Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Machiavellismo e ragion di Stato. La fortuna di Niccolò Machiavelli e de Il Principe
Machiavellismo e ragion di Stato. La fortuna di Niccolò Machiavelli e de Il Principe
Machiavellismo e ragion di Stato. La fortuna di Niccolò Machiavelli e de Il Principe
E-book247 pagine2 ore

Machiavellismo e ragion di Stato. La fortuna di Niccolò Machiavelli e de Il Principe

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

L’attualità di Niccolò Machiavelli è fuori discussione. Il Principe ha la veneranda età di 500 anni, ma sembra scritto ieri. Recentemente “The Economist”, uno dei poteri forti del mondo contemporaneo, ha inviato una lettera al premier britannico David Cameron a firma di Niccolò Machiavelli dopo averne fatto il peana. 


Nella vulgata tradizionale, Machiavelli è l’autore semi-leggendario che per primo ha affrancato la sfera politica dalle rigide regole della religione, della morale e del diritto, aprendo così la via a una teoria del potere inteso come pura volontà di potenza. In questo modo, il segretario fiorentino viene solitamente indicato come il capostipite della letteratura sulla cosiddetta “ragion di Stato”. Ebbene, Machiavellismo e ragion di Stato, ormai già un classico negli studi sull’argomento, si incarica precisamente di rovesciare questo luogo comune: da una parte, contrapponendo il paradigma “guerriero” del discorso del machiavellismo a quello “economico” dei teorici della ragion di Stato; dall’altra, mostrando come quest’ultimo affondi le sue radici nel concetto di ratio status medievale – un concetto che dunque precede di molto l’opera di Machiavelli.

Tradotto in coincidenza col cinquecentesimo anniversario del Principe, e impreziosito da una nuova prefazione scritta per l’occasione dall’autore, Machiavellismo e ragion di Stato accompagnerà il lettore in un viaggio affascinante alle origini del pensiero politico moderno, svelandone insieme la sorprendente attualità.
LinguaItaliano
EditoregoWare
Data di uscita11 dic 2013
ISBN9788867971343
Machiavellismo e ragion di Stato. La fortuna di Niccolò Machiavelli e de Il Principe

Correlato a Machiavellismo e ragion di Stato. La fortuna di Niccolò Machiavelli e de Il Principe

Titoli di questa serie (2)

Visualizza altri

Ebook correlati

Filosofia per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Machiavellismo e ragion di Stato. La fortuna di Niccolò Machiavelli e de Il Principe

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Machiavellismo e ragion di Stato. La fortuna di Niccolò Machiavelli e de Il Principe - Michel Senellart

    © goWare

    Dicembre 2013, prima edizione digitale

    Traduzione dal francese e adattamento di Lorenzo Coccoli

    ISBN 978-88-6797-134-3

    Copertina: Lorenzo Puliti

    Redazione: Giacomo Fontani

    Sviluppo ePub: Elisa Baglioni

    goWare è una startup fiorentina specializzata in digital publishing

    Fateci avere i vostri commenti a: info@goware-apps.it

    Blogger e giornalisti possono richiedere una copia saggio a Maria Ranieri: mari@goware-apps.com

    Made in Florence on a Mac

    Quando è stato possibile le illustrazioni sono state tratte da Wikipedia Commons e da altre risorse Creative Commons. Negli altri casi l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti dei brani riprodotti nel presente volume.

    Seguici su

    blog

    Presentazione

    L’attualità di Niccolò Machiavelli è fuori discussione. Il Principe ha la veneranda età di 500 anni, ma sembra scritto ieri. Recentemente The Economist, uno dei poteri forti del mondo contemporaneo, ha inviato una lettera al premier britannico David Cameron a firma di Niccolò Machiavelli dopo averne fatto il peana.

    Nella vulgata tradizionale, Machiavelli è l’autore semi-leggendario che per primo ha affrancato la sfera politica dalle rigide regole della religione, della morale e del diritto, aprendo così la via a una teoria del potere inteso come pura volontà di potenza. In questo modo, il segretario fiorentino viene solitamente indicato come il capostipite della letteratura sulla cosiddetta ragion di Stato. Ebbene, Machiavellismo e ragion di Stato, ormai già un classico negli studi sull’argomento, si incarica precisamente di rovesciare questo luogo comune: da una parte, contrapponendo il paradigma guerriero del discorso del machiavellismo a quello economico dei teorici della ragion di Stato; dall’altra, mostrando come quest’ultimo affondi le sue radici nel concetto di ratio status medievale – un concetto che dunque precede di molto l’opera di Machiavelli.

    Tradotto in coincidenza col cinquecentesimo anniversario del Principe, e impreziosito da una nuova prefazione scritta per l’occasione dall’autore, Machiavellismo e ragion di Stato accompagnerà il lettore in un viaggio affascinante alle origini del pensiero politico moderno, svelandone insieme la sorprendente attualità.

    Michel Senellart professore di Filosofia politica all’École Normale Supérieure des Lettres et Sciences Humaines di Lione. Ha curato l’edizione francese dei corsi inediti di Michel Foucault al Collège de France degli anni 1978 (Sécurité, territoire, population) e 1979 (Naissance de la biopolitique) e i corsi del 1980 (Du gouvernement des vivants), pubblicato nel 2012. Tra i suoi altri lavori ricordiamo: Les arts de gouverner. Du regimen médiéval au concept de gouvernement, Seuil, Parigi 1995; (con Gérald Sfez), L’enjeu Machiavel. Textes du colloque des 14-16 mai 1998, PUF, Parigi 2001; (con Alain Caillé e Christian Lazzeri), Le bonheur et l’utile. Une histoire raisonnée de la philosophie morale et politique, La Découverte, Parigi 2001.

    Lorenzo Coccoli è dottorando in Storia della filosofia moderna presso la Scuola Superiore di Studi in Filosofia dell’Università di Roma Tor Vergata. Le sue ricerche vertono sui dibattiti cinquecenteschi in tema di povertà e riforma dell’assistenza, con particolare attenzione agli autori della prima metà del secolo (Vives, Kellenaar, Soto, Robles). Parallelamente, si interessa dell’attuale dibattito filosofico-politico sui beni comuni. È curatore della collana di filosofia meme all’interno dell’ebook team di goWare, per i cui tipi ha curato l’antologia Commons/Beni comuni. Il dibattito internazionale (2013).

    Alla memoria di François Corby

    Nota del curatore

    Molti sono gli autori e le opere toccati da Senellart in questo suo amplissimo scorcio sul pensiero politico occidentale. Dove possibile, abbiamo scelto di far riferimento alla traduzione italiana dei testi citati, così da offrire al lettore interessato la possibilità di un eventuale approfondimento. Rispetto poi all’edizione francese (che faceva ricorso a un sistema di notazione misto), abbiamo limitato l’uso dei riferimenti bibliografici nel corpo del testo alle sole opere che ricorrono più di frequente nel corso del libro, adoperando per il resto le note a piè di pagina. Di seguito l’elenco delle sigle utilizzate e delle edizioni a cui si riferiscono.

    CS: J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, trad. it. V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975.

    D: N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, Rizzoli, Milano 2010.

    DC: T. Hobbes, De cive. Elementi filosofici sul cittadino, trad. it. a cura di T. Magri, Editori Riuniti, Roma 1989.

    EP: J.-J. Rousseau, Economia politica, in Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri ordinato da Diderot e d’Alembert, trad. it. a cura di P. Casini, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 273-300.

    IF: N. Machiavelli, Le istorie fiorentine, Le Monnier, Firenze 1990.

    L: T. Hobbes, Leviatano, trad. it. a cura di R. Santi, Bompiani, Milano 2004.

    LI: R. Descartes, Lettera a Elisabetta (settembre 1646), in Id., Tutte le lettere (1619-1650), a cura di G. Belgioioso, Bompiani, Milano 2005, pp. 2280-2287.

    LII: R. Descartes, Lettera a Elisabetta (novembre 1646), in Id., Tutte le lettere (1619-1650), a cura di G. Belgioioso, Bompiani, Milano 2005, pp. 2316-2319.

    P: N. Machiavelli, Il Principe, a cura di G. Inglese, Einaudi, Torino 2013.

    PL: J.P. Migne (a cura di), Patrologiae Cursus Completus. Series Latina, Parigi 1844-1855.

    PS: Giovanni di Salisbury, Policraticus. L’uomo di governo nel pensiero medievale, trad. it. parz. P. Feltrin e L. Bianchi, Jaca Book, Milano 1985.

    RdS: G. Botero, La ragion di Stato, a cura di C. Continisio, Donzelli, Roma 2009.

    Dove indicato, il numero di pagina fa ovviamente riferimento a queste edizioni.

    N. Machiavelli, Il Principe, Domenico Giglio, Venezia 1554.

    Prefazione all’edizione italiana

    Noi viviamo, sin dall’alba di questo secolo, in un mondo ossessionato dal sentimento della minaccia. L’11 settembre 2001 ha profondamente trasformato, per le democrazie occidentali, il modo di porre la questione dello Stato di diritto. Nato in seno alla teoria giuridica, questo concetto aveva acquisito il suo significato politico alla prova della lotta anti-fascista degli anni Trenta-Quaranta, e in seguito sulla scia della critica anti-totalitaria. È in opposizione ai differenti tipi di Stati dispotici o totalitari che esso si identificava con lo Stato liberale, fondato sul rispetto dei diritti individuali. Con la messa in campo della guerra contro il terrore, il problema ha cambiato natura. All’evidenza della legittimità dello Stato di diritto a confronto coi sistemi oppressivi, si è sostituita l’interrogazione sui suoi propri limiti. La questione non è più: Come garantire al meglio i diritti di ciascun cittadino? ma: Quali diritti individuali possono essere violati per assicurare la sicurezza collettiva, e in che misura è accettabile questo bilanciamento?

    Questa domanda è quella comunemente designata, a partire dall’età classica, sotto il nome di ragion di Stato. Più esattamente, tale è l’accezione negativa, ereditata dalla critica all’assolutismo dell’epoca dei Lumi, alla quale oggi quest’ultima viene ridotta: principio essenzialmente derogatorio o trasgressivo, in nome del quale un potere si autorizza a violare il diritto sotto il pretesto di un interesse superiore. Senza dubbio, gli Stati democratici, pur condannandolo formalmente, non hanno mai cessato di ricorrervi nella loro pratica politica. Ma questa usanza, più o meno mascherata, entrava in contraddizione col loro stesso fondamento. Di questa tensione tra la norma giuridica e le esigenze dell’azione testimonia il dibattito – di cui Carl Schmitt, ne La dittatura (1921), offriva già un’importante sintesi – sul ruolo, le condizioni e le modalità dello stato d’eccezione nell’ordine costituzionale democratico[1]. L’espansione della lotta al terrorismo, a partire dal Patriot Act, non segnerebbe dunque tanto il ritorno dell’idea di ragion di Stato nella sfera pubblica quanto lo slittamento, effettivo o tendenziale a seconda delle diagnosi, verso uno stato d’eccezione permanente[2]. Per dirla nei termini di G. Agamben, lo stato d’eccezione, che prima si era d’accordo nel considerare una misura straordinaria e provvisoria, non sta forse diventando un paradigma normale di governo, che determina sempre di più la politica degli Stati moderni[3]?

    A fronte di questa congiuntura, il lettore sarà forse sorpreso dalla prospettiva adottata in questo libro, scritto ormai quasi un quarto di secolo fa. Non che il problema dell’eccezione ne sia assente, ma esso non ne costituisce l’asse principale e non vi è trattato in maniera autonoma. Contrariamente a ciò che il titolo potrebbe suggerire, la mia intenzione non era quella di mostrare, cosa che molti altri avevano fatto, come la politica si sia affrancata con Machiavelli dalle norme tradizionali della morale e del diritto, aprendo così la strada a una teoria dello Stato fondata sulla sola considerazione dei suoi interessi strategici. Si trattava, al contrario, di mettere in questione il rapporto di filiazione comunemente stabilito tra le tesi del segretario fiorentino e l’idea della ragion di Stato, al fine di riesaminare daccapo il ruolo giocato da quest’ultima nella formazione del pensiero politico moderno. In effetti, lungi dal ridursi a una semplice massima di trasgressione del diritto, la ragion di Stato ha costituito, nell’età classica, l’oggetto di un vasto discorso, prima in Italia, poi anche in Francia, in Spagna, in Inghilterra, in Germania, da parte non solo di uomini politici, ma anche di storici, di giuristi, di moralisti, di filosofi, di pamphlettisti e – dove ve n’erano (cioè negli Stati luterani dell’Impero) – di professori di scienza politica. Né semplice principio d’azione, né esattamente concetto filosofico, la ragion di Stato costituiva allora un oggetto teorico complesso, legato a dei contesti determinati, e che non può forse essere analizzato al di fuori di essi. Ora, il fatto rilevante, a mio modo di vedere, era che questo discorso si è sviluppato, in gran parte, se non contro Machiavelli stesso, almeno in opposizione frontale a una certa figura inquietante del potere costruita a partire dal suo nome: il machiavellismo. Mi sembrava importante mostrare che la resistenza a Machiavelli, nel XVI secolo, non era stata una semplice battaglia di retroguardia, irrigidita nel suo arcaismo, ma aveva suscitato un discorso plurale, produttivo, innovatore, ancora troppo sottovalutato dalla storia delle idee. Ciò allo stesso tempo implicava il rimettere in questione la rottura, spesso ammessa senza discussioni, tra il pensiero medievale, rivolto verso fini trascendenti, e il pensiero moderno, iscritto in una temporalità immanente.

    Il percorso scelto è stato dunque il seguente: Risalire, per prima cosa, alla concezione medievale della ratio status, definita come principio permanente d’azione secondo giustizia in vista del buon ordine dello Stato, al fine di sottolineare ciò che la distingue dalla ragion di Stato del XVI secolo, ma anche di tracciare i cammini che portano dall’una all’altra (capitolo 1); mettere in evidenza il nocciolo del pensiero machiavelliano a partire dal quale, foss’anche tradendolo, si è costituito il discorso del machiavellismo (capitolo 2); analizzare la prima grande elaborazione teorica della ragion di Stato avanzata, all’epoca della Contro-Riforma, da Giovanni Botero (Della ragion di Stato, 1589) e mostrare come, per combattere Machiavelli, egli rinnovasse in modo originale la concezione religiosa del buon governo (capitolo 3). La prima tappa faceva apparire il ruolo centrale del concetto giuridico di necessitas, nel senso di stato d’urgenza, nella genesi dell’idea di ragion di Stato: mentre nel Medioevo la necessità s’iscrive in un ordine normativo in rapporto al quale essa giustifica tale o talaltra dispensa, ma che non autorizza mai a sospendere nel suo insieme, con Machiavelli essa diviene il principio al quale ogni azione è ordinata («Onde è necessario, volendosi uno principe mantenere, imparare a essere non buono e usarlo e non usarlo secondo la necessità»[4]).

    L’eccezione, per il pensiero medievale, rimane compresa all’interno del campo di validità della norma, mentre per l’autore del Principe si pone essa stessa come regola. Di qui, presso i suoi avversari, la definizione del machiavellismo come un arte di tiranneggiare, fondata sulla guerra permanente. È a questa logica guerriera (che essa corrisponda o meno al vero pensiero di Machiavelli) che Botero, come ho tentato di mostrare, oppone una nuova razionalità statale fondata sull’industria e sull’accrescimento delle ricchezze. Se da un lato egli si iscriveva ancora, per le sue convinzioni religiose, nella continuità della ratio status medievale, interessata soprattutto alla stabilità, Botero aveva però compreso che non la si poteva più difendere a partire dalle categorie etiche tradizionali. La sua originalità fu di non limitarsi, di fronte alla sfida machiavelliana, alla condanna morale, ma di spostare la questione politica – come governare lo Stato? – dal terreno etico (la pratica delle virtù) al terreno economico (la soddisfazione degli interessi).

    Questa posizione, che dipendeva da una scelta strategica, illustra ciò che più tardi ho proposto di chiamare «il paradosso del sovrano nel pensiero religioso»[5]: lo Stato, per esistere, deve tendere verso il massimo grado di potenza; questo, tuttavia, non deve essere tale che non si possa concepire un’autorità che gli sia superiore (quella della Chiesa). Tutta la difficoltà, per Botero, consisteva dunque nel trovare la forza più grande possibile che non desse però al principe un potere assoluto. Tale forza non poteva essere quella delle armi: questa era la soluzione machiavelliana, tutta rivolta alla conquista. Né poteva più essere quella della legge: questa era la soluzione giuridica, che fondava l’onnipotenza del sovrano. Tra la violenza guerriera e la legge sovrana, non restava a Botero che una sola risposta possibile: la forza dell’industria[6]. La ragion di Stato non si riduceva così

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1