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Il destino non usa la forchetta
Il destino non usa la forchetta
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E-book354 pagine4 ore

Il destino non usa la forchetta

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Info su questo ebook

Chepe, piegato dai debiti, è costretto a fuggire dalla città natale, El Guamo, in Colombia, per gli strozzini che lo tallonano. Parte così in direzione di Barranquilla, dove ricomincia a lavorare, ma una serie di vicissitudini lo porterà a dover fuggire di nuovo e a salpare verso l’Irlanda.
Là riuscirà a riunirsi alla donna che ama, ma le cose non andranno esattamente secondo i loro piani…

Il destino non usa la forchetta è un romanzo intrigante, pieno di colpi di scena e sorprese, dal ritmo veloce, ricco di tensione e sentimento, introspettivo ed emozionante. Un romanzo che indaga i sentimenti che ogni emigrante, ogni famiglia problematica e ogni amante con il cuore spezzato provano e devono affrontare.
È un libro per lettori che non si vogliono fermare alle apparenze di ciò che li circonda, ma desiderano guardare oltre, per capire quale storia si potrebbe nascondere dietro uno sguardo triste.
LinguaItaliano
Data di uscita3 feb 2016
ISBN9788867932320
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    Anteprima del libro

    Il destino non usa la forchetta - Renato Zerbone

    http://creoebook.blogspot.com

    Renato Zerbone

    IL DESTINO

    NON USA LA FORCHETTA

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.

    Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza.

    da IL TRIONFO di BACCO e ARIANNA

    di Lorenzo De’ Medici

    A mia moglie Mariarita, a Andrea e Barbara: grazie di cuore per la vostra pazienza e i vostri meravigliosi consigli.

    Ad Angelo, per la preziosissima collaborazione, senza la quale questo libro non avrebbe mai visto la luce: ti sarò debitore per sempre, grazie davvero.

    1

    Juanita e Chepe

    -Dove l'ho messa?-

    Le mani scarne e affusolate della ragazza rovistano l'armadio da cima a fondo.

    Un turbine di abiti, jeans, camicette, t-shirts e altri indumenti svolazzano dietro di lei, come in preda al vento quando soffia dai monti in inverno.

    L'uomo si avvicina a lei, ora chinata di fronte al primo dei tre cassetti.

    Le cinge i fianchi in una stretta dolce ma ferma. Cerca di baciarla sul collo.

    Lascia perdere, Chepe. Non è il momento. Anzi, togliti dalle palle.

    Incazzata?

    Furiosa.

    Juanita gli spara in faccia i suoi occhi color smeraldo.

    Si può sapere cosa cerchi con tanta foga?

    La mia pistola.

    La tua... cosa?!

    Sì, mio bel bamboccio. Hai capito bene. Sto cercando la mia pistola e sono rabbiosa perché non riesco a trovarla, per cui...

    Per cui?

    "Allora sei proprio tonto. Quando una ragazza non trova una cosa, è meglio per gli uomini stare alla larga, claro?"

    "Claro."

    José Maria Denigro, il giovane chiamato Chepe, si appoggia alla finestra per guardare il giorno che muore.

    Aveva in mente ben altro, per quella serata. Che la sua donna si fosse messa proprio allora a cercare la sua pistola, lo ha spiazzato.

    Vorrei sapere due cose, amore. Primo, cosa se ne fa una ballerina di una pistola; secondo, perché devi cercarla proprio adesso?

    Evviva! Eccola qui!

    La giovane distende il viso, le timide rughe che le solcavano la fronte scompaiono.

    Chepe si disegna un'ombra di sorriso sul volto olivastro, mentre le fa un cenno di invito.

    Vieni qui.

    Juanita posa l'arma sul comodino e lo raggiunge alle spalle vicino alla finestra dell’alloggio. Con dolcezza trascina sul letto quel metro e ottantacinque di muscoli.

    Si amano follemente, con la passione senza freni tipica dei disperati. Anche se lei, per adesso, un lavoro ce l’ha. Sbarca il lunario cantando e ballando al Side Moon, locale di lap-dance, gioco d'azzardo e vizio dall’altra parte della città. Rende bene, ma nessuna polizza assicurerebbe mai la vita di una ballerina di night club nel cuore della Colombia.

    Non aver paura, tesoro. Con questa si possono fare tante cose.

    Chepe inarca un sopracciglio.

    Del tipo?

    Ad esempio, spedire al Creatore quei bastardi che ti hanno cacciato in mezzo alla strada come un sacco di rifiuti. Insieme con quel pezzo di merda di Calone, l'usuraio. E' giusto che tu ti ritrovi senza lo straccio di un lavoro, pure pieno di debiti?

    Debiti.

    Brutta parola, terribile in Colombia. Qui i creditori sono strozzini, gli interessi galoppano. Se non paghi il dovuto, ti riempiono di piombo.

    Come puoi pensare una cosa del genere, Juanita? Quella povera donna di mia madre...

    Cocco di mamma...

    Un altro round: non sarà una notte fatta per dormire.

    Deve ancora albeggiare, il giorno dopo, quando un uomo esce da un palazzo per raggiungere la fermata dei pullman diretti in città. Nessuno dei rari passanti nota quel pendolare, intento a scacciare i cattivi pensieri e a ripararsi dal vento.

    Non il suicidio. Gli manca il coraggio.

    Non l’omicidio, perché ci sarebbe sempre qualcuno pronto a rilevare il credito oppure a vendicare gli usurai.

    La fuga. Non rimane altra soluzione.

    Barranquilla è una grande città sulla costa, che offre parecchie possibilità di lavoro. Non certo mestieri di prim'ordine, ma comunque occupazioni che possono consentirgli di sopravvivere. Lontano dai suoi carnefici. Lontano da Juanita, che dorme, ancora inconsapevole, nel loro nido d’amore.

    In attesa della corriera, Chepe alterna momenti di euforia per la fuga dai debiti con altri di cupa depressione per la perdita della ragazza.

    Prima di addormentarsi, seduto nell’ultima fila del pullman, poco dietro un’anziana alle prese con l’uncinetto e un cieco che semina forfora sui sedili, si sente crocifisso da una domanda.

    Quanto resisterà senza chiamarla, col rischio di metterla nei guai?

    La lotta intestina fra le due opposte fazioni è cominciata.

    Una guerra aspra, senza esclusione di colpi.

    E il campo di battaglia è lui, Chepe.

    Orario 8-20. Tutti i giorni. Mezz’ora di pausa a mezzogiorno. La paga è 8000 pesos al giorno, da cui te ne scaliamo 500 per il pranzo: zuppa ricca, che ci prepara Maria, la cuoca, e una bottiglia di birra. Se sento le parole sindacati, contratto, ferie o robe simili, sei fuori. Siamo gente spiccia qui, non abbiamo voglia di grane. Hai voglia di lavorare? Ti troverai bene

    Chepe annuisce al piccoletto tarchiato dai lineamenti europei, in giacca e pantaloni grigi, che ha trovato all’ingresso del terzo capannone, nell’autoporto di Barranquilla.

    Bene. Quello brizzolato con la cartellina in mano è Sebastian. Sarà lui a spiegarti cosa devi fare. Buon lavoro.

    Cassette di frutta in arrivo dal resto della Colombia, dirette in Europa e nel Nord America, Stati Uniti in particolare. A Chepe e a una quarantina di colleghi il compito di trasbordarle dai camion ai container che una gru carica sui mercantili in partenza.

    Bravo, lavori bene è il commento di Sebastian prima di allungargli la busta con 7500 pesos. L’unica nota positiva della prima giornata da camallo a Barranquilla. Oltre naturalmente alla zuppa di Maria. Davvero ricca: riso, pollo, patate e verdure varie, fino a esaurimento scorte.

    Adesso deve trovare un posto dove dormire, evitando possibilmente di farsi rapinare i pochi denari guadagnati. La pensione Victoria gli sembra il posto più adatto. Più per i 1500 pesos quotidiani per la stanza che per il nome benaugurante e il caffè che l’anziano proprietario, un indiano coi baffi, gli serve per sancire l’accordo sul canone e festeggiare il primo versamento, estraendolo da una moka incrostata di almeno due lustri.

    Victoria. Autoporto. Victoria.

    Victoria. Autoporto. Victoria.

    Victoria. Autoporto. Victoria.

    Victoria. Autoporto. Victoria.

    Victoria. Autoporto. Victoria.

    Victoria. Autoporto. Victoria.

    Victoria. Autoporto. Victoria.

    I primi sette giorni di Chepe a Barranquilla passano così.

    Ma tu pensi di stare qui tutta la vita?

    Gonzalo cade dalle nuvole.

    Silenzio, laggiù in fondo. Ancora una parola e saltate il pranzo.

    Chepe si sobbarca il suo carico di banane, poco stupito per il volto perplesso del suo compagno di container e per la voce del caporale, riemersa dopo una settimana di silenzio dall’entrata della piattaforma.

    Due cassette di banane. Ventitré passi. Appoggiare nella pila. Andatura sciolta ma veloce di ritorno. Ripetere.

    Ehi bello, ma che cazzo fai?

    Questa volta è Chepe a stupirsi. I capezzoli turgidi di Ramon, appena attenuati da una canottiera grigia sudata, gli si conficcano nella catasta che ha appena raccolto dal camion in arrivo dall’entroterra.

    È da quando sei arrivato che ti guardo.

    -Sta scherzando. Ora mi dice che sono un bel ragazzo e mi fa i complimenti per i capelli a caschetto. Ci ridiamo su e riprendiamo a lavorare. E nessuno si lamenterà per l’interruzione. Ramon è il più cazzuto della squadra. Quando parla lui, tutto tace.-

    E infatti tutto tace.

    All’inizio pensavo: questo è scemo. Un coglione che arriva dalla campagna, abituato ad andare in chiesa la domenica e cazzate simili. Ma si abituerà in fretta, pensavo. Invece no. Invece sei proprio una testa di cazzo. Ma li hai visti i tuoi compagni di squadra lavorare? Eh? Oh, guardami quando cazzo ti parlo. Ti ho chiesto se ci guardi, a noi, mentre lavoriamo o se pensi ai cartoni animati.

    Chepe annuisce.

    E cosa vedi?

    Vedo gente che lavora.

    La voce gli esce senza suono.

    Sì, ma tu guardi senza vedere. Perché se avessi osservato con attenzione, avresti visto che qui tutti carichiamo una cassetta alla volta, perché ci teniamo alla nostra salute. Tu sei l’unico, in quattro anni che sono qui dentro, che ne carica due insieme. È per colpa dei bastardi come te che alla fine licenziano i padri di famiglia come me. Dicono che non siamo produttivi. Basta un crumiro per lasciare a casa due cristiani. Ti sembra giusto? Ehi, dico a te: ti sembra giusto?

    Mi sembra giusto fare il meglio che posso per chi mi paga lo stipendio. sono le parole del novizio, simili alla frenata di un treno in corsa. E poi prendiamo la stessa paga, stai tranquillo che nessuno ti caccia: sei il migliore, continua così che sei intoccabile.

    Io continuo così, non ti preoccupare. Ma tu smettila di farci sfigurare. Posa la cassetta di troppo e segui il ritmo degli altri. Se non la smetti, ti faccio smettere io a suon di pugni. E allora il tuo problema non sarà più fare il ruffiano davanti ai capi.

    Chepe abbassa gli occhi. E le cassette. Ma solo di una decina di centimetri. Lo spazio sufficiente per ricaricare le braccia e scagliare le banane verso l’alto, dritte sul mento del rivale.

    -Affanculo il lavoro, ne troverò un altro.-

    Lo sguardo di Ramon si spalanca, neppure avesse trovato la moglie a letto col fratello. Il braccio destro rotea in senso orario e il busto piomba all’indietro.

    Fosse stato il Side Moon e l’altro un cliente infatuato di Juanita, sarebbe stato l’ottimo prodromo di una rissa, col pronto rinforzo dell’amico Jacques.

    Ma è il porto di Barranquilla.

    E la testa di Ramon piomba precisa sullo spigolo metallico della sbarra posteriore del tir.

    In pochi istanti, una chiazza di poltiglia rosso-grigia si spande sul selciato di polvere e frutta.

    Chepe la guarda allargarsi. Immobile. Intorno, i lavoratori dell’impresa di import-export Noxeira si sono trasformati in spettatori di un palcoscenico dove un povero diavolo stritolato dai debiti si è appena trasformato in assassino.

    -Devo scappare.-

    Quando realizza di doversi allontanare in fretta dal luogo del delitto, i piedi gli restano incollati a terra, perché i suoi gomiti sono stretti in una morsa.

    Tranquillo, era un rompicoglioni.

    Sebastian lo ridesta dal torpore, trattenendolo da dietro per le braccia.

    Devo scappare.

    Eh sì e a Pablo, il cane del padrone, cosa gli dici? Che vai a prendere un caffè? Quello è pagato per stare lì e se esci sei fottuto. Stai tranquillo, nessuno ti verrà a cercare.

    Poi, rivolto al resto del personale: Forza ragazzi, riprendiamo a lavorare. Ramon è scivolato all’indietro su una banana. È stata una disgrazia, succede. Ma sarà successa solo dopo che avremo finito di caricare il container in partenza e l’avremo caricato sul mercantile.

    Fa per risalire sulla gru con cui manovra i cassoni metallici in partenza per il resto del mondo.

    E io? Se qualcuno canta, sono fregato. Qui Ramon lo conoscono tutti. E da tempo.

    Lo conoscevano, ormai. Comunque stai tranquillo: era un rompicoglioni, nessuno ne sentirà la mancanza. Se proprio non ti fidi, infilati nel container. Nessuno si accorgerà della tua assenza, tanto siamo tutti in nero. Aria per respirare ne hai. Frutta pure, ma non ti abbuffare, altrimenti rischi il coma glicemico.

    Cosa?

    Coma glicemico. Sono laureato in medicina, ma da gruista si guadagna meglio.

    Gli occhi neri di Chepe incrociano quelli vitrei di Ramon.

    E di lui che ne sarà? I figli, la moglie…

    Tra un paio d’ore chiameremo il medico, che accerterà il decesso accidentale e lo riconsegnerà alla famiglia. Fosse uno spiantato, un senzatetto, uno come te insomma, l’avremmo cacciato in mare e buonanotte ai suonatori. Ma ha i parenti in città, meglio riconsegnarglielo subito e senza storie. Per la sua donna non ti preoccupare: si risparmierà qualche livido. E neppure per i bambini: meno botte anche per loro e qualche soldo in più rispetto a quelli che il padre non gli dava quando era vivo. Sicuramente vedranno qualche centomila pesos che quei bastardi della Noxeira dovranno sborsare per la disgrazia.

    Da dietro il muro di cinta, un rantolo interrompe la conversazione.

    Ehi Sebastian, tutto a posto? Cos’hai contro quelli della Noxeira?

    Tutto a posto Pablo, stai sereno. Lo sai che ogni tanto devo motivare la ciurma.

    Vabbè, ma non esagerare.

    La risata del caporale, seduto in strada e inconsapevole del cadavere ancora caldo sul suo territorio, tranquillizza Chepe, mentre intorno i camalli hanno nuovamente trasformato l’area in un formicaio.

    Ma io…

    Ma tu?

    Ma io dove finirò?

    Sebastian si volta verso il mare.

    E io che ne so. Non sono mica il padrone del porto. Chiedimi quante cassette stanno in un tir, quanti tir stanno in un container o quanti container stanno in una stiva. Ma non chiedermi dove vanno le navi, perché non lo so. So solo che partono da Barranquilla. Ti auguro di andare negli States. Non tanto per il posto, uno vale l’altro. Ma per il viaggio. In quattro giorni arrivi a Houston o New York. Se invece ti va male, Europa. Rotterdam o Amburgo, dieci giorni. Lingue strane, olandese o tedesco, gente fredda, donne ottime. È un po’ come una roulette russa. Del resto non puoi permetterti molto altro.

    E sale nella cabina del montacarichi.

    Aspetta. Ancora una cosa. Ho lasciato tutto quello che ho guadagnato al Victoria. I soldi sono nella piastrella sotto al lavandino della 12. Queste sono le chiavi.

    Eh no, caro. Non pensarci neppure. Mettici pure una pietra sopra ai tuoi pesos. Io non vado certo a recuperarteli. Ci penserà il prossimo inquilino della stanza. E poi dove sbarcherai non ti serviranno a niente.

    Dalle fessure del container è appena spuntata la decima alba di navigazione, quando Chepe sente le cassette di banane premergli improvvisamente sulle spalle. Un paio di minuti e la pressione si riduce, per riportare il viaggio a una velocità decisamente più ridotta rispetto a prima.

    Intorno il fetore è indescrivibile. Il colombiano si è ricavato una nicchia, tra le cataste riservate alle prugne, dove isolare i propri bisogni. Ma il sole, l’umidità e la mancanza di aerazione rendono l’atmosfera irrespirabile. E poi Sebastian si era dimenticato dal metterlo in guardia dall’insidia peggiore di quella traversata: gli insetti. Zecche e pidocchi hanno ormai vinto la loro partita sulla pelle del fuggitivo, che si è rassegnato all’assalto indiscriminato dopo il quinto giorno di viaggio.

    -Una doccia, cosa non darei per una doccia.-

    Dopo una serie di sterzate, apparentemente senza senso per il viaggiatore rinchiuso nella nave, la corsa si arresta.

    Un sospiro di sollievo, poi la nuova attesa.

    È notte, quando alcune voci in lingua inglese svegliano Chepe dal torpore. Il sudamericano sente oscillare il cassone in modo scomposto. Le urla si fanno più insistenti, poi il suo culo pidocchioso atterra pesantemente su un nuovo ripiano.

    -Terraferma, finalmente.-

    Quando gli operai del porto d’attracco smollano i supporti metallici del maxi-contenitore, un’ondata di luce artificiale acceca il clandestino. E una folata di vento gelido lo fa rabbrividire.

    -Adesso arriva il difficile. Leggi sull’immigrazione, rimpatrio, galera.-

    Un sospiro forte.

    Chepe si scrolla di dosso qualche mosca e attraversa il container. Per i camalli all’opera è come se fosse trasparente. Solo un nero con una cicatrice sulla guancia sinistra, seduto su un muletto giallo, lo scruta con diffidenza, la mano nella tasca di un giubbotto grigio, pronta per ogni evenienza. Il profugo lo supera e torna a essere un fantasma in mezzo alla folla portuale, così come il senegalese torna tranquillamente a movimentare bancali di frutta provenienti dal Sud America.

    Difficile capire dove sei finito, se la banchina è immersa da una nebbia fredda e irreale, resa arancione dalle sostanze chimiche e dai fari. Chepe ha un miraggio e vede un maglione di lana appeso a una pompa di carburante per le imbarcazioni.

    No, non è un miraggio. Puzza di gasolio, ma se ne accorge solo dopo averlo indossato, sopra una maglia di cotone bianco, diventato ormai marrone. Amsterdam o Amburgo che sia, ne ricorderà per sempre l’odore di nafta.

    2

    Bryan e Meredith

    L’hai messa a letto la bambina?

    Dovresti smetterla di chiamarla bambina. Ormai ha diciotto anni.

    E l’hai legata?

    Hai gli stessi occhi verdi di quando avevo la sua età…

    Sì, ma tu non eri deficiente.

    Smettila di chiamarla così. Ha un disturbo guaribile, come capita a tanti.

    Vabbè. Peccato che non abbiano ancora trovato una cura. Comunque vedrai che ti sveglierà, anche stanotte, come ieri. E come ieri l’altro. Devi iniziare a trattarla per quella che è. E poi domattina hai di nuovo la sveglia alle 4.

    Vorrà dire che ti alzerai tu per calmarla.

    O.K., lasciamo perdere. Buona notte.

    Bryan O’Connor si gira sul fianco sinistro, lasciando la moglie Meredith sul lato opposto del letto. E spegne la luce.

    Mezz’ora e il sonno profondo, in cui era precipitato dopo una giornata di ansie per un cliente moroso dell’autosalone dove lavora come contabile, viene rotto da un urlo.

    Bastardi, fottuti bastardi!

    E ancora il rumore metallico dei calci sulle sbarre laterali del letto.

    Quando entra nella cameretta della figlia, Shannon si è già tolta le coperte, graffiata le braccia e strappata una ciocca di capelli rossi, arruffati e sporchi di qualche settimana.

    Domani doccia, eh, amore? dice mentre le afferra i pugni e li fissa alla testiera con due cinghie di cuoio, prima di eseguire la stessa operazione coi piedi.

    No, doccia no. No, no, no. Pezzo di merda!

    Il padre si abbassa per darle un bacio. Uno sputo lo centra in piena fronte, ma Bryan resta impassibile, si asciuga con la manica del pigiama e torna a dormire.

    "Live Ireland. Sono le quattro. Giornale radio"

    Meredith spegne la radiosveglia.

    Una tazza di the, qualche biscotto e poi fuori, nelle strade deserte di Malahide, verso il primo tram della giornata. Quel giorno, uscita anticipata di quattro ore. Fino alle 8, avrebbe inscatolato in confezioni di legno pregiato le ostriche dirette sulle tavole dei ricchi europei. Le mani nel ghiaccio, col minimo sollievo di un paio di guanti in lattice, destinato a svanire dopo pochi minuti, in un capannone di Clontarf dove è l’unica irlandese con più di trent’anni. In piedi, in un magazzino sprovvisto di riscaldamento, stracolmo di ragazzi e stranieri.

    Alle 9 è attesa nel centro di Dublino, per un incontro importante. Di quelli che possono cambiare la vita. Ha trovato quell’impiego clandestino tre mesi prima, dopo aver letto un articoletto sull’Irish Independent. Al coniuge ha raccontato di avere bisogno di qualche centinaio di euro in più al mese per qualche intervento di manutenzione nella villetta della famiglia O’Connor, tanto per tenerlo buono. Lui ha bofonchiato qualche parola sulla possibilità di trasferirsi in un alloggio meno costoso in una zona più popolare, con il medesimo intento della moglie. Incapaci entrambi di dirsi quale sia la ragione che angustia le loro vite. Lui, poi, lascia a Meredith la gestione delle finanze di casa, così non si è accorto di quel cassetto di calzini, dove la consorte infila ogni settimana 250 euro.

    È la prima volta che mi succede una cosa del genere.

    Suor Agnes rigira nelle mani la fotocopia del quotidiano.

    "Del resto l’Independent è un quotidiano prestigioso. Difficilmente pubblica una notizia falsa. Però qui alla Caritas mi crocifiggerebbero se sapessero che finanzio una maga che cura i pazienti con pratiche pagane."

    Ma i trattamenti sono gratuiti. A noi bastano solo i soldi per il viaggio. Una parte, per l’altra ho trovato un lavoro notturno.

    Mi auguro adeguato ai valori cristiani.

    Ci mancherebbe, sorella. sorride Meredith.

    Però manca qualsiasi attendibilità sull’effettiva guarigione.

    La mamma di Shannon smette di respirare per qualche secondo.

    Fa niente. Non siamo noi a dover decidere le strade che il Signore ci invita a percorrere. L’importante è che sua figlia guarisca.

    L’aria riprende a circolare e un formicolio di tensione le attraversa le gambe.

    "Chiamerò il giornalista dell’Independent. Racconterò la vostra storia, senza fare nomi, ovviamente, e chiederò il numero di questa paziente guarita. Mi dia una settimana, poi avrà una risposta. Se sarà positiva, dovremo dire una piccola bugia. A fin di bene, ovviamente."

    E sarebbe?

    Nei bilanci dell’associazione, scriveremo che si tratta di un pellegrinaggio. Cerchi lei un santuario della Romania.

    Bulgaria.

    Sì, Bulgaria. Per me è lo stesso, non sono mai andata fuori dall’Irlanda. Mi lasci il suo numero di casa.

    Chuprene? E dove cazzo si trova?

    Amore, modera i termini davanti a mia madre.

    Ma Sarah, la nonna di Shannon, sorride alle sue spalle, intenta a guarnire con l’ultimo cucchiaio di birra scura il brasato di manzo che ha preparato per il pranzo.

    È in Bulgaria. Mi ha appena chiamato la suora a cui ho chiesto un aiuto per finanziare il viaggio di nostra figlia.

    Maghe, suore… Ma non ti sarai mica fatta fregare da qualche truffatore?

    No, di questa donna ho saputo leggendo questo articolo.

    E gli porge il ritaglio.

    E la suora è la responsabile della Caritas di Dublino.

    Ah!

    Un gancio al

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