Sarà fatto!», le prometto per farla stare calma. Ignoro le terribili minacce ringhiate alle mie spalle e mi allontano, canticchiando la famosa canzoncina della Carica dei Centouno.

    Chiamati da me, arrivano i vigili urbani e si caricano la Cadillac di Crudelia per portarla al deposito giudiziario, appioppandole anche una multa per aver parcheggiato nell’area riservata. Sono felice che sia stata fatta giustizia, quella donna si dà arie come se fosse la regina del mondo. Odio le persone così.

    «Capo, sei impazzito?» mi chiede Bruno.

    «Perché?»

    «Le hai fatto portare via la macchina! Andrà su tutte le furie, quando scoprirà cos’hai fatto...»

    «Non mi interessa», lo interrompo con una scrollata di spalle, «le avremo detto centinaia di volte che non può parcheggiare qui. Non intendo lasciarmi intimidire da quella donna, se crede di spaventarmi sbaglia di grosso. Ci vuole ben altro che uno scheletro impellicciato, per mettermi paura!»

    «Allora preparati, eccola che arriva!»

    Proprio come tutti prevedevamo, quando Crudelia scopre che la sua Cadillac è finita nel deposito giudiziario e che c’è una multa consistente da pagare, fa il diavolo a quattro e le urla si sentono per tutto il cimitero. Qualcuno si premura di avvertirmi che grida il mio nome, così mi affretto a raggiungerla per sentire cosa vuole. Appena mi vede, subito mi investe con un mare di improperi, ai quali oppongo un atteggiamento fermo e deciso.

    «Signora, lei ha parcheggiato nell’area riservata» le spiego «e se le hanno insegnato a leggere, sul cartello non c’è scritto fatta eccezione per la macchina della moglie del Sindaco

    «Come pensa che reagirà mio marito? Non gli farà sicuramente piacere la notizia che lei mi ha fatto portare via la sua Cadillac!»

    «Se a suo marito non farà piacere mi strapperò i capelli, mi batterò il petto e mi chiuderò in casa per una settimana, mangiando dolci davanti alla tivù», la canzono. «Però intanto lei va al deposito, paga la contravvenzione e si riprende la macchina... sperando che questa lezione le sia servita e abbia imparato a rispettare i divieti!»

    «Forse non ti rendi conto che io avrò la tua testa, per questo!!!» minaccia, passando al tu.

    «Se proprio la vuole, se la prenda pure. Mi raccomando, però, di pettinarla tutti i giorni!» replico senza scompormi e la pianto in asso.

    Vai a lavorare in un cimitero

    e ti accorgi di essere l’unico che fatica

    in un luogo dove tutti si riposano

    Che giornataccia...!

    Oggi sarà una di quelle giornate no in cui nessuna me ne andrà giusta, me lo sento. Tanto per cominciare, mi fanno malissimo le articolazioni e a nulla è valso prendere un analgesico.

    Da ragazzino ho avuto la scarlattina, che mi ha lasciato il segno nelle articolazioni. Solo io so come soffro quando è particolarmente umido o freddo e mi tocca stare accucciato a rimuovere gli scheletri dalle fosse. Ci sono giorni in cui ginocchia e caviglie mi fanno talmente male che devo assumere antidolorifici anche piuttosto forti, per calmare i dolori.

    Quando sono fortunato, mi fa effetto l’aspirina. Altrimenti, in casi disperati, devo ricorrere all’artiglieria pesante, un farmaco a base di oppiacei che mi lascia un po’ stordito.

    Ma la malattia mi ha anche portato qualcosa di bello. Non avendo potuto giocare per diverso tempo con i miei coetanei, ho iniziato a documentarmi sulla scarlattina, poi su tutte le altre malattie, ed è finita che ho voluto diventare medico. Sono stato il miglior studente del mio corso, mi sono laureato con centodieci e lode. Dopo la specializzazione in Medicina Legale ho lavorato nel reparto del mio ex suocero, quello di Rianimazione e Terapia Intensiva.

    Come sempre lavoro dalle 7 e si preannuncia un’altra estenuante giornata. Da questa mattina abbiamo svuotato tre tombe a terra e smurato quattro loculi, tant’è che non vedo l’ora di potermi sedere per riprendere fiato. Ho dato a due necrofori il permesso di andare a prendere un caffè e quando torneranno andrò io. Anche se il caffè mi fa venire la tachicardia, oggi sento di averne davvero bisogno... rischio di addormentarmi nel primo loculo vuoto che trovo.

    Mi avvicino ad Alessandro, intento a scavare. Quando si esuma è preferibile usare la scavatrice soltanto per togliere i primi cinquanta o sessanta centimetri di terra e continuare poi con la pala.

    «Riposati, lascia che finisca io» gli dico.

    Noi due ci dividiamo equamente il lavoro, ma la mia esperienza in ambito cimiteriale è di molto superiore alla sua, fatto sta che mi cede sempre volentieri il compito di occuparmi dei resti mortali.

    Quando la pala urta il legno, rimuovo con le mani la terra residua mettendo a nudo il coperchio e continuando poi a scavare intorno alla bara per riportarla completamente alla luce. Curioso come un bambino che la mattina di Natale apre i pacchi dei regali, mi appresto a vedere cosa sia rimasto della salma.

    La prima volta che abbiamo esumato quel cadavere, la scheletrizzazione era incompleta e in questi casi la legge impone che la bara sia nuovamente inumata per altri due anni. Ora, sollevato il coperchio, vedo con piacere che il risultato è positivo e che il processo si è completato.

    Campo inumazioni, cumulo numero 8. Esumato scheletro di sesso maschile, nudo annoto.

    Per nudo, naturalmente, si intende senza più i vestiti addosso. Lo era già dalla scorsa esumazione, dopo dieci anni trascorsi sottoterra è ovvio che siano andati distrutti.

    «Cassettina» ordino, iniziando a spolverare sommariamente i resti ossei.

    Uno scheletro appena esumato da una tomba a terra è marrone, anziché bianco come quelli che si vedono nelle università o nello studio del dottore. Le ossa sono ruvide e assorbono qualsiasi materiale. Per diventare bianche, devono essere sottoposte a trattamenti speciali. Sposto le ossa nella cassettina di zinco, che porto poi nel deposito feretri. Concorderò con la famiglia del defunto la loro prossima destinazione. Non che ci sia molto da concordare, o finiranno nell’ossario o verranno cremate. Le ossa, a differenza delle ceneri, non si possono portare a casa.

    Esco per recarmi in Comune e, siccome in questa cittadina la segnaletica è un optional, un cretino ignora le strisce

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