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Dinamiche della modernità. Quattro lezioni su moderno, postmoderno, globalizzazione
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E-book120 pagine1 ora

Dinamiche della modernità. Quattro lezioni su moderno, postmoderno, globalizzazione

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"Dinamiche della modernità" è nato come testo guida per un master universitario post laurea in discipline di area letteraria. Qui rielaborato e aggiornato, intende offrire un’introduzione critica ai concetti di ‘postmoderno’ e di ‘globalizzazione’ discutendo, con particolare riferimento all’estetica e all’ideologia culturale, le ragioni sottostanti alla loro evoluzione e le prospettive attuali.
LinguaItaliano
Data di uscita3 feb 2016
ISBN9788892550247
Dinamiche della modernità. Quattro lezioni su moderno, postmoderno, globalizzazione

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    Dinamiche della modernità. Quattro lezioni su moderno, postmoderno, globalizzazione - Giulio Savelli

    implicito)

    1.

    I primi due nessi che il concetto di postmoderno stabilisce gettano fuori di lui. Da una parte indietro verso la modernità, dall’altro verso la parola che ha soppiantato postmoderno nei discorsi che hanno per oggetto i cambiamenti del mondo che viviamo, ossia globalizzazione. Da qui i tre termini che scandiscono il sottotitolo di questo seminario, messi in un ordine approssimativamente cronologico: moderno, postmoderno, globalizzazione.

    La cronologia riguarda sia la diffusione e l’uso delle parole sia l’universo che esse designano: moderno illumina i primi decenni del Novecento, dai tempi moderni di Charlot fino a quella pubblicità televisiva di un liquore a base di carciofo che in Italia, durante prima metà degli anni Sessanta, si vantava di combattere il logorio della vita moderna, con un richiamo ormai consunto a un luogo comune discorsivo; il postmoderno appare proprio allora, per affermarsi nei due decenni successivi e spegnersi verso la fine del secolo e del millennio, contemporaneamente al diffondersi, a partire dagli anni Novanta, del termine globalizzazione. Questi tre termini, tuttavia, si riferiscono a un continuum storico e ad una stessa dinamica, quella della modernizzazione.

    Il termine postmoderno nasce negli Stati Uniti, modellato come tanti altri su post-war, dopoguerra, e lo si può far risalire alla metà degli anni Sessanta. Questa data non indica il momento di creazione della parola, quanto un punto di svolta decisivo nel suo uso. Le prime attestazioni di ‘postmodernismo’, infatti, sono nell’ambito degli studi di ispanistica, risalgono agli anni Trenta, e indicano un periodo della poesia spagnola successivo a quello detto modernista, che per alcuni finisce nel 1905, per altri arriva appunto agli anni Trenta. In ambito anglosassone il primo ad usare Post-Modern è stato Toynbee nel suo A Study of History,[1] in cui designava così l’ultima fase, cominciata intorno al 1875 e ancora in corso, della civiltà occidentale. Può essere interessante osservare come questa creazione di Toynbee non abbia avuto, allora, alcun riflesso nell’autodefinizione della contemporaneità, non abbia a che fare col postmodernismo, e tuttavia abbia oggi echi singolari. Infatti, «come fatto decisivo del mutamento epocale Toynbee dava il compimento del passaggio, in politica, da un pensiero limitato allo stato nazionale a una prospettiva di interazione globale».[2] L’interazione globale – politica, economica, estetica – è alla base di ciò che viene designato come globalizzazione, ed è anche, lo vedremo più avanti, l’evoluzione del postmodernismo. Ma appunto il conio di Toynbee non ha avuto seguito immediato, sebbene alcuni teorici del postmodernismo abbiano prestato per la prima volta attenzione alla parola e al concetto proprio leggendo il suo libro. Usato sporadicamente nel corso degli anni Cinquanta, negli anni Sessanta l’aggettivo ‘postmoderno’ comincia a essere usato per designare lo stato presente della letteratura come nuovo inizio, qualcosa di promettente e gravido di futuro che si scrolla di dosso i dogmi della tradizione modernista. Nella seconda metà degli anni Sessanta ‘postmoderno’ compare sempre più spesso anche nella critica d’arte e nell’architettura, per affermarsi come un concetto nuovo all’inizio dei Settanta. Ne è testimonianza l’uscita nel 1972 di Boundary 2, che ha come sottotitolo a journal of postmodern literature. Nel 1969 Ihab Hassan inizia la sua riflessione sul postmoderno con una serie di saggi che si dispiegheranno nel corso dei Settanta. In questi anni il termine dilaga negli Stati Uniti, approdando in Europa verso la fine del decennio, soprattutto grazie al volumetto del 1979 di Jean-François Lyotard La condizione postmoderna.

    Già dalla storia del termine si evince come sia fluido il suo significato. Il problema di postmoderno consiste in primo luogo nell’ambiguità fra la sua natura di movimento estetico-filosofico e quella di categoria storica. C’è chi limita la legittimità del termine alla designazione del solo movimento estetico-filosofico, considerando ‘postmoderno’ e ‘postmodernismo’ in sostanza sinonimi, e chi invece accetta di intenderlo come una categoria storica. Ciascuno ha poi i suoi problemi. Chi lo considera esclusivamente designazione di un movimento, in realtà intende ridurre la significatività, l’esemplarità del movimento stesso negando che vi sia stata una qualche cesura nell’evoluzione storica recente. Questa posizione si scontra con la fortuna stessa della parola: se tutti si riconoscono a torto o a ragione in alcuni tratti del postmodernismo o vedono in esso ciò che ha caratterizzato un momento della contemporaneità, si ha un bel dire che il termine ‘postmoderno’, fuori dal designare una tribù di poetiche, è vago, generico, poco scientifico e superficiale. Chi invece accetta di confrontarsi col postmoderno considerandolo un’epoca nella storia della cultura si trova a che fare con una pervasività sconcertante, per cui quasi ogni cosa può assumere una colorazione postmoderna, e con la difficoltà estrema di periodizzare. Senza entrare nei dettagli delle varie proposte, più o meno tutte plausibili, l’arco temporale entro cui può essere collocato l’inizio della postmodernità va dall’ultimo quarto del XIX secolo fino ai primi anni Settanta del Novecento, passando la fine della Seconda guerra mondiale e per la cesura, essenziale in Europa, assai meno in America, rappresentata dal boom economico della fine degli anni Cinquanta, che dà l’avvio alla società postindustriale.

    Io sono dell’opinione che postmoderno e postmodernismo vadano distinti, e che siano però cronologicamente sovrapponibili. Circa il postmodernismo, solo al principio degli anni Settanta ha una prima affermazione evidente. Se si vuole una data, simbolica e convenzionale, più precisa, il primo successo del postmodernismo si può far risalire al 15 luglio 1972, quando a Saint Louis un grande complesso abitativo popolare modellato sulle idee di Le Corbusier venne demolito in quanto ritenuto palesemente inabitabile per coloro ai quali era destinato.[3] Le critiche all’architettura razionalista e modernista si erano sviluppate al punto di prevalere sui canoni architettonici vigenti, fino a una simile drastica decisione. L’evento, allora, è stato uno shock. Il fatto che oggi un simile atto – la demolizione di complessi costruiti per l’Uomo anziché per gli uomini concreti, edifici per molti aspetti discutibili – appaia semplicemente di buon senso, è segno dell’affermazione storica di certi aspetti della sensibilità postmodernista. Pur considerando oggi il postmodernismo un movimento intellettuale ed estetico concluso, e non utilizzando più con tanta frequenza il concetto di postmoderno per parlare della nostra contemporaneità, condividiamo in parte una concezione del mondo inaugurata proprio dalla diffusione del postmodernismo.

    Per cercare di definire cosa sia il postmoderno, di cogliere almeno un nucleo che lo identifichi in modo chiaro, occorre passare attraverso il postmodernismo. Ma trovare un denominatore comune fra le poetiche postmoderniste in architettura e nell’arte, nella filosofia, in letteratura, nella critica, in America e in Europa, è un lavoro che non si può neppure provare ad affrontare in questa sede. Oltretutto la critica postmodernista ha incluso nel postmodernismo molti autori che non si dichiarano tali, come Borges; altri sono stati influenzati dalle teorie del postmodernismo senza per questo a loro volta esprimere una poetica che si autodefinisca postmodernista, per esempio Calvino. I teorici del postmodernismo, da parte loro, non hanno elaborato nulla di abbastanza sistematico e coerente da permettere una definizione sintetica del movimento. A differenza da quasi tutte le avanguardie storiche, il postmodernismo si appella al proprio tempo, un po’ come i Futuristi, anziché volerlo sovvertire. Ma, più ancora dei Futuristi, che avevano nemici culturali da combattere, il postmodernismo dichiara di avere i propri nemici ormai alle spalle, deceduti di morte naturale. Non per questo si esime dalla polemica: semplicemente questa sembra svolgersi a vittoria consumata. Il fatto di essere un’avanguardia che coincide con lo spirito dei tempi, cosa paradossale rispetto alle avanguardie storiche, alimenta la confusione tra postmodernismo e postmoderno: il postmodernismo infatti si legittima mostrando quanto siano postmoderni i propri tempi.

    Il modo migliore di attraversare il postmodernismo forse può essere quello di fare un giro fra i concetti e le parole in cui si riconosce. A questo fine può essere utile rileggere una tabella famosa, proposta da Ihab Hassan per la prima volta nel 1981 nell’articolo The Question of Postmodernism (in Performing Arts Journal),[4] quasi un manifesto del postmodernismo, tabella in cui vengono elencate trenta coppie di tratti esemplari rispettivamente del modernismo e del postmodernismo.

    Prima di leggere e commentare queste coppie, è però opportuno dare un’idea di cosa si intende per modernismo. La categoria non è molto usata in Italia, confusa com’è con quella di decadentismo, ma ben definita in ambito anglosassone. Un manuale classico è quello a cura di Bradbury e McFarlane, Modernism. A Guide to European Literature 1890-1930, edito da Penguin. Io preferisco citare, per ragioni di brevità, la descrizione che del modernismo ha offerto Mary Klages in una sua introduzione alla questione del postmoderno:

    Il Modernismo (…) è il movimento che nelle arti figurative, in musica, letteratura e teatro ha rigettato il vecchio modello vittoriano di come l’arte deve essere prodotta, consumata, e di cosa significhi. Nel periodo detto alto modernismo, dal 1910 al 1930 circa, le maggiori figure della letteratura modernista hanno aiutato a ridefinire

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