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Il re orco
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E-book250 pagine3 ore

Il re orco

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Info su questo ebook

Chi è il Re Orco? Esiste davvero?
Amelia conosce la risposta...
Tutto intorno a lei si chiude come la tela di un ragno.
La fuga resta l’unica possibilità!
Tra l’onirico, il fantasy e il reale ci si addentra in un percorso sibilino in cui è spontaneo calarsi e rimanere affascinati.
LinguaItaliano
Data di uscita27 set 2015
ISBN9788868271350
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    Anteprima del libro

    Il re orco - Matteo Piombo Papucci

    mai.

    Prefazione

    Il Re Orco non è una sola storia ma molteplici. In esso, si intersecano sogni e paure di dozzine di persone. Dalle loro testimonianze, alcune avute personalmente, altre cercate nel Web e nei libri di testo, in parte autobiografiche, è nata una fiaba comune.

    Il Re Orco potrà pizzicare corde spiacevoli o scomode, ma è un’esperienza da cui ho imparato molto. Spero di passarvi la stessa passione che le miei fonti hanno dato a me.

    In ogni caso, questo romanzo è dedicato a loro, a tutti gli eroi invisibili che combattono guerre sconosciute.

    1. Carimmè

    I ragni filavano operosi sul corpo della paziente. Alcuni erano grandi quanto un pugno, altri piccoli come un’unghia e certi come una mano aperta: bianchi, addome e zampe rosse.

    Operavano su di un corpo femminile, non ancora di donna ma neppure di bambina: un accenno di seno, viso innocente, capelli corvini, labbra rosse, pelle pallida e occhi grandi chiusi a nascondere il cielo. La ragazza aveva mani imperfette di chi aveva conosciuto il lavoro troppo presto, gambe snelle e ginocchia sbucciate da corse, guardie e ladri e palla avvelenata. Morbide bende di ragnatela le avvolgevano il corpo. Era su di un letto bianco al centro di una prigione di pietra.

    Dallo spioncino della porta di legno massiccio, si affacciò un grosso occhio giallo. La pupilla dilatata era ferina e aggressiva; linee rosse coloravano l’iride ambra.

    «Il Re Orco non sa attendere!»

    La voce fece tremare ogni cosa. Un ragno scese filando e, con voce tremula e rispettosa, rispose:

    «Mio signore, la paziente non è cosciente. Non sappiamo quando potrà riprendersi. Le sue ferite sono molto gravi».

    «Non appena sarà pronta, portatela da me!»

    Lo spioncino fu chiuso con tanta forza da spezzarsi.

    I passi del Re Orco si allontanarono a grandi falcati mentre i ragni intimoriti si rimisero a lavoro.

    Uno di loro, piccolo e gracile, ruppe il silenzio:

    «Pensate sia la cosa giusta?»

    Un compagno, grosso e tozzo, rispose:

    «Ne abbiamo già parlato. Non possiamo ribellarci al Re orco o ci mangerà tutti!»

    «Sì ma non possiamo permettergli di uccidere questa povera ragazza. Guardala, è ferita e non voglio salvarla perché possa soffrire ulteriormente; è ingiusto».

    Tre colpi rimbombarono alla porta e due occhi pallidi apparirono allo spioncino: globi malvagi di chi non conosce pietà; presagivano morte a chiunque li avesse incrociati.

    «Fate sssilenzio! Lavorate sssodo! Al Re Orco non piace assspettare la cena!»

    Il secondino si allontanò.

    «Comunque non sono d’accordo!» bisbigliò il piccolo ragno «Dei ragni guaritori non dovrebbero aiutare chi vuol uccidere un’innocente!»

    «Sssht!» lo zittì l’altro «vuoi farci mangiare per caso? Ricordi cosa è successo alle nostre famiglie? Schiacciati, come mosche! Il Re Orco non tollera pace nel suo regno né tanto meno qualcuno che aiuta i bisognosi! Lavoriamo per lui, che vi entri in zucca».

    «Le nostre famiglie sono morte per proteggere i propri ideali. Se ci vedessero adesso, si rivolterebbero nei loro bozzoli!»

    Un coro di «Sì» e «Ha ragione» si levò dai compagni.

    «Ok, va bene!» rispose il grosso ragno «Prenderò in considerazione la cosa, ma, se non lavoriamo, non ci sarà paziente da salvare o dare in pasto!»

    In qualche modo, il capobranco riuscì a portare ordine tra le sue fila e tornarono a lavoro.

    La strada correva veloce e la pioggia batteva sul vetro. Ero troppo piccola per guidare ma abbastanza grande per capire che stavolta il mostro era arrabbiato; non avrebbe avuto pietà. La mano di mia madre mi accarezzò la coscia, come ad assicurarsi che fossi reale. Dallo specchietto retrovisore, vidi occhi gialli e brillanti avvicinarsi; emettevano una luce accecante e un rombo furioso.

    La paziente aprì gli occhi e vide roccia: dura, inscalfibile, impenetrabile, indistruttibile. Si guardò attorno ma il paesaggio non era diverso e si sentì mancare l’aria. Prese due profondi respiri e cercò di tossire ma qualcosa di colloso e viscido le sigillava le labbra.

    «Tutto bene lì dentro?»

    Gli occhi bianchi riapparvero allo spioncino. Una lunga e sottile lingua guizzò dal basso a leccare la pupilla, pulendola dalla polvere.

    «Il passsto si è forssse ripressso? Ho sssentito un rumore!»

    Il piccolo ragno scese sul bordo della fessura.

    «La paziente sta per riprendersi ma non è ancora cosciente».

    «Svegliala, allora!»

    La ragazza sgranò gli occhi dal terrore; una lacrima di densa paura le rigò la pelle del viso. Non mugugnava né quasi respirava, paralizzata dalla voce ultraterrena del secondino furibondo.

    «Non possiamo svegliarla,» rispose il coraggioso aracnide «deve farlo da sé, quando il suo corpo si sentirà pronto. Comunque, avrei qualche idea su come alleggerire l’attesa al Re Orco; magari non si infurierà né con noi né con te».

    «Ah sssì? E cosssa potresssti mai sssapere che al Re Orco interesssa?»

    Il piccolo ragno saltò dalla fessura alla spalla della guardia. Nonostante il corpo del secondino fosse umanoide, il busto era coperto di scaglie e lungo la colonna vertebrale spuntavano lame seghettate; sotto il bacino, si allungava una spira terminante in sonagli lamellari. Il mento era allungato e la bocca occupava quasi tutto il volto. Non aveva labbra e dalle gengive rosse spuntavano denti affilati. Aveva un unico, lungo ciuffo di capelli sporchi e stopposi. Le braccia lunghe e sottili terminavano in mani artigliate; al polso destro, era legato un mazzo di chiavi.

    «Dimmi, ragno, prima che ti divori».

    «Non voglio che i miei compagni mi sentano. Non sarebbero d’accordo».

    «Tradimento? Sssì! Mi piace! Farai ssstrada col Re Orco!»

    Il ragno avanzò fino a trovarsi all’altezza del collo, aprì le tenaglie e le infilò tra scaglia e scaglia. Il suo veleno scorse nelle vene della guardia che stramazzò a terra, senza avere il tempo di reagire. Nel frattempo, all’interno della cella, i ragni medici stavano col fiato sospeso.

    «Se lo mangerà!» disse uno.

    «Speriamo si limiti a questo! I servi del Re Orco sono secondi solo al loro padrone in crudeltà!» pregò un altro.

    «Io ho sentito che possono masticarti almeno cento volte prima di ingoiarti!» avvertì un terzo.

    «E se ci avesse tradito?» il dubbio di molti.

    Il panico cresceva e ormai nessuno si preoccupava della paziente. La ragazza piangeva silenziosamente. Solo il più grosso dei ragni si accorse della situazione:

    «Mantenete la calma! La paziente è sveglia e il nostro lavoro non è ancora terminato! Non allarmatevi per Elliot: se la caverà; è piccolo e gracile ma è il più furbo di noi».

    Una voce balbettante si alzò dalla folla.

    «Se ci mettesse nei guai? E se ci tradisse? Come faremo, Vecchiatela?»

    «Il tradimento non è contemplato per Elliot,» rispose «mi preoccupano più i suoi colpi di testa. Nel caso, diremo che è stata un’azione isolata e solitaria».

    «Io sono d’accordo con Elliot!» intervenne una ragnetta «Avessi metà del coraggio di Elliot, avrei già fatto qualcosa! Mi sono stancata di lavorare per il Re Orco!»

    «Eleppa! Smettila di dire assurdità e spera che la guardia non ti abbia sentito. Qualsiasi cosa avvenga, dobbiamo continuare ad andare avanti, lasciando indietro qualche compagno, se necessario».

    Vecchiatela riportò l’ordine ma un altro parere fulminò gli animi.

    «Non sono d’accordo!»

    Da un buco nel muro coperto da gialle ragnatele, fece capolino un grosso e vecchio ragno: quattro zampe erano mutilate e compensate da protesi di legno.

    «Secondo le nostre leggi» professò «nessuno viene lasciato indietro» la voce era roca ma potente. Al suo passaggio, i compagni si facevano da parte.

    «Come nuovo capobranco, dovresti ben sapere le nostre regole, Vecchiatela. Ho visto la paura nei tuoi occhi e l’ho reputata saggia, ma non posso permettere che tu abbandoni un paziente e uno di noi».

    «Da anni stai rintanato in quel buco, Zampella;» rispose Vecchiatela «i tempi sono diversi da quando eri tu il capo; dobbiamo rivalutare le nostre leggi. Sono passati gli anni dell’altruismo. È bene cominciare a essere un po’ egoisti».

    «Pensi abbia perso le mie zampe per egoismo? No! Le ho perse come ho perso fratelli e familiari, proteggendo ciò in cui crediamo. Ricordo come il Re Orco ci instillò paura: milioni di uova distrutte dal fuoco; ma è nei momenti bui che è necessario essere altruisti. Ogni generazione ha i suoi problemi e non permetterò che la vostra calpesti la memoria della mia».

    A quella parole, molti ragni annuirono.

    «E cosa avresti intenzione di fare, vecchio bacucco?»

    «Salvare la ragazza».

    «Pensi davvero di avere la forza per contrapporti tra la fame del Re Orco e il suo pasto? È meglio rintanarci nei nostri buchi, fino a che siamo in tempo!»

    I bisbigli dubbiosi della folla si trasformarono in viva protesta. Nessuno era disposto a sopravvivere a quelle condizioni.

    Un forte tonfo fece vibrare il suolo.

    Tutti restarono col fiato sospeso.

    Elliot fece capolino dal pertugio scardinato; era acciaccato, ma vivo e trionfante.

    I compagni lo acclamarono.

    «Fate silenzio!» rispose lui «Ci sono altre guardie benché lontane e abbiamo molto da fare!» Eleppa fu la prima a raggiungerlo e lo baciò appassionata.

    «Cos’hai intenzione di fare?» chiese carica sia per l’azione che per il bacio.

    Elliot sedò ogni dubbio.

    «Ho un’idea, fidatevi di me ma prima la ragazza».

    La paziente piangeva ma non urlava. Le imprecazione le morivano in gola. L’aria le entrava appena nei polmoni; il panico avanzava come una locomotiva impazzita. Le lacrime si confondevano col sudore. Completamente immobile, continuava a fissare la roccia. Non sapeva dove si trovasse né chi fosse, sapeva solo che un mostro voleva mangiarla. Percepì un pizzico alla gamba. Il cuore rallentò e la mente si rilassò un poco.

    «Una paziente deve saper essere tale» Zampella sentenziò, mentre zampettava su di lei.

    «Sta calma,» disse «sappiamo di non aver un bell’aspetto ma sei ferita e in pericolo. Non abbiamo tempo per spiegarti tutto. Dobbiamo farti uscire prima che il Re Orco si accorga del nostro tradimento».

    «Farla uscire di qui!?» intervenne Vecchiatela «Ci farai uccidere tutti!»

    Il vecchio lo fulminò con lo sguardo.

    «Qui nessuno vuole tenere il capo chino» rispose. «Sappiamo che il Re Orco è malvagio. Preferiamo morire, piuttosto che collaborare con lui. Anche i tuoi genitori direbbero la stessa cosa, se fossero ancora in vita, Vecchiatela. Non dimenticare chi li ha uccisi».

    Il leader restò in silenzio; il peso dei ricordi lo aveva colpito con più forza di quanto volesse far vedere.

    Zampella si voltò verso la paziente.

    «Ora ti libererò la bocca ma non gridare».

    Lei annuì e il ragno, con una rapida mossa delle tenaglie, tagliò la ragnatela che le costringeva le labbra.

    «Acqua… sete» furono le sue prime parole; la sua voce era dolce e melodiosa.

    Lesti, due ragni medici si calarono dal soffitto con una ciotola d’acqua tra le zampe. Una volta dissetata, le sue gote ripresero colore ed ebbe la forza di parlare.

    «Dove mi trovo?»

    «Sei nelle prigioni del Re Orco. Sei stata portata qui dopo un brutto incidente. Eri gravemente ferita e lo sei ancora. Come ti chiami?»

    La maestra mi chiamava per andare alla lavagna. Quando portavo a casa dei bei voti, il mostro non appariva. Ero tanto brava che mio padre mi fece un regalo col mio nome scritto su un biglietto: il mio nome, il mio nome, il mio nome.

    «Non ricordo».

    «La tua amnesia è provocata dalla shock per l’incidente;» intervenne Vecchiatela, sorprendendo i presenti «la memoria dovrebbe tornare ma sono solo congetture; non abbiamo tempo per un’analisi più accurata».

    «Perché mi trovo qui?»

    «Speravo saresti stata tu a dircelo» ammise Zampella. «Non ho mai visto il Re Orco tanto bramoso; sembra tu sia un piatto particolarmente prelibato. Dovresti essere in grado di alzarti. Il nostro veleno dovrebbe aver attenuato il dolore, ma non fare sforzi eccessivi. Non toglierti mai le bende! Non si sporcheranno mai; più le terrai, maggiore sarà la rapidità della tua guarigione».

    Una squadra di ragni stava cercando di liberarle i polsi; erano bloccati da una corda scura e maleodorante, troppo resistente per esser tagliata a morsi. Improvvisamente, la porta si spalancò e il guardiaserpe entrò. La sua bocca era aperta e pronta per azzannare e gli unghioni a squartare. Tutti i presenti si bloccarono, paralizzati dalla paura.

    Era la fine.

    «State calmi! Sono io!»

    Elliot, raggiante uscì dalle fauci del mostro.

    «Il guardiaserpe è ancora privo di conoscenza. Gli ho iniettato tutto il veleno che avevo ma ne è valsa la pena».

    Sottili fili partivano dal corpo del secondino e finivano sul soffitto, dove una dozzina di abili marionettisti lo manovrava. Con abili mosse, usarono i suoi artigli affilati per tagliare le corde.

    «Usciremo con questo!» continuò Elliot «Ci fingeremo delle guardie e fuggiremo dalla porta principale»

    Dopo il forte spavento, Vecchiatela riprese il controllo di sé.

    «Risponderai delle tue azioni di fronte a tutti noi, giovanotto! Ammetto però che sei stato coraggioso».

    «Grazie, papà».

    «Come la mettiamo con la voce?»

    «Ssse fosssse necessssario, possssso farlo io!»

    Dopo un attimo di sorpresa, dalle fauci uscì anche Eleppa.

    «Sono brava, non trovate?»

    «Lo ammetto, sono impressionato» ammise Vecchiatela. «Non abbiamo tempo da perdere. Ragazza, fidati di noi. Mettiti davanti al guardiaserpe e non preoccuparti. Non dire e non fare niente, cammina e basta».

    Lei, ancora spaventata, si asciugò le lacrime. Il freddo del pavimento le risaliva dai piedi nudi. Aveva indosso solo un camice bianco lungo fino alle ginocchia. Timorosa obbedì.

    Prima di uscire, guardò un’ultima volta quella prigione: inscalfibile, inamovibile, indistruttibile e ancora troppo vicina.

    Il corridoio era stretto e lungo. Le torce alle pareti emettevano una luce bluastra che rendeva l’ambiente ancor più tetro. Ogni due metri, su entrambi i lati, c’era una massiccia porta di legno con una targa di metallo. Incuriosita, la fuggiasca guardò la propria: LA PRINCIPESSA.

    Non credeva di aver nobili natali e la ignorò, impiegando tutta la sua attenzione nella fuga.

    Giunti a una biforcazione, alcuni ragni si divisero in due gruppi per esplorare entrambe le direzioni. La maggior parte sarebbe restata in attesa, assieme alla fuggiasca.

    Dopo diversi minuti, dal corridoio di destra, strisciò un guardiaserpe. Si fermò davanti a loro e sbatté la coda sulle pareti, attendendo che il compagno facesse lo stesso.

    I burattinai riuscirono debolmente nell’impresa.

    «Mi ssstai prendendo in giro!?» chiese il secondino.

    «Quegli ssstupidi ragni hanno tentato di ribellarsssi» rispose Eleppa «uno di loro mi ha morssso e sssono un po’ intontito. Comunque, quei piccoli traditori non sssono più un problema».

    «Bene, molto bene! Al Re Orco non ssservivano più, ci hai risparmiato tempo! Ora va, ssstupido! Devo controllare come sssta la Regina!»

    Detto questo, imboccò il corridoio di sinistra, continuando a ridacchiare.

    «Ssstupido!» gridò, distante «Ne hai lasciati sssfuggire qualcuno! Farò rapporto al Re Orco!»

    Il corridoio tremò, mentre il guardiaserpe schiacciava la squadra esploratrice. Quando i membri dell’altro gruppo tornarono e videro gli sguardi dei compagni, capirono che nessun altro li avrebbe raggiunti.

    «L’uscita è a destra» nient’altro fu detto, né in quel momento né in quelli successivi.

    Il portone che si trovarono di fronte era alto almeno quattro metri e largo due; concludeva con la sua possanza un allargamento del cunicolo. Era di legno scuro, senza lucchetti, maniglie o serrature; appariva come un unico blocco infossato nel muro. I battenti erano segnati da venature giallo ocra che si intrecciavano a disegnare due teste. Quella di destra era pensierosa, sguardo saggio e bocca chiusa in un’espressione riflessiva. Quella di sinistra aveva gli occhi sgranati e le mascelle serrate in un ghigno malefico; si espandeva dalla prima come un cancro furioso e avverso.

    I ragni al soffitto lasciarono cadere il corpo del guardiaserpe e si calarono a fianco della ragazza.

    «Avanziamo un altro po’» suggerì Elliot.

    Con cautela, fecero i primi passi. Le venature del portone pulsarono, percorse da linfa vitale. Le bocche si mossero sincretiche. Due voci entrarono autorevoli nella testa dei presenti, parlando direttamente al loro spirito intimorito: una austera e potente, l’altra viscida e selvatica.

    «Noi siamo Carimmè, la porta e il primo servo. Noi giudichiamo coloro che passano sotto l’occhio del Re Orco».

    Un cono di luce ambra si accese. Sopra di loro, era dipinto un occhio giallo immenso, rigato da una ragnatela di capillari sanguigni che circondavano una pupilla ferina.

    «Carimmè sa tutto:» tuonavano le voci «i corridoi sono le nostre vene e i prigionieri il sangue. Ciò che noi sappiamo, sa il Re Orco».

    Di fronte a tanta potenza, il loro coraggio svanì.

    «Carimmè non vi farà passare. Carimmè sa che sei il pasto del Re Orco. Ciò che noi sappiamo, sa il Re Orco».

    Le torce nella stanza si spensero e il cono di luce divenne accecante. La pupilla al centro si dilatò. Alcuni ragni tentarono di fuggire, nascondendosi nell’ombra ma ciò che trovarono fu il vuoto di un baratro. Il corridoio alle loro spalle era scomparso e solo la porta rimaneva di fronte a loro, fluttuando nel nulla.

    «Grande Carimmè!» supplicò la ragazza «Ti prego, lasciami passare! Io non ho niente a che fare col Re Orco!»

    «Carimmè dice che stai mentendo» sentenziarono le voci «Carimmè interpreta il volere

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