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Ho trovato un marito: Harmony Jolly
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E-book303 pagine4 ore

Ho trovato un marito: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

2 ROMANZI IN 1 - HO TROVATO UN MARITO di Tara Taylor Quinn. Sue Bookman è davvero a terra, ha dato l'ultimo saluto alla persona più importante della sua vita: la nonna. Ad aggravare la situazione ci pensa lo zia della sua figlia adottiva, Rick Kraynick, che si presenta all'improvviso per assicurarsi che la nipote stia bene. Sue rimane affascinata da quell'uomo prestante e intelligente. Sarebbe un marito perfetto, peccato che lui non abbia intenzione di farsi accalappiare. UNO SCONOSCIUTO NELLA NOTTE di Kathleen O'Brien. A Isabelle Carson non manca niente: è bella da mozzare il fiato e un lavoro gratificante. Dove sta il problema? Nel ricordo di una magica notte in cui lei ha donato se stessa a uno sconosciuto mascherato. Matt Malone, il suo nuovo capo, le rammenta quella notte. È lui il misterioso amante?

LinguaItaliano
Data di uscita15 dic 2011
ISBN9788858900192
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    Anteprima del libro

    Ho trovato un marito - Tara Taylor Quinn

    Ho trovato un marito

    1

    Il funerale della nonna era venerdì. La piccola Carrie si svegliò con il naso chiuso, quella mattina. Camden vomitò il suo latte artificiale. Non era la giornata giusta per lasciare i bambini con la babysitter.

    Sara Sue Bookman, però, non aveva scelta. Accudire due neonati a casa era abbastanza facile... praticamente la norma. Poteva farlo a occhi chiusi, ma tra le sacre mura di San Ignazio, al funerale di nonna Sarah, dovendo dirle addio, era impossibile.

    Doveva per forza lasciare i bambini con Barb.

    Seduta nella seconda fila di panche nella cattedrale di San Francisco, nella luce delle candele che illuminava entrambe le navate della chiesa, Sue avvertì quasi la presenza dei santi attorno a lei.

    La approvavano? La disapprovavano? Sapevano quant’era arrabbiata? Quanto era poco intenzionata a rinunciare alla nonna?

    Cercò di concentrarsi sul pastore, che conosceva sua nonna Sarah da molto tempo anziché sulla bara aperta in cui giaceva la salma.

    Sarah aveva ottant’anni, ma la sua morte le faceva più male di quanto si sarebbe aspettata. Forse, se le avesse dato qualche segnale, se fosse stata ammalata da settimane o da mesi anziché da pochi giorni.

    Forse allora...

    Il pastore parlò della generosità della defunta, del suo bisogno di amare tutti coloro che facevano parte della sua vita, in particolare i più piccoli. Solo una settimana prima, quando Sue le aveva portato i bambini a casa, a Twin Peaks, la nonna aveva insistito affinché lasciasse Camden e Carrie da lei e si svagasse con una passeggiata in montagna. Qualcosa che non faceva da moltissimo tempo.

    Non ci sarebbero più state né passeggiate né pomeriggi a bere tè freddo con l’unica persona con cui si era mai sentita a suo agio.

    Il pastore parlò dell’unico figlio che Sarah aveva avuto, Sam, lo zio di Sue, seduto in prima fila con la moglie. Sarebbe stato lui a guidare la famiglia Carson, si sarebbe occupato di loro.

    Poi il pastore vestito di bianco guardò verso la donna seduta accanto a Sue e parlò della bambina che la nonna e il nonno avevano adottato: Jenny.

    Sue era stretta tra i genitori. Da una parte la madre le stringeva la mano mentre dall’altra il padre le accarezzava la schiena, abbracciando contemporaneamente la moglie.

    Era sempre stato così tra loro. Jenny e Luke insieme ad affrontare la vita coinvolgendo Sue nel loro amore.

    Lei amava i genitori, insieme componevano una specie di trio. Da piccola, quando andavano in vacanza, spesso indossavano delle magliette personalizzate.

    I Bookman prendono Manhattan. I Bookman vanno alle Hawaii. I Bookman visitano l’Irlanda.

    Una volta dovevano volare in Italia e Sue si era rifiutata di sfoggiare la sua maglietta. Non avrebbe mai dimenticato l’espressione delusa della madre mentre uscivano di casa per andare in aeroporto.

    Aveva nove anni.

    Aveva telefonato alla nonna da una cabina e le aveva spiegato il problema. Sarah le aveva detto che anche lei si sarebbe sentita in imbarazzo con quella maglietta e le aveva ricordato, però, che Jenny la amava e che voleva solo il meglio per la sua famiglia. «Segui solo il tuo grande cuore, ragazza mia, e starai bene.»

    Sembrava così facile.

    Quando nulla lo era mai, in realtà.

    «Torno subito, mamma. Ho bisogno di aria.»

    Quante volte negli ultimi vent’anni, da quel primo gesto di ribellione da piccola, Sue aveva accampato quel genere di scuse?

    Come sempre, i genitori le rivolsero un’occhiata preoccupata e colma d’amore, uno sguardo che riuscì a zittire le voci pacate che riempivano il vestibolo affollato della chiesa. «Stai bene, bambina?»

    Sue annuì e abbracciò la madre. «Torno subito.»

    «Come sta Belle? Vi ho visto parlare, prima.»

    «Un po’ come me. Sotto shock. Non riesco a immaginare la vita senza la nonna.» Gettò un’occhiata alla cugina accanto ai suoi genitori.

    Come era sempre stato.

    Sam e Belle che sostenevano Emily. Luke e Sue che sostenevano Jenny.

    Era tutto quello che restava della famiglia Carson.

    Alcuni dei migliori ricordi della sua infanzia avevano come sfondo la casa della nonna, quando gli adulti si attardavano attorno al tavolo e lei e Belle potevano scappare.

    Sue dalla claustrofobia, Belle dal padre.

    «Torno subito» sussurrò alla madre, lasciandola insieme a una vecchia amica del liceo.

    Felice di non lasciare i genitori da soli, uscì nella fredda aria di marzo.

    Rick Kraynick, trentun anni, vice sovrintendente scolastico, si era abituato a fatica a mangiare da solo, a vivere da solo, a pensare da solo.

    L’importante era non bere da soli.

    Aveva sperimentato di persona come poteva ridursi una persona se abusava di qualunque sostanza. Così, anche se spesso, troppo spesso, non gli importava della salute e di se stesso, sapeva che non sarebbe mai diventato un peso per la società.

    Mentre l’addetto abbassava la bara di Christy nella fossa, Rick si ritrasse guardando ma ripromettendosi di non commuoversi. Di non provare a capire.

    Come aveva potuto la sorella minore togliersi la vita? Dopotutto aveva solo sedici anni e aveva da poco avuto una bambina...

    Non poteva credere quanto gli fosse cambiata la vita. Solo un anno prima era felice, era il padre single di Hannah, una bambina eccezionale. Ora, invece, era solo il figlio di una tossicodipendente e il fratello maggiore di una ragazza morta suicida.

    Una sorella che non aveva mai conosciuto. E che aveva avuto una figlia, Carrie.

    Il pensiero della nipote da sola lo addolorò. Rick avrebbe voluto abbracciarla, confortarla, occuparsi di lei, ma ignorava dove si trovasse.

    Scacciò il senso di frustrazione. Ora aveva un compito: doveva assolutamente trovare Nancy, la madre, l’unica che potesse ricongiungerlo con la nipote. Aveva già cominciato a muoversi in questo senso ma la missione sembrava impossibile ogni giorno di più. Aveva cercato Nancy nell’ultimo posto in cui aveva lavorato, tuttavia aveva fatto un buco nell’acqua.

    Be’, c’erano altri modi per recuperare informazioni. Gli avevano appena dato il nome e l’indirizzo di una donna che, a quanto pareva, si stava occupando di Carrie. Era la sua unica opportunità e non se la sarebbe fatta sfuggire.

    Alla fine i pochi presenti al funerale se ne andarono e lui restò solo.

    Batté le palpebre e ancora una volta si sorprese di essere così triste.

    L’aria fredda non scacciò il senso di claustrofobia di Sue, in piedi davanti alla scalinata della chiesa.

    Doveva andarsene. Magari poteva andare al mare, cambiare aria. Ascoltare le onde che si infrangevano sulla costa e si ritraevano.

    La nonna aveva promesso di vivere per sempre... era l’unica persona che non l’aveva mai giudicata. Non che sapesse tutto di lei... Nessuno conosceva il suo segreto.

    «Ehi.»

    Riconoscendo la voce, sollevò gli occhi.

    «Joe! Ciao.» Gli aveva telefonato. E lasciato un messaggio. Non si aspettava di vederlo, dopotutto erano stati amici tanto tempo prima, al liceo.

    Ora avevano solo un rapporto di lavoro.

    «Il tuo messaggio diceva all’una. La messa è già finita?» le chiese.

    «Sì. Verrà fatta cremare, quindi non andremo al cimitero. Mamma e lo zio Sam hanno organizzato un rinfresco nella casa della nonna a Twin Peaks. Stiamo andando lì, adesso. Vieni?»

    «Devo tornare al lavoro. Mi sono fermato solo perché ero in zona.»

    I capi in genere non si fermavano ai funerali dei dipendenti. Lo facevano solo i vecchi amici.

    «Mi farebbe piacere che venissi» insistette Sue, temendo di scoppiare in lacrime.

    Come avrebbe fatto a entrare nella casa della nonna senza trovarla lì? Non c’era mai stata una riunione di famiglia senza di lei.

    Avvolto nel suo costoso trench alla moda, Joe la guardò per un imbarazzante momento. Poi annuì.

    «Posso accompagnarti fin lì, se vuoi» si offrì senza incontrare i suoi occhi.

    Joe la conosceva. E la capiva.

    In quel momento era l’unico legame con la salute mentale che Sue aveva.

    «Chi è il fusto che ti ha accompagnato?» domandò Belle, curiosa. «Qualcuno di cui forse hai dimenticato di informarmi?»

    Sue sorrise e scosse la testa. «Era solo Joe.»

    Quasi sessanta persone si aggiravano nel soggiorno della nonna. I suoi genitori erano lì da qualche parte.

    «Joe Fraser?» le domandò dal loro punto privilegiato in fondo alle scale bianche.

    «Sì.»

    «Ah» fece Belle versandosi altro vino. «Quel Joe. Non sapevo che foste ancora amici.»

    «Non lo siamo. Non più. Se non mi avesse offerto un lavoro come contabile, permettendomi di svolgerlo da casa, non ci frequenteremmo più.»

    «È un peccato. È davvero carino. Disponibile e siete stati amici.»

    «Non sono mai stata innamorata di lui.»

    L’altra annuì e Sue sapeva che la cugina la capiva. Belle aveva da poco rotto con l’uomo che il padre, Sam, aveva deciso che lei sposasse.

    Il rumore di un bicchiere che si infrangeva sul parquet la fece sussultare. Si mosse per pulire il danno, ma la zia la precedette.

    «Quindi intendi vendere?»

    «Certo, cosa dovrei farne di questa vecchia casa?»

    Sue riconobbe la voce di suo zio Sam.

    «Pensavo che tu e tua moglie vi sareste trasferiti qui.»

    «Dio, no! Non vorrei mai vivere in una casa del genere. È piena di spifferi!»

    È la casa di tua madre, sciocco!, esclamò Sue tra sé. La casa della sua infanzia. Non che lo zio fosse mai stato un tipo sentimentale.

    «Andremo dal notaio, in settimana. Io sono l’unico erede dei Carson, il suo unico figlio biologico.»

    «Oh!» esclamò l’altro evidentemente sorpreso. «Non avevo capito... cioè, Jenny...»

    «È stata adottata» tagliò corto Sam. «E, se conosco bene mio padre, so che questa casa l’ha lasciata a me.»

    «Sue, non ascoltarlo» le disse Belle alle sue spalle. Sue sussultò e la cugina le posò una mano su un braccio. «Lo sai com’è mio padre. Non sa quello che dice.»

    «Ha ragione, però. Lui è l’unico vero Carson.»

    «E allora?»

    «Non pensavo detestasse tanto mia madre. Dopotutto è sempre sua sorella, anche se è stata adottata.»

    «Ce l’ha con il mondo perché non è Dio.»

    Voltandosi, Sue incontrò lo sguardo della cugina. «Mi hai mai odiata?» le domandò. «Ero due anni più grande e così vicina alla nonna. E tuo padre ha ragione. Voi avete un legame di sangue. Io no.»

    «Come se importasse a qualcuno tranne che a lui» ribatté Belle scompigliandole affettuosamente la coda. «E io ero affezionata al nonno quanto tu alla nonna.» Si diressero verso la cucina. «L’unica cosa che ti ho sempre invidiato erano due genitori che si amavano.»

    Sue avrebbe voluto contraddirla, ma entrambe conoscevano la verità.

    2

    La cosa più preziosa che la nonna possedeva era di sicuro la collana di diamanti che apparteneva alla sua famiglia da generazioni e alla quale era affezionatissima.

    Sue aveva ascoltato il racconto relativo alla collana un sacco di volte e non se ne stancava mai. La tradizione di famiglia voleva che quello fosse l’unico oggetto di valore che il suo bis bisnonno avesse portato con sé dalla Scozia e che il nonno l’avesse regalata a Sarah prima di sposarla in un momento a dir poco magico.

    Quella collana di diamanti, però, era soprattutto un simbolo della famiglia Carson, sebbene fosse anche la cosa più preziosa che Sarah avesse, oltre alla casa.

    Ma a Sue poco importava. Non aveva bisogno del denaro di sua nonna. Aveva bisogno di sua nonna.

    Quando qualche giorno dopo la funzione in chiesa la famiglia si riunì per ascoltare le ultime volontà di Sarah nel soggiorno della sua villa, Sue capì subito che c’era qualcosa che non andava. Se ne accorse non appena Joe e suo padre Adam si presentarono alla porta. Cosa c’entravano due estranei in una riunione di famiglia?

    «Ma che succede?» domandò Sam non appena li vide. «Ci dev’essere un errore.» «Nessun errore» assicurò Stan, l’avvocato di famiglia. «Sarah mi ha chiesto di contattarli perché fossero presenti all’apertura del testamento.»

    Che diavolo ci faceva il suo capo nonché ex migliore amico del liceo?, continuò a domandarsi perplessa.

    L’avvocato si schiarì la voce. Sembrava parecchio nervoso. «Sarah mi ha lasciato delle disposizioni difficili da comunicarvi» cominciò, l’espressione seria, soppesandoli ciascuno con lo sguardo.

    «Legga quella dannata lettera e la faccia finita!» gli ordinò Sam con l’autorità di chi credeva di parlare per tutti.

    Allo scatto del padre, sgradevole come al solito, Belle gettò un’occhiata a Sue e sollevò gli occhi.

    L’avvocato cominciò a leggere le parole di Sarah.

    «Miei cari, è con tutto il cuore che sono qui a scrivervi. Vi voglio tanto bene.» A Sue si riempirono gli occhi di lacrime. «È con enorme difficoltà che vi rivelo, da morta, ciò che non ho potuto confessarvi da viva nella speranza che la verità possa fare solo del bene.» Sue era come gelata. La nonna aveva dei segreti? Non poteva essere! Era sempre stata una persona incredibilmente onesta! «Mio marito Robert ha avuto tre bambini. Nostro figlio Sam, la nostra figlia adottiva, Jenny. E Adam Fraser. Jenny e Adam hanno la stessa madre, ovvero Jo Fraser.»

    Sam balzò in piedi. «È una menzogna.» Gettò uno sguardo furioso prima all’avvocato poi ad Adam, come se si fossero messi d’accordo.

    Adam, invece, non ebbe reazione ma la sua risposta fu quasi la stessa. «Non è possibile.»

    Joe non si mosse.

    «Oh, mio Dio!» esclamò Jenny, e cominciò a piangere. «Mio padre adottivo era il mio vero padre.»

    «Sarah deve aver subito un ricatto ed è stata costretta a scrivere queste cose, non c’è altra spiegazione.»

    «Mio padre è Bill Fraser» puntualizzò Adam. «È morto in un incidente d’auto qualche mese prima che io nascessi.»

    «Bill era il miglior amico di Robert. Hanno fatto la scuola e la guerra insieme. Bill è morto prima che tu venissi concepito» gli spiegò l’avvocato. «Jo, tua madre, ha fatto passare il figlio concepito con Robert per il figlio di Bill solo per salvare le apparenze.» Poi si rivolse anche a Sam. «Vi assicuro che Sarah era nel pieno delle sue facoltà quando ha scritto la lettera. Ci sono altri documenti qui. I certificati di nascita e di adozione, e gli esami del sangue che sono stati fatti poco dopo la nascita di Adam. Potete fare una prova del DNA, se siete ancora scettici.»

    «Sta dicendo che mio padre, Robert, ha tradito mia madre adottiva con Jo?» domandò Jenny ancora incredula. «E che Sam è mio fratello?» Gettò un’occhiata al padre di Joe. «E che ho un altro fratello?»

    Adam non si mosse.

    Sue era sconvolta, mille domande che le ronzavano in testa. Perché i nonni non avevano adottato anche Adam? Perché solo Jenny? Possibile che il nonno avesse tradito Sarah mentre era incinta? Possibile che avesse continuato a tradirla fino alla nascita di Jenny? E per quanto ancora era andata avanti quella storia? Fino alla morte di Jo Fraser?

    Mentre Stan tendeva la lettera di Sarah agli interessati, ciascuno sconvolto a suo modo, si voltò verso Belle.

    Se Sam, Jenny e Adam erano fratelli di sangue, significava che anche lei e Belle erano cugine di sangue. Era l’unico aspetto positivo in quella che sembrava una storia assurda.

    Ma anche Joe...

    Sospirò affranta e puntò gli occhi su Joe.

    «Siamo cugini» gli disse. Poi si ricordò della breve storia che avevano avuto al liceo. «Fortuna che non abbiamo mai fatto sesso.»

    L’appuntamento di Rick con l’avvocato mercoledì mattina non andò meglio del suo incontro con i Servizi Sociali avvenuto il giorno prima. A un primo esame non aveva molte possibilità di adottare la nipote e fino a quel momento non gli era stato ancora concesso il diritto di visita a Carrie.

    Frustrato, recuperò il cellulare e fece la telefonata che rimandava da troppo. Forse Sue non aveva ricevuto il messaggio che le aveva lasciato. Forse non voleva parlargli. Be’, a quel punto non gli importava.

    Lei doveva essere presente a ogni incontro riguardante Carrie e fornire la sua opinione. Opinione che avrebbe avuto lo stesso peso di quella dell’assistente sociale che si occupava del suo caso.

    «Pronto?» rispose Sue prima della fine del primo squillo. Sembrava senza fiato.

    Giovane e senza fiato.

    «Signora Bookman?»

    «Sì. E lei è Rick Kraynick, vero?»

    «Esatto.»

    «Ho riconosciuto il suo numero» continuò con voce affannata. A quanto pareva era ancora impegnata in qualche lavoro faticoso. «Mi dispiace non averla richiamata subito. «Ero un po’... presa» si scusò.

    Parlava in tono discontinuo. Stava facendo jogging?

    «Non c’è problema» la rassicurò, nonostante avesse guardato il cellulare per tutta la notte in attesa della sua risposta, in preda alla frustrazione. «È un cattivo momento?»

    «Non peggiore del solito, ma meglio di altri. Allora, come posso aiutarla?»

    «Sì...» Dio, fosse stato così facile!

    Spicciati, per favore, disse Sue tra sé all’uomo dall’altra parte dell’apparecchio. Non importava quanto cullasse Camden. Lui non si sarebbe riaddormentato. Ai Servizi Sociali avevano fatto confusione e aveva dovuto tenerlo una notte in più.

    Tra un’ora i suoi nuovi genitori sarebbero venuti a prenderlo. Ovvero tra sessanta minuti, ogni secondo dei quali per lei era fondamentale: il bambino, infatti, avrebbe dovuto essere calmo e sereno per cominciare la sua vita con la nuova famiglia.

    Carrie si era svegliata e, se aveva imparato qualcosa da quando era diventata una madre adottiva temporanea, era l’impossibilità di parlare al telefono con due bambini urlanti vicino.

    «Signor Kraynick?»

    «Sì, scusi. Sta facendo jogging?»

    «Sto cullando un bambino, ecco cosa sto facendo.»

    «È Carrie?»

    Sue si mise sulla difensiva.

    «Come fa a conoscere Carrie?»

    «Sono suo zio, il fratello maggiore di Christy e so che è stata affidata a lei» le confessò a bassa voce.

    «Non posso né confermare né negare le sue affermazioni, signore. Si rivolga ai Servizi Sociali.» Scandì il numero governativo. Se era davvero lo zio di Carrie, lo avrebbero mandato alla WeCare. E da Sonia, l’assistente sociale che si occupava della pratica.

    «La prego!» la bloccò. «Mi ascolti un attimo!»

    Sue stava per interrompere la telefonata ma l’urgenza che avvertì nel tono dell’uomo la dissuase. Non sembrava un pazzo. Disperato, però non pazzo. «Come mi ha trovata?»

    «È stata un’amica di Christie. A quanto pare Christie ha molto stima di lei. Ha detto che Christy ha il diritto di visita.»

    Era vero. Christie, la madre sedicenne di Carrie non aveva mai perso una visita. Ce la stava mettendo tutta per lasciarsi alle spalle il passato da tossicodipendente e riavere indietro la figlia. Era molto determinata.

    «Perché mi chiama?»

    «Perché lei si sta occupando di Carrie e io sono preoccupato. Io...»

    «Mi dispiace, signor Kraynick. Forse se parla con sua sorella...»

    «Cosa sa di Christy?»

    «No, signor Kraynick» gli sussurrò, sistemando Camden, addormentato, nel lettino. Carrie si era appisolata su un fianco. «Questa conversazione è finita.»

    «Sono stato adottato» le confessò lui, come se quello gli concedesse dei privilegi.

    «Allora sa che non avrebbe dovuto chiamarmi.»

    «Ci ho provato.»

    «E le è andata male.»

    «Senta, mia madre era una tossica» rivelò con un tono che le ricordava Joe quando parlava di Adam, suo padre, che lei aveva appena scoperto essere suo zio.

    La nonna e il nonno avevano mentito a tutti. Stentava ancora a crederci.

    Scuotendo la testa, scacciò quei pensieri e si chiese perché non avesse ancora interrotto quella conversazione. La vita di quell’uomo e quella di sua madre non la riguardavano. Forse era davvero pazzo, dopotutto?

    «Il punto è» continuò lui in tono pressante, «che fino alla scorsa settimana non sapevo che mia madre avesse avuto un’altra figlia.»

    Sue si lasciò cadere sul divano. «Ragione in più per parlare con lei. Christy è una ragazza molto dolce. E, francamente, potrebbe chiederle aiuto. Credo che sarebbe felice di sapere che ha un fratello, e che è interessato a Carrie.»

    «Allora non gliel’hanno ancora detto.»

    «Detto cosa?»

    «Christy è morta.»

    Probabilmente aveva frainteso. «Cosa?» Sue si coprì il viso.

    «Si è suicidata la scorsa settimana. Venerdì c’è stato il funerale.»

    No! Prima sua nonna e ora quello. Che cosa stava accadendo?

    «La scorsa settimana è stata difficile per me...» Sonia lo sapeva. Probabilmente aveva pensato fosse meglio non sconvolgerla ulteriormente. «Non posso crederci. L’ho vista solo...»

    «Mi ha telefonato la polizia.» Sembrava stanco. E confuso quanto lei. «Hanno chiamato me dopo aver provato inutilmente a rintracciare mia madre...»

    Christy? Morta?

    Stava andando così bene! Era così eccitata all’idea di riavere con sé Carrie. «Aveva solo sedici anni. Non ha senso!»

    «Anch’io non capisco...»

    La sua mente galoppava, il cuore che sussultava a ogni pensiero.

    «Carrie è mia nipote» dichiarò Rick, interrompendo i suoi pensieri. «Vorrei adottarla e, prima ancora, incontrarla. Per assicurarmi che stia bene. Per conoscerla. Per farla abituare alla mia presenza.»

    «Deve passare dai Servizi Sociali. Mi dispiace, signor Kraynick, ma...»

    «Per favore» la interruppe lui. «Devo vederla.» La sua voce da tesa era diventata supplichevole. «È la figlia di mia sorella che ho visto solo sepolta.» Sue non rispose. «La famiglia non è qualcosa che posso dare per scontato, signorina Bookman. Ne sono cresciuto senza. So come ci si sente a chiedersi

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