Contratto d'amore: Harmony Collezione
Di Daphne Clair
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Info su questo ebook
Daphne Clair
Autrice residente in Nuova Zelanda, ha scritto la sua prima novella alla tenera età di otto anni.
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Contratto d'amore - Daphne Clair
successivo.
1
«E il matrimonio?» si lamentò la madre di Stefanie Varney alzando lo sguardo dal foglio che aveva appena letto. Un garofano rosa le scivolò dall'altra mano. «È tutto pronto per domani.»
La stanza era cosparsa di rose, garofani, crisantemi e felci che, col loro profumo, rendevano l'atmosfera particolarmente rilassante. Sarebbero dovuti servire ad adornare la chiesa per la cerimonia del giorno seguente.
«Non ci sarà nessun matrimonio.» Stefanie si spostò distrattamente una ciocca di capelli castano scuro che le era scivolata sull'occhio. «Almeno, non per me.»
Fu sorpresa che il tono della sua voce risuonasse così pacato. Quando quella sera era rientrata dal lavoro più presto del solito, aveva trovato ad attenderla un notevole numero di lettere, fra cui quella di Bryan che aveva deciso di leggere per prima. Era stato carino a scriverle, considerato che quella sera stessa sarebbe arrivato da Auckland, in compagnia di una delle damigelle d'onore, per partecipare alla prova del loro matrimonio.
Dopo averla letta, però, istintivamente avrebbe voluto nasconderla e fingere che tutto questo non stesse accadendo. Perché... no, non poteva essere vero!
«Non saremmo a questo punto» esclamò Patti, «se solo avesse detto qualcosa prima! Oh, è davvero terribile!»
Poi, capendo quello che significava per la figlia, avanzò di qualche passo e racchiuse Stefanie in un abbraccio materno.
«Oh, povero tesoro mio, mi dispiace così tanto!»
Con il viso bagnato dalle lacrime della madre, Stefanie ricambiò il gesto, ma gli occhi le rimasero inspiegabilmente asciutti. Sembrava tutto irreale.
La faccenda, poi, non riguardava solo lei; più di un centinaio di persone avrebbero preso parte alla cerimonia, parenti e amici, suoi e di Bryan.
Patti continuava a piangere, e Stefanie si liberò delicatamente dalla sua stretta. «Sto bene, ma dobbiamo avvisare tutti.»
«Sì, ma c'è così poco tempo: gli addetti al rinfresco, gli ospiti, la chiesa! Che cosa diavolo diremo a tutti?»
«Che il matrimonio non sarà celebrato» suggerì Stefanie. «Penso che sia l'unica cosa da fare.»
«Come puoi essere così calma? Praticamente sei stata abbandonata all'altare!»
Stefanie trasalì. Almeno quello, Bryan gliel'aveva risparmiato. «Non eravamo proprio all'altare.»
«A questo punto, non fa nessuna differenza. Come ha potuto? E Noelle? È la tua damigella, dovrebbe essere anche la tua migliore amica! Ho sempre sospettato che nascondesse qualcosa!»
Evidentemente aveva qualcosa che Bryan aveva trovato irresistibile. Qualcosa di cui Stefanie non era mai stata invidiosa. Mai fino ad allora; una certa sensualità vulnerabile e innocente, che Stefanie sapeva che non avrebbe mai avuto nemmeno se, come Noelle, fosse stata una biondina minuta e formosa, con gli occhi azzurroviola, invece di essere mediamente alta, mediamente bella e con gli occhi di un grigioblu indefinito.
Quando era ancora adolescente, si era chiesta se il seno le si sarebbe mai sviluppato, e persino ora non era niente di spettacolare. E sebbene Noelle dichiarasse di invidiare le gambe lunghe dell'amica, Stefanie non era mai stata l'oggetto di istantanee attenzioni maschili, cosa di cui invece Noelle aveva sempre beneficiato.
Stupidamente aveva pensato che Bryan fosse immune dal fascino di Noelle, forse per il fatto di essere cresciuti tutti e tre nella stessa città; anche se, da quando si era trasferita con i suoi, Stefanie non l'aveva più rivista fino alla sua festa di fidanzamento, poco prima che l'amica stessa annunciasse il proprio. Probabilmente da allora Bryan la vedeva con occhi diversi.
A Stefanie sembrò che il cuore le diventasse una massa informe e gelida. Bryan e Noelle. Affiancare quei due nomi nella mente le provocava un certo fastidio. Sapeva che, appena lo stupore si fosse dissolto, avrebbe sofferto terribilmente, ma in quel momento non poteva far altro che pensare che tutto quel disastro stesse accadendo a qualcun altro.
Adesso non poteva permettersi di divagare, c'erano cose che andavano sbrigate subito.
«Mi domando se Quinn lo sa.»
«Il fidanzato di Noelle? Pensi che lei gliel'abbia detto?»
«Lo spero.» In realtà ne dubitava fortemente.
Non conosceva bene Quinn Branson. L'aveva incontrato una volta ad Auckland. Noelle e Stefanie erano state lasciate sole per qualche istante, durante il quale un uomo si era avvicinato, evidentemente attratto da Noelle. Quinn, accortosi di quanto stava accadendo, era immediatamente tornato al fianco della fidanzata, ammonendo lo sconosciuto con uno sguardo minaccioso. Noelle non era sembrata disturbata da tutto ciò, anzi aveva guardato il fidanzato con sguardo malizioso.
Così Stefanie ne dedusse che Quinn non avrebbe mai accettato di essere lasciato per qualcun altro. Inoltre Noelle non avrebbe mai avuto il coraggio di affrontarlo personalmente, e forse aveva seguito l'esempio di Bryan e l'aveva avvertito con una lettera.
Patti scoppiò nuovamente in lacrime. «Oh, come hanno potuto? Pensi che i genitori di Bryan lo sappiano? No, se fosse così, si sarebbero fatti sentire. Che cosa dirà tuo padre? E Tracey? Ci teneva tanto a fare la damigella.»
Come la madre, la diciassettenne Tracey scoppiò in lacrime, quando apprese la notizia. Gwenda, la figlia sposata dei Varney, che era accorsa alla chiamata incoerente della madre, ammonì la sorellina di smetterla di comportarsi in modo infantile e di cercare di essere forte per il bene di Stefanie, che certamente soffriva più di lei.
Gwenda era sempre stata la più pratica delle tre sorelle, così fu lei ad avvisare il padre non appena arrivò a casa.
La notizia sconvolse non poco Stephen Varney. Si infuriò talmente da spaventare la moglie, che tuttavia non protestò, contenta forse che qualcuno finalmente dimostrasse con decisione di disapprovare il gesto di Bryan.
All'improvviso lo sguardo dell'uomo si posò sul viso pallido di Stefanie. «Stef, stai bene?»
«Sì» lo rassicurò timidamente lei. Cercò di sorridere, ma il volto era troppo contratto.
«Se ti può consolare, squarterò quel bastardo con le mie mani!»
Stefanie scoppiò a ridere fragorosamente. L'idea che un mite maestro di scuola qual era suo padre si comportasse in modo violento col suo ex promesso sposo era divertente, sebbene apprezzasse il pensiero che lo animava. «Grazie papà, ma non penso che potrebbe servire a qualcosa.»
«Se non altro mi farebbe sentire meglio. Se provi ancora qualcosa per lui, però...»
«Al momento non so esattamente che cosa provo» confessò lei, «conosco Bryan da una vita, non posso cambiare i miei sentimenti da un momento all'altro.»
«Non ti meritava.» Andò verso di lei e la abbracciò. «Mi è sempre sembrato un po' scialbo.»
Naturalmente non intendeva dal punto di vista fisico. Bryan era muscoloso, sportivo. Una volta aveva quasi vinto la selezione che l'avrebbe reso uno dei rappresentanti del rugby neozelandese nel mondo. Era stato proprio grazie a quell'episodio che Stefanie aveva scoperto un suo lato sconosciuto e forse vulnerabile, che aveva prima suscitato la sua compassione e infine il suo amore.
La sua mano sinistra le scivolò senza forze lungo il fianco. La lettera di Bryan le comunicava che avrebbe potuto tenere l'anello, ma lei sapeva che non sarebbe più riuscita a indossarlo. Così si era sfilata dal dito quel gioiello d'oro tempestato da minuscoli diamanti e, prima di andare a dare la notizia alla madre, lo aveva riposto sul comodino.
«Non c'è tempo per scrivere a tutti» osservò Patti, «dovremo avvisarli telefonicamente. Purtroppo alcuni degli invitati saranno già in viaggio, a quest'ora.»
«Dov'è la lista degli ospiti?» chiese Gwenda. «Sarà meglio iniziare. I genitori di Bryan potranno avvisare i loro parenti. Mamma, sarà meglio che li chiami per sincerarti che lo sappiano. Poi bisogna chiamare il pastore. Papà, tu pensa a Stefanie.»
Nonostante le sue flebili proteste, Stephen condusse la figlia maggiore nell'ingresso e chiuse la porta.
«Penseremo noi a tutto. Tu non ti devi preoccupare di nulla, figliola.»
«Ma Gwenda è incinta. Lei non dovrebbe...»
«Gwenda sta bene. Ha superato lo shock, e poi sai quanto le piace organizzare qualsiasi cosa. La terrò d'occhio io.»
Il campanello dell'ingresso trillò rumorosamente e Stephen andò ad aprire.
Forse, restando sola sarebbe stata finalmente in grado di piangere, di lasciarsi andare. Mentre ripercorreva il corridoio in direzione della sua stanza, sentì la voce del padre. «Sei Quinn, vero? Che cosa posso fare per te?»
Rispose una profonda voce maschile a lei nota.
«Vorrei vedere sua figlia, signor Varney. Per favore. Stefanie?»
«Sono spiacente, ma in questo momento Stefanie è impegnata. Sarà meglio che chiami in un altro momento.»
«Sapete cos'è successo? Lei lo sa?»
«Sì, lo sa. Quindi capirai...»
Ci fu un attimo di silenzio, poi il giovane riprese: «Immagino che sia terribilmente dispiaciuta. Potrebbe dirle che ho bisogno di parlarle?».
«Non credo che...»
Stefanie si voltò e raggiunse il padre.
«Non fa niente.»
Probabilmente anche Quinn era scioccato e dispiaciuto. Non sapeva a che cosa sarebbe servito, ma se lui era così disperato da volerle parlare, lei poteva almeno concedergli qualche minuto. Del resto, che cos'altro avrebbe potuto fare, quel giorno?
«Perché non entri?»
L'espressione di Quinn, inizialmente contratta, divenne perplessa alla vista di Stefanie, che appariva calma e senza lacrime agli occhi.
«Da questa parte» lo invitò lei. «Papà, andiamo in salotto.»
Il padre le lanciò un'occhiata di disapprovazione e si ritirò con riluttanza, mentre Quinn accettava l'invito ed entrava in casa. Per un attimo sembrò occupare interamente il corridoio che stava percorrendo. Lei non ricordava che lui avesse spalle così larghe, che tuttavia non sembravano essere sproporzionate rispetto alla vita e ai fianchi piuttosto sottili, e alle lunghe gambe.
«Prego.» Stefanie condusse l'ospite nell'ampia e confortevole stanza e chiuse la porta. «Prego, siediti.»
Quinn lanciò un'occhiata al divano con stampe floreali e alle sedie in tinta. «Grazie, ma vado via subito; e poi sono stato seduto finora in macchina.»
«Vieni direttamente da Auckland?»
«Sì, non è lontano. Ci ho impiegato circa un'ora e mezzo. Sarei venuto comunque domani.»
Come fidanzato di una delle damigelle, era stato invitato al matrimonio. Quella sera avrebbe dovuto accompagnare Noelle alla prova in chiesa.