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Il mercante di anime
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Il mercante di anime
E-book158 pagine2 ore

Il mercante di anime

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Info su questo ebook

“I miracoli sono davvero opera della misericordia di un Dio? E se non fosse lui a esaudire le nostre preghiere? Lo scopriranno presto Gustav Felix, imprenditore di successo, e sua moglie Nadia, quando le loro vite si intrecceranno a quella di Jesus Rachid, un’inquietante antiquario di mezza età che, oltre a splendidi oggetti d’arte, si diverte a mercanteggiare anche le oscure voluttà dell’animo umano. Assieme a Margareth Strauss, Julian Simonelli, Alex Bosi, e alla piccola Sarah Linder, scopriranno che c’è un terribile prezzo da pagare per chi cerca di comprare la felicità”.
LinguaItaliano
Data di uscita27 nov 2014
ISBN9788867823543
Il mercante di anime

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    Il mercante di anime - Giordana Ungaro

    Giordana Ungaro

    Il mercante di anime

    EDITRICE GDS

    Giordana Ungaro Il Mercante di Anime©EDITRICE GDS

    EDITRICE GDS

    di Iolanda Massa

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    tel. 02 9094203

    e-mail: edizionigds@hotmail.it ; iolanda1976@hotmail.it

    Progetto copertina di ©Iolanda Massa

    Tutti i diritti riservati.

    ….a mia madre

    Attento a che cosa preghi di ottenere, perché potresti essere esaudito.

    I lupi del Calla. La torre nera. Stephen King

    Capitolo 1

    La signora Strauss spostò il baricentro in cerca di una posizione più comoda. Era tesa, seduta su di una Luigi XIV, davanti ad un’antica scrivania in legno d’acero. La luce soffusa di lampade sparse sugli scaffali illuminava la stanza; mensole e vetrinette straripavano di oggetti di ogni genere, dando all’ambiente l’aria di un silenzioso e caotico magazzino d’epoca. Margareth sedeva rigida, inquieta sotto lo sguardo dei mezzibusti dipinti appesi alle pareti che parevano scrutarla silenziosi. Avvolta nel suo abito lungo acquamarina, era tormentata dall’elastico del collant che le stringeva il punto vita come un laccio emostatico, soffocandola. Lisciò la gonna sulle cosce voluminose e tornò ad artigliare la borsa Louis Vuitton poggiata sul ventre prominente. Prese lo specchietto con le mani pallide e lo aprì, dando una rapida scorsa al proprio volto per controllare che il trucco fosse perfetto e i capelli in ordine. Il fantasma dei cinquant’anni oramai aveva fatto svanire la giunonica bellezza di un tempo e il vedersi appassire ogni giorno di più l’aveva terrorizzata fino a quando, la settimana precedente, aveva incontrato all’opera Anita Berger. L’aveva riconosciuta a stento. Dal loro ultimo incontro avvenuto l’anno precedente, sembrava che il suo orologio biologico fosse stato invertito. Non una ruga aveva solcato la sua pelle liscia, luminosa; e i lunghi capelli corvini, legati in un’elegante coda di cavallo, erano ancora lucenti e folti. Fasciata in un’aderente abito bronzeo aveva mostrato un corpo snello e sodo che non sembrava di certo appartenere a una donna che aveva già superato i cinquant’anni. Accompagnata da un giovane che, data l’età, poteva essere benissimo suo figlio, aveva preso posto in platea. Margareth, sedendo qualche fila più indietro, aveva avuto modo di continuare a sbirciarla di nascosto, incredula quanto invidiosa, finché le luci si erano spente e lo spettacolo iniziato col consueto preludio dell’orchestra.

    Nell’intervallo tra il primo e il secondo atto la coppia aveva lasciato la sala. Anche lei era uscita a sgranchirsi le gambe e, appena fuori, aveva visto Anita e il ragazzo seduti a un tavolino del bar di fronte al teatro La Fenice. La donna aveva tenuto in una mano un calice di champagne e nell’altra una sigaretta posta in un sottile bocchino di opale scuro. Nel vederla le aveva fatto un cenno di saluto accompagnato da un gesto che la invitava ad avvicinarsi. Anita le aveva presentato il ragazzo come David Linder, e avevano poi chiacchierato di futili argomenti. Quando il suo accompagnatore si era alzato, andando a pagare i drink, la donna le aveva sorriso in modo strano.

    Vuoi sapere come ho fatto, vero? le aveva chiesto senza mezzi termini. Margareth aveva annuito, pensando che qualsiasi cosa fosse, l’avrebbe fatta anche lei.

    Non c’è nessuna crema, dieta o trattamento estetico dietro quello che vedi, nessun palliativo, nessun trucco, mi è stata semplicemente ridata la giovinezza.

    Margareth aveva sbattuto gli occhi perplessa. Com’è possibile? aveva esclamato, senza capire se si stesse prendendo o meno gioco di lei. Anita aveva dato uno sguardo alle proprie spalle, controllando che David non fosse lì vicino.

    Ho fatto un patto col Diavolo.

    Lo sguardo serio dell’amica aveva troncato la risata che Margareth aveva sentito salirle nella gola. La fiamma della candela sul tavolino baluginava nelle iridi scure della donna prive di ogni traccia di scherno. In quel momento David era tornato, Anita si era alzata e aveva infilato il braccio in quello di lui.

    É stato un piacere rivederti mia cara. Detto ciò le aveva lasciato un bigliettino da visita e si era congedata con un sorriso sornione stampato sul volto.

    Arrivederci signora aveva salutato David. I due si erano diretti verso la scalinata d’ingresso al teatro. Margareth, rimasta sola, aveva osservato il cartoncino bianco che teneva tra le mani dove un’unica scritta dorata campeggiava nel centro.

    Jesus Rachid, oggetti d’arte e antichità

    Margareth era lì. Il signor Rachid l’aveva lasciata sola qualche minuto, forse per darle il tempo necessario di riflettere o di scappare, pensò picchiettando le unghie sulla chiusura della borsetta. Non aveva idea di cosa aspettarsi, sarebbe tornato con una tavola Ouija? Una palla di vetro? Un intruglio fumante dai ripugnanti ingredienti? I bracciali d’oro che indossava tintinnarono al movimento del polso. Tirò fuori lo specchietto, lo aprì e si guardò nuovamente, toccandosi i capelli col palmo della mano. Erano ruvidi e secchi, il biondo innaturale, ottenuto con frequenti decolorazioni, li aveva nel tempo resi aridi e sfibrati. Controllò il rossetto sulle labbra e non poté fare a meno di soffermarsi sulle piccole rughe che le contornavano, poi passò agli occhi. Il loro blu profondo e le folte ciglia inspessite dal mascara non la distrassero dalle zampe di gallina che si allungavano ai loro lati. Corrugò la fronte, imbronciata, e nel farlo nuove grinze la solcarono. Sentì una stretta al cuore constatando ancora una volta che la sua giovinezza era ormai sfiorita. Chiuse lo specchietto e lo rimise in borsa, torcendo le mani nervosamente l’una con l’altra. Batté il tacco delle scarpe sul pavimento e sospirò. Si sentiva combattuta, spaventata e al contempo scettica. Sì, l’aspetto di Anita era una prova evidente, ma trovava tutto talmente assurdo che stentava a credere di essere andata lì davvero.

    Udì il cigolio della porta che si apriva e il signor Jesus rientrò nella stanza. Le assi del parquet scricchiolavano sotto il suo peso a ogni passo. Si sedette alla scrivania di fronte a lei, sprofondando beatamente nella poltroncina. Poggiò sul piano un foglio ingiallito in modo che Margareth potesse leggere. Jesus sorrise sotto i baffi ingrigiti mentre le porgeva una penna d’oca, un calamaio e uno spillo. Margareth esitò, quell’omuncolo sembrava amichevole e innocuo, un normale antiquario sulla cinquantina di origini medio-orientali. Era un uomo tozzo, piuttosto basso e goffo nelle movenze, il volto comune, dai lineamenti poco aggraziati, non aveva nulla di affascinante. Gli occhi piccoli e scuri erano sovrastati da un paio di folte sopracciglia, la bocca s’intravedeva appena nascosta dai baffi e un pizzetto appuntito e striato di grigio gli ricopriva il mento, lo stesso colore avevano i capelli radi sulla sommità del capo. Se avesse dovuto paragonarlo a un animale lo avrebbe catalogato come un vecchio e grasso gatto persiano. Lei era il topolino e il foglio sul tavolo l’invitante forma di formaggio che l’avrebbe fatta cadere nella trappola.

    Prego signora Strauss, basta una goccia del suo sangue nel calamaio, una firma lì sotto e avrà ciò che desidera, la incalzò lui allargando il sorriso. è un semplice contratto, legga. Bellezza e giovinezza in cambio della sua anima.

    Margaret sbirciò il foglio, lesse le poche righe scritte a mano in un elegante corsivo che promettevano esattamente ciò che lui aveva appena detto. In calce c’erano la sua firma e un sigillo di ceralacca rossa ad autenticare il tutto; le iniziali R.J. erano incastonate al centro di una stella ebraica. Allungò la mano e afferrò la penna d’oca tra le dita ma era titubante e soprattutto scettica. Possibile che quell’insignificante omuncolo fosse sul serio il Demonio, o un suo emissario?

    Si sentì ridicola. Senta, signor Rachid se io non invecchierò e non mi ammalerò come posso morire? Lei come farà ad avere la mia anima? chiese.

    L’uomo si appoggiò allo schienale della sedia e intrecciò le dita sul ventre. Sembrava calmo e rilassato.

    Non si deve preoccupare di questo, sarò io a venire a reclamare ciò che mi spetta a tempo debito. Margareth scoppiò a ridere e si diede della stupida, rendendosi conto dell’assurdità di quella situazione. Come aveva potuto pensare, anche solo per un istante, che fosse vero? Ritrovò compostezza e sicurezza di sé, poggiò la penna d’oca sul piano e affrontò quel tizio che credeva di essere chissà chi.

    Senta, è stato molto divertente tutto ciò ma non credo che lei possa veramente… Lui la interruppe, porgendole lo specchio poggiato sulla scrivania.

    Ha ragione disse. Tenga e guardi ciò che le offro. Margareth esitò, poi lo prese e si specchiò. Riflessa non c’era la vecchia signora che ritrovava tristemente ogni mattina, bensì la giovane e bella Maggy di un tempo. Portò una mano al volto toccando incredula le gote rosee e lisce mentre la sua bocca si apriva in una o di stupore. Sgranò gli occhi colmi di lacrime nel rivedere quella bellezza che pensava perduta per sempre. Rimase a osservarsi a lungo, l’immagine fece svanire tutte le remore e non le interessò più sapere che magia fosse o quale fosse il prezzo da pagare. Poggiò lo specchio e si punse un dito con lo spillo finché un’unica goccia di sangue cadde nell’inchiostro nero. Riprese la penna d’oca tra le dita, la intinse e firmò il contratto in duplice copia. All’esterno un ratto urlò.

    *

    Alex Bosi era seduto sui gradini di marmo che scendevano verso l’acqua. Il Canal Grande scorreva davanti a lui, scintillante per i riflessi dei palazzi e del cielo notturno che vi si specchiavano dentro. Lo sciabordio delle onde e l’oscillare ipnotico dei bagliori su di esse lo cullavano, ipnotizzandolo come le luci di un caleidoscopio. Il blando andirivieni di barche e vaporetti donava un ritmo lento a quella serata di fine ottobre; ora che l’afflusso di turisti era scemato assieme all’estate, Venezia volgeva verso i mesi invernali dove il silenzio notturno è palpabile lungo le strade deserte che, avvolte dalla nebbia, la rendevano gotica e spettrale. Zelda era accucciata lì accanto, il muso poggiato alle zampe anteriori, le orecchie ritte e lo sguardo fisso su di lui. Alex guardò l’orologio da polso, non erano nemmeno le nove e aveva già voglia di tornarsene al Lido. Era stata una lunga giornata e si chiese per l’ennesima volta perché avesse accettato l’invito di Igor per un aperitivo con quella mandria di cervelli in disuso che erano i suoi amici. Finì la birra in un sorso e poggiò la bottiglia vuota accanto a sé, si accese una sigaretta e diede un’occhiata al gruppo di ragazzi che chiacchieravano fuori dal bar. Come di consueto, a quell’ora, ai piedi del ponte di Rialto si svolgeva il rito dell’aperitivo serale. Alex non amava la confusione, né i ritrovi mondani, era un solitario. Che poteva farci se, tra la compagnia di uomini e cani, preferiva di gran lunga quella dei cani? Lo squillo del suo cellulare era stato provvidenziale, dandogli una scusa per allontanarsi dalla bolgia, così si era andato a sedere in disparte, sulla riva, seguito solo da Zelda, una giovane femmina di pastore tedesco che stava con lui ormai da quattro mesi. Zelda era una di quei cani killer che Alex rieducava per lavoro. Il suo carattere era però troppo ribelle e poco incline a essere sottomesso, solo lui riusciva a gestirla e aveva quindi deciso di tenerla con sé. L’animale drizzò le orecchie avvertendo l’avvicinarsi di qualcuno.

    Ehi, Balla coi lupi!, lo chiamò una voce familiare e Alex non poté fare a meno di sorridere, quel soprannome non gli dispiaceva affatto. Igor si sedette accanto a lui e gli porse una nuova bottiglia di birra, lui la prese, i due le fecero tintinnare in un brindisi e trangugiarono una lunga sorsata.

    Perché diavolo te ne stai a contemplare il canale? Non capisco che fai alle ragazze ma ne hai almeno tre laggiù a cui potresti sfilare le mutande nel giro di trenta secondi! E tu? Te ne stai qui col tuo cane?

    Alex era l’antitesi del macho, alto e secco, il viso smunto accentuava le orecchie a sventola, decisamente sciatto, eppure aveva da sempre un inspiegabile successo con le donne. Al sesso sei ancora interessato vero?, domandò l’amico, dandogli una leggera pacca sulla spalla.

    Alex sorseggiò nuovamente la birra. Sì, ma che gusto c’è con quelle oche laggiù? Se la tirano per dieci minuti e poi la danno al primo che passa! Igor ridacchiò. I due rimasero qualche minuto in silenzio, spalla contro spalla.

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